Febbraio-marzo 2010
Ci avevano detto che la crisi era passata, che ormai si andava verso la ripresa e che, a parte qualche strascico, si poteva girare pagina. La verità è invece che il 2010 si sta prospettando anche peggio dell’anno scorso, le famiglie continuano a perdere potere di acquisto e sempre più difficilmente si arriva a coprire le spese del mese con degli stipendi che sono sempre più incerti, rarefatti e leggeri. Non vogliamo e non ci interessa in questa apertura di giornale riportare dati sull’economia. La gente che soffre sa bene qual è l’andamento reale dell’economia, lo avverte fino in fondo nella propria carne. Quello che vogliamo ricordare è invece proprio questa sofferenza che nell’immediato sta provocando un sentimento di scoraggiamento e di sfiducia nella classe operaia ma che costituisce in prospettiva la molla per dare vigore alla lotta di classe. Dopo la serie di suicidi avvenuti in Francia dal 2007 in poi, particolarmente alla Renault e a France Telecom, adesso anche l’Italia viene colpita da questo fenomeno. L’ultimo di questi è di un elettricista napoletano impiccatosi nel bosco di Capodimonte perché, dopo 23 anni di lavoro precario presso una ditta a 600 euro al mese, questa gli offre finalmente l’assunzione ma con il ricatto di non riconoscergli tutta l’attività passata a livello di contributi, privandolo così di qualunque copertura per l’anzianità e dunque non offrendogli alcun futuro. Questa situazione ha completamente gettato nello sconforto il povero operaio che non ha retto alla situazione. Le parole lasciate scritte per la moglie sono particolarmente significative: “Sono umiliato. Mi vergognavo quando tu andavi a lavorare”. Ma ce ne sono tanti altri dove non sempre è facile capire le motivazioni che hanno indotto a questo atto estremo ma dove si tratta sempre di gente che soffre per le condizioni in cui vive. La crisi economica è comunque all’origine di tutti i malesseri sofferti. C’è ad esempio il caso di un operaio della Ericsson di Roma di 47 anni che si è gettato giù dal tetto della fabbrica perché temeva di essere licenziato. “Era nel gruppo degli emarginati” ha ricordato una ex dipendente licenziata, confermando quanto dicono anche altri dipendenti sull’esistenza di un gruppo di lavoratori che viene tenuto emarginato dagli altri e in cui si raggruppano disabili, sindacalisti, dipendenti con vertenza in corso, anziani, …[1] Ed ancora quello di Sergio M. che “si è suicidato perché non ha retto al dolore dell’abbandono, non ha retto alla violenza emotiva di dover vivere senza “il lavoro”. Sergio si è dato la morte per un senso di inutilità che lo aveva pervaso da quando “il lavoro lo aveva tradito”, abbandonando la sua esistenza a vuote giornate. Sergio aveva soltanto 36 anni.”[2] E ancora così per un operaio bolognese di 32 anni che aveva saputo di essere stato messo in mobilità, o per l’ex operaio edile di 46 anni di Trieste o per l’insegnante di 57 anni di Benevento, tutti suicidi che si sono concentrati negli ultimi mesi. A spingere i proletari a questo atto estremo sono certamente le condizioni di miseria in cui sempre più ci spinge la crisi economica e l’accentuato ricatto padronale. Ma c’è anche il sentimento di perdere la propria dignità di lavoratore, la propria rispettabilità, di sentirsi inutile in questa società che spinge nello sconforto più totale gli elementi più sensibili, tanto più se condizioni di disoccupazione o di cassa integrazione isolano materialmente il singolo proletario dai suoi compagni di lavoro e non gli permettono di trovare nella socialità del lavoro quella valvola di compensazione così necessaria all’animo umano.
Tuttavia, come abbiamo detto più volte, la situazione attuale non è affatto proibitiva dal punto di vista dello sviluppo della lotta di classe, tutt’altro! Le condizioni oggettive per una lotta consapevole e matura ci sono tutte in seguito all’acuirsi della crisi economica. Il problema è che, sul piano soggettivo, la classe giustamente esita perché avverte che non si tratta più di strappare un piccolo aumento ma che si tratta caso mai di mettere in discussione tutto il sistema economico attuale e, pur avendo la netta sensazione che questo sistema non ha più niente da offrirle, non ha abbastanza fiducia in sé stessa per poter sferrare l’offensiva. Questo stallo in cui ci troviamo, e a cui abbiamo fatto cenno anche nel numero scorso del nostro giornale, è quello che porta da una parte allo sconforto di tanti proletari che restano isolati, ma che produce pure tutta una serie di lotte importanti ma ancora isolate in tutta una serie di città e di paesi[3] del mondo e che sta producendo anche l’emergere di una folta schiera di nuovi elementi di avanguardia che si stanno collocando su chiare posizioni internazionaliste. Perciò l’unica maniera per superare le difficoltà presenti della classe è creare il massimo di collegamenti tra proletari, unire le lotte isolate tra di loro, far sentire che si tratta della stessa lotta, che non si tratta di salvarsi affidandosi al sindacalista o al politico di turno. In una parola creare nella lotta quel clima di solidarietà che solo può permettere alla classe di maturare la fiducia in se stessa per poter osare sfidare il sistema attuale e proporsi come classe rivoluzionaria.
Ezechiele (10 febbraio 2009)
[1] www.blitzquotidiano.it/agenzie/roma-suicida-operaio-la-ericsson-lo-vuole-licenziare-lui-si-getta-dal-tetto-della-fabbrica-29830 [1]
[3] Vedi gli esempi di lotte in corso in questo stesso numero del giornale.
Di fronte alle manifestazioni, il potere risponde con la repressione sanguinosa
Nello scorso mese di dicembre, in occasione della festa dell’Achoura[1] (per gli Sciiti si tratta tra l’altro della commemorazione del massacro dell’imam Hussein e di 72 suoi seguaci da parte del califfato di omayyade a Kerbala nell’anno 680), le strade delle principali città del paese sono state nuovamente invase da immense manifestazioni. Queste hanno toccato la maggior parte delle grandi città iraniane: Teheran, Chiraz, Ispahan, Qazvin, Tabriz ed anche Qom, la città santa. A decine di migliaia sono le persone che si sono ritrovate per strada. Ma la risposta del potere non si è fatta attendere. Le milizie baasiste, spalleggiate dalle forze dell’ordine, hanno allora effettuato una feroce repressione. La polizia ufficiale parla di cinque morti tra i manifestanti, ma la realtà é evidentemente ben più drammatica! Bisogna ricordare che in occasione del 12 giugno scorso al momento dell’elezione del presidente Ahmadinejad, il bilancio era stato di sessanta morti e di 4000 arresti. Oggi, in una popolazione ferita, presa dalla collera, gli slogan si radicalizzano e non se la prendono più soltanto con il governo e con Ahmadinejad, ma anche, il che è una novità, con la stressa guida suprema: Ali Khamenei.
Crisi e divisioni all’interno della borghesia e del clero iraniano
Nel mese di giugno scorso, in occasione delle elezioni, lo stato di deliquescenza della borghesia iraniana era già apparsa in tutta evidenza. La crescita di potere di Hossein Moussavi ne era l’espressione più visibile. Dietro la frazione di Ahmanidejad che manteneva il potere, appoggiata dai guardiani della rivoluzione islamica (i bassiji) comandati dal generale Mohammad Ali Jafari, vera rete di gangster che ha le mani in pasta in tutti i traffici illegali del paese, si ritrova tutta una parte del clero la cui guida suprema é l’ayatollah Ali Khamenei che, in quanto tale, è il capo degli eserciti. Al contrario un’altra parte del clero cerca sempre più di prendere le distanze da coloro che considera come una banda di canaglie che hanno preso le redini del potere. All’inizio di gennaio, un influente dignitario religioso conservatore, Ahmad Janati, ha chiamato i servizi segreti a punire i «corrotti sulla terra», un’accusa passibile di pena di morte. Pena di morte che sembra venga già applicata visto che Ali Moussavi, membro della famiglia di Mir Hossein Moussavi, principale oppositore al regime sul posto, è stato assassinato dalle milizie bassidji.
Per conoscere la vera natura dell’opposizione, occorre ascoltare il suo capofila: «Io credo che sia necessario sottolineare che noi abbiamo, all’interno del movimento verde, un’identità islamica e nazionale e siamo contro qualunque dominazione straniera» (Jeune Afrique del 2 gennaio). In poche parole è detto tutto! Di fronte alla fazione corrotta e sanguinaria di Ahmadinedjad, noi troviamo delle persone che gli sono simili come delle gocce d’acqua! Anche loro sono chiaramente per una repubblica islamica e per il proseguimento della fabbricazione della bomba atomica iraniana. Tutte queste persone si somigliano perché difendono tutte i loro propri interessi nazionalisti e personali! E’ per questo e soltanto per questo «che una buona parte del clero condanna la repressione. Anche se i mullah si sono eclissati davanti ai guardiani della rivoluzione, il regime non può ignorarli senza corre qualche pericolo. Può un regime teocratico fare a meno della legittimità religiosa? Moussavi che l’ha compreso va spesso nella città santa di Qom. Un’occasione per avvicinarsi al più celebre rappresentante ayatollah d’Irak, Ali Sistani, molto popolare in Iran.» (Contre info, giugno 2009).
La classe operaia in Iran ha tutto da perdere seguendo un campo o l’altro campo
La borghesia iraniana e il suo clero si frantumano. Una guerra senza pietà si sviluppa al loro interno per il potere. Le ragioni sono semplici, la crisi economica devasta il paese. La miseria e la collera si diffondono come una cortina di fumo. L’instabilità e la corruzione guadagnano tutti i livelli delle classi dominanti iraniane, religiose e civili. La torta da dividere si restringe a vista d’occhio mentre la piazza rumoreggia! Hussein Moussavi cerca di canalizzare la collera della classe operaia e della popolazione dietro i propri interessi popolari e di cricca. Ahmadinejdad e la parte del clero che lo sostiene, da parte loro, sono spinti in una fuga in avanti che si accompagna sempre più ad una repressione sanguinosa e a delle provocazioni verbali. In questo paese devastato dalla crisi economica e dalla senilità della sua borghesia, la classe operaia non può che sviluppare ancor più la sua combattività e la sua collera. Ma non deve in nessun caso farlo sostenendo una cricca borghese piuttosto che un’altra, o una frazione religiosa in lotta contro un’altra. Su questo cammino infatti gli operai incontreranno soltanto sconfitte e morte.
Tino (27 gennaio)
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In quest’inizio d’inverno tutte le associazioni benefiche suonano il campanello d’allarme. La crisi economica sta colpendo brutalmente tutta la classe operaia e una parte crescente di questa si trova fin d’ora immersa nella miseria.
Secondo Didier Piard, direttore della Croce Rossa francese: “L’intensità della povertà aumenta. I poveri sono più poveri di ieri (…). Il numero di persone assistite ha avuto un incremento superiore al 20%. (…). Le associazioni benefiche vedono un 2010 nero per quanto riguarda la disoccupazione massiccia e la situazione di una parte dei disoccupati che perdono ogni diritto (…). Popolazioni che non abbiamo visto prima vengono nei nostri centri a chiedere aiuti alimentari, abiti o aiuti finanziari: sono pensionati, precari, giovani, lavoratori con contratto a tempo indeterminato che non riescono più a far quadrare il bilancio. Si aggiungono alle famiglie con un solo genitore ed ai precari che non hanno mai cessato di venire (…). Uno studio su una quarantina di località ha mostrato che più del 40% delle persone accolte venivano a chiedere aiuto per pagare le loro bollette della luce o il loro affitto”[1].
Stessa constatazione per i Restos del Cœur (Ristoranti del cuore). L’anno scorso quest’associazione aveva già battuto un triste record, quello della grande affluenza. E tuttavia, quest’inverno si annuncia ancora peggiore. Per il Presidente dei Restos, Olivier Berthe, “nel corso della primavera e dell’estate scorse, l’affluenza nei nostri centri di distribuzione è aumentata del 20% in un anno, ci si aspetta un forte aumento della domanda, che era già progredita del 14% l’anno scorso”.
Anche quelli che conservano ancora un lavoro hanno grande difficoltà a far quadrare il bilancio. Le associazioni benefiche hanno dato loro un nome: “Le nuove teste”. Si tratta di tutti quei lavoratori sotto-pagati (ma super sfruttati, ovviamente) che vengono a cercare da mangiare per loro e la loro famiglia.
Per la classe operaia la crisi economica fa rima con licenziamenti, disoccupazione, precarietà… Nel 2009, circa 451.000 posti di lavoro sono stati distrutti e l’anno 2010 si annuncia altrettanto terribile. “La disoccupazione continuerà ad aumentare” così titolava il giornale economico la Tribune del 18 dicembre.
Cosa fa lo Stato di fronte a questa situazione drammatica? Fa tutto il possibile per limitare questo incremento delle statistiche della disoccupazione… alterando le cifre, cancellando dagli elenchi centinaia di migliaia di disoccupati senza più diritto ai sussidi di disoccupazione. Per essere precisi, 850.000 persone classificate “senza indennità di disoccupazione” sono state tolte dalle cifre ufficiali della disoccupazione nel 2009 e l’Ufficio del Lavoro ritiene che saranno più di un milione nel 2010! Concretamente ciò significa per tutte queste famiglie operaie la scomparsa di risorse già ridotte al minimo vitale, la minestra popolare in versione moderna (Restos del Cœur) e… spesso la strada!
Quando lo Stato sfrutta la paura della miseria e di restare per strada!
La borghesia non può nascondere quest’aumento considerevole della povertà. La dura realtà è troppo palese perché i mass media possano giocare la carta del “del tutto va bene”. Allora, all’improvviso, ne parlano a modo loro, fino alla nausea[2]. Lo scopo è alimentare la paura, dire agli operai che hanno ancora un’occupazione stabile: “Vedete come della gente soffre per la miseria, allora consideratevi felici e non compatitevi troppo poiché altri sognano di prendere il vostro posto”.
L’esempio più abietto di questa propaganda è rappresentato senza dubbio dai sondaggi sul timore di diventare disoccupati o senza fissa dimora i cui risultati sono sempre annunciati in pompa magna ai telegiornali della sera. L’ultimo, quello del TNS Sofres, ha “rivelato” i suoi sondaggi come se si trattasse di un vero scoop: la preoccupazione riguardo alla disoccupazione è ridiventata nel dicembre 2009 la principale preoccupazione del 73% dei francesi; i più preoccupati sono gli operai (84%) ed i giovani (83%). Che rivelazione!
Questo tipo di discorso fa effettivamente paura, paralizza, fa rassegnare e distrugge la volontà di lotta. È precisamente questa sensazione d’insicurezza di fronte alla crisi economica che ha costretto la classe operaia a tenere un basso profilo dall’inizio del 2009 e, con la complicità dei sindacati, ha contribuito alle sue difficoltà ad entrare in lotta.
Detto ciò, l’effetto paralizzante dovuto alla brutalità con la quale la crisi ha colpito in questi ultimi mesi ed ai discorsi terroristici che l’hanno accompagnata può essere soltanto temporaneo. Per parafrasare Karl Marx in Miseria della filosofia (1847), non bisogna vedere nella miseria solo la miseria ma anche e soprattutto il suo lato rivoluzionario, sovversivo. Poco a poco, il timore e la rassegnazione cederanno il posto alla rabbia. E perché questa rabbia si trasformi in una volontà di lotta contro questo sistema sarà necessario per la classe operaia riacquistare fiducia nella propria capacità di lottare contro tutti questi attacchi, in modo unito e solidale.
DP, 18 dicembre
(da Revolution Internationale n.409)
[1] Le Monde del 4 dicembre 09
[2] In particolare in questo periodo invernale quando un grande freddo e la neve si sono abbattuti sul paese, con le campagne mediatiche “sui mezzi investiti dallo Stato o dai municipi per venire in aiuto ai più poveri” come gli autobus di raccolta del SAMU (servizio di aiuto medico d’emergenza) o la riapertura di sovrappopolati alloggi notturni che alcuni senzatetto rifiutano per timore della promiscuità.
Il 7 gennaio a Rosarno dei giovani sparano con un fucile ad aria compressa su degli immigrati africani. Due di questi vengono feriti gravemente. Dietro questi “giovani” si nasconde in realtà la mano della ndrangheta, la mafia calabrese. E’ questa che costituisce il padronato locale ed assume gli operai agricoli reclutando una mano d’opera che viene dall’Africa, molto numerosa ed a basso costo. Questi lavoratori lavorano tutto il giorno per una paga da fame[1] e dormono la sera in un vecchio caseificio fatiscente ed insalubre. Ma questa mano d’opera a buon mercato è diventata all’improvviso ingombrante. La crisi colpisce anche Rosarno, le arance ed i mandarini non si smaltiscono e diventa più redditizio farli marcire sugli alberi che raccoglierli. Questi lavoratori africani sono quindi diventati, per la maggior parte, non sfruttabili, inutili. Inoltre la nuova legge anti-immigrazione ha rafforzato la caccia al clandestino e condanna a multe salate i proprietari che assumono lavoratori illegali. La mafia locale, per coprire quel poco di lavoro che resta da fare, sembra quindi più orientata verso gli immigrati “legali” dei paesi dell’Est (in particolare dell’Ucraina e della Romania). 1.500 africani venuti fin qui per racimolare giusto di che sopravvivere si sono dunque ritrovati nella morsa del supersfruttamento e della disoccupazione. La tensione e la rabbia ovviamente aumentano; questi semi-schiavi, abitualmente così mansueti, hanno iniziato a dare segni di insofferenza. Per quest’insieme di motivi la ndrangheta decide di colpirli per farli scappare, sparandogli addosso. Da bestie da soma sono diventati selvaggina. Solo che, anziché tirarsi indietro, questi lavoratori sono scesi nelle strade a incendiare cassonetti ed automobili, rompere finestre e danneggiare qualche casa. Come reazione centinaia di abitanti di Rosarno, armati di spranghe e bastoni, si sono dati ad una caccia “al negro” al grido di “in Africa, in Africa!”, “li vogliamo morti”. Bilancio degli scontri: 67 feriti (31 immigrati, 19 poliziotti e 17 autoctoni). Anche qui la mafia ha svolto un ruolo centrale istigando la popolazione locale e ponendosi alla testa di queste milizie improvvisate[2].
Non è stato certo difficile instillare quest’odio in una popolazione toccata anch’essa dalla povertà ed una disoccupazione che colpisce, ufficialmente, quasi il 18% della classe operaia in questa regione.
Ma la miseria non può da sola piegare perché una parte della popolazione si è lasciata trascinare in questo modo in una vendetta razzista e nauseabonda, e neanche perché gli immigrati che erano stati attaccati se la sono presa con i beni degli abitanti dei dintorni. In realtà la causa di fondo di questa “lotta tra poveri”, come l’ha definita la stampa internazionale (cioè tra proletari) è la totale assenza di prospettiva. “Era un inferno non si capiva niente è vero che abbiamo rotto tutto quel che potevamo rompere, ma eravamo solo arrabbiati. Siamo disperati, e se alla disperazione aggiungi pure la rabbia è facile sbagliare. Quando siamo tornati alla fabbrica, ci siamo guardati negli occhi e ci siamo vergognati di quello che abbiamo fatto. Ho pianto tutta la notte pensando a quella gente spaventata. Spaventata da me che a volte ho paura anche della mia ombra. Ora voglio andar via, se avessi un posto dove andare partirei subito. Ma io non ho posti in cui sperare” Godwin, bracciante, 28 anni, ghanese (da La Repubblica del 9 gennaio)
Solo le lotte operaie possono ridare fiducia nel futuro, possono permettere di intravedere che un altro mondo è possibile, un mondo fatto non di odio ma di solidarietà. Uno sciopero recente lo ha mostrato chiaramente, uno sciopero che non ha avuto gli onori delle prime pagine della stampa, contrariamente agli episodi di Rosarno. In Inghilterra, nel giugno scorso, gli operai delle raffinerie di Lindsey hanno resistito alle sirene del nazionalismo e della xenofobia, mentre tutta la stampa metteva in evidenza slogan come “lavoro inglese per gli operai inglesi!”. Comprendendo che si trattava di una trappola, che non avevano nulla da guadagnare a lasciarsi dividere in questo modo tra operai “locali” e “immigrati”, hanno opposto alla borghesia uno sciopero animato dalla solidarietà internazionale. Nelle manifestazioni hanno portato striscioni che chiamavano gli operai portoghesi ed italiani ad unirsi alla lotta e dove si poteva leggere il grido di unità del proletariato mondiale sin dal 1848: “Operai di tutto il mondo, unitevi!”.[3]
Gli avvenimenti di Rosarno e di Lindsey sono come la tesi e l’antitesi. Il primo porta le stimmate di questa società in decomposizione che non ha alcun avvenire e può solo alimentare la miseria, la paura, l’odio. Il secondo invece mostra che esiste un altro futuro per l’umanità. La solidarietà che è capace di esprimere la classe quando lotta è, per tutti, un faro di speranza.
Albert, 28-1-2010
[1] Un euro a cassetta di mandarini e 6 centesimi al kilo di arance raggiungendo un massimo di circa 15 euro al giorno per 12-14 ore di lavoro
[2] Se la mafia ha fatto il suo sporco gioco, la borghesia ed il suo Stato non sono stati da meno. Il governo Berlusconi ha approfittato dell’occasione per portare avanti la sua politica xenofoba e giustificare le nuove misure anti-immigrazione Il ministro dell’interno Maroni ha subito affermato: “quella di Rosarno è una situazione difficile, risultato di una immigrazione clandestina tollerata in tutti questi anni senza fare nulla di efficace”. In realtà, lo Stato da un lato dà la caccia ai clandestini e li espelle per limitare il numero degli immigrati e, dell’altro, lascia che questa mano d’opera a costo basso venga sfruttata in maniera massiccia ed ignobile (quando non lo fa lui stesso direttamente), per migliorare la “competitività nazionale”. Sono più di 50.000 i lavoratori immigrati che vivono in Italia in alloggi insalubri simili a quelli di Rosarno. Per ritornare agli eventi recenti e alla “protezione” offerta dallo Stato agli immigrati vittime di questo pogrom c’è da dire che anche l’intervento della polizia ha fatto numerosi feriti tra gli immigrati e, dopo, per proteggerli, questa non ha trovato niente di meglio che parcheggiarli nei centri di accoglienza per “controllare la loro situazione” ed espellere tutti coloro che non sono in regola! Questa è “l’umanità” di cui è capace la borghesia, che si presenti sotto la maschera della mafia o con i tratti delle rispettabili alte cariche dello Stato!
In questi giorni la Fiat ha chiesto la cassa integrazione per 30.000 operai per due settimane, vale a dire la chiusura di uno stabilimento come Termini Imerese per un anno! In breve ha anticipato la chiusura di questo stabilimento prevista per la fine del 2011.
All’annuncio della cassa integrazione i sindacati hanno decretato uno sciopero di 4 ore in tutti gli stabilimenti Fiat, aggiungendo il danno alla beffa! Che danno può provocare uno sciopero fatto così ad una azienda che vuole mandare a casa i lavoratori? È servito solo a far abbassare la tensione esistente tra i lavoratori, i quali sanno tutti che si prepara per loro un avvenire di inferno! A Milano, come d’altronde in altri posti, i sindacati hanno portato i lavoratori a presidiare le sedi comunali e regionali per far pressione sugli amministratori locali, per chiedere protezione ognuno per la fabbrica della propria regione!
Secondo Rinaldini, sindacalista della Fiom Cgil, “Termini Imerese non può chiudere, in Italia non esiste una sovraccapacità, anzi il nostro Paese, in Europa, è l’unico, tra quelli industrializzati, a importare auto perché se ne producono poche rispetto alla richiesta di mercato…. Faremo di tutto per impedirne la chiusura, non abbiamo timori e paure di affrontare qualsiasi tipo di lotta”; quello che non dice Rinaldini è che in Italia si producono solo auto Fiat e che non si può imporre agli italiani di acquistare auto nazionali. Il mercato è mondiale e i produttori stranieri hanno gli stessi problemi della Fiat, chi non è concorrenziale scompare dal mercato. Questo lo sanno i sindacalisti, quindi risulta sorprendente la dichiarazione di Raffaele Bonanni, segretario generale della Cisl: “cassa integrazione, una doccia fredda …. Quando abbiamo di fronte a noi perdite di posti di lavoro la cui difesa è l’essenza dell’azione sindacale arriveremo a tutto per scoraggiare la Fiat ad abbandonare in questo momento particolare posti di lavoro”. Che ha poi aggiunto: “Spero che da parte della Fiat ci sia un maggior senso di responsabilità perché queste docce fredde non servono a nessuno, non servono all’azienda, non servono al lavoro e non servono all’Italia”. Anche il governo, attraverso varie dichiarazioni dei ministri, si è detto meravigliato di questa notizia, aggiungendo che non ci saranno più incentivi governativi per la Fiat. Al che Marchionne ha fatto presente che se ne frega degli incentivi, mentre vuole una seria politica industriale nel settore dell’auto. Questo è il problema! L’Italia non ha fatto grosse riforme strutturali e strategiche nel settore industriale, riforme necessarie per abbassare i costi di produzione e battere la concorrenza internazionale. I problemi della Fiat non finiranno con la chiusura di uno o due stabilimenti, ma resteranno perché il problema della sovrapproduzione è insito nel meccanismo del capitalismo decadente. Molte importanti firme automobilistiche sono scomparse e molte altre scompariranno, riuscirà a sopravvivere solo chi produce a costi più basti, il che vuol dire soprattutto spremere ancor di più i lavoratori.
E non è solo la Fiat a licenziare!
Ci sono migliaia e migliaia di aziende in crisi, anche se a fare notizia quando chiudono i battenti sono solo le più grandi, mentre le piccole non ricevono neanche l’onore della cronaca. Nei giorni scorsi è ritornata sulla scena l’Alcoa, la multinazionale americana che produce alluminio e che non ha intenzione di restare in Italia perché il costo dell’energia elettrica non è concorrenziale. Nei mesi scorsi i sindacati hanno portato i lavoratori a scioperare e a manifestare contro la chiusura degli impianti in Italia, in particolare quello sardo, nei fatti a sostenere la richieste dell’Alcoa di pagare tariffe energetiche preferenziali. Questo non è bastato, l’Alcoa si aspetta di più dal governo, un po’ come la Fiat e tutte le altre aziende. In barba alle scorse politiche di liberismo economico oggi, in tempi di crisi, tutte le aziende per poter sopravvivere chiedono di continuo sovvenzioni allo Stato e una politica che porti alla riduzione dei costi delle materie prime, dei servizi, dei trasporti, … E, per fare sfogare la rabbia dei lavoratori che cominciano a vedersela brutta, i sindacati, dopo aver appoggiato le richieste aziendali di più basse tariffe elettriche, adesso cercano di polarizzare l’attenzione contro un’azienda che, essendo “straniera”, può essere accusata di tutte le nefandezze di questo mondo, cercando di compattare tutti nell’attacco alla cattiva multinazionale americana e spingendo i lavoratori ad usare le “maniere forti” come occupare l’aeroporto di Cagliari o espellere i dirigenti dai loro uffici!
Maniere forti, si dice! Ma queste iniziative non hanno nulla di forte perché servono solo ad isolare ed esasperare i lavoratori, tenendoli separati dai loro compagni di classe. Non spingono alla difesa dei comuni interessi, cioè del posto di lavoro e delle condizioni di vita. I sindacalisti portano i lavoratori davanti alle sedi comunali ma non davanti ad un’altra fabbrica o non chiamano a manifestazioni comuni di tutti i lavoratori, disoccupati, studenti, precari, etc…
Hanno paura che i lavoratori possano vedere e capire che il problema non è la chiusura di Termini Imerese, di Portovesme o dell’Omsa di Faenza, dove a rischiare il posto sono in 320, ma è il licenziamento, la precarietà, la miseria di milioni di persone. Capire che la soluzione non sta nella difesa del “proprio” posto di lavoro, ma nella difesa delle condizioni di vita di tutti i lavoratori, che solo la solidarietà e l’unione rafforza la classe operaia. Quando i lavoratori lottano uniti, i governi e la borghesia sono obbligati a cedere e a ritirare i licenziamenti, la chiusura degli impianti e i tagli salariali anche quando le finanze governative non lo permettono. La lotta di massa della classe operaia serve anche a sostenere i lavoratori delle piccole imprese, i disoccupati, che in assenza di essa spesso si chiudono nella depressione e in azioni disperate che non portano a nulla.
La borghesia vuole che i lavoratori in lotta si isolino sui tetti delle fabbriche, nell’occupazione di uffici e stabilimenti, non per niente fa di tutto per pubblicizzare questi avvenimenti! I sindacati non diranno mai che è necessaria l’unione di tutti i lavoratori, la discussione comune per poter difendere il nostro futuro, sta a noi portare avanti questa necessità.
Contro l’offensiva del capitale è necessaria una lotta unita e solidale!
Oblomov 6 febbraio 2010
“Doccia fredda a Copenaghen”[1], “Il peggiore accordo della storia”[2], “Copenaghen si conclude con un insuccesso”[3], “Delusione a Copenaghen”[4],… la stampa è unanime, questo vertice annunciato come “storico” è stato un vero fiasco!
Per parecchie settimane, i media ed i politici hanno fatto seguire a ruota dichiarazioni magniloquenti che in sostanza affermavano tutte: “l’avvenire dell’umanità e del pianeta si gioca a Copenaghen”. La fondazione Nicolas Hulot aveva anche lanciato un ultimatum: “l’avvenire del pianeta e, con esso, la sorte di un miliardo di affamati […] si giocherà a Copenaghen. Scegliere la solidarietà o subire il caos, l’umanità ha un appuntamento con se stessa”. Un ultimatum che conteneva una mezza verità. I documentari televisivi, i film (come Home di Yann Arthus Bertrand), i risultati delle ricerche scientifiche mostrano che il pianeta sta per essere distrutto. Il riscaldamento climatico si aggrava e con esso la desertificazione, gli incendi, i cicloni … L’inquinamento e lo sfruttamento intensivo delle risorse determinano la scomparsa massiccia di molte specie. Dal 15 al 37% delle biodiversità dovrebbero sparire da qui al 2050. Oggi un mammifero su quattro, un uccello su otto, un terzo degli anfibi ed il 70% delle piante è in pericolo d’estinzione[5]. Secondo il Forum Umanitario Mondiale, il “cambiamento climatico” implicherebbe la morte di 300.000 persone l’anno di cui la metà per malnutrizione! Nel 2050 dovremmo avere “250 milioni di profughi climatici”[6]. Ebbene sì, c’è un’emergenza. Sì, l’umanità è confrontata ad una posta in gioco storica e vitale!
Ma non c’era nessuna illusione da farsi, niente di buono poteva uscire da questo vertice di Copenaghen dove erano rappresentati 193 Stati. Il capitalismo distrugge l’ambiente da sempre. Già, nel XIX secolo Londra era un’immensa fabbrica fumante che scaricava i suoi rifiuti nel Tamigi. Questo sistema produce al solo scopo di fare profitto ed accumulare capitale, con ogni mezzo. Poco importa se per fare questo deve radere al suolo le foreste, saccheggiare gli oceani, inquinare i fiumi, stravolgere il clima … Capitalismo ed ecologia sono necessariamente antagonisti.
Tutte le riunioni internazionali, i comitati, i vertici, come quello di Rio de Janeiro nel 1992 o quello di Kyoto nel 1997, sono sempre stati delle foglie di fico, cerimonie teatralizzate per fare credere che i “grandi di questo mondo” si preoccupano dell’avvenire del pianeta. Gli Hulot, Yann Arthus Bertrand, ed altri Al Gore hanno voluto farci credere che questa volta sarebbe andato diversamente di fronte all’emergenza della situazione, gli alti dirigenti sarebbero “rinsaviti”. Meglio ancora, avrebbero compreso che si trattava di un’opportunità storica per cambiare in profondità il capitalismo, orientandosi verso una green economy capace di tirar fuori il mondo dalla recessione attraverso una crescita duratura ed ecologica! Mentre tutti questi ideologi rimestavano aria, gli “alti dirigenti” affilavano le loro armi eco… nomiche! Perché questa è la realtà: il capitalismo è diviso in nazioni, tutte concorrenti l’una contro l’altra, in perenne guerra commerciale e, se necessario, anche militare. Un solo esempio: il polo Nord si sta fondendo. Gli scienziati vi vedono una vera catastrofe ecologica. Gli Stati vi vedono invece un’opportunità per sfruttare risorse fino ad ora inaccessibili e per aprire nuove vie marittime liberate dai ghiacci. La Russia, il Canada, gli Stati Uniti, la Danimarca (attraverso la Groenlandia) si stanno facendo adesso una guerra diplomatica senza pietà. Il Canada ha anche iniziato a posizionare le sue armi alla frontiera dirette in questa direzione! Capitalismo ed ecologia sono effettivamente antagonisti.
E volevano farci credere che, in un tale contesto, gli Stati Uniti e la Cina avrebbero accettato di “ridurre le proprie emissioni di CO2”, cioè limitare la loro produzione? Del resto lo stesso concetto di “limitazione delle emissioni di CO2” ci fa capire cosa rappresenta il surriscaldamento climatico per il capitalismo, un’arma ideologica per farsi concorrenza. Ogni paese vuole fissare gli obiettivi che più gli convengono: i paesi dell’Africa vogliono cifre molto basse che corrispondono alla loro produzione per mettere i bastoni tra le ruote alle altre nazioni, i paesi del Sud America sperano in cifre un poco più elevate, e così via per l’India, gli Stati europei, essi stessi divisi tra loro, la Cina, gli Stati Uniti …
La borghesia non riesce neanche più a salvare le apparenze
Il solo elemento forse sorprendente di questo fiasco di Copenaghen è che tutti questi capi di Stato non sono riusciti neanche a salvare le apparenze. Abitualmente, si tira fuori un accordo finale firmato in pompa magna che fissa alcuni vaghi obiettivi da raggiungere un giorno e tutti se ne congratulano. Questa volta si parla ufficialmente di “insuccesso storico”. Le tensioni ed i mercanteggiamenti sono usciti dalle quinte e sono stati portati davanti la scena. Non si è riusciti neanche a fare la tradizionale foto dei capi di Stato che si auto-congratulano con tanto di abbracci e larghi sorrisi da star del cinema. E’ tutto dire!
In effetti, la recessione non spinge i capi di Stato a cogliere la “formidabile opportunità” di una green economy mondiale ma, al contrario, può solo acuire le tensioni e la concorrenza internazionale. Il vertice di Copenaghen ha dato dimostrazione della guerra accanita a cui si stanno dedicando le grandi potenze. Non è più tempo di fingere intese e proclamare accordi, benché bidoni. E’ tempo di tirar fuori i coltelli, tanto peggio per la foto!
Il capitalismo non sarà mai “verde”. Domani la crisi economica colpirà ancora più forte. La sorte del pianeta sarà allora l’ultima delle preoccupazioni della borghesia. Ogni borghesia nazionale avrà un unico obiettivo: sostenere la propria economia nazionale scontrandosi sempre più duramente con le altre nazioni, chiudendo le fabbriche non abbastanza redditizie, a costo di lasciarle cadere a pezzi, riducendo i costi di produzione, tagliando dai bilanci le spese per la manutenzione, il che significherà più inquinamento e più incidenti industriali. È esattamente quello che è già accaduto in Russia negli anni 90, coi suoi sottomarini nucleari lasciati in abbandono e la Siberia inquinata a tal punto da far morire una larga parte dei suoi abitanti.
Infine, una parte sempre più grande dell’umanità si ritroverà nella miseria, senza cibo e senza casa e sarà dunque ancora più vulnerabile agli effetti del cambiamento climatico, ai cicloni, alla desertificazione.
È tempo di distruggere il capitalismo prima che distrugga il pianeta e decimi l’umanità!
Pawel, 19 dicembre
(da Révolution Internationale n.408)
Siamo perfettamente d’accordo con i compagni che si tratta di un tentativo di intimidazione da parte dello Stato contro dei militanti e contro la classe operaia in generale. Il contrasto tra la severità delle pene chieste per i compagni ed il silenzio benevolo e complice che ha coperto dei criminali di guerra come Karadzic e Mladic per tanti anni dalla guerra nella ex-Iugoslavia è tanto loquace sull’ipocrisia d’accusa di “terrorismo” che di più non si può.
Esprimiamo tutta la nostra solidarietà verso i militanti incarcerati e le loro famiglie e incoraggiamo i nostri lettori a diffondere il più largamente possibile la dichiarazione della CNT-AIT.
CCI, 27 ottobre 2009
COMUNICATO della CNT-AIT di Marsiglia
Sicuramente siete al corrente che dei militanti anarco-sindacalisti serbi, tra cui l’attuale segretario dell’AIT, sono detenuti nella prigione di Belgrado. La procedura adottata nei loro confronti è quella di “terrorismo” e, per il momento, non sappiamo fin dove essa arriverà. L’accusa si basa su delle citazioni per danni materiali minimi che sarebbero stati commessi da un gruppo anarchico contro l’ambasciata greca di Belgrado in solidarietà con un compagno greco ancora incarcerato. Gli imputati negano i fatti, ma rischiano dai 3 ai 15 anni di reclusione.
Questa sproporzione tra i fatti addebitati e l’accusa ci fa pensare che la volontà del potere serbo sia di mettere la museruola ai nostri compagni la cui attività militante arreca visibilmente disturbo.
Vi chiediamo con la presente di diffondere il più largamente possibile il seguente comunicato dell'ASI:
“Il 4 settembre 2009, il Tribunale locale di Belgrado ha deciso che i militanti dell’ASI saranno incarcerati per 30 giorni. I nostri compagni sono accusati di un atto di “terrorismo internazionale”.
La Confederazione di sindacati “Iniziativa anarco-sindacalista” è stata informata dai media dell’attacco contro l’ambasciata greca e dell’organizzazione che l’ha rivendicata. Profittiamo dell’occasione per ricordare ancora una volta all’opinione pubblica che questi mezzi di lotta politica individualistica non sono quelli dell’anarco-sindacalismo, al contrario: noi affermiamo pubblicamente le nostre posizioni politiche e cerchiamo di attirare le masse verso il movimento sindacalista e le organizzazioni libertarie e progressiste attraverso la nostra azione.
Lo Stato vuole fare tacere le nostre critiche con i suoi mezzi di repressione e lo fa con la sua assurda logica, dichiarando sospetti quelli che esprimono pubblicamente il loro punto di vista libertario e conclude l’atto arrestandoli per dare una falsa immagine all’opinione pubblica. Si possono notare, fin dai primi momenti della detenzione, le forme poco scrupolose d’azione delle istituzioni del regime, la perquisizione illegale degli appartamenti, l’intimidazione delle famiglie e le accuse sproporzionate di terrorismo internazionale.
Sebbene noi non sosteniamo le azioni dell’ormai celebre gruppo anarchico “Crni Ilija”, non possiamo caratterizzarlo come “terrorismo internazionale” poiché il terrorismo, per definizione, è una minaccia contro la vita di civili, mentre in questo caso nessuno è stato ferito e i danni materiali sono stati simbolici. È chiaro che questa farsa dello Stato è una maniera per intimidire coloro che denunciano l'ingiustizia e la disperazione di questa società.
In questi tempi di narcosi sociale ci sono individui che scelgono di fare azioni incredibili, talvolta auto lesive, per rompere il blocco mediatico ed attirare l’attenzione sulle loro richieste (ricordiamoci dei lavoratori che si sono tagliate le dita e che le hanno mangiate, oppure di quell’uomo disperato che ha minacciato di fare esplodere una granata nell’edificio della Presidenza serba), il tutto per far conoscere in modo più ampio possibile i loro problemi.
Noi non lasceremo passare il tentativo di far credere che un tale atto simbolico di solidarietà, benché espresso in modo sbagliato, possa essere considerato come un atto antisociale o terroristico, così come qualunque atto di ribellione di coloro che sono stati privati dei loro diritti. Esprimiamo la nostra solidarietà ai compagni incarcerati ed alle loro famiglie e chiediamo che vanga stabilita la verità su questo fatto.
Libertà per gli anarco-sindicalisti! Iniziativa anarco-sindacalista.
5 settembre 2009
Salute compagni, voglio leggere il finale del Manifesto Comunista:
“Sulla Germania i comunisti rivolgono principalmente la loro attenzione, perché la Germania è alla vigilia della rivoluzione borghese, e perché essa compie tale rivoluzione in condizioni di civiltà generale europea più progredite e con un proletariato molto più sviluppato che non avessero l’Inghilterra nel secolo XVII e la Francia nel XVIII; per cui la rivoluzione borghese tedesca non può essere che l’immediato preludio di una rivoluzione proletaria.
In una parola, i comunisti appoggiano ovunque ogni moto rivoluzionario contro le condizioni sociali e politiche esistenti.
In tutti questi movimenti essi mettono avanti sempre la questione della proprietà, abbia essa raggiunto una forma più o meno sviluppata, come la questione fondamentale del movimento.
Infine, i comunisti lavorano per l’unione e l’accordo tra i partiti democratici di tutti i paesi.
I comunisti sdegnano di nascondere le proprie idee e i propri fini. Proclamano apertamente che i loro obiettivi si possono realizzare solo rovesciando con la violenza l’ordine sociale esistente. Le classi dominanti devono tremare di fronte a una Rivoluzione Comunista. I proletari non hanno da perdere che le loro catene. Ed hanno un mondo da guadagnare”.
Dopo anni che non parlavate di anarchici, ora parlate di due gruppi anarchici del Messico che sul loro sito web attaccano Marx e idealizzano Bakunin, come un essere creato per arrivare ad essere il DIO di tutti gli anarchici.
Se si guarda il loro sito, si trovano insulti contro Marx. Noi, in quanto comunisti, dobbiamo fare attenzione a questi compagni di viaggio, come Marx spiegò bene nel Manifesto Comunista e in tutte le discussioni che tenne con Bakunin, e dopo di lui Lenin. Vedo che voi state dando fiducia a molti gruppi che stanno nascendo in America Latina, che li state sopravvalutando per il fatto che una organizzazione della Sinistra comunista, come la CCI, solidarizza con le lotte dei lavoratori.
Vorrei ancora sapere come avete solidarizzato con quelli di Luz y Fuerza, mentre penso che i comunisti devono organizzarsi al di fuori di ogni altro gruppo, che non bisogna dimenticare le lezioni di Marx a proposito dell’anarchismo. Mi sembra che voi stiate abbassando la guardia, che non vedete che sul loro sito ci stanno insultando perché siamo marxisti, e che si stanno accodando agli altri gruppi anarchici, mentre la CCI vacilla; è vero che stanno sorgendo molti gruppi, ma di che ideologia sono? Sono comunisti o anarchici? Gli anarchici non hanno mai visto di buon occhio i comunisti e bisogna fare molta attenzione perché ci possono distruggere.
Voi state abbassando la guardia e spero che non vi anarchizziate.
Un forte abbraccio ai compagni di AP (CCI).
Fraterni saluti.
SOC. Salute
LA NOSTRA RISPOSTA
Caro SOC,
abbiamo letto la tua lettera e apprezzato la tua franchezza. Riceviamo le tue osservazioni e le tue critiche con fiducia e ti rispondiamo in maniera non difensiva ma sviluppando i motivi del nostro atteggiamento. Al tempo stesso ci auguriamo che tuo atteggiamento sia sempre ispirato dalla fiducia e dall’onesto desiderio di spingere la Sinistra comunista nel cammino della rivoluzione mondiale.
La prima questione che vogliamo affrontare e che sembra essere una delle tue preoccupazioni è il “nuovo” atteggiamento della CCI verso l’anarchismo. La nostra posizione in proposito non è cambiata. Quando parliamo dell’anarchismo dobbiamo fare varie distinzioni perché, se mettiamo in un unico sacco tutto quello che si riferisce all’anarchismo, facciamo confusione.
Innanzitutto c’è quello che si chiama Anarchismo ufficiale con organizzazioni che hanno appoggiato la seconda guerra mondiale o, prima ancora con Kropotkin, la prima guerra mondiale o che, con la CNT, hanno partecipato con propri ministri al governo dello Stato spagnolo nel 1936 e trascinato attivamente il proletariato e tutta la popolazione nella guerra civile spagnola del 1936. L’Anarchismo ufficiale appartiene al campo borghese allo stesso titolo di altre correnti che si richiamano al “marxismo”, come lo stalinismo, la socialdemocrazia, il trotskysmo, ecc. Con ognuna di queste non è possibile alcun dialogo e per una ragione essenziale: hanno tutte calpestato l’arma più importante del proletariato, l’INTERNAZIONALISMO, abbracciando in cambio la difesa della guerra imperialista e del capitale nazionale.
In secondo luogo, dobbiamo prendere in considerazione l’ideologia anarchica. Essa esprime una volontà di lotta contro lo sfruttamento e l’oppressione e, per questo, si situa inequivocabilmente sul terreno della lotta contro il capitalismo.
Condividendo chiaramente questo terreno, le divergenze che abbiamo si situano al livello del metodo, ed in particolare su due aspetti:
Ma, in terzo luogo, dobbiamo riconoscere una realtà che è indiscutibile: ci sono gruppi e collettivi che, richiamandosi all’anarchismo o avendo simpatia per alcune sue posizioni, sono animati da uno spirito proletario di ricerca di posizioni di classe genuine. Con questi gruppi non solo è necessario il dibattito, ma anche una collaborazione perché essi fanno parte dello sforzo di presa di coscienza che esiste nella classe e questo lo facciamo con massima lealtà e spirito fraterno, al di là della etichette che essi si danno o di questa o quella posizione particolare con cui noi non siamo d’accordo.
Per quanto riguarda poi la collaborazione con gli anarchici in Messico, dobbiamo aggiungere una seconda spiegazione. La sezione della CCI in Messico ha avuto quasi 4 anni di discussioni, incontri e collaborazione con il GSL. Questo gruppo ha dovuto confrontarsi con gli attacchi dell’anarchismo “ufficiale” ogni volta che ha preso una posizione internazionalista e ha tenuto a dire che “staremo con la CCI se questa difende l’internazionalismo proletario, se altri anarchici difendono il nazionalismo in qualunque sua forma noi non staremo con loro.” E’ questo principio fondamentale che ha permesso un lavoro comune. Qualcosa di simile è successo con i compagni del PAM (spinti dai compagni del GSL a venire alle nostre riunioni pubbliche e a leggere la nostra stampa) che condividono con la CCI l’internazionalismo, la denuncia dei sindacati, del parlamentarismo e del suo circo elettorale, il nazionalismo e, in maniera esplicita, condividono con la CCI una denuncia dell’anarchismo ufficiale.
Nel caso degli elettricisti di Luz e Fuerza del Centro, prima dell’enorme attacco e della odiosa trappola sindacale, questi compagni hanno stabilito una collaborazione con la CCI e hanno condiviso pienamente la denuncia dello Stato, della sinistra del capitale, dei sindacati e dell’estrema sinistra (i trotzkisti, per esempio), che l’attacco era brutale ed era in realtà contro tutta la classe, che la difesa del sindacalismo e delle “istituzioni democratiche” era una trappola.
Il GSL ha fatto un viaggio di 12 ore in autobus per partecipare, nel Distretto federale, ad una manifestazione di 100.000 partecipanti in cui abbiamo diffuso un volantino che avevamo preparato assieme. Anche il PAM ha partecipato alla diffusione del volantino. C’è stata inoltre una riunione comune e insieme abbiamo portato avanti la denuncia di questo enorme attacco. Essi hanno insistito sul fatto che “essere controcorrente” rispetto a tutti (l’ambiente era quello della difesa del sindacato, dell’impresa pubblica, delle “conquiste operaie” ed altri luoghi comuni della sinistra del capitale) non li turbava affatto e che anzi questo rafforzava il sentimento di stare sulla giusta strada. Noi siamo stati molto soddisfatti di condividere con loro questo orientamento proletario.
Sappiamo che esistono delle differenze, ma cercheremo di realizzare delle attività in comune, attività che portino ad un avanzamento nella coscienza che è la premessa per demolire questo regime putrescente.
Infine, noi comunisti sappiamo che la risposta a questa società basata sullo sfruttamento sorgerà dal seno stesso della lotta contro l’alienazione. Sappiamo anche che questa risposta nascerà attraverso vacillamenti, errori, in rottura e facendo i conti con tutto il peso di secoli di dominazione. E’ vero che sui siti di questi gruppi si possono incontrare cose come “insulti” al marxismo, ma ci sono anche sforzi per porsi a fianco del proletariato, sforzi sinceramente internazionalisti. Anche se si dicono “non marxisti”, essi risultano più internazionalisti di molti altri, come ad esempio i trotskysti che a parole si dicono internazionalisti. Molti operai che oggi “rinnegano” il comunismo, o perché lo identificano con lo stalinismo o perché non lo capiscono, domani saranno in prima linea nella lotta per la rivoluzione mondiale. L’importante è come organizzare una lotta comune, come avanzare nella unificazione degli sforzi del proletariato. Siamo convinti che il volantino firmato assieme è un tentativo che va nella prospettiva di creare un polo di raggruppamento intorno alla difesa di un internazionalismo nei fatti (vedi per esempio la risposta che esso ha suscitato in gruppi del Perù e dell’Equador). Una caratteristica essenziale di questi gruppi (GSL e PAM) è che essi sono composti da elementi molto giovani, che non sono segnati dall’anarchismo “ufficiale” e che sono animati dalla volontà di andare incontro al proletariato; per questi motivi lavoreremo con loro fraternamente e senza riserve, perché siamo coscienti che procediamo sulla stessa strada. Come dicevamo all’inizio, questo lavoro in comune non costituisce una “politica di alleanza”, nello stile dell’estrema sinistra del capitale, si tratta di un intervento comune basato innanzitutto su un accordo su questioni di principio (non è un’apertura pubblica, per tutti e senza criteri). Sappiamo che ci sono differenze che stiamo discutendo, e può anche essere che non riusciremo mai a convincerli a “diventare marxisti”, ma potremo in cambio costruire un ambiente di solidarietà, di fiducia, di dibattito, che prepari, di fronte al futuro, una lotta a morte contro il capitale. Lotteremo per questo sapendo che in questa battaglia non ci sono garanzie. Speriamo che questi elementi di riflessione aiutino ad avanzare nella comprensione dell’intervento dei comunisti.
Restiamo in attesa di tuoi commenti per poter andare più avanti nella riflessione o, almeno, che i dubbi e le critiche ci aiutino ad approfondire le nostre idee.
Fraternamente. CCI 08-12-09
La teoria darwinista dell’evoluzione contro il creazionismo
150 anni fa, nel novembre 1859, Darwin pubblicava l’Origine delle specie. Questo lavoro, basato su un’abbondante raccolta di osservazioni e sperimentazioni nella natura, ha rivoluzionato la visione delle origini dell’uomo e della sua collocazione nell’universo dei viventi. Essa dimostrava per la prima volta che esisteva una base comune allo sviluppo delle specie e degli esseri viventi, basandosi e superando i lavori precedenti di naturalisti come Leclerc e Linneo fino al trasformismo di Lamarck[1]. La teoria di Darwin mirava a dimostrare in modo dialettico, rigoroso e scientifico, la capacità di adattamento degli esseri viventi nel loro ambiente e ad integrare questa teoria in una nuova concezione dell’evoluzione delle specie. Appariva così l’esistenza di una genealogia comune agli esseri viventi che si iscrivono in una filiazione in seno alla quale l’essere umano non era più una specie superiore scelta e creata di tutto punto da Dio, ma il prodotto aleatorio di una differenziazione tra le specie. Si trattava di una rimessa in causa radicale degli “insegnamenti” della Bibbia e della sua Genesi che confutava l’idea di una creazione divina, ed annullava tutte le tradizioni religiose monoteiste (cristianesimo, giudaismo, islam). Questo approccio materialista e scientifico di Darwin fu subito attaccato violentemente da ogni parte, ed in particolare dagli stessi dogmi religiosi che avevano messo alla gogna del pensiero umano Galileo e Copernico (teorici che, per primi, con le loro scoperte scientifiche avevano rigettato il geocentrismo religioso che pretendeva che la Terra fosse il centro dell’universo, e soprattutto, il centro della Creazione divina).
Lo scandalo di questa scoperta di Darwin non risiedeva tanto nell’avere evidenziato l’evoluzione delle specie ma nel fatto che le interazioni agenti in questa evoluzione non ubbidiscono a nessuna finalità in natura[2]. “L’albero della vita” non somiglia ad un grande albero genealogico gerarchizzato, una piramide al cui vertice si troverebbe l’uomo, homo sapiens, ma ad un albero cespuglioso alla cui base ci sono tutte le forme di vita più vecchie e di cui l’uomo sarebbe solamente una specie particolare, tra milioni delle innumerevoli ramificazioni ancora presenti sulla terra. Questa visione implica una parentela ed una filiazione comune tra l’uomo e le forme di vita più elementari come l’ameba. Ciò appare insopportabile per i numerosi animi che subiscono, molto spesso inconsapevolmente, la costrizione dell’arretramento religioso. Ancora oggi l’approccio ed il procedere di Darwin sono rimessi in causa con virulenza, mentre tutti gli apporti scientifici in paleontologia, in biologia, in genetica ed in ben altri campi della conoscenza, non hanno fatto che confermare la validità della teoria di Darwin[3]. Le religioni sono state costrette tuttavia a mascherare il prosieguo della loro crociata anti-darwinista propagando un’ideologia che mira a mantenere la credenza religiosa dietro una pseudo “costruzione scientifica” alternativa: il “disegno intelligente” (intelligent design). In effetti la chiesa non difende più il creazionismo come ai tempi di Darwin. Ricordiamo il dibattito che oppose il vescovo di Oxford, Samuel Wilberforce a Thomas Huxley, ardente difensore dell’evoluzionismo nel 1860. Il primo scherniva il secondo chiedendogli: “È attraverso vostro nonno o vostra nonna che discendete da una scimmia, Signore Huxley?”. E questo gli avrebbe ribattuto: “Non avrei vergogna di avere una scimmia per avo, ma di essere imparentato ad un uomo che utilizza il suo talento per oscurare la verità!”. La chiesa cattolica non ha mai osato mettere L’Origine delle specie all’indice dei libri vietati ma, l’ha condannata ufficiosamente e si è rifiutata per molto tempo di parlare dell’evoluzione nei programmi scolastici che essa promulgava. Oggi la religione si è adattata mettendo avanti una dottrina più sorniona e perniciosa: il “disegno intelligente”. Secondo questa “teoria” c’è stata un’evoluzione ma questa sarebbe stata voluta e “pilotata” da un potere “divino”. Così, l’uomo non sarebbe un “caso della natura” ma realmente il frutto della volontà di un creatore tanto potente da desiderarlo e “programmarlo”.
Questa variante del creazionismo approfitta dell’attuale ritorno di popolarità di ideologie spiritualistiche, oscurantiste e settarie. Queste ideologie reazionarie sono spesso inoculate direttamente da certe frazioni della borghesia che ne fanno materia per manipolare masse di popolazioni disorientate e disperate dalla miseria, dalla barbarie e dalla mancanza di prospettive del mondo capitalista. È proprio questo che le spinge ad evadere dalla realtà obiettiva, rifugiandosi nella fede, nella credenza cieca in un aldilà, in un “ordine superiore”, invisibile ed onnipotente che sfugge ad ogni pensiero razionale. La credenza in un Dio creatore onnipotente e la proliferazione di ogni tipo di sette (che ne traggono d’altra parte un profitto mercantile pienamente capitalista) sono state utilizzate dalle ideologie della New Age per cristallizzare le paure, le sofferenze, le angosce proprie degli infelici, disorientati di fronte al vicolo cieco della società capitalista. Questa constatazione dimostra la pertinenza dell’analisi che ne dava Marx fin dal 1843 nella sua Critica della filosofia politica di Hegel: “La miseria religiosa è allo stesso tempo l’espressione della miseria reale e la protesta contro la miseria reale. La religione è il sospiro della creatura prostrata dalla disgrazia, l’anima di un mondo senza cuore, lo spirito di un stato di cose dove non c’è affatto spirito. Essa è l’oppio del popolo”.
La religione è sempre stata il primo bastione delle forze conservatrici e reazionarie per anestetizzare le coscienze contro le conquiste scientifiche. Tenta di adattarsi per cercare di preservare lo status quo pretendendo di essere sempre un rifugio per “consolare gli uomini delle disgrazie della società”, sottomettendoli ad una credenza e soprattutto ad una sottomissione verso l’ordine sociale esistente.
La teoria reazionaria del “disegno intelligente”
Il “disegno intelligente” si pone al rango di teoria scientifica con la scusa di cercare di conciliare l’evoluzionismo ed il creazionismo. Presenta l’uno e l’altro come scelte “filosofiche” concorrenti che cercano fraudolentemente di darsi una base scientifica. Il precursore del “disegno intelligente”, il gesuita Teilhard di Chardin (1881-1955), ha cercato negli anni ‘20 di dimostrare, per esempio, che esiste una teleologia, una finalità nell’evoluzione chiamata “punto Omega”, definito come il polo divino di convergenza e di armonizzazione che culmina nella “noosfera”, tipo di beatitudine celeste animata dallo spirito divino … Ben più che nel cattolicesimo, è nel protestantesimo e le sue diverse varietà di “chiese evangeliche”, basandosi sulla lettura strettamente letterale della Bibbia, che si troveranno gli avversari più accaniti di Darwin (è questa del resto la ragione del successo dell’Intelligent Design negli Stati Uniti, in particolare durante gli “anni Bush”, dove il governo la sosteneva quasi apertamente!). Gli obiettivi dei propagandisti attuali del “piano intelligente” sono stati definiti chiaramente dal think tank[4] all’origine del movimento, il Discovery Institute, in un documento ad uso interno, The Wedge. Alcune fughe permetteranno la sua diffusione nel 1999. In questo documento sono definiti senza la minima ambiguità gli obiettivi principali del Discovery Institute[5]: in primo luogo si tratta per esso di “vincere il materialismo scientifico e le sue eredità morali, culturali e scientifiche; poi di sostituire le spiegazioni materialiste con la comprensione che la natura e l’essere umano sono creati da Dio”. Il suo progetto a breve o medio termine è “veder diventare la teoria del disegno intelligente un’alternativa accettata nelle scienze e vedere delle ricerche scientifiche condotte nella prospettiva della teoria del disegno; assistere all’inizio dell’influenza della teoria del disegno in altre sfere oltre che in quella delle scienze naturali; vedere posti all’ordine del giorno nazionale nuovi e più ampi dibattiti nell’educazione, su gli argomenti relativi alla vita, la responsabilità penale e personale”. È infatti nel dominio prioritario dell’educazione scolastica e dell’insegnamento, e parallelamente sul piano giuridico, che questo dogma spinge la sua offensiva, pur cercando di seminare la confusione nei circoli scientifici, al fine di radicarsi in tutte le sfere della società, grazie soprattutto a campagne pubblicitarie e di manipolazione dell’opinione (publicity and opinione making). Internet gli ha aperto anche un immenso serbatoio per scaricare la sua propaganda, come i missionari partiti alla conquista della “conversione” del mondo all’epoca della colonizzazione delle nuove terre. Il principio è far passare il “disegno intelligente” come ipotesi “scientifica” concorrente al darwinismo. Esso manifesta anche la sua ambizione di “vedere la teoria del disegno intelligente come prospettiva dominante nella scienza; vedere delle applicazioni della teoria del disegno nei campi specifici che includano la biologia molecolare, la biochimica, la paleontologia, la fisica e la cosmologia nelle scienze naturali; la psicologia, l’etica, la politica, la teologia, la filosofia e le materie letterarie; vedere la sua influenza nelle arti”. Ma questa esposizione al grande pubblico delle mire fondamentaliste del “disegno intelligente” ha avuto il suo rovescio della medaglia: ha portato un duro colpo ai suoi promotori che, non potendo negare l’esistenza del documento, ne propongono oggi una versione edulcorata.
Tuttavia, questo progetto è stato ripreso con forza e si è esteso in particolare nel mondo musulmano. Dalla Turchia, Harun Yahia, il cui vero nome è Adnan Oktar, alla testa di una lobby mafiosa, ha cominciato a diffondere gratuitamente e massicciamente la sua propaganda presso gli insegnanti e i capi di istituti di collegi e licei. Ha inondato le scuole nel mondo intero col suo Atlante della Creazione, anche via Internet. Ha prodotto anche più di 200 film documentari e 300 lavori già tradotti in una sessantina di lingue. I tentativi di rendere irriconoscibile la storia dello sviluppo delle specie e degli esseri viventi, così come tutte le menzogne inventate dalle classi dominanti nella storia dell’umanità, fanno parte dello stesso lavaggio del cervello per frenare lo sviluppo della coscienza (in particolare dei proletari) per inebetirli ed impedirgli di liberarsi delle loro catene. È attraverso l’oscurantismo che diffondono il riflesso della putrefazione della società capitalista e le maschere ideologiche che gettano sulla realtà del mondo serve solo a preservare i rapporti di sfruttamento. L’approccio religioso è solamente una di queste maschere.
Scienza e coscienza
Tutto oppone la credenza religiosa alla scienza ed al metodo scientifico. Per la religione e la tradizione teologica il sapere, la conoscenza non possono che essere, in fin dei conti, di natura divina e restare inaccessibili al comune mortale. Il metodo materialista della scienza (i fatti e lo studio delle reazioni, le differenze o le similitudini, e le condizioni che le determinano sono la base di ogni esperienza scientifica) non è né una “filosofia” né una “ideologia” ma la condizione necessaria di un approccio cosciente e storico dei rapporti tra l’uomo ed il suo ambiente naturale, ivi compreso prendendo come oggetto di studio il suo comportamento; è un approccio verso i limiti della conoscenza che non fissa in anticipo alcun limite. Lo sviluppo della scienza è totalmente associato allo sviluppo della coscienza nell’umanità. La scienza ha una storia, ma una storia né lineare, né legata meccanicamente ai progressi tecnici o alle tecnologie avanzate (ciò che esclude ogni “positivismo”, ogni idea di “progressismo”). È intimamente legata ai rapporti sociali di produzione da cui è condizionata. La credenza si basa su della paure di fronte all’ignoto. Contrariamente ai pregiudizi religiosi (che sono innanzitutto un’ideologia al servizio dell’ordine esistente, del potere stabilito che attinge la loro salvaguardia nel conservatorismo e lo status quo) lo sviluppo della coscienza è l’elemento motore che accompagna lo sviluppo della scienza. Il metodo scientifico non teme la messa in causa delle sue ipotesi, lo sconvolgimento delle sue esperienze e per questo si evolve ed è dinamico. Come dice Patrick Tort (L’effetto Darwin): “La scienza inventa, progredisce e si trasforma. L’ideologia recupera, si adatta e rimaneggia se stessa”.
E, come è citato in un articolo del Monde de l’Education[6], del giugno 2005: “il ‘dialogo' tra scienza e religione è una finzione inventata dalla politica. In effetti non c’è niente in comune né può essere scambiato tra la ricerca immanente della conoscenza obiettiva e il ricorso al soprannaturale che caratterizza la posizione del credente. Se si ammettesse una sola volta che un elemento soprannaturale può contribuire a costruire la spiegazione scientifica di un fenomeno, si rinuncerebbe in un sol colpo alla coerenza metodologica di tutta la scienza. Il metodo scientifico non si negozia. E’necessaria tutta la scaltrezza del liberismo individualistico (…) per convincere che ci possa essere una via di mezzo tra la spiegazione scientifica e le interpretazioni teologiche, o che queste possano essere combinate, come se la legge della caduta dei corpi fosse stato un fatto di convinzione personale, di democrazia elettiva o di ‘libertà'”.
In effetti, il termine “politica” non ha senso in questa citazione se non come politica della classe dominante. Ecco perché il metodo scientifico di un Copernico, di un Marx, di un Engels o di un Darwin è stato, ed è ancora per la maggior parte di loro, combattuto o deformato con un tale accanimento da parte di coloro che difendono l’immutabilità di un ordine sociale.
W (24/11/09)
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Alcuni precursori di Darwin
Dopo la pubblicazione della teoria dell’evoluzione di Darwin, Leclerc, Linneo e Lamarck sono stati screditati largamente e gettati in parte nella pattumiera della storia. Tutte le parti superate delle loro tesi sono state additate come errori grossolani e vergognosi. Tuttavia, in realtà, ciascuno ha contribuito a fare avanzare la conoscenza, in quanto il lavoro di ognuno di loro, pur con i suoi limiti, ha permesso il superamento degli altri. E’per tale motivo che possiamo dire che furono tutti e tre dei precursori, dei maestri di pensiero per Darwin. Non è un caso se essi hanno rilevato le somiglianze tra l’uomo e la scimmia e le possibilità di una genealogia comune.
L’attenzione che Georges-Louis Leclerc, conte di Buffon (1707-1788) attribuì all’anatomia interna lo pone tra i precursori dell’anatomia comparativa. “L’interno negli esseri viventi è la base del disegno della natura”, scrive nei Quadrupedi. Leclerc va contro la religione: pone deliberatamente l’uomo al centro del regno animale. Anche se conviene che non bisogna fermarsi all’aspetto esterno perché l’uomo ha una “anima” dotata di ragione che lo pone al vertice della creazione, afferma che l’uomo è simile agli animali per la sua fisiologia. Dimostra che esistono altrettante varietà di uomini neri come di uomini bianchi; dopo parecchie generazioni un gruppo di uomini bianchi in un particolare ambiente naturale diventerebbe nero; esiste solamente una sola specie umana e non diverse. Ne conclude che le varietà umane sono generate da un ceppo iniziale che si è adattato, secondo l’ambiente in cui abitano.
In quanto a Linneo (1707-1778) è un naturalista “fissista”. Per lui le specie viventi sono state create da Dio all’epoca della Genesi e da allora non hanno subito variazioni. Lo scopo primo del suo sistema è dimostrare la grandezza della creazione divina. Tuttavia, data l’importanza che attribuisce agli organi di riproduzione delle piante, è importante notare che la pertinenza del suo sistema di classificazione richiama inevitabilmente ipotesi evoluzionistiche: poiché tale specie somiglia straordinariamente a quella specie vicina, perché non presumere che l’una ha preceduto l’altra nel tempo? Anche la scelta degli organi di riproduzione come criterio andava nel senso di un’interpretazione dinamica ed evoluzionista della storia delle piante.
Lamarck (1744-1829) è un naturalista conosciuto per avere proposto per primo una teoria materialista e meccanicistica della vita e dell’evoluzione degli esseri viventi. È anche uno dei rari evoluzionisti ad avere compreso la necessità teorica dell’evoluzione degli esseri viventi. La sua teoria trasformista è fondata su due principi: la sua tesi sull’evoluzione afferma che gli individui si adattano durante la loro vita in particolare utilizzando più o meno certe funzioni organiche, che si sviluppano o si attenuano in rapporto all’uso o non uso degli organi. E’ questo che scriveva Lamarck a proposito della giraffa per esempio: “Relativamente alle abitudini, è curioso osservarne il prodotto nella forma particolare e la taglia della giraffa (camelo-pardalis): si sa che questo animale, il più grande dei mammiferi, abita l’interno dell’Africa, e vive nei luoghi dove la terra, quasi sempre arida e senza pascolo, l’obbliga a brucare il fogliame degli alberi, sforzandosi continuamente per raggiungerlo. Il risultato di questo comportamento, sostenuto per molto tempo e da tutti gli individui della sua razza, ha determinato che le sue zampe anteriori sono diventate più lunghe delle posteriori e che il suo collo si è esteso talmente che la giraffa, senza drizzarsi sulle gambe posteriori, alzando la testa raggiunge i sei metri d’altezza (circa a venti piedi)” (Lamarck, Filosofia zoologica).
W.
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[2] Si potrebbero aggiungere a questi “scandali” causati dalla scienza, le resistenze agli avanzamenti della paleontologia (che confermano le deduzioni di Darwin) che fanno degli altopiani africani la culla dell’umanità ed assestano quindi un colpo ferale alla pretesa “superiorità della razza bianca portatrice di civiltà” (leggi in particolarmente Richard E. Leakey, le Origini dell’uomo, edizione Superbur, scienza).
[3] Abbiamo visto in precedenti articoli che la visione darwinista è stata anche abbondantemente snaturata e deformata con interpretazioni reazionarie che vanno dal “darwinismo sociale” di Spencer all’eugenetica razzista di Galton, d’altro canto esplicitamente rigettate dallo stesso Darwin (leggi “Il darwinismo sociale: un’ideologia reazionaria del capitalismo”, Revolution Internationale n.404, settembre 2009, sul nostro sito).
[4] Un think tank (letteralmente “serbatoio di pensiero”) è un organismo [15], un istituto [16], una società [17] o un gruppo, tendenzialmente indipendente dalle forze politiche [18] (anche se non mancano think tank governativi), che si occupa di analisi delle politiche pubbliche [19].
[5] Vedi gli articoli “Creazionismo” e “Disegno intelligente” sul sito Wikipedia di Internet.
[6] Supplemento alla testata francese Le Monde
Links
[1] https://archivio.blitzquotidiano.it/agenzie/roma-suicida-operaio-la-ericsson-lo-vuole-licenziare-lui-si-getta-dal-tetto-della-fabbrica-29830/
[2] http://www.campaniapress.com/?p=4602
[3] https://it.internationalism.org/en/tag/situazione-italiana/lotte-italia
[4] https://it.internationalism.org/en/tag/2/29/lotta-proletaria
[5] https://it.internationalism.org/en/tag/4/84/iran
[6] https://it.internationalism.org/en/tag/3/47/economia
[7] https://it.internationalism.org/content/gb-scioperi-nelle-raffinerie-di-petrolio-e-nelle-centrali-elettriche-gli-operai-cominciano
[8] https://it.internationalism.org/en/tag/4/75/italia
[9] https://www.planetoscope.com/biodiversite
[10] https://www.futura-sciences.com/planete/actualites/climatologie-rechauffement-climatique-vers-30000-morts-an-chine-2-c-19468/
[11] https://it.internationalism.org/en/tag/3/42/ambiente
[12] https://it.internationalism.org/en/tag/vita-della-cci/corrispondenza-con-altri-gruppi
[13] https://it.internationalism.org/en/tag/correnti-politiche-e-riferimenti/anarchismo-internationalista
[14] https://it.internationalism.org/en/tag/vita-della-cci/lettere-dei-lettori
[15] https://it.wikipedia.org/wiki/Organismo
[16] https://it.wikipedia.org/wiki/Istituto
[17] https://it.wikipedia.org/wiki/Societ%C3%A0
[18] https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Forze_politiche&action=edit&redlink=1
[19] https://it.wikipedia.org/wiki/Analisi_delle_politiche_pubbliche