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Ogni trasformazione sociale nella storia ha avuto per condizione fondamentale determinante lo sviluppo delle forze produttive diventate incompatibili con la struttura soffocante degli antichi rapporti di produzione. Così anche il capitalismo, nell’impossibilità di dominare più a lungo le forze produttive da esso stesso sviluppate, ha visto sorgere e rafforzarsi il fondamento storico del proprio superamento da parte del socialismo.
Ammessa questa condizione base, ci sono però delle differenze fondamentali tra la rivoluzione proletaria e le altre rivoluzioni anteriori, ivi compresa quella borghese. Tutte le classi che hanno svolto un ruolo rivoluzionario nella storia, infatti, hanno fondato il loro potere economico in seno all’antica società. Il proletariato invece, prima classe nella storia portatrice di una società che non sostituisce un tipo di sfruttamento con un altro, non dispone, né può costituirlo, in seno al capitalismo, di alcun potere economico che gli serva da base per una futura dominazione. L’unica forza materiale di cui esso dispone è la propria organizzazione; per questo motivo essa costituisce per il proletariato, ancor più che per le altre classi, un condizione decisiva e fondamentale per la propria lotta.
Il tipo di organizzazione che la classe operaia si dà è legato alle diverse tappe dello sviluppo capitalista e varia secondo gli obiettivi che queste tappe impongono alla lotta del proletariato. Così nel secolo scorso, quando il capitalismo aveva ancora un ruolo progressivo da svolgere, il proletariato non poteva fare altro che resistere nel migliore dei modi allo sfruttamento capitalista: il riformismo, come teoria della lotta di classe, era il prodotto di una situazione in cui la rivoluzione non era ancora all’ordine del giorno.
Con l’entrata del capitalismo nella sua fase di decadenza per il proletariato non è più possibile strappare una qualsiasi riforma ed affermarsi come classe all’interno del sistema capitalista ma si pone all’ordine del giorno la necessità di distruggere questa società e di instaurare una società senza classi. Per questo la forma di organizzazione sindacale diventa non solo caduca ma dannosa. Non è più sufficiente l’organizzazione di una parte della classe ma è l’insieme del proletariato che solo può intraprendere la trasformazione rivoluzionaria della società. Il tipo di organizzazione che esso si dà deve dunque raggruppare la totalità dei lavoratori allo stesso modo che esso deve unificare la lotta economica e la lotta politica, le lotte parziali e la lotta globale per il potere, il legislativo e l’esecutivo.
Questa organizzazione è quella dei Consigli operai, forma “finalmente trovata” - come dice Lenin - della dittatura del proletariato.
La formazione di questi organismi, così come il grado di coscienza della classe operaia, è funzione delle necessità della sua lotta. Questa è essa stessa determinata da circostanze economiche, sociali e storiche che non sono identiche nel tempo e nello spazio. Per questo motivo la formazione dei consigli non è mai un fenomeno simultaneo ed immediatamente generale, allo stesso modo che l’apparizione e lo sviluppo della coscienza non è un processo immediato ed uniforme.
I rivoluzionari sono gli elementi della classe che per primi si sollevano ad “una comprensione chiara delle condizioni dello sviluppo e dei fini generali del movimento proletario” (Manifesto).
Secrezione della classe, manifestazione del processo della sua presa di coscienza, i rivoluzionari non possono esistere conte tali che diventando fattore attivo di questo processo. Così come la classe di cui essa é una parte, la minoranza rivoluzionaria deve organizzarsi per svolgere la funzione per la quale storicamente si è formata.
I problemi che pone la questione dell’organizzazione dei rivoluzionari concentrano in realtà l’essenziale di tutto ciò che concerne l’attitudine e la funzione stessa dei rivoluzionari, La rivoluzione non é una questione di individui; è al contrario una azione collettiva, e dire azione collettiva significa parlare di organizzazione. Per questo motivo spesso le divergenze fra le correnti operaie si sono concretizzate in problemi di organizzazione.
Come organizzarsi per intervenire nella lotta che deve condurre la classe operaia per distruggere il sistema capitalista?
Qual è la funzione reale di questa organizzazione?
Cosa rappresenta questa organizzazione rispetto al resto della classe operaia?
Oggi come ieri tocca a noi rivoluzionari rispondere adeguatamente a tutte le questioni e concretizzarle nella nostra azione.
Dalla fine dell’ultima ondata rivoluzionaria che sconvolse il mondo (1917—27) e fino alla ripresa annunciata dalle grandi esplosioni operaie del Maggio ‘68 in Francia, dell’Autunno caldo del ‘69 in Italia, del dicembre ‘70 in Polonia, di Pamplona, del Ferrol, del Bajo Llobregat in Spagna, la classe operaia mondiale non aveva sollevata la testa se non in modo puramente sporadico. La controrivoluzione capitalista, incarnata principalmente dalla gigantesca e mostruosa mistificazione dello sta1inismo sovietico e di tutti i suoi derivati cinesi, terzo-mondisti e vari “socialismi” ufficiali, soffocò durante più di cinquant’anni in un bagno di sangue e di inganni tutta la vita del movimento operaio.
Così durante più di mezzo secolo le organizzazioni di rivoluzionari, quando esistettero, furono solo piccoli gruppi divisi e sottomessi al più grande isolamento dal trionfo della demoralizzazione e delle ideologie borghesi nel proletariato. Tutte le organizzazioni politiche che in un modo o in un altro acquistarono importanza numerica in seno alla classe operaia durante questo periodo furono strumenti che la controrivoluzione capitalista riuscì a sfruttare per il compito di disarmo fisico e politico della classe operaia.
I partiti “comunisti”, i partiti “socialisti”, le organizzazioni trotzkiste e, negli ultimi decenni, le organizzazioni “terzomondiste” sopravvissero nel mondo operaio unicamente perché in realtà non erano portavoce della soluzione proletaria rivoluzionaria, ma del compromesso con la controrivoluzione. In un modo o nell’altro, con ideologie e pretesti più o meno mistificatori, con una lucidità più o meno profonda rispetto da un lato alla situazione storica, dall’altro rispetto alla loro stessa natura, tutte queste organizzazioni assunsero la funzione di organi di inquadramento della classe operaia al servizio del capitale.
Dalla guerra di Spagna fino a quella del Vietnam, passando per la seconda guerra mondiale e per tutte quelle che le grandi potenze si sono fatte utilizzando i lavoratori come carne da cannone, con pretesti come quello delle “lotte di liberazione nazionale” o come il pseudo antagonismo tra fascismo e antifascismo, in tutti questi conflitti estranei agli interessi del proletariato, i lavoratori furono consegnati a1la carneficina interimperialista con l’aiuto di questi partiti “operai”.
In tempo di pace il loro compito fu di costruire apparati di gestione della merce forza lavoro, i sindacati. Nei paesi “democratici” le organizzazioni sindacali si trasformarono in immense macchine al servizio più o meno diretto dello Stato, utilizzate per il tramite dei “partiti di sinistra” per assicurare l’ordine sociale nelle fabbriche e per mantenere i lavoratori nel solco della legalità borghese e degli imperativi dell’“economia nazionale”. In paesi come la Spagna o il Portogallo, il compito che si assumono questi “partiti operai” è di “modernizzare” le forme politiche della nazione capitalista. Come dimostra la recente storia del Portogallo, il risultato reale del lavoro del Partito comunista portoghese durante la dittatura di Salazar—Caetano consiste nell’aver creato un apparato politico sufficientemente forte da poter servire oggi apertamente, partecipando al governo, come “polizia operaia”. Oggi sono le cellule del PCP che si incaricano di combattere con tutti i mezzi gli scioperi operai, con la collaborazione dei “compagni generali dalle forze armate” e dei “compagni ministri” … in nome dell’antifascismo.
La funzione crea l’organo. La funzione dell’organizzazione politica del proletariato è inevitabilmente e diametralmente opposta a quella di queste organizzazioni che in realtà non sono altro che la SINISTRA DELL’APPARATO POLITICO DEL CAPITALE. La funzione dei partiti borghesi infiltrati fra la classe operaia è prima di tutto di ingannarli e di dividerli. Il fine dell’organizzazione dei rivoluzionari è di contribuire a che la classe operaia prenda coscienza di se stessa, dei suoi reali interessi, della sua forza reale, di ciò che fu il suo passato e di ciò che deve essere il suo futuro. Nella nostra epoca, la meta dei rivoluzionari non può essere la “modernizzazione del capitalismo” o del suo Stato, ma la distruzione di entrambi. Per tutte queste ragioni fondamentali i rivoluzionari, per costruire la propria organizzazione, non possono ispirarsi ai modelli politici che hanno predominato nella classe operaia durante gli ultimi decenni.
A partire da questa constatazione alcuni hanno creduto che fosse sufficiente costruire l’organizzazione rivoluzionaria con criteri determinati da un’opposizione sistematica ad ogni principio organizzativo che somigliasse a quelli delle organizzazioni della “sinistra del capitale”. Così, per esempio, si è tentato di giustificare un certo “anticentralismo” puerile e anarchicheggiante, in nome dell’“antistalinismo”. Ma l’opposizione sistematica non è un criterio di classe. I tentativi di lasciarsi guidare da questo criterio per costruire l’organizzazione rivoluzionaria hanno portato solo a fallimenti totali o ad organizzazioni tanto simmetricamente opposte a quelle della sinistra del capitale che non sono state altro che l’altra faccia della stessa medaglia. E’ quello che è successo alla maggioranza delle organizzazioni anarchiche.
Si deve dunque inventare un nuovo tipo di organizzazione, senza schemi né modelli, lasciandosi guidare solo da un’analisi sommaria della realtà immediata?
Significherebbe cadere in un errore tanto grave quanto frequente.
Contrariamente a ciò che la maggioranza degli effimeri e numerosi gruppuscoli studenteschi sembrano credere, l’organizzazione politica dei rivoluzionari non è un giocattolo per gente che “abbia soltanto voglia di fare qualcosa”. Se di rivoluzione proletaria si parla – e solo in questo caso si può realmente parlare di rivoluzione - l’organizzazione rivoluzionaria può essere solo uno STRTUMENTO DEL PROLETARIATO.
L’incomprensione di questa realtà semplice ma fondamentale è alla base della maggioranza degli errori commessi in ciò che concerne l’analisi dell’organizzazione dei rivoluzionari. Non è a partire dalle necessità di un pugnetto di individui impregnati di idee rivoluzionarie e di una volontà di intervento attivo che può essere definita l’organizzazione rivoluzionaria della classe operaia. E’, al contrario, a partire dalle necessità della lotta rivoluzionaria della classe operaia che debbono essere inquadrate le modalità dell’azione e organizzazione dei suoi elementi più avanzati.
L’unico modo di comprendere come uno strumento debba essere costruito è di sapere prima di tutto a chi e a cosa deve servire. In questo articolo, necessariamente corto ed incompleto, possiamo solo tentare di delineare le caratteristiche più importanti che l’organizzazione politica del proletariato deve assumere. Però se c’è una cosa che deve restare fissa ed immutabile nell’analisi di questo arduo problema della lotta rivoluzionaria è la necessità di tenere sempre in mente che non si tratta di inventare un talismano capace di soddisfare le preoccupazioni immediate di alcuni individui, per quanto grande sia la volontà rivoluzionaria che essi abbiano, ma di creare uno strumento della classe operaia per la sua lotta rivoluzionaria.
Questo implica che ogni problema che riguardi la lotta del proletariato deve essere inquadrato avendo come punto di riferimento permanente:
1) Gli interessi globali della classe operaia considerata come classe mondiale;
2) Il carattere storico della lotta della classe operaia; in altre parole significa dire che le lotte attuali costituiscono in realtà la continuazione di più di un secolo e mezzo di lotte e una tappa del processo generale che condurrà la classe allo scontro definitivo con il capitale mondiale.
In poche parole, collocandosi da un punto di vista MARXISTA.
“Il proletariato é rivoluzionario o non è niente” diceva Marx. Parlare della classe operaia senza tener conto del contenuto rivoluzionario delle sue lotte significa pronunciare parole vuote. Pretendere di intervenire nella lotta rivoluzionaria senza basarsi su tutta l’esperienza acquisita con più di un secolo di battaglie della classe operaia mondiale, con il pretesto del “realismo” e del fatto che “queste sono cose che appartengono al passato”, non significa legarsi alle lotte presenti ma disprezzarle. “Ogni rivoluzionario ha il diritto di sbagliarsi - diceva Lenin - ma un rivoluzionario che ripete un errore che nel passato fu commesso dalla classe è un criminale.”
I principi generali che qui esponiamo non sono ricette inventate alla leggera, ma frutto dell’esperienza pratica del proletariato. Non pretendiamo di aver risolto tutti i problemi né di aver assimilato tutti gli insegnamenti che si sviluppano dalla storia delle lotte operaie tanto per ciò che riguarda il problema dell’organizzazione che per gli altri problemi. Però ciò che affermiamo è fondato sull’unico terreno solido di cui dispone la classe rivoluzionaria: la propria esperienza analizzata alla luce della propria teoria, il marxismo.
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1. Tutta l’esperienza storica della classe operaia in lotta dimostra che, nei momenti di sviluppo di questa lotta, due tipi di organizzazione tendono ad apparire:
· l’organizzazione unitaria della classe: questa raggruppa gli operai senza distinzioni politiche. Fanno parte di essa tutti gli operai per il semplice fatto di essere operai, quali che siano le loro posizioni politiche. Le assemblee di fabbrica, i consigli operai, o soviet, come venivano chiamati in Russia, assemblee di delegati delle assemblee di fabbrica e di quartiere, sono la forma principale di questo tipo di organizzazione. L’organizzazione unitaria è la classe operaia organizzata ed in azione. E’ la forma che si dà la classe per agire come un solo corpo unito ed autonomo.
· l’organizzazione politica è quella che raggruppa gli elementi più coscienti della classe. Ad essa si aderisce secondo dei criteri politici, per il fatto di essere d’accordo con un certo numero di posizioni politiche e con una volontà di azione. Di essa possono far parte individui provenienti da altre classi sociali poiché ciò che la definisce non è l’origine sociale dei suoi membri ma le sue posizioni politiche. Né Marx, né Engels, né Rosa Luxemburg, né Lenin furono operai e pur tuttavia furono militanti esemplari della classe operaia all’interno delle sue organizzazioni politiche.
Nella società capitalista in cui “le idee dominanti sono le idee della classe dominante” (Marx), l’organizzazione politica non può accogliere che una minoranza della classe. Quando per la maturità di evoluzione della situazione sociale si determina la possibilità di una coscienza e di una azione collettiva unitaria nel senso dell’interesse generale ed ultimo della classe operaia, l’influenza di questa minoranza sugli avvenimenti e nel proletariato tende a diventare significativa; si può allora parlare di partito per designare l’organizzazione di questa avanguardia.
Al contrario nei periodi di rinculo e di vuoto della lotta di classe, i rivoluzionari non hanno più un’influenza diretta sul corso immediato della storia. Allora possono sussistere soltanto delle organizzazioni la cui funzione non può più essere quella di influenzare il movimento immediato ma di resistergli, essendo tagliata fuori dalla vita di una classe paralizzata e coinvolta nella difesa degli interessi della borghesia (collaborazione di classe, union sacrée, resistenza, antifascismo, ecc.). Il compito essenziale dei rivoluzionari consiste allora, traendo le lezioni dall’esperienza precedente, nel preparare il quadro teorico e programmatico del futuro partito proletario che dovrà necessariamente riformarsi nella successiva fase ascendente della lotta della classe operaia. Questi gruppi e frazioni che, nel momento del rinculo e della sconfitta della lotta, si distaccano e sopravvivono al partito in degenerazione, costituiscono il ponte politico ed organizzativo fino alla prossima tappa dell’assalto del proletariato.
2. Questi due tipi di organizzazione tendono a formarsi in tutte le lotte perché corrispondono a due funzioni specifiche e imperative per lo sviluppo della lotta rivoluzionaria della classe. Lo sviluppo di ciascuna di esse può raggiungere un livello più o meno avanzato a seconda delle occasioni, la loro formazione può essere più o meno tardiva: così per esempio durante la Comune di Parigi del l871 è soltanto negli ultimi giorni della lotta che un vero partito politico del proletariato comincia a costituirsi, durante la rivoluzione tedesca del 1918-19 il partito fu fondato quindici giorni prima dell’insurrezione di Berlino, mentre nell’ottobre del ‘17, quando il proletariato russo distrugge lo Stato borghese, il suo partito rivoluzionario ha già quattordici anni di vita …
Ognuna di queste esperienze e tutto il corso della lotta del proletariato ci mostrano però che, quale che sia la radicalità espressa dalla classe operaia nella costituzione e nell’azione dei suoi organismi unitari (i soviet), il partito resta il fattore cosciente dell’azione della classe e che il ruolo che esso é chiamato a svolgere è decisivo.
Il partito è la forza motrice ideologica indispensabile all’azione rivoluzionaria del proletariato. La ricostruzione di questo organismo di classe è nello stesso tempo condizionata da una tendenza che prende corpo nella classe operaia di rottura con l’ideologia capitalista e di impegno pratico nella lotta contro il sistema esistente, così come la sua ricostruzione è una condizione di accelerazione e di approfondimento di questa lotta e una delle condizioni determinanti del suo trionfo.
Il giorno in cui la classe operaia nel suo insieme perviene ad un uguale grado di coscienza e di volontà rivo1uzionaria, l’organizzazione politica perde la sua ragione di essere. Questo però può essere soltanto il risultato finale di tutto un processo rivoluzionario. Prima di allora, non ci stancheremo mai di ripeterlo, perché questo processo possa essere portato a termine, l’esistenza dell’organizzazione politica è una necessità imperativa imposta dalle differenze di livello della coscienza rivoluzionaria che esistono nella classe.
3. Alcuni “spontaneisti” negano la necessità del partito con la scusa che “qui siamo tutti uguali” e che “formare un’organizzazione specifica che si consideri avanguardia della classe significa riprodurre e mantenere in essa le divisioni causate dalla società capitaìista.”. Dicendo ciò essi credono di convincersi che basta dirlo o desiderarlo perché tutti gli operai acquisiscano lo stesso livello di coscienza rivoluzionaria.
Le differenze esistono e sono immense. Chiudere gli occhi dinanzi a questa realtà e rifiutarsi di intraprendere in modo organizzato il compito di contribuire al processo di generalizzazione delle idee e della volontà rivoluzionarie in seno alla classe non significa “lottare contro le divisioni e le differenze che ci impone la società capitalista” bensì contribuire a perpetuarle. I rivoluzionari sono un prodotto della classe e della sua lotta. Come tali è loro dovere assumersi le loro responsabilità di fronte alla classe.
Dall’altro lato la concezione “leninista del partito secondo la quale solo il partito può acquistare la coscienza rivoluzionaria (la classe da sola può solo sviluppare una coscienza trade-unionista) si è rivelata totalmente errata ed estranea agli interessi del proletariato.
Secondo questa visione, invece di essere il partito strumento della classe, è la classe che viene considerata strumento del partito. Il soggetto reale della storia non è il proletariato ma il pugno di dirigenti del partito.
La storia della rivoluzione russa, soprattutto nel suo processo di degenerazione, mostrò in modo definitivo che questa concezione era contraria agli interessi storici del proletariato, non solo perché non corrisponde alla realtà, ma soprattutto perché:
a) conduce ai pericoli politici dell’opportunismo: la prima preoccupazione della politica del partito - secondo questa concezione - non consiste nell’elevare il livello di coscienza della classe ma nel farsi riconoscere dalle masse come “dirigenti”, cosa che può condurre a fare alla classe tutta una serie di concessioni con il pretesto di doversi porre “al livello della classe”.
b) conduce a preconizzare la dittatura del partito invece della dittatura della classe operaia, il che - per le ragioni addotte circa la necessità della acquisizione della coscienza del proprio compito rivoluzionario da parte della classe operaia - conduce, non alla distruzione del capitalismo ma alla costruzione di un capitalismo di Stato.
4. Ciò che queste due concezioni vogliono ignorare è il fatto che, lungi dall’essere in opposizione fra loro questi due elementi - la classe ed i rivoluzionari - sono complementari in un rapporto di tutto e di parte del tutto. Tra la prima ed i secondi non può instaurarsi un rapporto di forza poiché “i comunisti non hanno interessi diversi da quelli del proletariato in generale”(Manifesto).
Come parte della classe, il partito rivoluzionario (anche se sarà condotto, e dovrà farlo, a prendere delle decisioni vitali per il processo rivoluzionario indipendenti da ciò di cui ha coscienza il proletariato nel suo insieme, ma rispondenti alle esigenze oggettive e ai suoi bisogni istintivi - vedi ad esempio l’insurrezione decisa dalla sola frazione della classe organizzata nel partito bolscevico nell’ottobre del ‘17 e non decisa all’interno del congresso dei Soviet), non può nel processo di trasformazione rivoluzionaria sostituirsi al proletariato poiché il tipo di società che quest’ultimo è chiamato ad instaurare esige la partecipazione costante e l’attività creatrice di tutta la classe nel suo insieme. Per portare a termine la sua opera alla classe operaia non basta la coscienza di una minoranza, per quanto chiara essa possa essere, ma la sola garanzia di vittoria è la coscienza generalizzata e, poiché essa è essenzialmente frutto dell’esperienza, l’attività dell’insieme della classe è insostituibile; come pure è indispensabile l’esistenza e 1’azione del partito rivoluzionario.
5. La rivoluzione proletaria è l’unica rivoluzione della storia che è realmente un’azione cosciente degli uomini, nella quale, cioè, la coscienza precisa di ciò che si sta facendo, di ciò che si dovrà fare e dei mezzi per farlo, è una condizione indispensabile della vittoria. La borghesia poté distruggere il potere feudale senza avere una coscienza esatta di ciò che stava realizzando perché, in ogni caso, le basi economiche del suo potere esistevano già in seno alla vecchia società sotto la forma di fabbriche e di relazioni produttive capitaliste che si sviluppavano parallelamente alle relazioni feudali esistenti. La sua rivoluzione, la cui espressione più pura fu la rivoluzione francese del 1789, consisté soprattutto in un cambio della struttura politica. Inoltre, la trasformazione della società non consisté nella distruzione dello sfruttamento ma in una trasformazione del modo di sfruttare.
La rivoluzione proletaria è totalmente diversa. Classe sfruttata, il proletariato non può costruire le basi della nuova società all’interno della vecchia. Prima di tutto deve distruggere il potere politico del capitale, il suo Stato, a livello mondiale per poter cominciare a trasformare realmente il modo di produzione dell’umanità. Questo compito esige che la classe abbia affilato al massimo le sue due uniche armi reali:
· la sua capacità di organizzarsi,
· la sua coscienza.
Per questa ragione fondamentale, per poter portare a termine la sua missione storica la classe operaia deve profittare di tutti i mezzi a sua disposizione per acquistare una chiara coscienza della propria attività rivoluzionaria. E’ per questo che le organizzazioni politiche che sorgono nel suo seno e che si sforzano realmente e in modo permanente tanto di suscitare e di approfondire questa coscienza quanto di generalizzarla e di estenderla a tutta la classe, sono prima di tutto prodotti della classe e della sua azione rivoluzionaria. Costituire in modo permanente e continuo uno strumento per la presa di coscienza della classe operaia, elaborando ed approfondendo la teoria rivoluzionaria da un lato, intervenendo dall’altro in tutte le lotte affinché la classe faccia sua questa coscienza, questa è la funzione di un’autentica organizzazione politica del proletariato.
6. Sono molti, però, quelli che criticando la concezione leninista del partito e pur non opponendovi la classica concezione “spontaneista” de processo rivoluzionario, sono caduti in errori tanto pericolosi per la classe quanto quelli che avevano cercato di correggere.
Così debbono essere rigettate al pari della concezione leninista quelle teorie che hanno preconizzato:
· la costituzione di organizzazioni che abbiano solo una concezione teorica puramente interpretativa e che non pongono in primo piano il compito di intervento attivo nella lotta, poiché, col “dimenticare” che la teoria rivoluzionaria può essere solo un momento della pratica globale dei rivoluzionari, finiscono da un lato col non fare un reale lavoro teorico, dall’altro non riescono ad avere alcun ruolo all’interno della lotta di classe;
· quelle che preconizzano organizzazioni puramente attiviste, interventiste col pretesto che “nulla può sostituire la classe nel suo compito di elaborazione teorica”. Queste, “dimenticano” che contribuire allo sviluppo teorico della coscienza della classe non significa “sostituirsi ad essa” ma integrarsi realmente nella sua lotta e che, intervenire politicamente nelle lotte operaie senza possedere una teoria di classe coerente conduce soltanto, e a breve scadenza, a diffondere la propria confusione nella classe.
7. Il proletariato non è la sola classe ad esistere internazionalmente ma è la sola che possa organizzarsi ed agire collettivamente a livello internazionale, poiché è la sola che non possiede interessi nazionali. La sua emancipazione non è possibile che a condizione di essere mondiale. Per questo motivo la sua organizzazione unitaria, anche se non si estende di botto su questa scala, tende ad unificarsi e quindi a centralizzarsi a livello mondiale. I consigli operai perciò non sono, anzi non devono essere, degli organi federalisti di autogestione ma l’organizzazione centralizzata del potere politico proletario. E’ verso questa direzione che deve lavorare l’organizzazione politica che, raggruppando la frazione più cosciente della classe, tende inevitabilmente e per la sua stessa funzione ad essere centralizzata ed internazionale.
Il carattere internazionale dell’organizzazione politica proletaria si afferma lungo tutta la storia del movimento operaio. Fin dal 1847 la Lega dei Comunisti, con la sua parola d’ordine “Proletari di tutti i paesi, unitevi. I proletari non hanno patria”, proclama la propria natura di organizzazione internazionale. L’entrata effettiva del proletariato sulla scena delle lotte sociali nei principali paesi d’Europa porta alla formazione della prima Internazionale, che raggruppa così tutte le forze organizzate della classe operaia nelle sue tendenze ideologiche più diverse. Essa è al più alto livello l’organizzazione unitaria della classe. La Seconda Internazionale segna già una prima differenziazione ideologica in seno al proletariato mentre è un sensibile passo indietro sul terreno dell’internazionalismo. Il suo subitaneo fa1limento di fronte ad un grande compito internazionalista, quale l’opposizione alla guerra imperialista, segnano la necessità di un’energica riaffermazione dell’internazionalismo proletario; è ciò che fecero prima Zimmerwald e Kienthal; è ciò che impose in seguito la costituzione della Terza Internazionale. Quest’ultima segna il punto più alto raggiunto dal proletariato nella centralizzazione e nell’affermazione del carattere internazionale della propria lotta. La sconfitta della rivoluzione in Occidente causa la lenta morte per soffocamento della Rivoluzione russa e la decadenza dell’Internazionale comunista che diviene organo definitivamente irrecuperabi1e alla lotta del proletariato con l’affermazione della “teoria del socialismo in un solo paese”.
Oggi, ancor più di ieri, mentre cominciano a maturare le condizioni di uno scontro rivoluzionario, si impone la necessità, per i rivoluzionari, di agire in vista della costruzione del PARTITO MONDIALE DEL PROLETARIATO. Il carattere centralizzato e internazionale dell’organizzazione politica del proletariato non è il risu1tato di un’esigenza etica o un astratto ideale, ma una condiziono necessaria della sua efficacia e dunque della sua stessa esistenza.
8. Anche se basata su di un programma preciso e coerente, l’organizzazione dei rivoluzionari non è monolitica. Come riflesso dell’immaturità di una situazione o della coscienza della classe, possono apparire nel suo seno delle divergenze; sia che esse vengano riassorbite o che conducano ad una separazione organizzativa, queste divergenze debbono essere pienamente discusse sia all’interno dell’organizzazione che di fronte all’insieme della classe. Pur non essendo monolitica, l’organizzazione dei rivoluzionari non cessa di costituire un blocco basato su un quadro di posizioni politiche ben chiare e definite; una organizzazione che si trasforma in circolo di studio e di discussione, per quanto seri e “democratici” questi possano essere, è un organo morto per la classe poiché è incapace di svolgere una funzione attiva di intervento nella lotta.
Per questo motivo, le divergenze che possono sorgere non debbono causare un indebolimento dell’organizzazione e perciò, finché esse non sono risolte, la posizione maggioritaria guida l’azione dell’insieme dell’organizzazione nel portare a termine i compiti per i quali essa è storicamente sorta.
9. I rapporti che si stabiliscono fra le diverse parti ed i vari militanti dell’organizzazione portano necessariamente le stimmate della società capitalista e dunque, contrariamente a ciò che pretendono alcune correnti neoutopiste, non possono costituire un’isola di rapporti comunisti in seno al capitalismo. Purtuttavia essi non possono essere in flagrante contraddizione con il fine perseguito dai rivoluzionari. In questo senso, essi debbono rifiutare ogni rapporto di coercizione, di divisione gerarchica del lavoro, di difesa di interessi particolari. Essi si appoggiano su una solidarietà ed una fiducia reciproca che sono una delle caratteristiche dell’appartenenza all’organizzazione della classe portatrice del comunismo.
10. L’organizzazione politica del proletariato vive per, a causa e dentro la lotta rivoluzionaria del proletariato. Ciò che caratterizza principalmente il contenuto del suo intervento è il fatto che:
· In tutte le lotte locali - e quindi in tutte le assemblee, in tutte le organizzazioni unitarie della classe - difende il punto di vista della classe operaia come classe mondiale.
· In ogni tappa della lotta, in ogni fase del processo di sviluppo della lotta fra operai e capitalisti, fra operai e Stato capitalista, operano in funzione della prospettiva del movimento generale e della meta finale: la dittatura del proletariato e la distruzione del capitalismo mondiale.