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In India, il 28 febbraio scorso c’è stata una giornata di sciopero proclamata dalle undici centrali sindacali nazionali (è la prima volta dall’indipendenza del paese nel 1947 che queste agiscono insieme) e da 50.000 sindacati più piccoli, che rappresentano 100 milioni di lavoratori attraverso tutto il paese. Lo sciopero ha riguardato numerosi settori, in particolare gli impiegati di banca, i lavoratori delle poste e dei trasporti pubblici, gli insegnanti, i portuali … Questa mobilitazione è stata salutata come uno degli scioperi più grandi del mondo fino ad oggi.
Il fatto che milioni di lavoratori si siano mobilitati mostra che, nonostante tutti i discorsi sul boom economico indiano, la situazione che vive la classe operaia è tutt’altra. Ad esempio, i centri della telefonia e l’industria legata all’informatica in India, che dipendono al 70% da società americane, subiscono pesantemente il peso della crisi economica. E questo è vero per molti altri settori. L’economia indiana non è al di fuori dal resto dell’economia mondiale e dalla sua crisi.
Anche in India quindi la rabbia operaia si fa sentire. Ecco perché i sindacati si sono messi tutti d’accordo sull’appello comune allo sciopero … per far fronte, uniti, a … la classe operaia! Quale altro senso dare a quest’intesa improvvisa tra le organizzazioni sindacali, le stesse che in passato hanno al contrario sapientemente e sistematicamente mantenuto la divisione in tutte le precedenti mobilitazioni contro le misure governative.
Lungi dal mostrare che oggi la borghesia attacca senza tregua i lavoratori a causa della crisi di un sistema malato e putrescente, gli sforzi dei sindacati mirano a far credere che bisognerebbe dar fiducia a questo sistema e che la borghesia potrebbe accordare qualsiasi cosa se solo volesse. La prova è il cocktail di rivendicazioni avanzate che puntano in particolare all’ottenimento di un salario minimo nazionale, reclamando anche posti di lavoro permanenti per 50 milioni di lavoratori precari, misure governative per strozzare l’inflazione (che ha superato il 9% per buona parte di questi ultimi due anni), miglioramenti sulla previdenza sociale e sulle pensioni per tutti i lavoratori, un rafforzamento del diritto del lavoro e dei diritti sindacali, la fine della privatizzazione delle imprese statali. Queste rivendicazioni messe avanti dai sindacati poggiano tutte sull’ipotesi che il governo è capace di soddisfare i bisogni delle classi sfruttate. Così come avvalorano la falsa idea che si potrebbe ridurre l’inflazione o che smettere di vendere a privati pezzi interi dell’attività del settore pubblico, naturalmente sotto la spinta di appelli in difesa dei servizi pubblici, potrebbe in qualche modo andare a beneficio della classe operaia.
Uno “sciopero unitario” molto selettivo
I sindacati non hanno sempre richiesto ai loro membri di unirsi allo sciopero. Infatti, più di un milione e mezzo di ferrovieri e molti altri operai, la maggior parte dei quali membri di questi sindacati, non sono stati proprio chiamati a fare sciopero. Nella maggior parte delle zone industriali, in centinaia di città grandi e piccole, in tutta l’India, mentre i lavoratori del settore pubblico si mettevano in sciopero, milioni di lavoratori del settore privato continuavano a lavorare ed i loro sindacati non hanno dato nessuna indicazione di sciopero. Pur chiamando ad un “sciopero generale”, i sindacati non si sono affatto “turbati” del fatto che milioni di loro membri andassero normalmente al lavoro quel giorno.
Anche nei settori in cui i sindacati hanno chiamato allo sciopero, il loro atteggiamento è stato piuttosto quello di chiamare ad un “sciopero assenteista”. Molti lavoratori hanno fatto sciopero restando a casa. I sindacati non si sono sforzati molto per portarli in piazza tutti insieme e per organizzare delle manifestazioni, né per implicare nello sciopero i milioni di lavoratori loro iscritti del settore privato. Bisogna associare questa manovra al fatto che recentemente, e per molto tempo, gli operai del settore privato sono stati molto tra i più combattivi e meno rispettosi delle leggi della borghesia. Anche zone industriali come Gurgaon e le industrie automobilistiche vicino a Chennai, le fabbriche come la Maruti a Gurgaon e la Hyundai vicino a Chennai, dove recentemente ci sono state grandi lotte, non hanno raggiunto questo sciopero.
Perché i sindacati hanno indetto lo sciopero?
È chiaro che i sindacati non hanno usato lo sciopero per mobilitare i lavoratori, per scendere in piazza e unirsi. L’hanno usato come un rituale, come un valvola di sfogo per allentare la pressione, per dividere gli operai, incitarli alla passività e smobilitarli. Restare a casa a guardare la tv non rafforza l’unità e la coscienza dei lavoratori. Al contrario, fa solo aumentare il sentimento d’isolamento, la passività e la sensazione di aver perso un’occasione. Dato quest’atteggiamento, perché i sindacati hanno indetto lo sciopero? E cosa li ha portati ad unirsi tutti quanti, compreso il BMS[1]1 e i suoi 6 milioni e passa di iscritti? Per capirlo, dobbiamo vedere quale è la situazione reale a livello economico e sociale ed anche quello che si muove all’interno della classe operaia in India.
Il deterioramento delle condizioni di vita dei lavoratori
Nonostante i grandi discorsi sul boom economico, la situazione economica è peggiorata in questi ultimi anni. Come dappertutto l’economia è in crisi. Secondo le statistiche governative, il tasso di crescita annuale è caduto dal 9 al 6% circa. Molto industrie sono state pesantemente colpite nei settori dell’informatica, del tessile, della lavorazione dei diamanti, dei beni di consumo, dell’infrastruttura, delle società private di elettricità, dei trasporti aerei. Ciò ha portato ad intensificare gli attacchi contro la classe operaia. L’inflazione generale si attesta attorno al 10% da oltre due anni. L’inflazione a livello dei prodotti alimentari e dei beni di prima necessità è molto più alta, arrivando fino al 16%. La classe operaia affonda nella miseria.
Lo sviluppo della lotta di classe
In un tale quadro di deterioramento delle condizioni di vita e di lavoro, la classe operaia ha ripreso la via della lotta di classe. Dal 2005 si è vista un’accelerazione progressiva della lotta di classe nell’intera India, che la iscrive chiaramente nello sviluppo attuale della lotta di classe internazionale. In particolare negli anni 2010 e 2011 ci sono stati numerosi scioperi in molti settori e migliaia di lavoratori hanno preso parte ad occupazioni di fabbriche, a scioperi selvaggi e ad assembramenti di protesta. Alcuni di questi scioperi sono stati molto importanti in particolare nel settore dell’auto, come ad esempio quelli degli operai della Honda Motorcycle nel 2010 a Gurgaon e della Hyundai Motors a Chennai nel 2011, dove i lavoratori hanno più volte fermato il lavoro contro la precarietà e gli altri attacchi dei padroni ed hanno espresso un grande combattività ed una forte determinazione nello scontro con l’apparato di sicurezza dei padroni. Recentemente, tra giugno ed ottobre 2011, sempre nelle fabbriche di produzione d’auto, i lavoratori hanno agito di loro iniziativa senza aspettare le consegne sindacali mobilitandosi con una forte tendenza alla solidarietà e la volontà di estendere la lotta ad altre fabbriche.
Hanno anche espresso tendenze all’auto-organizzazione e promosso delle assemblee generali, come in occasione degli scioperi alla Maruti-Suzuki a Manesar, una città nuova legata al boom industriale nella regione di Delhi, durante i quali gli operai hanno occupato la fabbrica contro il parere del “loro” sindacato. Dopo un negoziato firmato dai sindacati all’inizio ottobre, 1.200 lavoratori sotto contratto a termine non sono stati riassunti e 3.500 operai sono quindi ripartiti in sciopero ed hanno occupato la fabbrica di assemblaggio delle automobili per esprimere la loro solidarietà. Ciò ha trainato in altre azioni di solidarietà 8.000 operai di una dozzina di altre fabbriche della regione. Per evitare il sabotaggio dei sindacati si sono creati assembramenti ed assemblee generali.
La riscoperta dell’assemblea generale, come forma più adeguata per estendere la lotta e garantire lo scambio di idee più ampio possibile, rappresenta un formidabile avanzamento per la lotta di classe. Le assemblee generali della Maruti-Suzuki a Manesar erano aperte a tutti ed incoraggiavano ognuno a partecipare alla riflessione sulla direzione e gli scopi della lotta. Oltre a quest’ondata di lotta di classe che monta lentamente, le lotte che si sono sviluppate in Medio Oriente, in Grecia, in Gran Bretagna, e l’insieme del “movimento Occupy” hanno avuto un’eco nella classe operaia indiana.
La borghesia teme il contagio della lotta di classe
Al momento dello scontro violento alla fabbrica di moto Honda e di fronte agli scioperi ripetuti alla Maruti-Suzuki, si è potuto vedere chiaramente sorgere un certo timore da parte della borghesia. I mass media hanno continuamente avanzato il fatto che gli scioperi potevano estendersi ed implicare altre compagnie automobilistiche a Gurgaon e paralizzare tutta la regione. E non era della speculazione. Quando gli scioperi principali toccavano solo poche fabbriche, altri operai sono venuti alle porte delle fabbriche in sciopero. Ci sono state manifestazioni comuni ed anche uno sciopero in tutta la città industriale di Gurgaon. Anche il governo provinciale era seriamente inquieto per la propagazione dello sciopero. Il Primo ministro ed il ministro del Lavoro dell’Haryana (uno Stato dell’India), istigati dal Primo ministro e dal ministro del Lavoro dell’Unione indiana, hanno riunito i padroni delle imprese ed i sindacati per soffocare lo sciopero.
I sindacati erano ancora più preoccupati di perdere il controllo sugli operai se la combattività fosse continuata a crescere. La stessa ansia è stata evidente negli scioperi alla Maruti nel 2011, quando gli operai hanno intrapreso molte azioni contrarie a quello che volevano le direzioni sindacali. Questa paura ha spinto i sindacati a volersi mostrare come quelli che fanno qualcosa. Hanno quindi indetto un certo numero di scioperi rituali, tra cui uno sciopero dei bancari nel novembre 2011. Lo sciopero attuale, pur essendo senza alcun dubbio un’espressione dell’aumento della rabbia e della combattività nella classe operaia, è anche uno degli ultimi sforzi in ordine di data dei sindacati per contenerla ed incanalarla.
Prendere le lotte nelle nostre mani
I lavoratori devono capire che fare una giornata di sciopero rituale e restare a casa non ci porta da nessuna parte. Ancor meno radunarsi in un parco per ascoltare i discorsi dei capoccia sindacali e dei membri delle partiti parlamentari. I padroni ed il loro governo ci attaccano perché il capitalismo è in crisi e non hanno altra scelta. Dobbiamo capire che tutti i lavoratori vengono attaccati. Restare passivi ed isolati gli uni dagli altri non scoraggia i padroni dall’intensificare gli attacchi contro i lavoratori. Gli operai devono utilizzare queste occasioni di mobilitazione per conquistare la strada, raggrupparsi e discutere con altri lavoratori. Devono prendere le lotte nelle proprie. Questo non risolverà immediatamente i problemi ma renderà possibile un vero sviluppo della lotta. Ci aiuterà a sviluppare la nostra lotta contro il sistema capitalista e a lavorare alla sua distruzione. Come dicevano quelli che hanno occupato la facoltà di legge in Grecia nel febbraio 2012, “Per liberarci dalla crisi attuale, dobbiamo distruggere l’economia capitalista!”.
Da due articoli di Communist Internationalist, organo del CCI in India (marzo 2012)
[1] Bharatiya Mazdoor Sangh, il più grande sindacato del paese, legato al BJP, il partito religioso induista fondamentalista.