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All’alba del XXI secolo: perché il proletariato non ha rovesciato il capitalismo?
(...) In questo contesto di sfide per la classe operaia nello sviluppo della sua presa di coscienza sarebbe intervenuto alla fine del 1989 un significativo evento storico, esso stesso manifestazione della decomposizione del capitalismo: il crollo dei regimi stalinisti dell’Europa dell’est, di quei regimi che tutti i settori della borghesia avevano sempre presentato come “socialisti”:
“Gli avvenimenti che attualmente agitano i cosiddetti paesi “socialisti”, la sparizione di fatto del blocco russo, il fallimento patente e definitivo dello stalinismo sul piano economico, politico e ideologico, costituiscono il fatto storico più importante dalla seconda guerra mondiale insieme con il risorgere internazionale del proletariato alla fine degli anni ‘60. Un avvenimento di tale portata si ripercuoterà, e già ha iniziato a farlo, sulla coscienza della classe operaia, e ciò tanto più che esso riguarda un’ideologia e un sistema politico presentati per più di un mezzo secolo come “socialisti” e “operai”. Con lo stalinismo è il simbolo e la punta di diamante della più terribile controrivoluzione della storia che spariscono. Ma ciò non significa che lo sviluppo della coscienza del proletariato mondiale ne risulti facilitato, al contrario. Anche nella sua fine lo stalinismo rende un ultimo servizio alla dominazione capitalista: decomponendosi il suo cadavere continua ad appestare l’atmosfera che il proletariato respira. Per i settori dominanti della borghesia il definitivo crollo dell’ideologia stalinista, i movimenti “democratici”, “liberali” e nazionalisti che sconvolgono i paesi dell’est costituiscono un’occasione per scatenare e intensificare le loro campagne di mistificazione. L’identificazione sistematica tra comunismo e stalinismo, la menzogna mille volte ripetuta e martellata oggi ancora più di prima per cui la rivoluzione proletaria non potrebbe condurre che al fallimento, vanno a trovare con il crollo dello stalinismo, e per tutto un periodo di tempo, un impatto accresciuto nei ranghi della classe operaia. E’ dunque un riflusso momentaneo della coscienza del proletariato, di cui già ora si possono notare le manifestazioni - in particolare con il ritorno in forze del sindacato - che bisogna attendersi. Se gli attacchi incessanti e sempre più brutali che il capitalismo non mancherà di sferrare contro gli operai costringeranno questi a scendere in lotta, in un primo tempo non ne risulterà una maggiore capacità della classe di avanzare nella sua presa di coscienza. In particolare, l’ideologia riformista peserà molto fortemente sulle lotte del prossimo periodo, favorendo grandemente l’azione dei sindacati.”[2]
Questa previsione che abbiamo fatto ad ottobre 1989 è stata completamente verificata in tutti gli anni ‘90. Il declino della coscienza all’interno della classe operaia si è manifestato con una perdita di fiducia nella propria forza che ha causato il calo generale nella combattività di cui ancor oggi possiamo vedere gli effetti.
Nel 1989 abbiamo definito le condizioni per una uscita della classe operaia da questa condizione di perdita di acquisizioni:
“Tenuto conto dell’importanza storica dei fatti che lo determinano, l’attuale riflusso del proletariato, benché non rimetta in causa il corso storico, la prospettiva generale agli scontri fra le classi, si presenta come ben più profondo di quello che aveva accompagnato la sconfitta del 1981 in Polonia. Ciò detto, noi non ne possiamo prevedere né l’ampiezza reale, né la durata. In particolare, il ritmo di sprofondamento del capitalismo occidentale - di cui si può percepire attualmente un’accelerazione con la prospettiva di una nuova recessione aperta - va a costituire un fattore determinante del momento in cui il proletariato potrà riprendere la sua marcia verso la coscienza rivoluzionaria. Rovesciando le illusioni sul “raddrizzamento” dell’economia mondiale, mettendo a nudo la menzogna che presenta il capitalismo “liberale” come una soluzione al fallimento del preteso “socialismo”, svelando il fallimento storico dell’insieme del modo di produzione capitalista, e non solamente delle sue incarnazioni staliniste, l’intensificazione della crisi capitalista spingerà il proletariato a volgersi di nuovo verso la prospettiva di un’altra società, a iscrivere in maniera crescente le sue lotte in questa prospettiva.”[3]
(…)
Ciò detto, c'è un altro elemento più generale per spiegare le difficoltà della politicizzazione attuale del proletariato, una politicizzazione che gli consentirebbe di comprendere, anche in modo embrionario, le sfide delle lotte che porta avanti in modo da fertilizzarle e amplificarle:
Per comprendere tutti i dati nel periodo attuale e futuro, dobbiamo anche tener conto delle caratteristiche del proletariato che oggi conduce la lotta:
- esso è composto da generazioni di lavoratori che non hanno subito la sconfitta, a differenza di quelli vissuti negli anni ‘30 e durante la seconda guerra mondiale; quindi, in assenza di una sconfitta decisiva che la borghesia non è riuscita a infliggergli finora, essi conservano intatte la loro combattività;
- queste generazioni beneficiano di una usura irreversibile dei grandi temi di mistificazione (la patria, la democrazia, il fascismo, la difesa dell'URSS) che aveva permesso in passato l'irreggimentazione del proletariato nella guerra imperialista.
per il fatto che solo le generazioni che non hanno subito la sconfitta sono state in grado di trovare la via della lotta di classe, esiste tra queste generazioni e quelle che hanno condotte le ultime battaglie decisive negli anni ‘20, un fossato enorme che oggi il proletariato paga con un prezzo elevato:
- una notevole ignoranza del proprio passato e dei suoi insegnamenti;
- il ritardo nella formazione del partito rivoluzionario.
Queste caratteristiche spiegano in particolare il carattere difficile del corso attuale delle lotte operaie. Esse permettono di capire i momenti di mancanza di fiducia in se stessi di un proletariato che non ha coscienza della forza che può costituire di fronte alla borghesia. Esse mostrano anche la lunghezza della strada che attende il proletariato, che non potrà fare la rivoluzione se non integrando consapevolmente le esperienze del passato e costruendo il suo partito di classe. (...)
Fabienne