Italia: caso marò: solidarietà nazionale o solidarietà di classe?

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Il 15 di febbraio due pescatori dello Stato indiano del Kerala, che si erano avvicinati ad una petroliera battente bandiera italiana, non sono tornati a casa perché uccisi da due soldati italiani di guardia sulla nave per difenderla da un eventuale attacco di pirati. Pirati che, da quel che sappiamo, non agiscono al largo delle coste indiane ma essenzialmente nello stretto di Oman, tra la Somalia e lo Yemen. Lo Stato del Kerala, nelle cui acque – o nei pressi delle coste del quale - è avvenuta l’uccisione dei due pescatori, ha bloccato la nave e arrestato i due soldati (in servizio nel corpo dei lagunari, i marines italiani).

La storia potrebbe finire qui, aspettando il verdetto della magistratura indiana e avendo a disposizione le poche ma chiare informazioni: non c’è stato uno scontro a fuoco ma una incapacità dei marò nel controllare la situazione e non premere il grilletto. Ma i due Stati, il Kerala e l’Italia, ne hanno approfittato per tirare acqua al proprio mulino.

Ambedue, infatti, nell’illustrare i fatti, non si sono preoccupati affatto dei due pescatori uccisi e del grave pericolo che corrono le piccole imbarcazioni, come quella dei pescatori, quando vengono avvicinate da petroliere e portacontainer con uomini armati a bordo. Ambedue invece hanno utilizzato argomenti giuridici relativi al processo ai due marò, a favore o contro la loro punizione, facendo di tutta la storia solo una questione di dignità nazionale, di solidarietà nazionale.

In più, in Italia, è stata scatenata una campagna di orgoglio nazionale che ha trovato sbocco non solo sulle prime pagine dei quotidiani, ma anche nelle pagine dei social network con frasi come “sosteniamo i nostri marò”, “non compriamo prodotti indiani” e simili. Non sappiamo cosa dicono i giornali del Kerala, ma potremmo immaginarlo pensando a quante ne sono state dette in Italia contro i piloti americani che nel febbraio ’98, volando a bassa quota, tranciarono i cavi di una funivia facendo 20 vittime, tra cui tre italiani. In quel caso le parti erano rovesciate, ma gli Stati Uniti riuscirono ad imporsi. Di casi analoghi se ne possono trovare a decine.

Il governo italiano solleva la questione che “l’incidente” sarebbe avvenuto, in acque internazionali per poter affidare alla magistratura italiana il giudizio sulla vicenda, non avendo fiducia nella magistratura indiana. E qui ci sarebbe da ridere, sapendo come vanno le cose in casa nostra, con i delinquenti che la fanno sempre franca e i poveri cristi lasciati a marcire nelle patrie galere. In breve, si vorrebbe incolpare i pescatori indiani di abbordaggio e far pagare all’India le spese processuali e i danni economici per il blocco della nave. Nessuno si meraviglia del fatto che dei soldati pagati da noi lavoratori vengano incaricati del controllo della sicurezza di navi di società private. L’armatore paga per l’utilizzo di questi soldati? E a chi? Nessuno si meraviglia dell’armamento trovato a bordo, 8 tra fucili mitragliatori e simili solo per due soldati!

I due soldati, che in un primo momento hanno ammesso di aver sparato, hanno poi mantenuto il più stretto silenzio tranne che proclamare il loro “orgoglio italiano!”, come hanno ampiamente riportato i giornali di quei giorni. E dov’è l’orgoglio nello sparare con un mitra col cannocchiale addosso a della gente senza accertarsi prima di chi si tratta?

Il governo del Kerala, da parte sua, ha usato la mano dura contro i due soldati e ha trattenuto la nave, non per fare giustizia ma perché è in periodo elettorale e non può dimostrare una debolezza nei confronti di uno Stato estero. Nei fatti ci sono anche trattative segrete dove sicuramente si faranno proposte di pagamento come risarcimento, ma ben poco finirà alle famiglie dei pescatori uccisi. Il governo centrale dell’India, che non può permettersi di portare avanti per le lunghe questa storia perché nuoce ai suoi interessi commerciali con l’Italia, farà di tutto per far liberare i due soldati.

Difficilmente i governi si preoccupano di fare chiarezza e giustizia su storie come questa, per loro la vita degli uomini non conta nulla, soprattutto quella dei “semplici” lavoratori, e quando se ne occupano, lo fanno per ben altri interessi.

I funerali di Stato, le onorificenze, i bei discorsi sui giovani soldati italiani che muoiono per la pace in Afghanistan, servono a giustificare e a cercare la complicità con lo Stato italiano nel massacro quotidiano di decine e decine di esseri umani in questo paese. E chi muore sul lavoro, chi si toglie la vita perché disoccupato, perché pieno di debiti, perché esasperato dal fatto di non poter mantenere la famiglia, non ha diritto neanche ai funerali di Stato né a qualsiasi altro riconoscimento, anzi, se si è dato fuoco perché pieno di debiti, questi li devono comunque pagare i suoi famigliari. Questi sono solo fatti di cronaca o tutt’al più vengono usati come dato in qualche statistica.

Per questo, da parte nostra nessuna solidarietà allo Stato del Kerala, allo Stato italiano né tantomeno ai rispettivi eserciti e tribunali. Noi siamo per lo smantellamento di tutti gli eserciti e tutti gli Stati. La nostra solidarietà va tutta alle famiglie dei due pescatori uccisi, ai proletari indiani che per sopravvivere devono rischiare la vita ogni giorno, così come ai proletari di tutto il mondo.

Oblomov

Situazione italiana: