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Gli scontri che sono scoppiati in Francia tra la fine di ottobre e per tutta una buona metà del mese di novembre scorso sono stati senza dubbio, indipendentemente dal giudizio che si possa dare su di loro, un evento di primo piano sullo scenario mondiale. La nostra organizzazione ha già preso posizione tramite un volantino del 9/11/2005 e un articolo del 17/11[1] mettendo in evidenza come: “gli atti di violenza ed i saccheggi che vengono commessi, notte dopo notte, nei quartieri poveri, non hanno niente a che vedere, né da vicino né da lontano con una lotta della classe operaia.” O ancora che: “quello che sta avvenendo in questo momento in Francia non ha niente a che vedere con la violenza proletaria contro la classe sfruttatrice: le principali vittime delle violenze attuali sono gli operai. E, al di là di quelli che subiscono direttamente le conseguenze dei danni provocati, è l’insieme della classe operaia del paese che è toccata: la campagna mediatica intorno agli avvenimenti attuali maschera di fatto tutti gli attacchi che la borghesia scatena in questo momento anche contro i proletari, così come le lotte che questi cercano di condurre per farvi fronte.”
Naturalmente, vista l’importanza che tali avvenimenti rivestono, sicuramente ci saranno ulteriori riflessioni da parte nostra, anche in riferimento critico a quelle di altre formazioni politiche o rispetto a discussioni presenti tra elementi in ricerca. Se oggi torniamo su questo tema a breve distanza dalla pubblicazione dell’ultima presa di posizione è per reagire all’atteggiamento politico assunto dal BIPR[2] su questo problema, atteggiamento che noi consideriamo sbagliato e molto pericoloso. Per chiarire quello che vogliamo dire ripercorriamo, in senso temporale, l’evoluzione delle prese di posizione del BIPR. Giusto un giorno dopo di noi, il BIPR pubblica una sua presa di posizione in lingua inglese sui moti in Francia che, in generale, è molto somigliante nei contenuti al nostro volantino, anche negli esempi che fa. Riportiamo qui di seguito i passaggi più significativi:
“Questi avvenimenti hanno la loro origine nella povertà e nell’umiliazione quotidiana che questi giovani provano. La maggior parte di loro sono stati espulsi dal sistema scolastico così come dal mondo del lavoro. Essi non hanno futuro se non quello di continuare a vegetare nei ghetti che sono divenuti queste periferie. E’ la crisi del capitalismo che, con il suo approfondirsi, sviluppa queste esplosioni di collera e di violenza. Ma queste rivolte non hanno alcuna prospettiva per la classe operaia. La gran parte di questi giovani non ha mai avuto a che fare con il mondo del lavoro. Essi hanno solo un istinto di classe piuttosto debole e in ogni caso molto confuso. La loro rivolta non ha niente in comune con quelle che abbiamo visto, ad esempio, in Argentina alla fine del 2001 dove i lavoratori affamati si sono organizzati per assalire e svuotare dei supermercati. Niente in comune con i più recenti episodi a New Orleans dove il proletariato bloccato dall’esercito in una città devastata è stato costretto a saccheggiare per sopravvivere. I rivoltosi in Francia distruggono i veicoli dei loro vicini proletari, danno fuoco alle scuole frequentate dai loro fratelli e sorelle, bruciano i supermercati locali, ecc. Queste rivolte, che sono un’espressione della difficoltà che i proletari vivono nelle grandi metropoli capitaliste, non hanno attualmente alcun contenuto politico di classe. (…) Questi movimenti esprimono anche tristemente una mancanza di prospettiva di classe. Essi sottolineano ancora più fortemente la reale necessità che i rivoluzionari contribuiscano alla ricreazione delle condizioni perché la lotta, dal livello delle rivendicazioni immediate, raggiunga un livello politico. In breve, esse mostrano la necessità indispensabile del partito rivoluzionario; un partito che sia veramente comunista, internazionale e internazionalista. Queste rivolte causate dalla disperazione possono solo andare avanti attraverso lo sviluppo di reali lotte di classe, sotto la guida politica del partito rivoluzionario.”
E’ perciò che siamo rimasti piuttosto sorpresi dalla critica fatta di sfuggita dai compagni di Battaglia Comunista[3] alla CCI per il fatto che questa avrebbe espresso una posizione piuttosto “pessimista”, laddove viceversa a noi risultava che le posizioni fossero quasi sovrapponibili. Ma la sorpresa è aumentata quando abbiamo letto, sul forum di Battaglia[4], la presa di posizione di un suo militante in completa contraddizione con quella del BIPR. Ecco quello che dice il compagno, il 7 novembre scorso, in risposta a dei frequentatori del forum più moderati nei confronti degli avvenimenti francesi:
“Sicuramente però siamo dinnanzi ad un fatto epocale, una vera e propria rivolta degli ultimi, del proletariato giovanile emarginato e, dopo decenni di attacchi da parte del capitale. Che84[5], non prendere distanze da questi giovani che hanno riportato il proletariato in maniera spontanea e istintiva negli scontri di strada come forse non succedeva dall’ottocento. Non ti fare abbabbiare dalla propaganda borghese. Questi non sono terroristi. Questa è la nostra classe che sta reagendo alle sue spaventose condizioni di esistenza e lo fa con gli strumenti che ha a disposizione... benzina, bande giovanili, scontri notturni. Sono disperati. Siamo in ritardo ma dobbiamo porci il problema di come incanalare questo potenziale profondamente anticapitalista all’interno di una progettualità rivoluzionaria”. (intervento del 7 novembre 2005).
Abbiamo atteso che Battaglia correggesse questo intervento attraverso la pubblicazione della presa di posizione del BIPR citata prima. Ma questo testo, pubblicato in inglese adesso anche su Revolutionary Perspectives - organo della CWO - e sulle pagine web in lingua francese del BIPR, non è mai apparso in lingua italiana. Invece a sorpresa (nostra) e dopo parecchi giorni è comparso, il 18/11/2005, un comunicato del solo PCInt (Battaglia) dove scompaiono i toni più decisi della presa di posizione del BIPR anche se non si trovano le tesi più sbilanciate espresse sul forum:
“Siamo di fronte ad episodi di rivolta, a forme di una ribellione purtroppo cieca e indiscriminata, in qualche caso anche organizzata in “bande”. (…) Chiaramente non si può (…) ridurre il tutto ad un movimento di “teppaglie” o di “delinquenti comuni” che fanno della violenza l’unico fine.”
Abbiamo dovuto attendere ancora del tempo perché Battaglia superasse finalmente gli ultimi indugi e finisse per sposare la tesi inizialmente difesa sul forum attraverso un articolo[6] che resterà nella storia per le assurdità che vi sono riprodotte. Per il momento basterà riportare quanto segue:
“La crisi del capitalismo e le risposte date dalla borghesia in questi ultimi decenni hanno prodotto un cambiamento significativo nella composizione del proletariato. Cogliere tutti gli aspetti di questa diversa composizione significa evitare di commettere gravissimi errori politici, tali da non comprendere fino in fondo le ragioni e le modalità con le quali si è espressa la rivolta parigina. E’ metodologicamente sbagliato definire i giovani protagonisti della rivolta come dei sottoproletari che, in quanto tali, non meritano l’attenzione delle avanguardie rivoluzionarie (…) La rivolta della periferia parigina è l’espressione del conflitto sociale di un settore del proletariato che in questi ultimi anni è cresciuto enormemente soprattutto tra le nuove generazioni. (…) Sottoproletario è colui che si rifiuta di entrare nel mondo del lavoro pur avendo la possibilità di entrarvi, non colui che subisce una scelta imposta dal capitale. Per Marx, vagabondi, prostitute, delinquenti (…) Al contrario i giovani parigini che si rivoltano e bruciano le macchine fanno tutto ciò in quanto esclusi dal mondo del lavoro e pertanto reclamano di entrare a farvi parte. Il cambiamento nella composizione del proletariato si riflette inevitabilmente nelle modalità in cui si manifesta lo scontro di classe. Chi si aspetta che il conflitto sociale debba avvenire sempre e solo negli stessi termini di trenta o cinquanta anni fa non ha compreso fino in fondo le modificazioni intervenute all’interno del proletariato. (…) Lo schema classico in base al quale lo scontro sociale parte da una base economico-sindacale per crescere sul piano politico, per le nuove generazioni di proletari precari ed esclusi dal mondo del lavoro non è più del tutto vero, poiché il conflitto sociale si manifesta potenzialmente su un terreno immediatamente politico, ma affinché ciò accada, e l’esperienza francese sta lì proprio a rimarcarlo, occorre la presenza del partito rivoluzionario.”
Ciò detto, vogliamo fare alcune osservazioni. Anzitutto, quando Battaglia dice che sarebbe sbagliato definire “i giovani protagonisti della rivolta come dei sottoproletari”, precisando che “sottoproletario è colui che si rifiuta di entrare nel mondo del lavoro pur avendo la possibilità di entrarvi, non colui che subisce una scelta imposta dal capitale”, di fatto tende a identificare il sottoproletariato con la sua parte peggiore, quella che Marx definiva dispregiativamente lumpen-proletariat (il proletariato degli stracci): un settore che rifiuta di entrare nel mondo del lavoro e che vive di piccoli furti, di piccoli rackets o di piccoli traffici illeciti: droga, contrabbando, prostituzione, ecc. Ma questo significherebbe marchiare negativamente quei settori sociali particolarmente sviluppati nei paesi del terzo mondo che costituiscono la massa di « senza riserve », composta di elementi senza lavoro salariato regolare e che vivono di espedienti facendo piccoli lavori alla giornata e che ottengono delle miserabili entrate vendendo per strada cibo per poveri e piccoli oggetti senza gran valore. In secondo luogo va detto che quella di BC è una maniera sbagliata di porre il problema. I rivoluzionari attribuiscono una grandissima attenzione ad ogni forma di rivolta sociale, qualunque ne siano i protagonisti o le prospettive. Allo stesso modo il proletariato, e noi al suo interno, non siamo «indifferenti» alle condizioni di vita abominevoli (fame, oppressione, repressione, ecc.) di cui sono vittime dei settori considerevoli della società non appartenenti al proletariato. Ma accordare un’attenzione non vuole dire considerare tutte queste manifestazioni di violenza sociale come lotte del proletariato o che queste manifestazioni abbiano una qualunque potenzialità di mettere in discussione lo sfruttamento capitalista. In realtà, questa maniera di porre il problema da parte di BC è una maniera di evitare i veri problemi. D’altra parte il problema non è tanto sociologico, ma riguarda piuttosto le modalità della lotta. Anche se i partecipanti agli scontri fossero stati tutti proletari doc – e non lo sono - questo non avrebbe spostato il giudizio su queste lotte di un’acca perché è il loro contenuto cieco, privo di ogni prospettiva, l’avanzare sotto la spinta della rabbia contro tutto e non di un proposito di lottare per qualcosa, che fa la differenza.
Battaglia, assieme alle altre componenti del BIPR, insiste molto sulla necessità della costruzione del partito. Anche la CCI considera che il partito è un organo indispensabile per la classe (altrimenti, la CCI non consacrerebbe tanti sforzi alla questione dell’organizzazione nelle sue discussioni e negli articoli della sua stampa). Tuttavia, vi è una tendenza nel BIPR (che ritroviamo anche nelle formazioni bordighiste) a fare della necessità del partito LA QUESTIONE n°1 (quando non si tratta della SOLA QUESTIONE) quando si tratta di tirare le lezioni di una qualunque situazione con la quale sia confrontata la classe operaia. Per quanto ci riguarda su questa questione noi ci ispiriamo molto più agli scritti di Marx o di Lenin i quali non ritenevano necessario concludere ognuno dei loro articoli con «occorre il Partito» o con la frase «se il Partito fosse stato presente, le cose sarebbero andate in maniera diversa».
Ed è appunto a proposito di questa ultima maniera di porre il problema a proposito dei moti in Francia che noi non siamo per niente d’accordo con BC. In effetti BC dice che la presenza del partito all’interno di questi movimenti avrebbe potuto imprimergli una dinamica diversa. In realtà, il partito non è un omino con il flauto magico che si porta dietro dei sorci senza anima, ma l’avanguardia che agisce all’interno della classe e che ha una efficacia nel suo intervento maggiore o minore in funzione della diversa maturità con cui si presenta il movimento della classe. Ora, i rivoltosi francesi, per bocca dello stesso BIPR, avevano una consapevolezza pressoché nulla di quello che facevano[7], per cui strombazzare che il partito risolve tutto è un modo per tranquillizzare la propria coscienza e basta.[8] Ma tant’è, visto tanto parlare di partito, ci chiediamo allora cosa avrebbero percepito i rivoltosi francesi da questo PCInt se fosse stato presente in Francia, come avrebbero interpretato questi messaggi contraddittori l’uno rispetto all’altro. E, per non andare troppo lontano, gli stessi frequentatori del forum di Battaglia lo sanno che la stessa organizzazione (il BIPR) in Italia prende una posizione e in Gran Bretagna o in Francia ne prende un’altra[9]? Alla fine vogliamo porre una domanda esplicita a Battaglia e al BIPR: secondo voi qual è il messaggio da dare agli elementi influenzati dai moti in Francia, tentati dagli scontri di piazza. Che dire: andate e partecipate all’incendio e alla distruzione di tutto quello che trovate in giro, oppure andate e portate le parole d’ordine rivoluzionarie, o cos’altro ancora? E agli stessi lavoratori italiani o inglesi o francesi cosa diciamo: prendete la benzina e andate a bruciare le scuole e le macchine o cosa altro? E sì perché, mentre dalla presa di posizione del BIPR (ma che sembra difesa realmente solo dalla CWO e dalla sezione francese), “queste rivolte non hanno alcuna prospettiva per la classe operaia” o ancora “non hanno attualmente alcun contenuto politico di classe”, da quello che dice Battaglia nel suo forum o nella sua presa di posizione “italiana”, “Siamo dinnanzi ad un fatto epocale. (…) Questa è la nostra classe che sta reagendo alle sue spaventose condizioni di esistenza e lo fa con gli strumenti che ha a disposizione... benzina, bande giovanili, scontri notturni.”; “La rivolta della periferia parigina è l’espressione del conflitto sociale di un settore del proletariato che in questi ultimi anni è cresciuto enormemente”.[10] Naturalmente torneremo presto sull’argomento perché queste contraddizioni all’interno del BIPR, se mostrano nell’immediato la completa incapacità di questa formazione a costituire un chiaro e coerente punto di riferimento rivoluzionario (figuriamoci di partito!!) all’interno di una qualunque situazione sociale, nascondono ancora ulteriori pesanti scivoloni sul piano programmatico, segnatamente sulla questione della natura della classe e della lotta di classe, che esprimono una pericolosissima deriva che può portare Battaglia ad abbandonare progressivamente il marxismo. Ma di questo ci occuperemo prossimamente.
4 dicembre 2005
Ezechiele
[1] Si tratta dei testi: “Tumulti nelle periferie francesi: di fronte alla disperazione, solo la lotta di classe porta all’avvenire”, pubblicato sul nostro sito web, e di “Francia: la borghesia utilizza gli scontri nelle periferie contro la classe operaia”, pubblicato, oltre che sul web, sul n° 143 del nostro giornale.
[2] BIPR: Bureau Internazionale per il Partito Rivoluzionario, organizzazione internazionale che raggruppa Battaglia Comunista in Italia, la Communist Workers Organisation in Gran Bretagna, Bilan et Perspectives in Francia, Internationalist Notes nell’America del nord e Circulo Comunista Internacionalista in America del sud.
[3] In occasione di una loro riunione pubblica a Napoli.
[4] Al forum si può accedere tramite il sito di Battaglia che è: www.internazionalisti.org
[5] Che 84 è lo pseudomino che si è dato uno dei compagni che frequenta il forum di Battaglia Comunista.
[6] “Sulla rivolta parigina”, testo pubblicato sul sito di BC il 25/11/05.
[7] “Violenza che è sembrata fine a se stessa, non avendo il movimento dei rivoltosi dichiarato alcun obiettivo da raggiungere né di tipo economico né tanto meno di tipo politico. Una sommossa proletaria, nella sua componente sociologica, che si è espressa con le caratteristiche tipiche delle rivolte sottoproletarie. Che la rivolta assumesse queste caratteristiche è la logica conseguenza del totale disarmo ideologico subito dal proletariato in questi decenni. Un disarmo così profondo tale da non far percepire ai diversi settori del proletariato la coscienza di appartenere ad un’unica classe sociale” (BC, Sulla rivolta parigina).
[8] Per tutto il Medio Evo, gli alchimisti hanno cercato invano la «Pietra filosofale » che avrebbe permesso loro di trasformare il piombo in oro. E’ solo quando la borghesia ha stabilito il suo dominio sulla società e il capitalismo ha trionfato sugli altri modi di produzione che la chimica (come le altre scienze naturali) è divenuta una disciplina razionale e non più mistica. La scienza è stata allora capace di compiere dei prodigi ben superiori a quelli che prevedevano gli alchimisti. Ma essa ha rinunciato a voler trasformare il piombo in oro. Evidentemente BC (con i vari epigoni della Sinistra italiana) non ha tirato ancora questa lezione della storia. Chiusa nel suo misticismo, essa confonde chimica con alchimia e sogna ancora la Pietra filosofale, il PARTITO, che potrebbe trasformare il piombo in oro.
[9] Per quanto riguarda le altre sedicenti sezioni del BIPR, quella nord-americana e quella sud-americana, sembra che la cosa non riguardi loro visto che sul sito non è comparsa la minima ombra di posizione sugli avvenimenti francesi.
[10] Noi non svilupperemo qui una questione molto semplice che BC non pone ma che vale la pena d’essere posta (come l’ha fatto la CCI nelle sue prese di posizione), ovvero quale sia il settore della società che ha tirato i maggiori vantaggi dai moti ciechi di ottobre-novembre in Francia. La risposta è altrettanto semplice: non è certamente la classe operaia, la quale deve fare i conti con:
a) una distrazione rispetto alle sue lotte;
b) il rafforzamento delle misure contro gli operai immigrati e un’intensificazione delle campagne xenofobe (con il suo corrispondente “di sinistra” e “democratico” sui “diritti degli immigrati”, la necessità di avere più lavoratori “sociali”, sulla denuncia del “liberalismo”, che hanno tutti per obiettivo quello di fare appello a un “buon capitalismo”);
c) un rafforzamento della repressione e delle campagne sull’ordine pubblico (in seguito ai moti, la borghesia ha fatto accettare senza difficoltà l’applicazione dello stato d’emergenza: domani, sarà molto più facile fare appello a una tale misura di fronte a delle vere lotte operaie.
Le vere lotte su un terreno di classe, anche quando vengono sconfitte, possono costituire una esperienza produttiva (anche per i proletari che non vi hanno partecipato direttamente) in termini di solidarietà, di rafforzamento della fiducia in sé, della comprensione delle trappole tese dalla borghesia e delle manovre sindacali. Invece, niente di tutto ciò dagli ultimi moti. D’altra parte è proprio per questo che il black-out che normalmente accompagna le lotte operaie importanti nella stampa internazionale ha lasciato il posto ad un vero scatenamento mediatico sulle sommosse e sugli incendi.