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E’ ormai una settimana che decine di migliaia di persone occupano pacificamente decine di piazze delle più importanti in tutta la Spagna per far fronte ad una situazione di degrado e di sofferenza non più sostenibili. In Spagna il numero dei senza lavoro a marzo è cresciuto di 34.406 unità rispetto a febbraio, toccando quota 4,3 milioni di persone e un tasso di disoccupazione superiore al 20,5 %, che raggiunge addirittura il 44,6% per i giovani con meno di 25 anni. A partecipare a queste manifestazioni sono stati soprattutto i giovani, ma anche pensionati, persone di mezza età, disoccupati, lavoratori, studenti, tirocinanti, casalinghe e naturalmente i mileuristas, i giovani precari costretti a vivere con stipendi di non più di mille euro al mese, più spesso intorno agli ottocento. Una prima grande manifestazione, organizzata al di fuori di tutti i partiti e sindacati, si è avuta il giorno 15 maggio scorso in oltre 50 città della Spagna coinvolgendo centinaia di migliaia di persone. Questa manifestazione, sulla base dell’esperienza dei movimenti maghrebini, era stata preparata essenzialmente attraverso il tam tam dei social networks twitter e facebook, ed è stata un vero successo. Il verificarsi di alcuni scontri a chiusura della manifestazione di Madrid aveva però dato alle forze dell’ordine l’opportunità di intervenire con violenza, di fare anche 24 arresti e di interdire la permanenza dei manifestanti sulla pubblica piazza, anche con il pretesto che in tempo di elezioni (si sarebbe votato appunto una settimana dopo, il 22 maggio) la presenza di manifestanti poteva alterare il buon esito delle elezioni. Per tutta reazione poco dopo i manifestanti sono tornati nelle piazze, ed in particolare a Madrid, nella grande piazza centrale di Puerta del Sol, per accamparsi fino all’espletamento delle elezioni.
Per capire qual è la natura del movimento in atto in questi giorni in Spagna basta ascoltare quello che dicono gli stessi manifestanti.
Chema Ruiz, portavoce della Piattaforma dei colpiti da ipoteche, commentava che “ragioni per scendere per strada ce ne abbiamo tutti”. La Ruiz spiegava che nel suo caso le avevano confiscato la casa per non aver potuto pagare l’ipoteca e che inoltre avevano tassato la sua casa per la metà del valore che aveva pagato comprandola. Per questo scendeva in strada perché sperava in un futuro migliore per sua figlia di sette anni[1].
“Non si realizza niente restandosene a casa”, assicurava Betteschen, che spiegava come le ragioni che lo spingevano a protestare erano che questa crisi la stanno pagando i giusti per i peccatori[2].
“Tengo due mestieri diversi e tutto quello che mi offrono é un lavoro da 5.000 euro lordi all’anno”, spiegava Ana Sierra, di 26 anni e laureata in Storia e Documentazione, che poi aggiungeva: “E’ un sentimento di indignazione. Abbiamo acquisito una formazione, abbiamo lavorato duro ed ora l’unica possibilità che abbiamo è quella di emigrare. Siamo condannati a vivere da precari”[3].
Carlos Taibo, professore di scienze politiche presso l’Università Autonoma di Madrid, è uno di quelli che ha partecipato alla manifestazione di domenica 15/5. Nel suo discorso ha criticato i dirigenti che trascorrono anni ad adorare il dio della competitività. “Qualcuno sa in cosa si sono tradotti i maggiori guadagni in materia di competitività. Per la maggior parte in salari sempre più bassi, in orari sempre più lunghi, nella perdita di diritti sociali e in una crescente precarietà”, ha detto Taib, che ha sostenuto che le principali vittime di questa situazione sono i giovani, le donne e gli immigrati[4].
“Non stiamo facendo politica – precisa Luz, disoccupata di Madrid – non diamo indicazione né di voto né di astensione. E questo fa paura, siamo una rivoluzione etica e i partiti sono disorientati dalla nostra limpidezza”[5].
La voce dei pensionati, accorsi a migliaia in tutta la Spagna a dar man forte ai giovani, si è espressa tra l’altro con queste parole: “Questi ragazzi hanno un compito gravoso. Noi abbiamo combattuto la dittatura – dice una signora catalana – il nostro nemico lo vedevamo e lo conoscevamo. Ora i giovani devono combattere un fantasma molto più pericoloso: la dittatura economica”[6].
A Barcellona, come in tutte le altre città, fioriscono le discussioni e le varie generazioni si confrontano sui tagli compiuti ai servizi sociali: “Il PSOE sta togliendo l’ossigeno al sistema scolastico. Il famoso progetto Bologna è una clamorosa precarizzazione del sistema universitario a livello europeo” racconta uno studente a un sessantenne che ribatte: “E se parliamo della sanità? Sono in lista da 5 mesi per curare il ginocchio a mia moglie. Impossibile curarla privatamente con la pensione di 800 euro al mese” [7].
Ma quello che fa meglio capire cos’è questo movimento è Il manifesto della rivolta in Spagna, che riportiamo allegato a questo articolo. Come si può vedere leggendolo si tratta di un documento fresco, pulito, che si rivolge a tutti, che riesce a dialogare con tutti. Quale lavoratore, disoccupato, precario, o comunque quale persona vittima di questo sistema non si riconosce al suo interno? Chi non vi trova i motivi della propria insofferenza e le ragioni della propria lotta? Questo documento non parla di comunismo, di classe operaia, di rivoluzione proletaria. Ma dice quanto basta perché descrive lo stato d’animo, la sofferenza della stragrande parte di umanità che oggi non ne può più di reggere il peso di una società che non riesce neanche più a garantire l’integrazione delle nuove generazioni nelle tenaglie dello sfruttamento. E, da questo punto di vista, questo documento ha una valenza davvero internazionale perché descrive perfettamente lo stato d’animo di quello che si avverte in Spagna come in Italia, in Francia come negli Usa, nel nord Africa e nei paesi arabi investiti dalla recente ondata di lotte sociali. E’ proprio questo comune sentire presente all’interno del proletariato internazionale che permette che gli stimoli viaggino con una certa facilità. La velocità con cui le lotte si sono diffuse dalla Tunisia all’Egitto, e poi in Libia, nel Bahrein, in Siria, ecc. ecc. è l’espressione di questo comune sentire. Ma oggi, con ulteriore sorpresa, scopriamo che la spinta delle lotte del nord Africa e dei paesi arabi ha lasciato una così profonda impronta da innescare delle lotte anche nella vicina Europa. D’altra parte, attraverso i già citati social network, si riesce a seguire in tempo reale tutto quello che succede nel mondo e il black-out opposto dalla borghesia comincia a trovare degli antidoti piuttosto efficaci. Sono proprio i manifestanti spagnoli a fare un chiaro riferimento al fatto che la loro lotta si è ispirata alle lotte precedenti, ed oltre al riferimento più frequente di piazza Puerta del Sol di Madrid alla più nota piazza Tahir nella città de Il Cairo, sede delle lotte dei giovani egiziani, negli slogan degli indignados spagnoli si ricorda anche che “da grandi vogliono essere islandesi”, o ancora “Spagna in piedi: una nuova Islanda”, con un chiaro riferimento ai movimenti di Hördur Torfason, che nel 2008 avevano provocato lo scioglimento del Parlamento e nuove elezioni, attraverso continui raduni di sabato[8]. Tutto questo non può rimanere senza esito. La situazione attuale, dal punto di vista sociale, comincia a diventare calda e le possibilità di trasmissione di questi stimoli sono delle possibilità reali da tenere seriamente in conto. Non è un caso che siano già in atto dei tentativi di occupazione da parte di indignados in molte altre piazze europee, comprese quelle italiane.
Quale sarà l’evoluzione della situazione attuale è forse ancora presto per dirlo. E’ tuttavia certo che, con l’inizio dell’anno, a partire dalle prime lotte in Tunisia, si è aperta una pagina nuova nel campo della lotta di classe.
22 maggio 2011 Ezechiele
[1] “La masiva marcha de los indignados acaba entre humo y pelotas de goma”, El Paìs 16/05/2011, https://elpais.com/articulo/madrid/masiva/marcha/indignados/acaba/humo/pelotas/goma.
[2] idem
[3] idem
[4] idem
[5] “Yes we camp”, in Spagna arriva il movimento 15-M, https://www.ilfattoquotidiano.it/2011/05/20/yes-we-camp-in-spagna-arriva-il-movimento-15-m/112522/
[6] idem
[7] idem
[8] E la “rivoluzione spagnola” adesso sfida la polizia, www.linkiesta.it/e-primavera-spagnola-ora-sfida-polizia.