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Questa serie di articoli si è data come obiettivo di dimostrare che i membri della Sinistra comunista e gli anarchici internazionalisti hanno il dovere di discutere ed anche di collaborare. La ragione è semplice. Al di là delle divergenze che sono talvolta importanti, noi condividiamo le posizioni rivoluzionarie essenziali: l’internazionalismo, il rigetto di ogni collaborazione e compromesso con le forze politiche borghesi, la difesa de “la presa in mano delle lotte da parte degli stessi operai”…[1]
Malgrado questa evidenza, da tempo le relazioni tra queste due correnti rivoluzionarie sono state quasi inesistenti. Solo da qualche anno cominciamo appena a vedere l’inizio di un dibattito e di una collaborazione. Tutto ciò è il frutto della dolorosa storia del movimento operaio. L’atteggiamento della maggioranza del Partito bolscevico negli anni 1918-1924, (l’interdizione di ogni stampa anarchica senza distinzione, lo scontro con l’esercito di Makhno, lo schiacciamento nel sangue dei marinai insorti di Kronstadt …) ha scavato un fossato tra rivoluzionari marxisti ed anarchici. Ma soprattutto, lo stalinismo, che ha massacrato migliaia di anarchici[2] in nome del “comunismo”, ha causato un vero trauma per dei decenni[3].
Esistono ancora oggi, da una parte come dall’altra, timori a dibattere ed a collaborare. Per superare queste difficoltà bisogna essere persuasi di appartenere allo stesso campo, quello della rivoluzione e del proletariato, nonostante le divergenze. Ma ciò non può bastare. Dobbiamo fare anche uno sforzo cosciente per coltivare la qualità dei nostri dibattiti. “Elevarsi dall’astratto al concreto” è sempre la tappa più pericolosa. E’ per questo che, con quest’articolo, la CCI tiene a precisare con quale stato d'animo essa affronta questa possibile e necessaria relazione tra la Sinistra comunista e l’anarchismo internazionalista.
La critica costruttiva tra rivoluzionari è una necessità assoluta
La nostra stampa ha molte volte ripetuto, sotto differenti forme, l’affermazione secondo la quale l’anarchismo porta il segno d’origine dell’ideologia piccolo borghese. Questa critica, effettivamente radicale, è spesso giudicata inaccettabile dai militanti anarchici, compresi quelli abitualmente più aperti alla discussione. Ed ancora oggi, ancora una nuova, questo epiteto di “piccolo-borghese” affiancato alla parola “anarchismo” è sufficiente a certi per non volere più sentire parlare della CCI. Recentemente, sul nostro forum Internet, un partecipante che si rifà all’anarchismo ha finanche qualificato questa critica come una vera “ingiuria”. Ma noi non pensiamo che sia così.
Per quanto profondi siano i nostri reciproci disaccordi, essi non devono farci perdere di vista che i militanti della Sinistra comunista e quelli dell’anarchismo internazionalista dibattono tra rivoluzionari. Del resto, gli stessi anarchici internazionalisti muovono numerose critiche al marxismo, a cominciare dalle sue pretese inclinazioni naturali per l’autoritarismo ed il riformismo. Il sito della CNT-AIT in Francia, per esempio, contiene molteplici passi di questo genere:
“I marxisti diventavano progressivamente [a partire dal 1871] coloro che addormentavano gli sfruttati e firmavano l’atto di nascita del riformismo operaio”[4].
“Il marxismo è responsabile dell’orientamento della classe operaia verso l’azione parlamentare […]. Solo quando si sarà compreso questo si vedrà che la via della liberazione sociale ci conduce verso la terra felice dell’anarchismo, passando bene al di sopra del marxismo”[5].
Non si tratta qui di “ingiurie” ma di critiche radicali … con cui evidentemente siamo in totale disaccordo! È anche nel senso della critica aperta che deve essere considerata la nostra analisi della natura dell’anarchismo. Per cui pensiamo sia importante riproporla qui sinteticamente. Nel 1994, in un capitolo intitolato “Il nucleo piccolo-borghese dell’anarchismo”, noi scrivevamo: “Lo sviluppo dell’anarchismo nella seconda metà del XIX secolo era il prodotto della resistenza di strati piccolo-borghesi (artigiani, commercianti, piccoli contadini) alla marcia trionfante del capitale, resistenza al processo di proletarizzazione che li privava della loro “indipendenza” sociale passata. Più forte nei paesi dove il capitale industriale si è sviluppato tardivamente, alla periferia orientale e meridionale dell’Europa, esso esprimeva al tempo stesso la ribellione di questi strati contro il capitalismo e la loro incapacità a vedere oltre quest’ultimo, verso il futuro comunista; al contrario, enunciava il loro desiderio di ritorno ad un passato semi-mitico di comunità locali libere e di produttori rigorosamente indipendenti, sbarazzati dall’oppressione del capitale industriale e dallo Stato borghese centralizzato. Il “padre” dell’anarchismo, Pierre-Joseph Proudhon, era l’incarnazione classica di quest’atteggiamento, col suo odio feroce non solo verso lo Stato ed i grandi capitalisti, ma anche verso il collettivismo sotto tutte le sue forme, ivi compreso verso i sindacati, gli scioperi e le espressioni similari della collettività della classe operaia. Contrariamente a tutte le tendenze profonde che si sviluppavano all’interno della società capitalista, l’ideale di Proudhon era una società “mutualistica”, fondata sulla produzione artigianale individuale, legata dal libero scambio e dal libero credito”[6].
O ancora, in “Anarchismo e comunismo”, del 2001: “Nella genesi dell’anarchismo si esprime il punto di vista del lavoratore da poco proletarizzato e che rifiuta con tutte le sue forze questa proletarizzazione. Usciti di recente dal mondo contadino o dall’artigianato, spesso per metà operai e metà artigiani (come gli orologiai del Giura svizzero, per esempio), questi operai esprimevano il rimpianto per il passato di fronte al dramma che costituiva per loro cadere allo stato di operai. Le loro aspirazioni sociali consistevano nel voler far girare la ruota della storia a ritroso. Al centro di questa concezione c’è la nostalgia della piccola proprietà. E’ per questo che, con Marx, analizziamo l’anarchismo come espressione della penetrazione dell’ideologia piccolo borghese all’interno del proletariato”[7].
In altre parole, noi pensiamo che, fin dalla sua nascita, l’anarchismo sia segnato da un profondo sentimento di rivolta contro la barbarie dello sfruttamento capitalista ma che esso erediti anche alcuni punti di vista degli “artigiani, commercianti, piccoli contadini” che l’hanno costituito alla sua nascita. Ciò non significa assolutamente che oggi, tutti i gruppi anarchici sono “piccoli-borghesi”. È evidente che la CNT-AIT, il KRAS[8] ed altri gruppi sono animati dal soffio rivoluzionario della classe operaia. Più in generale, durante tutto il XIX e XX secolo, numerosi operai hanno sposato la causa anarchica e hanno lottato realmente per l’abolizione del capitalismo e l’avvento del comunismo, da Louise Michel a Durruti passando, tra gli altri, per Voline o Malatesta. All’epoca dell’ondata rivoluzionaria del 1917, una parte degli anarchici ha anche formato, nei ranghi operai, alcuni battaglioni tra i più combattivi.
C’è da sempre, all’interno dell’ambiente anarchico, una battaglia contro questa tendenza originaria ad essere influenzata dall’ideologia della piccola borghesia radicalizzata. Ed in parte è questo che caratterizza le profonde divergenze tra gli anarchici individualistici, mutualistici, riformisti, comunisti-nazionalisti e comunisti-internazionalisti (solo questi ultimi appartengono realmente al campo rivoluzionario). Ma, anche gli anarchici internazionalisti subiscono l’influenza delle radici storiche della loro corrente. Tale è, per esempio, la causa della loro tendenza a sostituire la “lotta della classe operaia” con la “resistenza popolare autonoma”.
Per la CCI è dunque una questione di responsabilità esporre onestamente, alla luce del giorno, tutti questi disaccordi, allo scopo di contribuire al meglio al rafforzamento generale del campo rivoluzionario. Così come è responsabilità degli anarchici internazionalisti continuare ad esprimere le loro critiche verso il marxismo. Ciò non deve costituire affatto un ostacolo alla tenuta fraterna dei nostri dibattiti o rappresentare un freno alle eventuali collaborazioni, tutt’altro[9].
Secondo la CCI, tra marxisti e anarchici esiste un rapporto da maestro ad alunno?
Tutte queste critiche, la CCI non le muove agli anarchici come se fosse un maestro che corregge il suo alunno. Tuttavia, sul nostro forum, alcuni interventi hanno rimproverato alla nostra organizzazione il suo tono “da professori”. Al di là del gusto per questo o quello stile letterario, dietro queste osservazioni si nasconde una vera domanda teorica. La CCI verso la CNT-AIT e, più in generale, la Sinistra comunista verso l’anarchismo internazionalista, hanno un ruolo di “guida” o di “modello”? Pensiamo noi di essere una minoranza illuminata che deve infondere la verità, la buona coscienza?
Una tale concezione sarebbe in totale contraddizione con la stessa tradizione della Sinistra comunista. E rinvia più profondamente ancora al legame che unisce i rivoluzionario comunisti alla loro classe.
Negli Annali franco-tedeschi Marx afferma: “Non ci presentiamo al mondo come dottrinari armati di un nuovo principio: ecco la verità, inginocchiatevi! Sviluppiamo per il mondo dei principi nuovi che traiamo dagli stessi principi del mondo. Noi non gli diciamo: “rinuncia alle tue lotte, sono delle puerilità; tocca a noi farti capire il vero motto della lotta”. Tutto ciò che noi facciamo, è mostrare al mondo perché in realtà lotta”[10].
I rivoluzionari, marxisti o anarchici internazionalisti, non sono al di sopra della classe operaia, ne fanno integralmente parte, sono uniti ad essa da mille legami. La loro organizzazione è la secrezione collettiva del proletariato.
La CCI non si è dunque mai considerata un’organizzazione avente per vocazione di imporre il suo punto di vista alla classe operaia o agli altri gruppi rivoluzionari. Noi facciamo interamente nostro questo passaggio del Manifesto comunista del 1848: “I comunisti non sono un partito particolare di fronte agli altri partiti operai. I comunisti non hanno interessi distinti dagli interessi di tutto il proletariato. I comunisti nonpongono principi speciali sui quali vogliono modellare il movimento proletario”. È questo stesso principio che Bilan, organo della Sinistra comunista italiana, fa vivere in occasione dell’uscita del suo primo numero nel 1933: “Certamente, la nostra frazione si reclama ad un lungo passato politico,ad una tradizione profonda nel movimento italiano ed internazionale, ad un insieme di posizioni politiche fondamentali. Ma non intende avvalersi dei suoi precedenti politici per chiedere delle adesioni alle soluzioni che preconizza per la situazione attuale. Al contrario, invita i rivoluzionari a sottomettere alla verifica degli avvenimenti le posizioni che essa difende attualmente così come le posizioni politiche contenute nei suoi documenti di base”.
Dalla sua nascita, la nostra organizzazione si sforza di coltivare questo stesso spirito di apertura e questa stessa volontà di dibattere. Così, fin dal 1977, scrivevamo:
“Nei nostri rapporti con [gli altri gruppi rivoluzionari], vicini alla CCI ma esterni, il nostro scopo è chiaro. Cerchiamo di stabilire una discussione fraterna ed approfondita sulle differenti questioni affrontate dalla classe operaia.
“Non potremo assumere realmente la nostra funzione (…) nei loro confronti se non siamo capaci contemporaneamente di:
- guardarci dal considerarci il solo ed unico raggruppamento rivoluzionario esistente oggi;
- difendere di fronte a loro le nostre posizioni con fermezza;
- conservare nei loro confronti un atteggiamento aperto alla discussione che deve condursi pubblicamente e non attraverso scambi confidenziali”[11].
Si tratta per noi di una regola di condotta. Siamo convinti della validità delle nostre posizioni, pur essendo aperti ad una critica ragionata, ma non le prendiamo come “la soluzione ai problemi del mondo”. Si tratta per noi di un apporto alla lotta collettiva della classe operaia. È per tale motivo che diamo un’importanza tutta particolare alla cultura del dibattito. Nel 2007, la CCI ha anche dedicato tutto un testo di orientamento a questa specifica questione: “La cultura del dibattito: un’arma della lotta di classe” in cui si afferma: “Se le organizzazioni rivoluzionarie vogliono assolvere al loro compito fondamentale di sviluppo ed estensione della coscienza di classe, la cultura di una discussione collettiva, internazionale, fraterna e pubblica è assolutamente essenziale”[12].
Il lettore attento avrà notato che tutte queste citazioni contengono, oltre all’idea della necessità di dibattere, l’affermazione che la CCI deve anche difendere fermamente le sue posizioni politiche. Non si tratta di una contraddizione. Voler discutere apertamente non significa credere che tutte le idee sono uguali o che tutte le posizioni si equivalgono. Come sottolineato nel nostro testo del 1977: “Lungi dall’escludersi, fermezza sui principi ed apertura nell'atteggiamento vanno di pari passo: non abbiamo paura di discutere proprio perché siamo convinti della validità delle nostre posizioni”.
Nel passato come in avvenire, il movimento operaio ha avuto e avrà bisogno di dibattiti sinceri, aperti e fraterni tra le sue differenti tendenze rivoluzionarie. Questa molteplicità di punti di vista e di approcci sarà una ricchezza ed un apporto indispensabile alla lotta del proletariato ed allo sviluppo della sua coscienza. Lo ripetiamo, all’interno del campo rivoluzionario vi possono anche essere delle profonde divergenze e queste devono assolutamente esprimersi ed essere dibattute. Noi non chiediamo agli anarchici internazionalisti di rinunciare ai loro criteri né a quello che considerano il loro patrimonio teorico. Al contrario, ci auguriamo vivamente che essi li espongano con chiarezza, in risposta alle domande che si pongono a tutti, che essi accettino la critica e la polemica così come noi non consideriamo le nostre posizioni come “l’ultima parola”, ma come un contributo aperto a degli argomenti contraddittori. Noi non diciamo a questi compagni: “arrendetevi di fronte alla proclamata superiorità del marxismo”.
Rispettiamo profondamente la natura rivoluzionaria degli anarchici internazionalisti e sappiamo che combatteremo fianco a fianco quando si svilupperanno dei grandi movimenti di lotta. Ma difenderemo anche fermamente, in maniera convinta - e, speriamo, convincente - le nostre posizioni sulla Rivoluzione russa ed il Partito bolscevico, la centralizzazione, il periodo di transizione, la decadenza del capitalismo, il ruolo anti-operaio del sindacalismo … Questo non significa porci in un rapporto da maestro ad alunno o sperare di convertire alcuni anarchici per farli passare nei nostri ranghi, ma partecipare pienamente al dibattito necessario tra i rivoluzionari.
Come vedete, compagni, questo dibattito rischia di essere fortemente animato … ed appassionante!
Concludiamo questa serie di tre articoli su “La Sinistra comunista e l’anarchismo internazionalista”, con una citazione di Malatesta: “Se noi, anarchici, potessimo fare la rivoluzione da soli o se i socialisti[13] potessero farla da soli, potremmo concederci il lusso di agire ciascuno per conto proprio, e forse venire anche alle mani. Ma la rivoluzione, è l’intero proletariato che la farà, il popolo intero, di cui i socialisti e gli anarchici non sono numericamente che una minoranza, anche se il popolo sembra avere molta simpatia per gli uni e per gli altri. Dividerci, anche là dove possiamo essere uniti, significherebbe dividere il proletariato, o più esattamente, raffreddare le sue simpatie e renderlo meno incline a seguire questo nobile orientamento socialista comune che insieme i socialisti e gli anarchici potrebbero fare trionfare all’interno della rivoluzione. Spetta ai rivoluzionari vegliare, ed in particolare ai socialisti ed agli anarchici, non accentuando i motivi dei loro dissensi e soprattutto occupandosi dei fatti e degli scopi che possono unirli e far loro raggiungere il più grande risultato rivoluzionario possibile”. (Volontà, 1 maggio 1920)
CCI, settembre 2010
[1] Vedi la prima parte di questa serie: “Quello che abbiamo in comune”.
[2] D’altra parte, come le migliaia di marxisti ed in generale i milioni di proletari.
[3] Vedi la seconda parte di questa serie “Sulle nostre difficoltà a dibattere e come superarle”.
[4] cnt-ait.info.
[5] Si tratta qua più precisamente di una citazione di Rudolf Rocker che la CNT-AIT riprende a proprio conto.
[8] Si tratta della sezione in Russia dell’AIT con cui noi intratteniamo buone relazioni di cameratismo e di cui abbiamo pubblicato parecchie prese di posizione nella nostra stampa.
[9] Ciò detto, nel corso del dibattito che ha avuto luogo in questi ultimi mesi, dei compagni anarchici hanno giustamente protestato contro delle formulazioni oltranziste che pronunciavano una sentenza definitiva ed ingiustificata nei riguardi dell’anarchismo. Rituffandoci di nuovo in alcuni dei nostri vecchi testi, abbiamo trovato a nostra volta dei passaggi che oggi non scriveremmo più. Per esempio:
- “Certi elementi operai possono pensare di aderire alla rivoluzione a partire dall’anarchismo, ma per aderire ad un programma rivoluzionario bisogna rompere con l’anarchismo” (https://fr.internationalism.org/rinte102/anar.htm).
- “È per questo che il proletariato deve allontanarsi risolutamente da questi commercianti di illusioni che sono gli anarchici" (https://fr.internationalism.org/ri321/anarchisme.htm).
- Il nostro articolo “Anarchismo e comunismo”, che pertanto descrive meticolosamente la lotta degli “Amici di Durruti” all’interno della CNT nella Spagna degli anni 1930, caricatura con una frase la visione dell’anarchismo che ha la CCI affermando che nel 1936 non c’era più “una fiamma rivoluzionaria” all’interno della CNT. La nostra serie di articoli più recenti sull'anarco-sindacalismo, pur denunciando di nuovo l’integrazione della direzione della CNT negli ingranaggi dello Stato ed il suo contributo al disarmo politico degli operai anarchici (cosa che ha facilitato il lavoro degli assassini stalinisti), ha mostrato fino a che punto la situazione era complessa. Ci sono stati all’interno della CNT, a livello internazionale, delle vere lotte per difendere le posizioni autenticamente proletarie contro il tradimento che costituiva l’integrazione di questa organizzazione allo Stato spagnolo (vedi la nostra serie sul sindacalismo rivoluzionario).
[10] Citato da Franz Mehring nella sua biografia di K. Marx.
[11] In “I gruppi politici proletari”, Revue internationale n°11, 4° trimestre 1977.
[12] Questo articolo è disponibile sul nostro sito Internet al seguente indirizzo: https://fr.internationalism.org/rint131/la_culture_du_debat_une_arme_de_la_lutte_de_classe.html.
[13] Nel momento in cui Malatesta scrive questo articolo, il Partito socialista italiano raggruppa ancora, accanto ai riformisti, gli elementi rivoluzionari che vanno a fondare il PCI nel gennaio 1921 al Congresso di Livorno.