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I compagni del NDIRD hanno presentato la riunione sottolineando l’importanza di questo tipo di avvenimenti per far conoscere le posizioni della Sinistra comunista attraverso un dibattito aperto e fraterno. Proprio per favorire il dibattito, la presentazione dell’argomento è durata solamente venti minuti.
La riunione ha raccolto più di 25 persone. Il numero dei giovani è stato notevole (quasi la metà dei partecipanti), caratteristica che osserviamo anche nelle riunioni pubbliche tenute in altri paesi dell’America latina dove abbiamo avuto la possibilità d’intervenire. I partecipanti hanno manifestato un interesse reale all’ascolto della presentazione ed il dibattito che questa ha suscitato ha espresso un’autentica preoccupazione rispetto alle inquietudini provocate dalla crisi del capitalismo, e non solo per il proletariato ma per l’insieme dell’umanità.
Ecco un breve resoconto della riunione e delle domande che sono state poste nel dibattito.
Come si può spiegare la creazione di mercati artificiali attraverso l’indebitamento?
Questa interessante domanda di un giovane partecipante rispondeva ad un’affermazione della presentazione dove dicevamo che il capitalismo richiede per il suo sviluppo dei mercati solvibili, cioè dei settori che hanno una reale capacità di consumare le merci prodotte. Con l’entrata del capitalismo nella sua fase di decadenza, periodo apertosi con la Prima Guerra mondiale, si è sviluppato un esaurimento progressivo di questi mercati solvibili. Ed è per tale motivo che “Come palliativo a questo esaurimento dei mercati solvibili esterni alla sfera capitalista, la borghesia ha utilizzato il credito; questo stesso palliativo è stato poi massicciamente utilizzato a partire dagli anni ‘60; in questo senso, il capitalismo decadente, per sopravvivere, aveva creato un mercato artificiale basato sul credito” (testo di presentazione).
E’ precisamente a partire dagli anni ‘70 che i paesi della periferia, e tra questi quelli dell’America latina, hanno iniziato un ricorso massiccio all’indebitamento, in gran parte per acquistare beni e servizi prodotti nei paesi centrali, gli stessi che finanziavano questi crediti. E’ per tale motivo che durante gli ultimi quattro decenni del secolo scorso i paesi della periferia hanno accumulato praticamente dei debiti impossibili da rimborsare, che continuano a crescere ed il cui pagamento dilapida un’importante percentuale del PIL di questi Stati.
Abbiamo dato come esempio recente di questi mercati artificiali la crescita del settore immobiliare negli Stati Uniti che si è basata sulla vendita a credito di immobili. La “bolla immobiliare” è esplosa “quando non è stato più possibile rimborsare i crediti perché la crisi si era sviluppata nel mondo ed i tassi di interesse erano aumentati, per cui questo sistema di credito è esploso. Ma ad esplodere sono le contraddizioni interne dell’economia capitalista: quelle della saturazione dei mercati solvibili. Ed anche la crisi del credito come palliativo” (idem).
Se c’è stata una ripresa dopo la crisi del 1929, perché ora non esiste una riattivazione dell’economia come negli anni ‘50 e ‘60?
Abbiamo risposto che la crisi del 1929 è stata la prima grande crisi del capitalismo decadente i cui effetti sono stati risentiti durante il decennio degli anni ‘30 e che ha avuto come corollario la Seconda Guerra mondiale. Dopo questa crisi c’è stata l’importante ripresa economica del dopoguerra che si è basata sull’applicazione di politiche keynesiane, sull’aumento della produttività del lavoro e su un migliore sfruttamento sia delle economie precapitaliste dei paesi della periferia che dei settori precapitalisti dei paesi più industrializzati. Ma sono proprio questi meccanismi che mostrano di esaurirsi alla fine degli anni ‘60 quando il capitalismo entra di nuovo in crisi. Per far fronte a questa nuova crisi, la borghesia ricorre all’utilizzazione massiccia di questo palliativo - il credito - che permette al capitalismo di rinviare per oltre quarant’anni la caduta brutale dell’economia, come la vediamo attualmente.
Noi diciamo che la crisi attuale è peggiore di quella del 1929. Come è stato detto nella presentazione, la crisi attuale è una crisi del credito. Poiché la “soluzione” che propone la borghesia mondiale è quella di un maggiore indebitamento, questo non può che preparare inevitabilmente delle crisi ancora peggiori in futuro.
Come può battersi il proletariato se la disoccupazione tende a farlo scomparire?
Un compagno, nell’esprimere questa preoccupazione, faceva l’esempio della situazione della “zona franca” di Santiago, una delle più importanti concentrazioni di fabbriche e di imprese di subappalto del paese, dove si è sviluppato con la crisi un forte livello di disoccupazione. Abbiamo risposto che, effettivamente, uno dei flagelli della crisi del capitalismo è la crescita rapida della disoccupazione; ma ciò non significa la scomparsa del proletariato perché è inconcepibile una borghesia senza proletari da sfruttare. Innanzitutto, il lavoratore non perde la sua condizione di proletario quando diventa disoccupato. Si cominciano già a vedere delle mobilitazioni di disoccupati in alcuni paesi. Inoltre, a far parte del proletariato non sono solo i lavoratori del settore manifatturiero o di fabbrica, ma anche, ed in buon numero, gli impiegati del settore pubblico, gli insegnanti, i lavoratori della sanità, ecc., settori che hanno un peso quantitativamente importante nei paesi dell’America latina.
È indubbio che la crisi colpisce duramente i lavoratori perché alla fine tocca proprio a loro pagare i cocci, tuttavia è proprio questa situazione che li spinge inevitabilmente alla lotta, tanto in Repubblica dominicana che a livello mondiale.
Perché, tra le conseguenze della crisi, la CCI parla anche dello sviluppo di imperialismi regionali e locali?
Nella nostra presentazione abbiamo detto che questa crisi, tappa ulteriore nel crollo del capitalismo, ha avuto non solo delle conseguenze a livello economico e sulla lotta del proletariato, ma anche a livello dei conflitti tra nazioni. Nella storia del capitalismo la lotta tra gli Stati per i mercati è stata una costante e la crisi attuale non è un’eccezione. Peraltro questa crisi interviene in un contesto dove i blocchi imperialisti esistiti fino alla fine degli anni ‘80 sono spariti con il crollo del blocco russo e l’indebolimento progressivo dell’imperialismo americano. Questa situazione ha provocato un’anarchia nelle relazioni internazionali che si esprime nel tentativo di ogni borghesia nazionale di rafforzarsi nella geopolitica regionale e mondiale. Questi comportamenti si sono espressi recentemente in modo patetico in Iran, che tenta di ergersi a potenza regionale in Medio Oriente, e nel Venezuela, che si rafforza sul piano geopolitico in America latina utilizzando come armi di penetrazione il petrolio e l’ideologia del “socialismo del XX secolo”.
Lo scontro tra nazioni che si è scatenato dopo la caduta del blocco russo si inasprirà inevitabilmente con l’avanzamento della crisi. Il proletariato deve rigettare ogni appoggio alle frazioni della borghesia nazionale o regionale in questi conflitti che andrebbe a profitto solo di questa o quella frazione della classe dominante.
Di fronte a questa barbarie, quali sono le prospettive per l’umanità?
Questa domanda esprime in modo chiaro ciò che abbiamo detto nell’introduzione di questo resoconto: “un’autentica preoccupazione rispetto alle inquietudini provocate dalla crisi del capitalismo e non solo per il proletariato ma per l’insieme dell’umanità”.
La CCI ha affermato che oggi più che mai il futuro dell’umanità è minacciato dalle contraddizioni interne del capitalismo e questo richiede la risposta dell’unica classe rivoluzionaria: il proletariato. Se la crisi genera sempre più miseria e povertà, spinge però il proletariato a battersi. È vero che le condizioni della lotta sono oggi difficili, dal momento che non si sa bene come lottare o che cosa fare quando le fabbriche chiudono i battenti. È anche vero che il proletariato dubita delle proprie capacità. Ma lo sviluppo della crisi, attraverso gli attacchi contro l’insieme delle condizioni di vita dei proletari e per il fatto che implica apertamente lo Stato, fomenta alla lotta di classe l’insieme del proletariato mondiale. In questa dinamica il proletariato sviluppa la sua riflessione e, poco a poco, riprenderà fiducia nelle proprie forze.
La CCI, in quanto organizzazione rivoluzionaria e nella misura delle sue forze, lavora per accelerare questa dinamica. La posta in gioco sta nell’alternativa tra una società comunista e una barbarie che annienterebbe l’umanità. Di fronte a ciò, gruppi come il NDIRD, che si sviluppano con una visione internazionalista, rivestono un ruolo di primo piano per il proletariato della Repubblica dominicana e per il proletariato mondiale. Allo stesso modo, tutti quelli che, come i compagni che hanno partecipato a questa riunione, si pongono delle domande su un terreno internazionalista, devono dibattere tra loro.
La preoccupazione di dibattere e di ascoltare
Sebbene la riunione sia durata poco tempo - pressappoco un’ora e mezza - perché bisognava liberare il locale, si è sviluppato un importante dibattito che ha potuto continuare per un po’ mentre si condivideva un momento di socializzazione intorno ad un bicchiere.
Parecchi dei partecipanti hanno mostrato il loro entusiasmo ed il loro interesse a partecipare a questo genere di riunioni. Come è stato detto da uno dei compagni del NDIRD, i partecipanti hanno mostrato un reale interesse a discutere e ad ascoltare le posizioni internazionaliste.
Salutiamo calorosamente questa riunione, così come la capacità politica ed organizzativa di cui ha dato prova il NDIRD nella sua preparazione. Li invitiamo a portare avanti questo sforzo per il quale la CCI darà tutto il suo sostegno.
Questa riunione è stata un momento molto confortante perché è una manifestazione della capacità dell’internazionalismo di unire le forze del proletariato in qualsiasi paese, per quanto “piccolo” possa essere.
CCI (14 luglio 2009)
[1] Per la prima riunione pubblica vedi: “Un dibattito internazionalista nella Repubblica Dominicana”, ICConline pagina italiana 2007.