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Il proletariato dimostra una volta di più la sua condizione di classe rivoluzionaria; tutto il mondo vibra sorpreso dagli ultimi avvenimenti in Egitto e nei paesi vicini. I borghesi piangono, si riuniscono, cospirano, chiamano i loro economisti, i loro funzionari e profeti, ma non sanno che fare di fronte alle rivolte e ai sollevamenti degli sfruttati. Migliaia e migliaia di nostri fratelli si sollevano, rompono le catene che li sottomettono alla macchina borghese e prendono la loro vita nelle proprie mani. D’altra parte non gli resta altra strada quando si guardano intorno e vedono lo stesso dolore nelle loro vite, la stessa preoccupazione per il futuro dei loro figli, l’indignazione per l’ingiustizia, e, ancora più importate, vedono che solamente loro possono cambiare la loro infame esistenza. Gli scioperi, le proteste di strada, l’occupazione di uffici, le barricate, i dibattiti spontanei, l’organizzazione di quartiere autonoma, i servizi collettivi, sono le strofe della poesia chiamata rivolta sociale.
Sappiamo bene, noi che scriviamo, che i nostri fratelli hanno sfidato il coprifuoco, i carri armati, i blindati, i candelotti lacrimogeni, il fucili, le pallottole, la polizia e i soldati. Paura della morte? Tutti i giorni ci alziamo ed esistiamo per lavorare, arricchire altri, fare quello che ci ordinano ed essere messi per strada quando ci “usuriamo”; l’unica paura che possiamo avere è passare per questo mondo e non sapere cosa significa veramente vivere. Questo è il motore della lotta ed è anche la dimostrazione che la classe lavoratrice si sta rialzando, che le pallottole non possono uccidere la speranza di un mondo nuovo e che solo noi possiamo liberare l’umanità dalla schiavitù salariata.
I quartieri del Cairo, di Suez e di Alessandria esistono per lottare, il pugno alzato è la costante di questi luoghi. Geograficamente siamo tanto lontani da questi quartieri, ma siamo tanto vicini negli interessi che stanno difendendo. Noi, una parte dei lavoratori del Perù, siamo parte di questa grande massa di sfruttati, viviamo e sentiamo lo stesso sfruttamento, la stessa miseria, lo stesso putridume di un sistema che si alimenta con la nostra vita, quella dei nostri figli, della loro innocenza, dei nostri padri, della loro fatica, dei nostri fratelli, della loro gioventù, delle nostre risate, allegria e sogni. Ma siamo anche parte della speranza, di un potere che nasce, di un pugno che si alza e colpisce, talvolta a tentoni, ma ogni volta più vicino all’obiettivo. Francia, Gran Bretagna, Italia, Grecia, Tunisia, Algeria, Cina, Bangladesh e adesso Egitto, sono parte di un gigante che comincia a rialzarsi, di un gigante che comincia a ricordarsi delle sue vecchie battaglie contro il demonio antropofago chiamato Capitalismo, e vede un futuro più promettente.
La classe sfruttatrice, i padroni di tutto, i padroni del mondo, quelli che si sono appropriati della nostra vita, vogliono farci pensare che le lotte che stiamo sviluppando sono per ottenere la democrazia, per cacciare qualche politico corrotto, per conquistare più “libertà” nel capitalismo. Cercano di farci credere che lottiamo solo per riformare lo sfruttamento e la miseria, che lottiamo non per farla finita con questo mondo borghese, per andare alla radice dei nostri problemi, ma per renderlo un “poco meglio”. Non dobbiamo consentirgli questi inganni, da qui denunciamo questi ideologi borghesi vestiti da “nostri difensori”, questi “estremisti” di sinistra, nazionalisti, socialdemocratici, che vogliono deviarci dalla nostra lotta perché vogliono dirigerci, vogliono che dedichiamo la nostra vita per portare loro al potere e continuare a vivere con la servitù e la schiavitù. Solo i lavoratori, organizzati autonomamente possono creare un nuovo potere per decidere cosa fare delle nostre vite e del mondo che solo noi facciamo muovere.
Mentre scriviamo questa presa di posizione, in Egitto si riuniscono milioni di nostri fratelli, senza paura e con il cuore aperto, l’umanità prende respiro, la sua esistenza dipende dalle nostre future lotte. In realtà non sappiamo come finirà questo processo di combattività, questa tappa della lotta storica degli sfruttati contro gli sfruttatori, non sappiamo nemmeno se il peso delle ideologie religiose e gauchiste avrà presa sui nostri fratelli. Quello che però sappiamo è che questo non finirà con una riforma, non finirà con l’uscita di qualche presidente. Ogni generazione proletaria si nutre delle lotte, prende fiducia in se stessa, nell’insieme delle lezioni che la classe ci ha lasciato. La solidarietà è stata presente e sarà presente in questo processo, solo uniti siamo forti. Comunque finirà questa battaglia, sarà un avanzamento per noi in questa guerra contro il capitale.
La nostra vittoria finale si avvicina ogni giorno, già non è tanto lontano quanto pensavamo, anche se resta da percorrere un lungo cammino. L’esempio dell’Egitto, come della Grecia, della Tunisia, alimenta lo spirito rivoluzionario e segnala il cammino che bisogna seguire; sono le scintille della grande esplosione che sarà la rivoluzione.
Da qui sentiamo il clima della lotta proletaria al Cairo, a Suez, ad Alessandria, dal Perù sentiamo questa emozione indescrivibile di sentirci vivi, di sapere che niente è stato vano, che la storia ci appartiene e che il futuro che ci aspetta sarà costruito per l’umanità libera dalla schiavitù salariata, libera dalle classi sociali, libera dallo sfruttamento.
Benché il cammino non sia chiaro e che le nostre azioni non sono ancora in grado di raggiungere l’obiettivo, quanta allegria sentiamo al sapere che ci stiamo liberando delle vecchie catene, che la classe comincia a riconoscere il suo vero nemico e quale debba essere la maniera di affrontarlo. Le armi della classe sono state massicciamente evidenziate: il Dibattito, le Assemblee, lo Sciopero, la Riflessione, la Solidarietà, la Fiducia nel Futuro, ecc.
Vogliamo finire ringraziando di tutto cuore i fratelli lavoratori che stanno lottando, siamo con loro, ci hanno riempito di felicità, hanno riempito di sangue rivoluzionario le nostre vene. Siamo vicini a voi, parte della rivoluzione mondiale di domani.
All’erta Proletari, un nuovo mondo ci aspetta.
Proletari di tutti i paesi, uniamoci!
Grupo de Esclarecimiento Comunista - G.E.C. (Gruppo di chiarificazione comunista)
https://esclarecimientocomunista.blogspot.com/
Martedì, 01 febbraio 2011
Commento della CCI:
Pubblichiamo il testo dei compagni del gruppo GEC del Perù. E’ un testo vibrante, pieno di emozioni, che esprime il calore e la solidarietà di compagni che anche se situati a migliaia di chilometri dall’Egitto sentono come proprie le lotte che si stanno svolgendo lì. “Geograficamente siamo tanto lontani da questi quartieri, ma siamo tanto vicini negli interessi che stanno difendendo.” dicono i compagni.
L’internazionalismo conseguente è la prima cosa che salutiamo in questa presa di posizione. Il proletariato ha bisogno di concepirsi come una classe unita internazionale che colpisce con una sola mano il mostro capitalista. Lo sviluppo della solidarietà internazionale, la convergenza internazionale delle minoranze rivoluzionarie, la ricerca del contatto e dell’azione comune su scala internazionale, perlomeno all’inizio, tra minoranze proletarie sono tutti contributi alla grande meta della rivoluzione mondiale alla cui esplosione contribuiscono anche i piccoli passi, apparentemente “solo teorici e di propaganda”, che stiamo facendo oggi.
Nello stesso tempo in cui manifestano il loro entusiasmo per queste lotte del proletariato, questi compagni sono lucidi rispetto al cammino ancora lungo che bisogna percorrere e rispetto ai pericoli di deviazione verso la trappola senza uscita della democrazia con cui tutta la borghesia mondiale cerca congiuntamente di ucciderle “dal di dentro”.
Non abbiamo il minimo dubbio che queste lotte che vediamo nel Magreb costituiscono un nuovo episodio nel cammino duro e difficile che il proletariato mondiale ha iniziato verso lo sviluppo di lotte di massa, che, a loro volta, gli daranno quella imprescindibile fiducia nelle sue proprie forze, una maturazione nelle sue capacità di autorganizzazione e di politicizzazione, tutti passaggi che servono per realizzare le condizioni per lo sviluppo internazionale di lotte con una prospettiva rivoluzionaria.
Si tratta di movimenti che sono partiti dal cuore stesso della gioventù proletaria, fuori dal controllo ingannevole di sindacati e partiti di opposizione; esprimono l’entrata in lotta delle nuove generazioni del proletariato; queste lotte fanno sì che il Magreb e il Medio Oriente, che fino ad ora facevano notizia solo per la barbarie della guerra, oggi sono in prima pagina per motivi diametralmente opposti: la rivolta sociale di proletari che si sollevano contro la disoccupazione incontrollata, un’inflazione che rende impossibile acquistare perfino gli alimenti di prima necessità, un’assenza totale di prospettiva per il futuro.
Allo stesso tempo non possiamo nascondere la mancanza di esperienza, le illusioni democratiche, l’assenza di organizzazioni di massa, tutte mancanze che indeboliscono e deviano il movimento e permettono alla borghesia di attaccarlo sistematicamente con il cavallo di Troia della democrazia, il rafforzamento dell’opposizione, la polarizzazione sul semplice “via Mubarak” e il silenzio quasi totale sulle rivendicazioni sociali…
Nel presentarlo come “movimento per la democrazia guidato dall’opposizione”, la borghesia vuole mostrarlo come se fosse qualche altra cosa, come “l’ultima tappa” del supposto festino che sarebbe “lo sfruttamento della democrazia”, così da cercare di nascondere che lì si sta lottando per gli stessi motivi per cui si sta lottando in Grecia, Francia, Gran Bretagna o Bangladesh: contro il deterioramento accelerato e irreversibile delle nostre condizioni di vita, contro la barbarie della crisi capitalista.
Quello che può dare un nuovo impulso alle lotte in Tunisia e in Egitto, è che le lotte operaie si sviluppino in Europa, negli USA, in Cina, che continuino ad estendersi in tutta la regione araba ed irrompano anche negli altri continenti. Di qui l’importanza vitale che ha l’iniziativa dei compagni del GEC dal “lontano Perù”. Facciamo appello a che altri gruppi e collettivi seguano il suo esempio in altri paesi.