Il 24 settembre scorso il presidente degli Stati Uniti George W. Bush, di fronte a commentatori e giornalisti del mondo intero, ha fatto un discorso “inusuale”. Nel suo intervento televisivo ha annunciato senza mezzi termini quali tormente stavano per abbattersi sul “popolo americano”:
“E’ un periodo straordinario per l’economia degli Stati Uniti. Da alcune settimane molti americani sono in ansia per la loro situazione finanziaria ed il loro avvenire. (…) Abbiamo osservato grandi fluttuazioni della Borsa. Grandi istituti finanziari sono sul bordo del crollo ed alcuni sono falliti. Mentre l’incertezza aumenta, numerose banche hanno proceduto ad una contrazione del credito. Il mercato creditizio è bloccato. Le famiglie e le imprese hanno più difficoltà a prendere in prestito del denaro. Siamo nel mezzo di una crisi finanziaria grave (…) tutta la nostra economia è in pericolo. (…) Settori chiave del sistema finanziario degli Stati Uniti rischiano di crollare. (...) L’America potrebbe affondare nel panico finanziario, ed assisteremmo ad uno scenario desolante. Nuove banche potrebbero fallire, alcune nella vostra comunità. Il mercato borsistico crollerebbe ancora più, riducendo il valore della vostra pensione. Il valore della vostra casa cadrebbe. I pignoramenti si moltiplicherebbero. (...). Numerose imprese dovrebbero chiudere e milioni di americani perderebbero il posto di lavoro. Anche con un buono bilancio creditore, vi sarebbe difficile ottenere i prestiti di cui avreste bisogno per comperare un’auto o mandare i vostri figli all’università. In fin dei conti, il nostro paese potrebbe affondare in una lunga e dolorosa recessione”.
L’economia mondiale scossa dal sisma finanziario
In realtà non è solo l’economia americana che rischia di “affondare in una lunga e dolorosa recessione” ma l’insieme dell’economia mondiale. Gli Stati Uniti, motore della crescita da sessant’anni, trascinano questa volta l’economia mondiale verso il baratro!
L’elenco degli organismi finanziari in grave difficoltà si allunga ogni giorno:
- in febbraio, la Northern Rock, l’ottava banca inglese, ha dovuto essere nazionalizzata altrimenti sarebbe scomparsa;
- in marzo, la Bear Stearns, la quinta banca di Wall Street, si salva grazie al suo riacquisto da parte della JP Mogan, terza banca americana, attraverso i fondi della Banca federale americana (FES);
- in luglio, Indymac, uno dei più grandi istituti di credito ipotecario americano, viene messo sotto tutela dalle autorità federali. In quel momento la più importante impresa bancaria che fallisce negli USA da ventiquattro anni! Ma il suo record non durerà a lungo;
- inizio settembre, il gioco al massacro continua. Freddie Mac e Fannie Mae, due organismi di rifinanziamento ipotecario che da soli contano circa 850 miliardi di dollari, evitano per un pelo il fallimento con un nuovo soccorso della FED (banca centrale americana);
- qualche giorno dopo, la Lehman Brothers, la quarta banca americana, si dichiara in fallimento e questa volta la FED non la salva. Al 31 maggio il totale dei suoi debiti ammontava a 613 miliardi di dollari. Record battuto! Il fallimento più grande di una banca americana finora, quella della Continental Illinois nel 1984, metteva in gioco una somma sedici volte più modesta (cioè 40 miliardi di dollari)! Questo mostra tutta la gravità della situazione.
- per evitare di essere colpita dalla stessa sorte, la Merrill Lynch, altro fiore all’occhiello americano, ha dovuto accettare di essere acquistata in tutta fretta da Bank of America;
- stessa sorte per HBOS riacquistata dalla sua compatriota e rivale Lloyds TSB (reciprocamente seconda e prima banca della Scozia);
- l’AIG (American International Group, uno dei maggiori istituti di assicurazione a livello mondiale) è stato foraggiato copiosamente dalla Banca centrale americana. In realtà, anche le stesse finanze dello Stato americano stanno maluccio e per questo la FED aveva deciso di non soccorrere la Lehman Brothers. Se lo ha fatto per l’AIG, è perché se questo organismo fosse fallito, la situazione sarebbe diventata completamente incontrollabile;
- nuovo record! Ad appena due settimane dalla Lehman Brothers è la Washington Mutual (WaMu), la più importante cassa di risparmio degli Stati Uniti, a chiudere i battenti![1]
Inevitabilmente anche le Borse sono prese dalla tormenta. Regolarmente crollano del 3, 4 o 5% ad ogni fallimento. La Borsa di Mosca ha dovuto finanche chiudere i battenti per vari giorni, a metà settembre, in seguito a cadute successive che superavano il 10%.
Verso un nuovo 1929?
Di fronte a questa serie di cattive notizie, anche i maggiori specialisti dell’economia restano sconvolti. Alan Greenspan, l’ex presidente della FED considerato come un mito dai suoi pari, ha così dichiarato alla rete televisiva ABC il 15 settembre scorso:
“Si deve riconoscere che si tratta di un fenomeno che si verifica una volta ogni cinquanta anni, o forse una volta ogni secolo [...] Non vi è alcun dubbio, non ho mai visto una cosa simile e non è ancora finita e prenderà ancora del tempo”.
Ancora più significativa è stata la dichiarazione del premio Nobel per l’economia, Joseph Stiglitz che, volendo “calmare gli spiriti”, ha dichiarato piuttosto maldestramente che la crisi finanziaria attuale dovrebbe essere meno grave di quella del 1929, anche se occorreva guardarsi da un “eccesso di fiducia”:
“Naturalmente è anche possibile sbagliarsi, ma il punto di vista generale è che disponiamo oggi di di strumenti [...] per evitare un’altra grande depressione”[2]
Piuttosto che rassicurare, questo eminente specialista dell’economia ma certamente non fine psicologo ha evidentemente provocato il panico generale. Di fatto, involontariamente, lui ha formulato ad alta voce il timore che tutti sussurrano a bassa voce: non è che stiamo andando verso un nuovo ‘29, verso une nuova “depressione”?
Da allora, per rassicurarci, gli economisti si succedono alla televisione per spiegare che se è vero che la crisi attuale é molto grave, questa non ha niente a che vedere con il crack del 1929 e che, in ogni modo, l’economia finirà per ripartire.
Costoro hanno ragione solo per metà. Quando ci fu la Grande depressione, negli Stati Uniti, migliaia di banche fallirono, milioni di persone persero tutto quello che avevano, il tasso di disoccupazione raggiunse il 25% e la produzione industriale crollò all’incirca del 60%. In breve si può dire che l’economia si arrestò. Di fatto, all’epoca, i dirigenti degli Stati avevano reagito piuttosto tardivamente. Per mesi e mesi essi avevano lasciato i mercati liberi a sé stessi. Peggio ancora, la loro sola misura fu di chiudere le frontiere alle merci straniere (attraverso il protezionismo) cosa che finì per bloccare il sistema. Oggi, il contesto è del tutto diverso. La borghesia ha imparato dal precedente disastro economico, si è dotata di organismi internazionali e sorveglia la crisi come il latte sul fuoco. A partire dall’estate del 2007, le diverse banche centrali (principalmente la FED e la Banca centrale europea) hanno iniettato circa 2000 miliardi di dollari per salvare gli stabilimenti in difficoltà. Esse sono così riuscite a evitare il crollo netto e brutale del sistema finanziario. L’economia sta decelerando molto molto rapidamente ma non si blocca. Ad esempio, secondo il settimanale tedesco Der Spiegel del 20 settembre, in Germania la crescita per il 2009 dovrebbe essere soltanto dello 0,5%. Ma, contrariamente a ciò che dicono tutti questi specialisti e altri scienziati, la crisi attuale è molto più grave che nel 1929. Il mercato mondiale è completamente saturo. La crescita di questi ultimi decenni è stata possibile solo grazie ad un indebitamento massiccio. Il capitalismo crolla oggi sotto questa montagna di debiti![3]
Alcuni politici o alti responsabili dell’economia mondiale ci raccontano oggi che bisogna “moralizzare” il mondo della finanza in modo da impedirgli di commettere gli eccessi che hanno provocato la crisi attuale e permettere il ritorno ad un “capitalismo sano”. Ma si guardano bene dal dire (oppure non vogliono vedere) che sono proprio questi “eccessi” ad aver permesso la “crescita” degli scorsi anni, cioè la fuga in avanti del capitalismo nell’indebitamento generalizzato[4]. I veri responsabili della crisi attuale non sono gli “eccessi finanziari”; questi eccessi e questa crisi della finanza non fanno che esprimere la crisi senza via d’uscita, l’impasse storico nel quale si trova il sistema capitalista come insieme. E’ per questo che non ci sarà una vera “uscita dal tunnel”. Il capitalismo continuerà ad insabbiarsi inesorabilmente. Il Piano Bush di 700 miliardi di dollari, che dovrebbe “risanare il sistema finanziario”, sarà necessariamente un fiasco.
Se questo piano viene accettato[5] il governo americano recupererà dei prestiti di dubbia esigibilità per verificare i conti delle banche e rilanciare il credito. All’annuncio di questo piano, sollevate, le borse hanno battuto record di aumento in un solo giorno (ad esempio 9,5% per la Borsa di Parigi). Ma dopo hanno cominciato a fare su e giù poiché, in fondo, nulla è stato realmente risolto. Le cause profonde della crisi sono sempre là: il mercato è sempre saturo di merci invendibili e gli istituti finanziari, le imprese, gli Stati, i privati … crollano sempre sotto il peso dei loro debiti.
Le migliaia di miliardi di dollari gettate sui mercati finanziari dalle diverse banche centrali del pianeta non cambieranno nulla. Peggio ancora, queste massicce iniezioni di liquidità significano un nuovo aumento dei debiti pubblici e bancari.
La borghesia è in un vicolo cieco, essa ha solo cattive soluzioni da offrire. E’ per questo che la borghesia americana esita tanto a lanciare il “piano Bush”; essa sa che se nell’immediato ciò evita il panico, ciò nondimeno lo stesso intervento tende a preparare dei nuovi soprassalti di una violenza estrema per domani. Per George Soros (uno dei finanzieri più famosi e rispettati del pianeta), la “possibilità di uno scoppio del sistema finanziario esiste”.
Un’ondata di pauperizzazione senza precedenti dopo quella degli anni ‘30
Le condizioni di vita della classe operaia e della maggioranza della popolazione mondiale si stanno degradando brutalmente. Un’ondata di licenziamenti sta colpendo simultaneamente i quattro angoli del pianeta. Migliaia di fabbriche vengono chiuse. Secondo il quotidiano francese les Échos del 26 settembre, da qui alla fine di questo anno, nel solo settore della finanza, dovranno essere eliminati 260.000 posti di lavoro negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Ma, un’occupazione nelle finanze genera a sua volta in media altri quattro posti di lavoro! Il crollo degli organismi finanziari significa dunque la disoccupazione per centinaia di migliaia di famiglie operaie. I pignoramenti di case aumenteranno ancora. Due milioni e duecentomila americani sono stati già sfrattati dalla loro casa dall’estate del 2007 e ancora un milione di persone si troveranno per strada da qui a Natale. E questo fenomeno comincia a toccare l’Europa, in particolare la Spagna e la Gran Bretagna.
In Inghilterra, il numero di pignoramenti immobiliari è aumentato del 48% nel primo semestre del 2008. Da poco più di un anno, l’inflazione ha fatto il suo grande ritorno sulla scena. Il prezzo delle materie prime e dei prodotti alimentari è esploso, cosa che ha provocato carestie e sommosse in numerosi paesi[6]. Le centinaia di miliardi di dollari iniettati dalla FED e dalla BCE tendono ad accrescere ulteriormente questo fenomeno. Ciò si traduce in un impoverimento di tutta la classe operaia: per alloggiare, nutrirsi, spostarsi diventa sempre più difficile per milioni di proletari!
La borghesia non mancherà di presentare la nota delle spese della sua crisi alla classe operaia. In programma: riduzione dei salari reali, degli aiuti e dei sussidi (per la disoccupazione, la salute …), prolungamento dell’età di pensionamento, aumento delle imposte e moltiplicazione delle tasse. D’altra parte Georges W. Bush si è già anticipato: il suo piano da 700 miliardi di dollari sarà finanziato dai “contribuenti”. Le famiglie operaie dovranno sborsare molte migliaia di dollari ciascuna per riportare a galla le banche nello stesso momento in cui una grande parte di loro non arriva neanche più a trovare un alloggio!
Se la crisi attuale non ha l’aspetto improvviso del crack del 1929, ciò nondimeno essa farà subire gli stessi tormenti agli sfruttati del mondo intero. La vera differenza con il 1929 non sta sul piano dell’economia capitalista ma su quello della combattività e della coscienza della classe operaia. All’epoca, con il fallimento della rivoluzione russa del 1917 che aveva appena subito, lo schiacciamento delle rivoluzioni in Germania tra il 1919 ed il 1923 e le angosce prodotte dalla controrivoluzione staliniana, il proletariato mondiale era completamente abbattuto e rassegnato. Le scosse della crisi avevano anche provocato dei movimenti importanti di disoccupati negli Stati Uniti, ma questi non sono andati molto lontano ed il capitalismo era riuscito a portare l’umanità verso la Seconda Guerra mondiale. Oggi le cose stanno in tutt’altra maniera. A partire dal 1968, la classe operaia ha sollevato la cappa di piombo della controrivoluzione e se le campagne del 1989 sulla “fine del comunismo” le avevano portato un violento colpo, dal 2003, essa sviluppa la sua lotta e la sua coscienza. La crisi economica può essere il terreno fertile su cui germineranno la solidarietà e la combattività operaia!
Françoise (27 septembre)
[1] All’annuncio di tutti questi fallimenti a catena non si può che essere indignati pensando alle somme vertiginose intascate in questi ultimi anni dai responsabili di questi diversi organismi. Per esempio, i dirigenti delle prime cinque banche di Wall Street hanno toccato 3,1 miliardi di dollari in 5 anni (Bloomberg). Ed oggi, chi subisce le conseguenze della loro politica è la classe operaia. Anche se la dismisura del loro salario non spiega la crisi, essa rivela tuttavia ciò che è la borghesia: una classe di gangster che ha il più grande disprezzo per gli operai, la “gente umile”!
[2] La “Grande depressione” corrisponde alla crisi degli anni ‘30.
[3] I “crediti incerti” (cioè quelli ad alto rischio di rimborso) si situano oggi, a livello mondiale, tra i 3.000 e i 40.000 miliardi di dollari, secondo le valutazioni. Una così grande incertezza dipende dal fatto che le banche si sono vendute reciprocamente questi prestiti a rischio al punto tale da non riuscire più a valutarne l’ammontare reale.
[4] Come ha detto esplicitamente un giornalista all’emittente televisiva France 5: “Gli Stati Uniti hanno potuto prendere tempo grazie al credito”.
[5] Mentre scriviamo sono ancora in corso le discussioni tra il governo ed il congresso. (Nota della redazione italiana: in realtà il piano è stato poi approvato, e l’effetto è stato la settimana nera vissuta tra il 6 e il 10 ottobre, con crolli successivi delle borse e panico finanziario in tutto il mondo).
Poco più di un anno fa, la crisi immobiliare che si apriva negli Stati Uniti (la ormai celebre “crisi dei subprimes” – crediti a basso interesse ed ad alto rischio) ha dato l’avvio ad una brutale accelerazione della crisi economica mondiale. Da allora l’umanità è stata colpita in pieno da una vera e propria ondata di povertà. Subendo il peso angosciante dell’inflazione gli strati più indigenti della popolazione hanno dovuto far fronte all’orrore della fame (in numerose regioni del mondo, in pochi mesi, i prezzi delle derrate alimentari di base sono più che raddoppiati). Le rivolte della fame che sono esplose dal Messico al Bangladesh, passando per Haiti e l’Egitto, hanno rappresentato un tentativo disperato di far fronte a questa situazione insostenibile. Anche nel cuore dei paesi più industrializzati le condizioni di vita di tutta la classe operaia si sono degradate profondamente. Un solo esempio. Più di due milioni di americani, incapaci di rimborsare i prestiti ricevuti, sono stati cacciati dalla propria casa. E da qui al 2009 questa minaccia grava su un altro milione di persone.
Questa dura realtà, avvertita sulla pelle dagli operai e da tutti gli strati non sfruttatori del mondo, non può più essere negata dalla borghesia. I responsabili delle istituzioni economiche e gli analisti finanziari non riescono più a dissimulare la loro inquietudine:
A queste affermazioni vanno ad aggiungersi tutte quelle che attualmente impegnano le prime pagine della stampa o che rappresentano l’apertura di tutti i notiziari mondiali. Per esempio, rimanendo in Italia: “Forse non avete capito cosa sta succedendo. Qui il problema non è Wall Street che perde il 4%. Qui stiamo ad un passo dal collasso totale dei mercati, dalla crisi del sistema finanziario globale” (“Nell’abisso degli hedge fund - fondi ad alto rischio o fondi spazzatura”, Massimo Giannini, La Repubblica del 18 settembre 2009).
E la lista si potrebbe allungare a dismisura.
Gli scaffali di “Economia” delle librerie si riempiono di libri i cui stessi titoli proclamano il carattere catastrofico della situazione. Da La grande crisi monetaria del XXI secolo è cominciata di P. Leconte a L’implosione, la finanza contro l’economia di P. Corion, tutte queste opere ci annunciano un avvenire chiaramente catastrofico.
L’attuale crisi economica mondiale è dunque particolarmente grave ma questo, la classe operaia, già lo sapeva; è lei, infatti, che per prima ne subisce le brutali conseguenze. La vera questione è sapere se – caso mai - si tratta solo di un brutto momento passeggero, di una specie di “tromba d’aria” o, meglio ancora, di una “purga salvatrice” che permetterà all’attuale economia mondiale di punire gli eccessi della finanza per, domani, ripartire al meglio. A voler credere a tutti gli scribacchini della classe dominante non può essere altrimenti. “Io sono convinto che il 2010 dovrebbe essere un anno di forte ritorno alla crescita” così afferma J. Attali nello stesso giornale, e la borghesia per rincuorarsi “oh sì, noi ne siamo convinti”. Ma è questa la realtà? L’attuale accelerazione della crisi non dimostra forse qualcosa di molto più profondo: il fallimento storico del capitalismo?
1967-2007: quarant’anni di crisi
In effetti, la crisi non è cominciata nel 2007 ma alla fine degli anni 1960. A partire dal 1967 si sono accumulate delle gravi convulsioni valutarie e le grandi economie nazionali hanno visto poco a poco il loro tasso di crescita diminuire. E’ la fine del periodo di “prosperità” degli anni ‘50 e ‘60, quelli che la borghesia chiama “I Trenta Gloriosi”[1] o “il grande boom”. Tuttavia, nel 1967, questa crisi non esplose con la violenza e l'aspetto spettacolare del crac del 1929. La ragione è semplice. Gli Stati avevano tirato le lezioni del periodo nero tra le due guerre. Per impedire che l’economia fosse di nuovo sommersa dalla sovrapproduzione e non si bloccasse, questi hanno fatto ricorso ad un artificio: l’indebitamento sistematico e generalizzato
Attraverso questo indebitamento degli Stati, delle imprese e delle persone, “la domanda” si è mantenuta più o meno a livello “dell'offerta”; in altre parole, le merci sono state smaltite a colpi di prestiti.
Ma l’indebitamento è solamente un palliativo, non guarisce il capitalismo dalla malattia della sovrapproduzione. Incapace realmente di "curarsi", questo sistema di sfruttamento fa ricorso continuamente ed in maniera crescente a quest'artificio. Nel 1980, l’ammontare del debito negli Stati Uniti era più o meno uguale alla produzione nazionale. Nel 2006, il debito era 3,6 volte più grande (ossia 48300 miliardi di dollari)! Si tratta di una vera fuga in avanti. Il capitalismo vive su una montagna di debiti, è un fatto incontestabile; ma gli specialisti borghesi ci ribattono che poco importa in quanto, in tal modo, il sistema funziona. La realtà è tutt’altra. L’indebitamento non è una soluzione magica, il capitale non può trarre soldi dal suo cappello indefinitamente. È l’abc del commercio: ogni debito deve un giorno essere rimborsato a rischio di generare, per il creditore, serie difficoltà capaci di portarlo fino al fallimento. Si torna, dunque, al punto di partenza: il capitale non ha fatto che guadagnare tempo di fronte alla sua crisi storica. Ma c’è di peggio! Spostando gli effetti della sua crisi nel tempo, esso ha preparato in realtà delle convulsioni economiche ancora più violente. La burrasca della crisi asiatica del 1997, il suo aspetto folgorante e devastatore ne ha costituito una dimostrazione vivente. All’epoca, le famose tigri e dragoni asiatici conobbero una crescita record grazie ad un indebitamento massiccio. Ma il giorno in cui si dovette rimborsare, crollò tutto come un castello di carte. In qualche settimana, questa regione fu semplicemente dissanguata (con, ad esempio, il milione di nuovi disoccupati creato in poche settimane in Corea). Allora la borghesia non ebbe altra scelta, per evitare la propagazione di questa tempesta all’economia mondiale, che ricorrere a nuovi prestiti, a colpi di centinaia di milioni di dollari. Si tratta di una spirale infernale... e che si accelera! Un poco alla volta, il “rimedio” diviene sempre meno efficace ed il paziente deve, per sopravvivere, aumentare continuamente le dosi. Questa volta gli effetti della perfusione del 1997 non durarono che quattro anni. Nel 2001, in effetti, esplose la bolla Internet (anche questa additata come nuovo modello di sviluppo: la new economy). Indovinate quale fu la “soluzione” della borghesia? Un aumento spettacolare del debito! Le autorità economiche americane, consapevoli dello stato reale della loro economia e della sua dipendenza dalla perfusione di crediti, fecero girare la macchina del debito ad un punto tale che un analista della banca ABN-AMRO soprannominò l’allora direttore della FED, A. Greenspan, “l’Ercole della carta moneta”!
Il ritmo della crisi si accelera brutalmente
Quello dal 1967 al 2007 è dunque un lungo periodo di crisi con i suoi momenti di apparente calma poi di recessioni più o meno profonde. Ma da un decennio, la storia sembra accelerarsi ed il nuovo episodio attuale appare come una burrasca particolarmente violenta. La montagna di debiti accumulata durante quattro decadi si è trasformata in un vero Everest al seguito delle crisi del 1997 e del 2001 ed il capitale va giù a precipizio.
Per circa dieci anni, la borghesia americana ha favorito oltre ogni misura l’accesso al credito immobiliare agli strati più poveri della classe operaia. Ma, nello stesso tempo e in conseguenza della crisi economica, essa li ha impoveriti, attraverso i licenziamenti, la precarizzazione, la riduzione dei salari, la drastica riduzione dell’assistenza sanitaria, ecc. Il risultato era inevitabile: una buona parte di quelli che le banche hanno spinto ad indebitarsi per comprare una casa (o a ipotecare il loro alloggio per comprare semplicemente cibo, vestiti...) non si sono più trovati nella possibilità di rimborsare. Non vedendo più rientrare i “loro” soldi, le banche hanno accumulato perdite, perdite così importanti che sempre più degli istituti finanziari sono falliti o stanno per fallire. Or dunque, attraverso la "titrisation", (che è la trasformazione dei crediti in valori mobiliari scambiabili sul mercato mondiale come le altre azioni ed obbligazioni) gli organismi di prestito sono riusciti a rivendere i loro crediti a banche in tutti i paesi. È per tale motivo che la crisi dei “subprimes” ha colpito il sistema bancario in tutto il mondo. Negli Stati Uniti, il fallimento della banca Indymac è il più importante dal 1982. Senza l’aiuto delle banche centrali, la stessa banca svizzera UBS, che è una delle più grandi banche del mondo, sarebbe fallita. E poiché è sempre la classe operaia che paga le pentole rotte, le banche hanno soppresso 83000 posti di lavoro nel mondo dal 2007 e questa cifra potrebbe raddoppiare nei prossimi mesi (les Echos, 24 giugno 2008).
La banca è il cuore dell’economia, è essa che concentra tutti i soldi disponibili: se questa non c’è più, le imprese si fermano perché non possono più pagare i salari, né comprare materie prime e le macchine; soprattutto, non possono più contrattare alcun nuovo prestito. Ora, anche le banche che non sono in fallimento sono sempre più reticenti ad accordare un prestito per paura di non essere rimborsate nel clima economico attuale.
La conseguenza è inesorabile con il rallentamento brutale dell’attività economica a cui assistiamo oggi. Nella zona euro, il PIL si è abbassato dello 0,2% nel secondo trimestre del 2008. Nell’industria, sono stati soppressi migliaia di posti di lavoro alla Peugeot, Altadis, Unilever, Infineons. La General Motor è addirittura minacciata di fallimento ed annuncia la possibile soppressione di 73.000 posti di lavoro (le Figaro, 10 marzo 2008). Quando la direzione della Renault afferma, mentre annuncia 5000 licenziamenti, che "è meglio farlo quando si comincia a vedere il vento alzarsi piuttosto che quando il temporale è scoppiato", (le Monde, 25 luglio 2008) significa proprio che è in atto un incendio e che il peggio per la classe operaia deve ancora venire!
Ma una domanda viene immediatamente alla mente: perché non continuare ad aumentare l’indebitamento come dopo l’esplosione della bolla Internet? Non abbiamo più un “Ercole della carta moneta” alla FED degli Stati Uniti o altrove?
In effetti, il forte ritorno attuale dell’inflazione mostra che il debito ha raggiunto dei limiti che non possono essere superati, per il momento, altrimenti il rimedio potrebbe essere peggiore del male. L’indebitamento significa la creazione di quantità di danaro sempre più considerevoli. Secondo l’economista P. Artus, “le liquidità aumentano del 20% l’anno dal 2002”. La creazione di tali masse di denaro può solo generare forti spinte inflazionistiche[2]. Inoltre, gli speculatori del pianeta hanno accentuato questa tendenza inflazionistica scommettendo massicciamente su petrolio e sulle merci alimentari di base. Non potendo scommettere in borsa in modo classico sulle imprese (considerando la crisi), né sulla “nuova economia” (che ha fatto “flop” nel 2001), né nei beni immobiliari (che stanno crollando), gli speculatori si sono in realtà tutti ripiegati su quello che la gente è costretta ad acquistare, petrolio e cibo, a costo di sprofondare nella fame una parte dell'umanità![3]
Il pericolo è grande per l’economia capitalistica. L’inflazione è un vero veleno, può trascinare la caduta delle valute ed il disorientamento del sistema valutario mondiale. L’attuale indebolimento del dollaro ne sta indicando la strada. Se accadesse un tale evento, comporterebbe un blocco del commercio mondiale poiché la valuta americana costituisce un riferimento internazionale. D’altra parte è piuttosto significativo che i direttori delle grandi banche centrali (la FED, la BCE...) in tutti i loro interventi ci dicano sempre due cose contraddittorie. Da una parte, per evitare la recessione, affermano che è necessario allentare ancora un po’ la briglia del credito, che occorre abbassare i tassi d’interesse per sviluppare la domanda. Dall’altra, questi stessi personaggi vogliono lottare contro l’inflazione, la qualcosa significa... aumentare i tassi d’interesse per frenare il debito! Questi grandi borghesi non sono schizofrenici, essi esprimono soltanto la contraddizione reale in cui è stretto il capitalismo. Questo sistema è attualmente preso tra l’incudine della recessione ed il martello dell’inflazione. In altre parole, la borghesia d’ora in poi deve navigare tra due acque: frenare l’indebitamento per limitare l’inflazione e non chiudere troppo i rubinetti del credito per non bloccare l’economia, come accadde nel 1929. In breve, si trova realmente in una impasse.
La recessione attuale è un nuovo episodio particolarmente grave e violento del fallimento storico del capitalismo. Questa crisi, che dura da quarant'anni, ha cambiato ritmo, segna una vera accelerazione, anche se bisogna guardarsi dal credere che, colpito da una sorta di “crisi finale”, il capitalismo vada verso un blocco definitivo e a scomparire da solo. Ciò che è importante è che questa situazione, mai vista dal 1929, avrà delle implicazioni considerevoli sulle condizioni di vita della classe operaia così come sullo sviluppo delle sue lotte. La borghesia va ad indirizzare i suoi fulmini sul proletariato; come sempre, farà pagare a quest'ultimo la sua crisi. E qui, una cosa è certa: nessuna delle politiche economiche che ci propongono i differenti partiti (dall’estrema destra all’estrema sinistra), in qualunque paese, è capace di migliorare la situazione. Solamente la lotta della classe operaia può impedire alla borghesia di prendere le sue misure drastiche. Comunque, poiché l’inflazione che si sviluppa tocca tutti i lavoratori, crea un terreno favorevole alla lotta unita e solidale. Lo sviluppo della lotta della classe operaia è non solo l’unico mezzo che può impedire alla borghesia di colpire, ma è anche il solo mezzo realista per aprire la strada alla distruzione del capitalismo ed all’avvento di una società - il Comunismo - in cui non esisteranno più le crisi perché finalmente non si produrrà più per il profitto ma per soddisfare le necessità umane.
Vitaz (30 agosto)
Da Révolution Internationale 3 septembre, 2008
[1] Espressione consacrata dall'opera di riferimento di J. Fourastié: “I Trenta Gloriosi, o la rivoluzione invisibile dal 1946 a 1975”, Parigi, Fayard, 1979. Attualmente nella CCI è in atto un dibattito per comprendere meglio le risorse di questo periodo fastoso dell’economia capitalista, dibattito che abbiamo cominciato a pubblicare nella nostra stampa (leggi "Débat interne au CCI : Les causes de la période de prospérité consécutive à la Seconde Guerre mondiale" [3] nella Revue Internationale n°133, 2° trimestre 2008). Incoraggiamo vivamente tutti i nostri lettori a partecipare a questa discussione durante le nostre riunioni (permanenze, riunioni pubbliche) o scrivendoci lettere o mail.
[2] Non possiamo, nel quadro di quest’articolo, sviluppare e spiegare il legame tra la massa di denaro disponibile ed il suo valore. Semplicemente, ogni volta che la carta moneta gira a pieno regime, che della nuova moneta viene coniata e gettata massicciamente sul mercato, questi stessi soldi perdono valore e ciò si traduce in una spinta dell’inflazione, ossia, concretamente, in un aumento generalizzato dei prezzi.
[3] Brevemente, notiamo che la sinistra della sinistra borghese e gli altermondialisti non finiscono mai di chiedere agli Stati di appropriarsi di tutte le masse finanziarie della speculazione per iniettarle nell’economia sotto forma, per esempio, di grandi lavori. Qui si vede la truffa di questa proposta. Essa avrebbe essenzialmente per effetto l’aggravarsi dell'inflazione. In altre parole, questi propongono di estinguere il fuoco con la benzina!
L’estate che si è appena chiusa da qualche giorno ha segnato un’accelerazione incredibile del processo di degradazione del sistema sociale, politico ed economico in cui viviamo. In particolare lo sviluppo della barbarie ha fatto passi da gigante attraverso i vari attentati che hanno insanguinato le strade e le piazze di tanti paesi come Afghanistan, Iraq, Pakistan, Turchia, Cina, India, Algeria, Libano … con circa 350 morti e 850 feriti in soli 45 giorni tra luglio ed agosto.
Gli attentati si sono succeduti, giorno dopo giorno, al ritmo sfrenato di una danza macabra:
· 6 luglio, 11 morti a Islamabad (Pakistan) e 22 a Nangarhar (Afghanistan);
· 7 luglio, 41 morti e 150 feriti a Kabul (Afghanistan);
· 9 luglio, 3 morti a Istanbul (Turchia);
· 13 luglio, 18 morti e 35 feriti in Afghanistan;
· 21 luglio, 2 morti e 14 ferii in seguito a delle esplosioni quasi simultanee in due autobus a Kumming, capitale della provincia cinese dello Yunnam;
· 26 luglio, 17 explosioni (!) che provocano 49 morti e 160 feriti a Ahmedabad (in India);
· 27 luglio, 2 esplosioni successive a Istanbul (in Turquie) uccidono 17 persone e ne feriscono 154;
· 28 luglio, 39 morti e 146 feriti negli attentati quasi simultanei a Bagdad e Kirkouk, (in Irak);
· 3 agosto, 25 feriti a Tizi Ouzou (in Algérie);
· 5 agosto, 16 morti nella provincia di Xinjiang (in Cina);
· 10 août, 8 morti e 17 feriti a Zemmouri (in Algeria);
· 13 agosto, 14 uccisi e 40 feriti a Tripoli (in Libano);
· 17 août, 8 uccisi a Skikda (in Algeria);
· 18 août, 9 morti e 13 feriti nella provincia di Khost (in Afghanistan);
· 19 agosto, 43 morti e 45 feriti a Issers (in Algérie);
· 20 agosto, 11 morti e 31 feriti a Bouissa (in Algeria);
Bisogna denunciare con forza i massacri delle popolazioni civili che costituiscono ormai il principale obiettivo di questi attentati. Questi infatti colpiscono i luoghi più popolati, come i mercati o le scuole. Ma in aggiunta a ciò, è la ferocia con cui vengono condotti che lascia interdetti:
- in Algeria, a Zemmouri, il 9 agosto un kamikaze si è fatto saltare al volante della sua automobile uccidendo 8 giovani con meno di 25 anni, dopodiché un gruppo armato ha sparato contro le autoambulanze per ritardare l’arrivo dei soccorsi!
- il 20 agosto, nella città di Dera Ismaïl Khan, sempre in Algeria, un attentato con bombe è avvenuto davanti … al pronto soccorso di un ospedale! Il bilancio è stato di 23 morti e di 15 feriti.
Il responsabile di tutta questa carneficina non è altro che il capitalismo. Il terrorismo è il frutto dello scontro tra le varie fazioni borghesi. Esso è l’arma attraverso la quale le borghesie più deboli tentano di difendere i loro sordidi piccoli interessi locali (come oggi fanno i “signori della guerra” in Afghanistan o in Iraq), anche se le grandi potenze non disdegnano esse stesse di farne uso, se non altro per trarre profitto dalle conseguenze derivanti da tali atti terroristici. Infatti, manipolando opportunamente la situazione, queste non esitano ad utilizzare, nella misura in cui ci riescono, questa violenza cieca per destabilizzare i loro rivali (come stanno facendo, per esempio, attualmente gli Stati Uniti in Algeria sostenendo l’Al-Qaida locale contro la Francia).
La situazione attuale rivela tutta la natura guerriera e sanguinaria della borghesia. La moltiplicazione di attentati e la loro estensione geografica mostrano chiaramente la dinamica di questo sistema: il capitalismo sprofonda in un abisso e rischia di trascinarvi tutta l’umanità. Più che mai, la sola alternativa è “socialismo o barbarie”!
Map (21 agosto)
Pubblichiamo la posizione espressa questa estate, all’inizio del conflitto in Georgia, dai compagni del KRAS, piccolo gruppo appartenente al movimento anarco-sindacalista con base principalmente in Russia. Sebbene esistano differenze su diverse questioni tra le due organizzazioni, la CCI mantiene relazioni politiche fraterne con il KRAS: relazioni cementate dalle posizioni internazionaliste che condividiamo. Come il lettore potrà notare questo volantino, sulla scia di quelli precedenti, soprattutto durante la guerra in Cecenia, è un esempio della chiara posizione internazionalista difesa dal KRAS, caratterizzata da:
· la denuncia delle finalità capitaliste e imperialiste dei vari governi nazionali e della loro natura rapace, specialmente dei poteri forti;
· il rifiuto della guerra sia in campo imperialista che capitalista;
· l’appello diretto a tutti i lavoratori dei paesi belligeranti perché esprimano la loro solidarietà di classe attraverso le frontiere e dirigano la lotta contro i loro rispettivi sfruttatori.
E’ per questo che noi diamo il nostro pieno sostegno all’essenziale di questa presa di posizione.
Vogliamo tuttavia precisare che lo slogan diretto ai soldati alla fine del documento (disobbedire agli ordini dei comandanti, rivolgere le armi contro di loro, ecc.), benché perfettamente corretto dal punto di vista di una prospettiva storica (peraltro sono stati messi in pratica nella rivoluzione russa nel 1917 e in quella tedesca nel 1918), non può essere immediatamente possibile, in quanto non esiste, né a scala regionale né internazionale, sufficiente forza e maturità della lotta della classe operaia. Nel contesto attuale, se i soldati mostrassero un’attitudine di questo tipo sarebbero esposti alla peggiore delle repressioni senza poter contare sulla solidarietà dei fratelli di classe.
Ciò detto, ci teniamo a salutare i compagni del KRAS per la loro difesa intransigente dell’internazionalismo e per il coraggio politico dimostrato da molti anni in condizioni particolarmente difficili, tanto dal punto di vista della repressione poliziesca che per il peso delle mistificazioni, specialmente di quelle nazionaliste, che continuano a pesare sulla coscienza dei lavoratori russi come risultato della contro-rivoluzione stalinista durata decenni. Abbiamo fatto qualche minima correzione in inglese (poi in italiano n.d.t.) dalla versione originale pubblicata su libcom.org [6].
CCI (25/08/2008)
NO AD UNA NUOVA GUERRA NEL CAUCASO!
La scoppio di una azione militare tra Georgia e Ossezia del Sud minaccia di sviluppare una guerra su larga scala tra la Georgia, sostenuta dalla Nato, e la Russia. Sono migliaia le persone che sono state già uccise o ferite, di cui la maggior parte civili inermi. Intere città e numerose infrastrutture sono state rase al suolo. La società è stata annegata da una straripante corrente di isteria nazionalista e sciovinista.
Come sempre e dovunque nei conflitti tra gli stati, non c’è e non ci può essere alcunché di giusto in questa nuova guerra del Caucaso: ci sono solo colpevoli. La brace su cui si è soffiato per anni ha prodotto alla fine una fiammata militare. Il regime di Saakashvili in Georgia ha condotto due terzi della popolazione nella miseria profonda, e più montava nel paese la collera contro questa situazione, più questo regime cercava una scappatoia alla propria impasse sotto forma di una “piccola guerra vittoriosa” nella speranza che ciò potesse cancellare tutto. Il governo russo, dal canto suo, è molto determinato a mantenere la sua egemonia nel Caucaso. Oggi esso ha la pretesa di far credere di difendere i deboli, ma si tratta di pura ipocrisia: di fatto Saakashvili non fa che riprodurre quanto la soldatesca di Putin ha fatto in Cecenia da 9 anni a questa parte. I circoli dirigenti di Ossezia e dell’Abkhazia aspirano a rinforzare il loro ruolo di alleati esclusivi della Russia nella regione e allo stesso tempo a raccogliere le popolazioni impoverite intorno alla torcia dell’“idea nazionale” e della “salvezza del popolo”. I leader di Stati Uniti, Europa e NATO, invece, sperano di indebolire il più possibile l’influenza del rivale russo nel Caucaso, per assicurarsi il controllo sulle risorse petrolifere e sul trasporto di queste. Diventiamo così testimoni e vittime di una nuova spirale della lotta mondiale per l’energia, il petrolio e il gas combustibile.
Questo conflitto non porterà nulla di buono ai lavoratori, che essi siano essi georgiani, osseti, abkasiani, o russi, niente fuorché lacrime e sangue ed incalcolabili disastri e privazioni. Noi esprimiamo la nostra profonda simpatia a tutti gli amici e parenti delle vittime, alle persone che a causa della guerra hanno perso la casa e i mezzi di sussistenza.
Noi non dobbiamo cadere sotto l’influenza della demagogia nazionalista che ci chiede l’unità con il “nostro” governo sventolando la bandiera della “difesa della patria”. I principali nemici delle persone comuni non sono i fratelli e le sorelle impoverite dell’altro lato della frontiera o di qualsiasi altra nazionalità. I nemici sono i governanti e i padroni di ogni genere, i presidenti e i ministri, gli uomini d’affari e i generali, tutti quelli che provocano le guerre per salvaguardare il loro potere e le loro ricchezze. Noi facciamo appello agli operai di Russia, Ossezia, Abkhazia e Georgia perché rigettino l’esca del nazionalismo e del patriottismo e perché rivolgano la loro collera contro i dirigenti e i ricchi di entrambi i lati della frontiera.
Soldati russi, georgiani, osseti e abkhaziani! Non obbedite agli ordini dei vostri comandanti! Voltate le vostre armi contro chi vi manda in guerra! Non sparate ai soldati “nemici” – fraternizzate con loro: piantate il fucile per terra!
Operai! Sabotate lo sforzo bellico, abbandonate il lavoro per andare alle riunioni e alle manifestazioni contro la guerra, organizzatevi e mettetevi in sciopero!
No alla guerra e a chi la organizza – dirigenti e ricchi! Si alla solidarietà della classe operaia al di là delle frontiere e delle linee del fronte!
Federazione di lavoratori dell’educazione, delle scienze e delle tecniche, KRAS-IWA (Agosto 2008)
Dopo i sanguinosi scontri del mese di agosto in Georgia1, la propaganda borghese, in particolare in Europa, ci assicura che i governi faranno tutto il possibile per trovare una soluzione di pace nel Caucaso. Come prova della loro buona fede citano le operazioni umanitarie in corso, in cui navi da guerra americane e della NATO portano viveri e medicinali alla popolazione georgiana. Di fronte alla curiosità che suscita questo aiuto “umanitario” portato con navi da guerra invece che con navi mercantili, i nostri democratici, gente di sentimenti buoni, evocano la presenza malefica della marina da guerra russa che occupa il litorale georgiano. Certo, i Russi sono pronti a difendere i territori conquistati, ma si possono avere molti dubbi sulla sincerità di questi “umanitari” quando si vede che è una vera e propria armada che lo Stato americano e i suoi alleati della NATO hanno inviato nelle acque del mar Nero.
Sono sette le navi dell’Alleanza (3 americane, una spagnola, una tedesca, una polacca e una con la bandiera della NATO) che sono schierate in tutti i punti chiave del mar Nero, tra cui la nave idrogeografica americana USNS Pathfinder capace di individuare i sottomarini a una distanza di più di 100 chilometri, il cacciatorpediniere lanciamissili McFaul equipaggiato con missili da crociera Tomahawk che possono trasportare testate convenzionali o nucleari (e la cui potenza di fuoco fece stragi spaventose al momento della prima Guerra del Golfo del 1991) e la nave ammiraglia Maount Whitney della 6^ flotta americana, nave da guerra dotata del sistema di comunicazione e sorveglianza più sofisticato esistente, vero direttore d’orchestra di questa operazione sedicente pacifica e umanitaria!
Un tale spiegamento di forze non ha evidentemente niente di filantropico, né di altruista. Il suo vero obiettivo è di “fare una valutazione dello stato delle forze armate georgiane” e, come sottolinea la missione senatoriale americana presente in Georgia, “gli Stati Uniti devono fornire un’ assistenza alle forze armate georgiane, dotandole delle più moderne armi antiaeree e anticarro, e continuando l’addestramento delle truppe”2.
Chiaramente, “l’aiuto umanitario” serve da paravento alla fornitura di armi micidiali e al rafforzamento dell’esercito georgiano. Tutto questo prefigura la risposta americana al colpo subito con l’invasione della Georgia da parte dell’esercito russo nello scorso agosto e il riconoscimento da parte russa dell’indipendenza dell’Ossezia del sud e dell’Abkazia. Questa sedicente operazione umanitaria concentra nei fatti tutti gli ingredienti di una nuova e pericolosa crescita della tensione bellica il cui obiettivo è sempre l’Asia centrale ex-sovietica, zona di immensa importanza, sia per le sue riserve energetiche che per la sua posizione geostrategica rispetto a Russia, Cina ed India.
Le popolazioni, vittime delle azioni militari, non hanno quindi niente da aspettarsi dal preteso aiuto umanitario militarizzato in corso. Come nei precedenti “interventi per la pace” (Somalia 1992, Bosnia 1993, Ruanda 1994, e tanti altri: Kossovo, Darfur, Congo, Palestina,…) gli aiuti umanitari sono degli alibi cinici al servizio della guerra, complementi indispensabili ai “discorsi di pace” che ci ammanniscono tutti gli Stati imperialisti, piccoli o grandi, per difendere i loro interessi.
Daniel (26 settembre)
1. Vedi l’articolo “Guerra in Georgia: tutte le potenze sono fautrici di guerra!”, sul nostro sito web
2. ilmanifesto.it [9]
Le ultime elezioni hanno visto la piena vittoria di Berlusconi e dei suoi alleati di destra. Con la maggioranza assoluta un uomo d’azienda come Berlusconi non poteva che darsi da fare a risolvere i problemi immediati con la bacchetta magica. Non poteva giocherellare come in passato con “la sinistra che ci ostacola” e frasi ad effetto. Il primo problema che incominciava a puzzare un po’ troppo era la presenza massiccia in molte zone del napoletano di cumuli di immondizia. Il problema l’ha risolto andando a ramazzare anche lui (almeno a livello propagandistico). Ha usato l’esercito e nuove discariche senza preoccuparsi più di tanto degli effetti sull’ecosistema locale che questi rifiuti provocheranno. L’aumento dei malati di cancro e altre malattie, dei nati deformi non sarà visibile a breve mentre oggi conosciamo, forse, il numero dei morti provocati dall’interramento nella stessa regione di milioni di quintali di rifiuti pericolosi di ogni genere fatto negli anni precedenti da personaggi senza scrupoli, anche quando a governare c’era la cosiddetta sinistra di Prodi. Saviano con il libro “Gomorra” ha svelato queste notizie alla gran massa ma dobbiamo essere così ingenui da credere che i politici dei vari partiti della sinistra parlamentare, del Pd e Rifondazione Comunista non sapessero queste cose?
In breve ad ogni governo la sua “monnezza”.
Tra gli altri problemi da affrontare appena insediatosi, Berlusconi ha trovato l’affaire Alitalia e la ristrutturazione della scuola e dell’apparato statale. Il fallimento dell’Alitalia poteva essere evitato solo svendendola ad una compagnia estera o regalandola ad una cordata italiana. Berlusconi ancora prima delle elezioni è riuscito a bloccare la vendita dell’Alitalia ad AirFrance facendo balenare l’idea di una cordata italiana che effettivamente dopo alcuni mesi è venuta fuori ma con una richiesta di licenziamenti difficile da controllare e soprattutto con la svendita totale della compagnia e l’accollamento dei debiti da parte dello Stato. In breve l’ennesimo furto ai danni della collettività. In quanto a ristrutturazione dell’apparato statale e soprattutto della scuola, lo Stato non poteva aspettare ancora. Il debito statale pesa come un macigno ed è necessario ridurlo con grossi tagli nei classici settori gestiti dallo stato: pubblico impiego, scuola, sanità e pensioni. Settori con un alto numero di lavoratori, dove la spesa per gli stipendi fa la parte grossa. Per poter affrontare questi tagli è stata necessaria all’inizio una campagna stampa gestita in tandem dal sottosegretario Brunetta e dalla ministra della Pubblica Istruzione, Gelmini, sui fannulloni che vanno a prendere il caffè in orario d’ufficio o che sono sempre in malattia e sulla necessità che gli alunni indossassero i grembiulini! La Gelmini ci ha aggiunto ciò che il suo ufficio stampa le ha procurato, (perché lei, che di scuola non capisce niente, ci mette solo il corpo come portavoce), la necessità per crescere bene di avere un singolo maestro per classe al posto di 3 per due classi. Con questo provvedimento saltano tutte le attività esterne compreso lo studio della lingua straniera. Ma chi aveva già preparato questo attacco frontale da 87.000 licenziamenti o mancate assunzioni? Chi da molti anni sta fondendo scuole diverse, dalle materne alle superiori, in Istituti Comprensivi con un solo dirigente, una sola segreteria e classi più numerose? E chi ha fatto finta di opporsi? La chiusura di molte segreterie e la mancata assunzione di bidelli avviene da anni, è avvenuta a ritmi sostenuti anche sotto Prodi e compagni, a danno di alunni, genitori, e lavoratori della scuola. La cura nella preparazione degli alunni è ridotta perché è necessario nello stesso tempo organizzarsi per fare più cose assieme, i ragazzi vengono abbandonati a se stessi, il bullismo aumenta, i ragazzi con handicap vengono lasciati a se stessi, lo sporco avanza perché poche persone devono gestire interi corridoi, controllare la porta, rispondere al telefono, etc. Gli 87.000 licenziamenti (o mancate assunzioni, cioè più disoccupati in giro) di docenti promessi dalla Gelmini nei prossimi 3 anni si affiancano ai 45.000 posti in meno del personale Ata (segreterie e bidelli) e si sommano a quelli effettuati dal governo Prodi negli anni scorsi; nei prossimi anni la mannaia arriverà nelle scuole medie e superiori con la riduzione delle ore di scuola (dicono che faccia bene agli alunni ma soprattutto alle tasche dello stato) e l’aumento delle ore di lavoro per gli insegnanti.
Lo stesso ritmo di tagli è avvenuto nel settore della sanità con la chiusura di molti ospedali locali e la riduzione del numero dei posti letto. Gli ammalati vengono trattati come automobili in un garage, ammassati nei corridoi e abbandonati a se stessi. I casi di mala sanità, come si usa, dire sono in costante aumento. La quantità diventa sinonimo di efficienza o eccellenza a scapito della qualità dell’assistenza.
I giornali, la tv non fanno che sfornare statistiche sul fatto che lavorare fa bene (tanto spetta a noi e non a loro) e quindi promettono di allungare i tempi per la pensione. Tra Prodi (senza dimenticare PD e simili) e Berlusconi fanno a gara a chi fa campare di più i vecchi sul posto di lavoro. I sindacati naturalmente gestiscono la parte di chi dovrebbe difendere i lavoratori nella contrattazione aziendale, indicono scioperi farsa, chi in un giorno e in un settore, chi in altri etc., in modo da mettere i lavoratori gli uni contro gli altri, come nel caso Alitalia. Dopo decenni di gestione sindacale abbiamo perso tutto, non c’è una sola vittoria che possiamo ricordare, salvo quella del 1987 nella scuola ottenuta perché abbiamo lottato uniti come lavoratori, fuori e contro i sindacati.
I precari non hanno più diritto a nulla, sono peggio di uno schiavo che bene o male non doveva pagare né vitto né alloggio anche quando non lavorava. Ora i precari, anche quando lavorano, per sopravvivere devono chiedere un contributo alle famiglie, tanto da far passare a molti l’idea di cercare lavoro in altre città.
In definitiva vediamo che tutto ciò che Berlusconi sta facendo non lo estrae solo dal suo sacco, ma da un grosso sacco comune in dotazione a qualsiasi governo di destra o sinistra. È comunque vero che Berlusconi, Fini e Bossi hanno più disinvoltura nell’usare le maniere forti contro operai e disoccupati[1] a differenza della sinistra, ma questo avviene non perché la sinistra sia più vicina ma perché non deve scoprirsi di fronte ai lavoratori, deve camuffare i suoi attacchi, per poter mantenere la sua presenza nelle file dei lavoratori ed essere pronta a bloccare ogni tentativo autonomo di risposta di classe. I soldi che Berlusconi ha fatto risparmiare a molte famiglie con l’eliminazione dell’ICI sulla prima casa li riprenderà con gli interessi con tutti gli attacchi che sta facendo contro i lavoratori ma questi attacchi non hanno nulla da invidiare a quelli di Prodi, Veltroni, D’Alema e Bertinotti quando hanno innalzato l’età lavorativa, aumentato le tasse e ridotto i salari, mentre spendevano denaro pubblico per la non edificante impresa di andare a massacrare misere popolazioni nelle loro imprese imperialiste (cioè nelle missioni militari in Afghanistan, Kosovo, ecc.).
Se tutti i governi, in tutto il mondo, attuano le stesse politiche, e cioè attacchi a ripetizione contro i lavoratori, lo smantellamento dello stato sociale, la precarizzazione del lavoro, salari da fame, è perché quello che decide la politica dei governi è la situazione dell’economia capitalista, che è al collasso, come le vicende di questi giorni stanno dimostrando.
Noi lavoratori non abbiamo nulla da aspettarci da Berlusconi ma meno che mai dal ritorno di un qualsivoglia governo di sinistra, perché nessuno può rimettere in piedi un sistema che non funziona più.
La nostra strada deve essere la ripresa di una lotta unitaria, autonoma e autorganizzata senza divisione settoriale, di categoria o sindacale.
Oblomov, settembre ‘08
[1] 1. Provvedimenti, come l’uso dell’esercito assieme alle forze di polizia, non hanno solo lo scopo di distrarre l’attenzione dagli attacchi salariali e normativi o occupazionali, ma soprattutto di mostrare che lo Stato è pronto ad azioni repressive in caso di risposta di classe. L’inutilità dell’esercito nella difesa dei cosiddetti cittadini la si è vista con l’uccisione a bastonate del giovane ragazzo a Milano vicino la stazione centrale e il massacro di 6 lavoratori africani a Castelvolturno. Da aggiungere anche che i governi, di qualsiasi colore, non hanno alcuna intenzione di tagliare le spese dell’esercito perché questo implicherebbe una ritirata dello Stato dalla competizione imperialista a livello mondiale. Berlusconi è stato pronto ad inviare osservatori in Georgia, mentre Prodi ad inviare l’esercito in Libano. Ambedue difendono gli stessi interessi, quello della borghesia e del suo Stato.
Sulla vicenda Alitalia sono tantissime le lezioni che possiamo trarre. E’ molto probabile, che Berlusconi con la “cordata italiana” abbia voluto fare un favore ai suoi amichetti (a buon rendere evidentemente), così come sembra vero che nel decreto sull’Alitalia si sia cercato di fare passare in maniera nascosta un altro favore per altri amici degli amici; è altrettanto vero che il piano contenuto nella proposta di acquisto fatta da Air France in marzo era migliore di quello definito Fenice, presentato dalla cordata italiana, proposta fatta fallire da Berlusconi sia per ragioni elettorali che per il secondo fine che c’era dietro il suo slogan di mantenere “l’italianità” della compagnia di bandiera. Tutto questo può evidentemente farci riflettere sul grado di corruzione della borghesia e sull’irresponsabilità anche dei governi, che dovrebbero fare l’interesse generale del capitale nazionale e non quello di singoli capitalisti o di qualche frazione politica. Queste osservazioni hanno sicuramente la loro importanza, ma le cose più importanti su cui soffermarsi relativamente alla vicenda Alitalia sono altre: da un lato il motivo reale del fallimento della compagnia, dall’altro il ruolo che i sindacati hanno giocato nel far passare le migliaia di licenziamenti con cui si è “salvata” l’Alitalia.
Già nell’articolo del numero 155 di questo giornale, aprile 2008, mettevamo in evidenza come la crisi dell’Alitalia fosse il risultato della crisi generale del capitalismo prima che dell’incapacità dei manager che l’hanno diretta negli ultimi decenni (cosa che pure c’è stata): “Il caso Alitalia è da diversi punti di vista estremamente indicativo della situazione attuale dell’economia e dei rapporti tra le classi:
- innanzitutto dimostra quanto sia precaria la situazione economica mondiale, per cui anche una grande azienda, sostenuta dallo Stato, può arrivare al fallimento. Nel capitalismo un’azienda, non importa di quale settore si occupi, può continuare a sopravvivere solo se è competitiva rispetto alle sue concorrenti. E quello del trasporto aereo è un settore che, negli ultimi decenni, ha visto un certo sviluppo di traffici, ma anche la nascita di tante nuove compagnie, in particolare le low cost, che ha creato grande concorrenza e grandi sconvolgimenti: quello che sta succedendo oggi all’Alitalia è già accaduto ad altri grandi compagnie del settore, come i colossi americani Delta Airlines e TWA, o le compagnie di bandiera Sabena, belga, e Swissair, svizzera, tutte ridimensionate e/o vendute. Deve essere quindi chiaro che l’Alitalia, dal punto di vista borghese, non può continuare ad andare avanti, e l’alternativa, sempre dal punto di vista borghese, è tra il piano di un compratore, tipo Air France, che assicura la sopravvivenza della compagnia, e il fallimento puro e semplice, che significa libri contabili in tribunale, commissariamento e smantellamento della compagnia (con la possibilità residua di un recupero di piccole parti dell’ex compagnia, come è avvenuto per Sabena e Swissair).”
Fallito, o fatto fallire il piano Air France, che comunque prevedeva tagli e licenziamenti, la situazione è andata sempre peggio, visto anche l’aumento vertiginoso del prezzo del carburante, per cui il fallimento è diventato una prospettiva reale. Insomma c’erano le condizioni apparenti per fare un taglio ancora più consistente di quello previsto nel piano Air France. A queste condizioni la famosa “cordata italiana”, già data per fatta da Berlusconi a marzo, si è potuta formare, visto peraltro i vantaggi che il governo era disposto a concederle (in primo luogo separare i debiti, lasciati a carico del vecchio azionista, cioè lo Stato, e offrendo ai compratori solo la parte buona dell’Alitalia). Ma anche così, anche con una nuova compagnia che partiva senza il fardello dei debiti di Alitalia, era difficile affrontare la concorrenza internazionale se non si procedeva a un robusto taglio del personale, dei salari e delle condizioni di lavoro di tutto il personale. Si è partiti così dalla provocazione di un contratto che tagliava del 25% i salari di tutte le categorie e riduceva a 12.500 gli effettivi della nuova compagnia (dagli attuali 19.798 fissi di Alitalia più Air One – cui bisognerebbe aggiungere i 3.362 lavoratori a tempo determinato) (Repubblica del 16/09/08), per chiudere con un taglio del 6-7% dei salari ed effettivi ridotti a… 12.500! (Repubblica del 28/09/08). E’ questa la grande vittoria a cui i sindacati hanno portato i lavoratori dell’Alitalia, e possono ben essere soddisfatti che oggi ci sono 10.700 posti di lavoro in meno e 12.500 “fortunati” lavoratori più sfruttati di prima!
Anche se si cerca di attribuire il fallimento di Alitalia ai manager che l’hanno gestita (i quali possono anche avere una parte di responsabilità e sicuramente sono stati ben pagati per questi risultati), il dato di fatto è che il sistema capitalista non funziona e a pagarne le spese sono sempre e solo i lavoratori (non dimentichiamo che oltre a quanto pagato dai lavoratori di Alitalia, c’è anche il miliardo e mezzo di euro del debito Alitalia che è stato risparmiato ai nuovi compratori e che sarà pagato dall’insieme dei lavoratori o con altre tasse o con tagli ai servizi sociali).
Per far passare quello che è, a tutt’oggi, uno dei più grossi piani di ristrutturazione mai visti in Italia, si è scatenata tutta la santa alleanza della borghesia: dai politici, di destra e sinistra, alla stampa, ai sindacati, che possono ben rivendicare il ruolo principale in questo sporco lavoro.
Tutti hanno potuto notare la drammatizzazione che della situazione dell’Alitalia è stata fatta da giornali e TV: “l’Alitalia perde cento milioni al mese”; “l’Alitalia non ha più soldi in cassa, nemmeno per pagare il carburante” (Repubblica del 14 settembre, per esempio, titolava “soldi finiti, da lunedì – 15 settembre – voli a rischio”), eppure oggi, un mese dopo, gli aerei Alitalia volano ancora!; “l’alternativa al piano Fenice è il fallimento puro e semplice, con il licenziamento di tutti i dipendenti”. E quanto veleno è stato riversato sui lavoratori: “privilegiati”, “piloti pagati meglio di quelli delle altre compagnie” (cosa per altro semplicemente falso, come mostrato dalle tabelle pubblicate su Repubblica del 16 settembre).
Tutto questo veleno, queste falsità, queste intimidazioni, avevano lo scopo da un lato di fiaccare la volontà di resistenza dei lavoratori Alitalia, dall’altro di evitare che intorno ad essi si potesse creare una simpatia e un movimento di solidarietà da parte di altri settori (si poteva mai solidarizzare con questi “privilegiati” e “velleitari” che volevano “l’impossibile”?).
Con l’appoggio di questa campagna mediatica, i politici si sono ben potuti sentire al sicuro nel cercare di convincere i lavoratori che non c’erano alternative al piano CAI, e che tanto valeva stringersi intorno ai nuovi padroni e accettare i loro progetti. E a conferma di quanto la borghesia riesce ad unirsi quanto si tratta di attaccare i lavoratori c’è il fatto che tutte le forze politiche presenti in Parlamento (quelle che insomma hanno maggiore impatto mediatico) hanno agito nella stessa direzione: Veltroni ci ha tenuto a rivendicare il suo ruolo di mediatore fra CGIL e CAI, invitando a cena per far riprendere il dialogo Colaninno, presidente della CAI, Epifani, segretario della CGIL, e Gianni Letta sottosegretario alla presidenza del consiglio; mediazione a seguito della quale la CGIL ha firmato l’accordo con la CAI.
Ma il ruolo principale è ben stato quello giocato dai sindacati che hanno fatto finta di voler strappare condizioni migliori nel nuovo contratto e in realtà hanno lavorato per tenere buoni i lavoratori e soprattutto per tenerli divisi, tra loro come dagli altri lavoratori. Riuscendo a mantenere in mano l’iniziativa, i sindacati hanno cominciato a cedere poco alla volta: prima CISL, UIL e UGL, poi la CGIL, che ha firmato dopo la rivendicata mediazione di Veltroni (e portando a casa qualche promessa di garanzie maggiori per il futuro dei precari), per arrivare infine ai sindacati degli assistenti di volo e dei piloti (la cui grande vittoria è stata avere altri 140 posti, a part time, contro gli 860 licenziamenti solo fra i piloti con contratto a tempo indeterminato). Come abbiamo visto dalle cifre riportate sopra (e tratte dai giornali borghesi), l’accordo finale è molto vicino a quanto voluto fin dall’inizio dalla CAI, per cui la farsa delle varie “rotture” è stata solo un momento di questa grande commedia messa in piedi.
E a questo sporco lavoro non si sono sottratti i sindacati di “base”, come la CUB trasporti, che durante lo sciopero di Fiumicino del 17 settembre dichiarava, attraverso i suoi coordinatori nazionali, Antonio Amoroso e Fabio Frati, di essere pronti “a rispondere con una lotta dura agli aut aut del governo, o a colpi di mano sul nostro futuro” (Repubblica del 18/09/08). Quanto siano stati conseguenti con queste dichiarazioni si è visto.
Eppure i lavoratori hanno mostrato a più riprese di essere disposti a lottare per difendere le loro condizioni di vita: a questo sciopero del CUB avevano partecipato 2.000 lavoratori, con mille di essi che a Fiumicino hanno organizzato un corteo e un blocco stradale; a più riprese ci sono stati cortei spontanei di lavoratori non in servizio; più volte i lavoratori si sono recati sotto i palazzi in cui si svolgevano le trattative per far sentire la loro pressione. Ed ancora i lavoratori hanno dimostrato quanto avevano riconosciuto il carattere sciacallesco dell’intervento della CAI, quando hanno esultato, in assemblea, alla notizia che la CAI aveva ritirato la sua offerta (anche questa una farsa che faceva parte della sceneggiatura).
L’errore, e la debolezza, di questi lavoratori è stato di lasciare questa loro volontà di lotta nelle mani dei sindacati, che, come abbiamo visto, hanno lavorato per tenerli divisi (tra loro e dagli altri lavoratori) per poterli indebolire, demoralizzare ed infine portarli alla sconfitta. CISL e UIL sono arrivati ad organizzare un corteo di un paio di centinaio di lavoratori (cioè una stretta minoranza dei loro stessi iscritti) in polemica con la mancata firma della CGIL (cioè una vera e propria azione di crumiraggio).
Ma questa sconfitta potrà comunque servire all’insieme dei lavoratori se se ne traggono le giuste lezioni:
- innanzitutto che è inutile illudersi sulla possibilità del capitalismo di evitare di attaccare i lavoratori per far fronte alla propria crisi storica (i 140.000 licenziamenti previsti nel solo settore scuola nei prossimi tre anni, e solo allo scopo di risparmiare 8 miliardi e mezzo di euro ne costituiscono una clamorosa conferma);
- che tutte le forze politiche sono unite nel difendere questa esigenza del capitalismo, per cui solo la lotta dei lavoratori può cercare di frenare questi attacchi;
- che questa lotta non può essere efficace se la sua gestione viene lasciata nelle mani dei sindacati (poco importa se di vertice o di base), e se ci si illude di poter lottare isolati per settori e categorie: tutti i lavoratori sono soggetti agli stessi attacchi e solo una lotta unita può costruire un rapporto di forza più favorevole nei confronti della borghesia.
Helios, 13/10/08
Nel novembre 2007, avevamo pubblicato una lettera di un lettore, firmatosi Sébastien, che descriveva “dall'interno" l'aumento della collera nei diversi servizi della Sicurezza Sociale di Marsiglia, col titolo "Una testimonianza della combattività operaia di fronte all’aggravamento delle condizioni di lavoro".[1]
Oggi, solamente alcuni mesi dopo queste prime dimostrazioni di malcontento, col peggiorare delle condizioni di lavoro, esplode di nuovo la rabbia. Attraverso questa seconda lettera del compagno Sébastien, possiamo vedere che un vero processo di riflessione ha avuto luogo in questo lasso di tempo: sui sindacati, sulla necessità di lottare uniti e in modo solidale, sul modo di condurre lotte per non rimanere isolati ma al contrario per riuscire ad estenderle agli altri servizi... Tutte queste questioni hanno cominciato a trovare inizi di risposte, collettivamente, in quest'ultimo movimento.
In numerosi settori del servizio pubblico, la riduzione delle forze impiegate ha raggiunto un tale livello che, attualmente, spesso è impossibile affrontare la quantità di compiti da svolgere, e ciò determina un deterioramento accelerato delle condizioni di lavoro. La scontentezza che tale situazione genera spinge i lavoratori a reagire.
A Marsiglia, in un grande centro della Sicurezza Sociale, la rabbia degli impiegati si è trasformata in un movimento di lotta che è durato più di un mese. Già alla fine dell'estate 2007, questi stessi impiegati avevano reagito per le stesse ragioni, ed all'epoca la direzione aveva fatto finta di retrocedere. Oggi, dopo i pensionamenti non rimpiazzati ed altri cambiamenti, il numero degli effettivi si assottiglia a vista d'occhio. L'esasperazione si estende sempre più nei servizi. Oggi, un numero crescente di lavoratori vogliono battersi per chiedere più effettivi. E non si tratta più di condurre delle azioni ognuno nel suo angolo, ma di unirsi, cercare la solidarietà degli altri servizi e cercare ancora la più larga solidarietà presso gli "utenti" considerandoli lavoratori che vengono a regolare i loro problemi di rimborso delle spese mediche; anche loro confrontati a problemi identici di degrado accelerato delle condizioni di lavoro. Senza chiedere l'intervento dei sindacati, che li avrebbe divisi e smobilitati, gli impiegati si sono organizzati in assemblee generali per discutere delle azioni da condurre, assemblee che talvolta hanno riunito impiegati di altre branche della Sicurezza Sociale confrontati agli stessi problemi.
Fin dalla metà di aprile, gli impiegati del servizio prestazioni inviano una lettera alla direzione chiedendo, per far fronte all'accumulazione di pratiche in ritardo, un aumento degli effettivi. In seguito ad una risposta insoddisfacente, a fine aprile gli impiegati decidono di inviare una seconda lettera precisando con esattezza le necessità del servizio; la direzione risponde di nuovo negativamente. L'entrata nel movimento, a metà maggio, del servizio accoglienza - confrontato ad un afflusso di assicurati scontenti - in solidarietà col servizio prestazioni, fa uscire la direzione dai suoi uffici che invia i suoi accoliti per separare gli impiegati dei due servizi promettendo loro di prendere delle misure per diminuire il ritardo. In realtà, essa mira allo sfiancamento del movimento. Calcolo sbagliato. A fine maggio, degli incidenti esplodono nella fila di attesa degli assicurati, gli impiegati interrompono il lavoro, si riuniscono in un'assemblea generale e decidono l'unità d'azione dei due servizi. La direzione reagisce decretando che, al di fuori dei sindacati, ogni azione è illegale. Gli impiegati decidono allora di inviare una delegazione per consultare i sindacati. Per FO, non è necessario disturbare la direzione che sta riorganizzando il lavoro! Per la CGT, è invece necessario fare sciopero immediatamente. Un dibattito si avvia: fare sciopero d'accordo ma non subito, è necessario innanzitutto costruire un rapporto di forza. Per evitare sanzioni della direzione, gli impiegati decidono di tenere una riunione generale dei due servizi durante le ore di pausa pasto. All'inizio di giugno, gli impiegati uniti decidono di fare un avviso di sciopero con invio di una lettera comune per reiterare le richieste sull'aumento degli effettivi. Alcuni giorni dopo, una delegazione degli impiegati incontra la direzione che annuncia delle prime misure: concessioni di ore di straordinario, aiuti tra le diverse sedi, ed altro. Quanto agli effettivi, il risultato è magro rispetto a ciò che è stato chiesto. Gli impiegati rigettano queste proposte come non rispondenti al problema di fondo. Il preavviso di sciopero è mantenuto. Per l'assemblea generale, il giorno di sciopero deve essere concepito come un giorno di mobilitazione verso gli altri servizi per coinvolgerli nel movimento, verso gli assicurati per chiamarli alla solidarietà. Si vota la decisione di trarre un primo bilancio per tutti gli impiegati e servizi della Sicurezza Sociale. Ma la questione di chiedere aiuto o non dei sindacati è stato l'argomento di un dibattito. Per un certo numero di impiegati, è possibile servirsi dei sindacati nelle trattative (a loro fianco, una delegazione degli impiegati in lotta) e nella diffusione delle informazioni, senza perdere il controllo del movimento. Per altri, la maggioranza, esperienze recenti o precedenti hanno dimostrato concretamente come questi organismi hanno fatto del tutto per spodestare i lavoratori della loro lotta diffondendo disinformazioni e negoziando spesso sulle spalle dei lavoratori. È stata presa la decisione di non chiamare le organizzazioni sindacali. Questa è stata l'espressione di una sfiducia verso i sindacati che si basava sull'esperienza ma non ancora sulla comprensione di ciò che veramente sono, e cioè, a mio avviso, una forza d'inquadramento dei lavoratori per sabotare ogni movimento di lotta.
Questa grande combattività è stata sostenuta dunque da una vera riflessione su "come condurre la lotta collettivamente". Pertanto, tutto questo movimento di lotta alla fine non ha avuto successo, lo sciopero non è esploso. Perché?
Proponendo queste misure, la direzione sapeva bene che agiva per dividere il movimento ed indebolirne la combattività, principalmente dei giovani impiegati che vedevano in queste ore di straordinario supplementari un mezzo per aumentare il loro misero salario. La direzione sapeva anche che l'avvicinarsi delle ferie estive sarebbe stato essere un fattore di smobilitazione. Ma, in definitiva, ciò che ha maggiormente smobilitato è stata l'azione dei sindacati ed in particolare della CGT. Per FO, la situazione appare chiara, essa è apertamente un sindacato agli ordini della direzione che ha fatto pressione apertamente per porre fine al movimento. Più sottile è stato il gioco della CGT: chiamare allo sciopero quando il movimento non era maturo all'inizio di giugno, per poi proporre d'incontrare la direzione che sta dall'altro lato della città mentre la forza del movimento avrebbe permesso di chiedere alla direzione di andare ad incontrare gli impiegati sul proprio luogo di lotta. E, ciliegia sulla torta, allo scopo di dividere gli impiegati, la CGT si è impegnata per il coinvolgimento diretto nel grande giorno di "mobilitazione nazionale" il 17 giugno, dimostrazione di "forza sindacale" dove ognuno è stato relegato dietro alla sua bandiera di impresa ed al suo sindacato. La manovra è riuscita poiché alla fine il giorno di sciopero previsto dagli stessi impiegati è abortito e non ha avuto luogo.
Direzione e sindacati hanno vinto una battaglia, ma resta chiaro per tutti che il movimento riprenderà dopo le ferie estive. Durante questa lotta, un piccolo nucleo più combattivo ha deciso di mantenere i legami per proseguire la riflessione sul bilancio di questo movimento, come sviluppare la mobilitazione, come estenderla, scambiarsi delle informazioni su quello che accade negli altri centri e servizi, quali contatti avere. È un’esperienza molto ricca che è stata vissuta, come dimostra il bilancio: Quello che era importante, è che noi abbiamo saputo come mobilitarci realmente, agire in maniera unitaria e solidale, prendendo noi stessi le decisioni, sulla base di riunioni comuni e delegando un certo numero di agenti per la scrittura di lettere o incontrare la direzione, delegazioni che hanno sottoposto i lavori effettuati all'insieme. È un'esperienza molto positiva perché ci ha permesso di superare le divisioni tra servizi, gli uni che danno la colpa agli altri del calo della qualità del servizio reso mentre esso è una conseguenza del deterioramento delle nostre condizioni di lavoro".
La questione dell'unità e della solidarietà, della presa in carica delle lotte non solamente in un solo settore ma in tutti i settori della classe operaia, è chiaramente germogliata in questa mobilitazione.
Sébastien, Marsiglia (3 luglio)
[1] Questa corrispondenza, apparsa su Révolution Internationale n. 384, è disponibile anche sul nostro sito internet in francese.
La presenza dei militari nelle nostre città e nei luoghi “a rischio”, come le discariche in Campania, non è affatto una prerogativa del “destro” governo Berlusconi, ma corrispondono alla maggiore attenzione che la borghesia sta portando a livello internazionale sul piano del rafforzamento del suo arsenale destinato a controllare ed affrontare la popolazione ed in particolare la classe operaia.
Per questo pubblichiamo l’articolo che segue tratto dalla nostra stampa in Francia, che, pur riferendosi nello specifico alle ultime misure prese dal governo francese in questo campo, illustra bene la tendenza generale alla quale sarà confrontato il proletariato in ogni paese.
In quasi tutti i paesi, in particolare dove i proletari sono più numerosi e concentrati, i mezzi ed i dispositivi di sorveglianza sono aumentati brutalmente, sempre accompagnati dalle più innovative tecnologie.
Una delle priorità adottate è la sorveglianza nelle strade e nei luoghi pubblici. Questa questione appare bruciante in Francia perché questa ha accusato un relativo ritardo rispetto alle misure adottate dai suoi vicini anglosassoni.
Più sorveglianza e rafforzamento del controllo poliziesco
E’ stato rilanciato il progetto di triplicare il numero delle videocamere di sorveglianza che permette, da ora al 2009, di passare da 340.000 videocamere già operanti a 1 milione in tutti i luoghi pubblici. Ufficialmente è la Gran Bretagna a detenere il record in questo campo: solo a Londra più di 400.000 videocamere! Ora quest'ultima sta progettando di modernizzare il suo parco installando in un certo numero di luoghi “videocamere intelligenti”. Queste, essendo capaci di zumare per più di un chilometro di distanza, di intensificare la luce ed essendo provviste di radiazioni infrarosse, sono destinate a rilevare ed analizzare situazioni che “turbano l’ordine pubblico”. Esse fanno sempre più ricorso alle tecniche biometriche di identificazione. Il dispositivo per localizzare le persone (person tracking unit) dell’IBM, già operativo, permette di scansionare delle etichette portati da elementi immersi in una folla per seguirne i movimenti nei luoghi pubblici. Dei veicoli mobili della polizia sono già dotati di alta tecnologia – Automatic Number Plate Recognition – che permette contemporaneamente, su di una data area, di leggere tutte le targhe, fotografarle, localizzarle attraverso il GPS ed inviare tutte le coordinate ad un archivio informatico centralizzato per prendere informazioni[1]. Oltre a seguirne le tracce, è possibile conoscere in anticipo la residenza di chi non ha pagato l’assicurazione, non ha fatto la revisione, ecc. In materia di telefonia mobile, la Danimarca e la Svezia stanno per commercializzare un cellulare GPS che permette “di spiare i propri amici”! In Australia, il decreto governativo “telecommunication act”, autorizza le agenzie di sicurezza a sorvegliare le telefonate degli impiegati. Alcune imprese non si fanno scrupoli a controllare le mail dei loro salariati e di spiarli sul posto di lavoro. Esiste dunque tutta una strategia industriale e statale che permette in modo insidioso di fare accettare questa logica totalitaria di sorveglianza alla popolazione, a partire dai più giovani[2]. È per tale motivo, ad esempio, che nelle scuole e nei licei cominciano a fiorire apparecchiature che si richiamano a dati biometrici (nelle mense, ecc.) o archivi[3] che permettono di braccare extracomunitari sprovvisti di permesso di soggiorno o “delinquenti”.
Insieme ad uno sviluppo del controllo poliziesco, assistiamo contemporaneamente a controlli incrociati di dati tra archivi diversi ed alla cooperazione europea ed euro-atlantica per la condivisione di dati che contengono informazioni intime sulla vita privata delle persone.
È in quest'ottica che la Francia prende in considerazione la realizzazione di un nuovo archivio, denominato col dolce nome di Edvige. Questo nuovo archivio, nato da una delibera apparsa sulla gazzetta ufficiale il primo luglio, corrisponde alla volontà di unire gli archivi della RG e della DST (due servizi segreti francesi). Lo scopo è di “centralizzare ed analizzare le informazioni su individui, gruppi, organizzazioni ed enti morali che, a causa della loro attività individuale o collettiva, possono attentare all’ordine pubblico”. Da ora le persone saranno prese di mira già a 13 anni! Nei fatti questo archivio non fa che ufficializzare una pratica già sperimentata ricopiando l’archivio Christina (centralizzazione delle informazioni interne per la sicurezza del territorio e gli interessi nazionali), classificato come “difesa segreta”, nei fatti vero centro dati su persone schedate, inclusi i loro parenti e conoscenti[4].
Tutto ciò dimostra che è già largamente in funzione un “centro di osservazione” in vista di reprimere i militanti e le organizzazioni del proletariato. Il nuovo archivio Edvige non fa che ufficializzarlo e rafforzarlo!
In realtà esistono ufficialmente 37 archivi tra cui quello sulle impronte genetiche FNAEG[5]. Creato nel 1998 per reprimere i reati sessuali, questo dal 2003 divenne un archivio per “l’identificazione criminale”. Un archivio che si è voluto estendere agli immigrati per “facilitare il riavvicinamento famigliare”!
Una tale volontà di controllo assoluto ed una tale paranoia esprimono la realtà di una società in declino, minacciata da ogni parte dalle convulsioni della sua crisi con le tensioni sociali che l’accompagnano. È questa tendenza al capitalismo di Stato, divenuta da un secolo praticamente universale, che ha permesso allo Stato di appropriarsi di tutta la vita sociale dotandosi di mezzi che fanno venire i brividi per “vedere tutto e conoscere tutto” (motto di Sarkozy, ex - primo sbirro della Francia)
Una minaccia diretta contro la classe operaia
Naturalmente è in nome della “minaccia terrorista” e “della protezione del cittadino” che in questi ultimi anni, soprattutto dopo l’attentato dell’11 settembre 2001 a New York, gli Stati hanno adottato misure di controllo senza precedenti, superando di gran lunga la fantasia di G. Orwell in 1984. Sfruttando fino alla nausea lo choc brutale dell’attentato, la borghesia ed i suoi media hanno saputo sfruttare abilmente l’emozione e l’indignazione legittime delle popolazioni per rafforzare tutto un arsenale repressivo con “leggi liberticide”. Tuttavia le evidenti menzogne della cricca di Bush ed il fallimento palese degli Stati Uniti in Iraq rendono più difficile la giustificazione delle misure di controllo poliziesco suscitando interrogazioni e preoccupazioni. Giù la maschera! Appare sempre più ovvio che ad ossessionare la borghesia è, nei fatti, la difesa de “l’ordine pubblico”, cioè il mantenimento della dittatura del capitale di fronte ai movimenti sociali. Questo timore del proletariato, delle “classi pericolose” non è nuovo e risale alle origini degli scontri tra proletari e borghesi. Fin dal 1803 Napoleone è stato il primo ad imporre il “libretto operaio” per controllare gli spostamenti e sorvegliare i proletari combattivi. Come per il passato, ma con dei mezzi più moderni, la borghesia si prepara oggi a reprimere le lotte operaie. Dal 2003, con lo sviluppo della lotta di classe a livello internazionale, la borghesia è davvero all’erta. Oggi, nel momento in cui il mondo intero sta entrando in recessione e la crisi economica diventa più profonda, la borghesia sa che gli attacchi brutali e massicci che assesterà non possono che spingere i lavoratori a reagire di nuovo. Già durante gli scioperi studenteschi contro il CPE nel 2006 e durante lo sciopero degli studenti e dei ferrovieri dello scorso autunno, i media hanno criminalizzato gli scioperanti e le forze dell’ordine (borghese) non hanno esitato a moltiplicare le intimidazioni ed usare la violenza. Tutto questo per dissuadere e sfiancare la lotta. Nella stessa logica, gli studenti scioperanti arrestati e giudicati sono stati oggetto di invettive estremamente violente da parte del procuratore della repubblica che li accusava di essere “criminali”. Un preside dell’università li aveva addirittura accusati di essere “khmer rossi”! Quanto ai ferrovieri in lotta, quante volte abbiamo sentito dire che erano “sequestratori di ostaggi”? In breve, dei “terroristi”!
Non ci ha sorpreso sentire quest’estate il ministro dell’immigrazione, B. Hortefeux, etichettare la reazione degli extracomunitari senza permesso di soggiorno, parcheggiati in quelle infami prigioni che sono i centri di ritenzione amministrativi (CRA), col termine di “macchinazione” perpetrata da “agitatori” e “provocatori”. Cercando capri espiatori, braccando militanti ed elementi combattivi, questo signore “ha chiesto alle forze di sicurezza di essere estremamente vigili”[6]. Tutto questo clima intorno alla sicurezza alimentato da tempo, sostenuto dalla destra, dalla sinistra e dai media, punta soprattutto alle periferie operaie. La militarizzazione ed il controllo dei quartieri popolari sono d’altra parte apertamente predicati dal “libro bianco” della difesa nazionale. Si sa che la borghesia è esperta nell’infiltrare con i suoi agenti le manifestazioni, che osserva i militanti e sorveglia permanentemente le organizzazioni. Adesso può perfezionare questa attività aumentando il numero delle videocamere urbane e usando congegni come i droni (ricognitori telecomandati). Questi ultimi sono mezzi leggeri per una sorveglianza aerea dei dimostranti. Silenziosi e non rilevabili, muniti di videocamere, sono capaci di zumare gruppi di persone o semplici individui. La sperimentazione ha avuto già luogo a Saint-Denis, attorno allo Stadio di Francia, soddisfacendo pienamente gli sbirri. Un macchinario come il drone chiamato Elsa è destinato, e non abbiamo alcuno dubbio, ad effettuare numerose uscite durante le prossime dimostrazioni di strada. Non bisogna illudersi, è proprio di fronte alla contestazione ed alle minacce di scioperi massicci che la borghesia affila le sue armi!
Di fronte a questa intensa preparazione della borghesia il proletariato deve prendere coscienza che può contare solo sulla sua forza collettiva e la sua lotta. È necessario prendere coscienza che se, individualmente, ognuno di noi si sente molto vulnerabile di fronte ad un arsenale tecnologico mostruoso, questo stesso arsenale diventa impotente di fronte ad una risposta di massa e cosciente della classe operaia. Non lasciamoci intimidire! Ancora una volta, il “Grande Fratello” non è che il volto orrendo di una classe sociale agonizzante, paranoica perché completamente impotente di fronte alle contraddizioni che minano il suo barbaro sistema economico.
WH (14 agosto)
[2] Un corrispondente del gruppo delle industrie d’interconnessione dei componenti e dei sottoinsiemi elettronici (GIXEL) definisce nel suo “libro blu” che è necessario “condizionare le popolazioni alla biometria ed al controllo cominciando fin dalla più giovane età”.
[3] Oltre all’attuazione di “dossier base degli allievi”, bisogna denunciare una “operazione sperimentale” condotta ultimamente nella scuola elementare di Monein che ha provocato la reazione degli insegnanti. Tra le domande altamente pedagogiche del questionario d’ingresso il bambino poteva leggere: sei nato in Francia? Tua madre è nata in Francia? Tuo padre è nato in Francia? Che lingua si parla a casa tua? Abitualmente chi vive in casa con te?”.
[4] Vedi il sito www.lemonde.fr [16]
[5] www.agoravox.fr [17]
[6] www.liberation.fr [18], 9 agosto 2008.
Links
[1] https://fr.internationalism.org/content/crise-alimentaire-emeutes-faim-montrent-necessite-renverser-capitalisme
[2] https://it.internationalism.org/en/tag/3/47/economia
[3] https://fr.internationalism.org/rint133/les_causes_de_la_periode_de_prosperite_consecutive_a_la_seconde_guerre_mondiale.html
[4] https://it.internationalism.org/en/tag/3/48/guerra
[5] https://it.internationalism.org/en/tag/3/54/terrorismo
[6] https://libcom.org
[7] https://it.internationalism.org/en/tag/4/91/russia-caucaso-asia-centrale
[8] https://it.internationalism.org/en/tag/correnti-politiche-e-riferimenti/anarchismo-internationalista
[9] https://ilmanifesto.it/
[10] https://it.internationalism.org/en/tag/4/75/italia
[11] https://it.internationalism.org/en/tag/situazione-italiana/politica-della-borghesia-italia
[12] https://it.internationalism.org/en/tag/situazione-italiana/lotte-italia
[13] https://it.internationalism.org/en/tag/4/70/francia
[14] https://it.internationalism.org/en/tag/2/29/lotta-proletaria
[15] https://libertesinternets.wordpress.com/
[16] https://www.lemonde.fr/
[17] https://www.agoravox.fr
[18] https://www.liberation.fr