Una cosa è certa: l’odio ed il disprezzo della borghesia per la rivoluzione proletaria che è cominciata in Russia nel 1917, i suoi sforzi per deformare e snaturare la sua memoria, riguardano soprattutto l’organizzazione politica che ha incarnato lo spirito del vasto movimento insurrezionale, il partito bolscevico. Ciò non ci deve sorprendere: dall’epoca della Lega dei Comunisti e della Prima Internazionale, la borghesia ha sempre voluto “perdonare” alla maggioranza dei poveri operai di essere stati ingannati dai complotti e dalle macchinazioni delle minoranze rivoluzionarie e queste ultime sono state sempre viste invariabilmente come l’incarnazione del male. E per il capitale, nessuna di queste organizzazioni è stata così nefasta come i bolscevichi; questi sono riusciti “a fuorviare” i semplici operai più a lungo e andando più lontano di qualsiasi altro partito rivoluzionario nella storia.
Un elemento importante in questa campagna antibolscevica è l’idea che il bolscevismo, con tutto il suo discorso sul marxismo e la rivoluzione mondiale, era soprattutto l’espressione dello stato di arretratezza della Russia. Questa cantilena non è nuova: era uno dei temi favoriti del “rinnegato Kautsky” dopo l’insurrezione d’Ottobre. Ma ha ulteriormente preso una rispettabilità accademica considerevole. Uno dei migliori studi sui dirigenti della rivoluzione russa - Three Who Made a Révolution (I tre che fecero una rivoluzione) di Bertram Wolfe - scritta negli anni 1950, sviluppa questa idea con un’attenzione particolare per Lenin.
In questa visione, la posizione di Lenin sull’organizzazione politica proletaria come un corpo “ristretto” composto da rivoluzionari convinti, deve più alle concezioni cospiratrici e segrete di “narodniki” e di Bakunin che a Marx. Tali storici mettono spesso ciò in opposizione con le concezioni più “sofisticate”, più “europee” e più “democratiche” dei menscevichi. E certamente, poiché la forma dell’organizzazione rivoluzionaria è strettamente collegata alla forma della rivoluzione stessa, l’organizzazione democratica menscevica ci avrebbe dato una Russia democratica mentre la forma dittatoriale bolscevica ci ha dato una Russia dittatoriale.
Ma non sono soltanto i portavoce ufficiali della borghesia che portano avanti tali idee. Queste sono anche suggerite, in un contesto leggermente diverso, da anarchici di ogni tipo, specialisti di un approccio sulla rivoluzione russa del tipo “ve l’avevamo detto”. “Si sapeva dall’inizio che il bolscevismo era cattivo e che si sarebbe concluso con degli strappi - tutti questi discorsi sul partito, lo Stato di transizione e la dittatura del proletariato non potevano che condurre a ciò.” Non risponderemo qui a tutte queste calunnie contro i bolscevichi ma ci limiteremo a due episodi essenziali della rivoluzione russa che dimostrano il ruolo dell’avanguardia nel combattimento rivoluzionario della classe operaia: “le Tesi d’aprile difese da Lenin in occasione del suo ritorno in Russia nel 1917, ed i giorni di luglio.
1917: LA RIVOLUZIONE RUSSA
Le Tesi di Aprile, faro della rivoluzione proletaria
Nulla fa arrabbiare di più una classe sfruttatrice quanto un sollevamento degli sfruttati. Le rivolte degli schiavi sotto l’impero romano, dei contadini sotto il feudalesimo, sono state sempre represse con la crudeltà più disgustosa. Ma la ribellione della classe operaia contro il capitalismo è un affronto ancora maggiore contro la classe dominante di questo sistema perché porta in sé i vessilli di una società nuova, una società comunista che realmente corrisponde ad una possibilità ed a una necessità storica. Per la classe capitalista, dunque, non è sufficiente reprimere i tentativi rivoluzionari della classe operaia, di annegarli nel sangue – sebbene la controrivoluzione capitalista sia la più sanguinosa della storia. È necessario ridicolizzare l’idea che la classe operaia sia portatrice del nuovo ordine sociale, mostrare la totale futilità del progetto comunista, e per poterlo fare occorre un arsenale di menzogne e distorsioni da affiancare all’arsenale bellico. Da qui la necessità per il capitale di alimentare nel corso del ventesimo secolo la più grande menzogna della storia: Stalinismo = comunismo.
Il crollo del blocco dell’est nel 1989, e della Russia due anni dopo, benché abbia privato la borghesia di un “esempio” vivente di questa falsità, nei fatti ha rafforzato la mistificazione perché ha reso possibile il diffondersi di una gigantesca campagna sul definitivo fallimento del comunismo, del marxismo, e persino sull’obsolescenza della stessa idea di lotta di classe. Abbiamo esaminato più volte nella nostra stampa gli effetti profondamente distruttivi di questa campagna sulla coscienza del proletariato mondiale e non svilupperemo qui questo aspetto. E’ importante però sottolineare che, benché l’impatto di questa campagna sia diminuito negli ultimi anni – in particolare perché le promesse della borghesia su di “un nuovo ordine mondiale” di pace e prosperità, che avrebbe dovuto seguire alla scomparsa dello stalinismo, si sono dimostrate aria fritta – essa è così importante per l’apparato ideologico di controllo della borghesia che questa non mancherà di sfruttare ogni opportunità per dargli nuova vita e vigore.
Nell’ottantesimo anniversario della rivoluzione russa sicuramente sentiremo nuove menzogne. Ma una cosa è certa: l’odio e il disprezzo della borghesia verso la rivoluzione proletaria iniziata in Russia nel 1917, gli sforzi per deformare e snaturare la memoria di quei giorni, saranno focalizzati soprattutto sull’organizzazione politica che incarnò lo spirito di quel vasto movimento insurrezionale: il partito Bolscevico. Il che non deve sorprenderci: sin dai giorni della Lega dei Comunisti e della I Internazionale, la borghesia si è sempre mostrata disposta a “perdonare” alla maggioranza dei poveri lavoratori di essersi fatti imbrogliare dai complotti e le macchinazioni delle minoranze rivoluzionarie, le quali invece sono state sempre mostrate come l’incarnazione del male. E per il capitale nessuna è stata tanto nefasta quanto i bolscevichi che sono riusciti a “fuorviare” i poveri lavoratori più a lungo e meglio di ogni altro partito rivoluzionario della storia.
Non è questo il luogo per esaminare tutti i recenti libri, articoli e documentari dedicati alla rivoluzione Russa. Basta dire che i più pubblicizzati - per esempio The Unknown Lenin: from the Soviet Archives, (Lenin sconosciuto: dagli archivi sovietici) e Il vero Lenin del vecchio archivista del KGB, Volkogonov, che pretende di aver avuto accesso agli schedari del 1917, finora inaccessibili - hanno avuto un tema ben preciso: mostrare che Lenin e i bolscevichi erano una banda di fanatici affamati di potere che hanno fatto di tutto per usurpare le conquiste democratiche della rivoluzione del febbraio ‘17, e far precipitare la Russia ed il mondo in una delle esperienze più disastrose della storia. Naturalmente, questi signori “dimostrano” con minuziosa e dettagliata attenzione che il terrore stalinista fu la semplice continuazione e completamento del terrore leninista. Il sottotitolo della edizione tedesca del lavoro di Volkogonov su Lenin, “Utopia e Terrore”, riassume bene l’approccio della borghesia: la rivoluzione degenera nel terrore proprio perché tenta di imporre un ideale utopico, il comunismo, che è antitetico alla natura umana.
Un importante elemento di questa inquisizione anti-bolscevica è l’idea che il bolscevismo, con tutto il suo parlare di marxismo e rivoluzione internazionale, sia soprattutto un’espressione dell’arretratezza russa. Questa canzone non è nuova: era una delle preferite del “rinnegato Kautsky” subito dopo l’insurrezione di Ottobre, che in seguito ha acquisito una considerevole rispettabilità accademica. Uno dei migliori studi sui dirigenti della rivoluzione russa - Three Who Made a Revolution di Bentram Wolfe, scritto negli anni ’50 - sviluppa questa idea con una particolare attenzione verso Lenin. Secondo la sua visione, la posizione di Lenin sull’organizzazione politica proletaria vista come un “ristretto” corpo di rivoluzionari convinti, apparteneva più che a Marx, alle concezioni cospirative e segrete dei “narodniki” e di Bakunin. Tali storici spesso contrappongono la visione di Lenin alle concezioni più “sofisticate”, più “europee” e più “democratiche” dei menscevichi. E naturalmente, poiché la forma dell’organizzazione rivoluzionaria è strettamente legata alla forma della rivoluzione stessa, l’organizzazione democratica menscevica avrebbe portato ad una Russia democratica mentre la forma dittatoriale bolscevica ci ha dato una Russia dittatoriale.
A spacciare questo genere di idee non sono solo i portavoce ufficiali della borghesia. In una veste leggermente diversa, sono veicolate anche da anarchici di ogni risma, specialisti nell’approccio del tipo “l’avevamo detto noi”. “Si sapeva sin dall’inizio che il bolscevismo era cattivo e sarebbe finito in lacrime – tutto quel parlare di partito, periodo di transizione e dittatura del proletariato, non potevano che portare a questo”. Ma l’anarchismo ha l’abitudine di rinnovarsi in continuo e può essere molto più subdolo di così. Un esempio ci viene dal materiale che è stato divulgato da una specie parassitaria d’anarchismo che si proclama la “London Psychogeographical Association”. La LPA ha calorosamente aderito all’argomento della CCI secondo il quale il bakuninismo, con tutto il suo parlare di libertà e uguaglianza, le sue critiche all’ “autoritarismo” marxista, si basava in realtà su una visione profondamente gerarchica ed anche esoterica, strettamente legata alla franco-massoneria. Tuttavia per la LPA questo è solo l’antipasto: il piatto forte è che la concezione bolscevica del partito è la vera continuazione del bakuninismo e quindi della franco-massoneria. Il cerchio è chiuso: i “comunisti” della LPA rigurgitano gli avanzi dei professori della guerra fredda.
La sfida posta da tutti questi diffamatori del bolscevismo è considerevole, e non può trovare risposta nel contesto di un singolo articolo. Ad esempio, fare una valutazione critica della concezione “leninista” dell’organizzazione, rifiutare il pregiudizio secondo il quale quest’ultima sia una nuova versione del narodnikismo o del bakuninismo, potrebbe richiedere una serie di articoli. Il nostro obbiettivo qui è più limitato: esaminare un particolare episodio degli eventi della rivoluzione russa – le Tesi d’Aprile difese da Lenin al suo ritorno in Russia nel 1917. Non solo perché manca un mese all’anniversario, ma soprattutto perché questo corto e preciso documento ci offre un eccellente punto di partenza per rifiutare tutte le falsità sul partito bolscevico, e per riaffermare la cosa essenziale: questo partito non era un prodotto dell’arretratezza russa, di un distorto anarco-terrorismo, o di una non mitigata brama di potere dei leader della rivoluzione. Il bolscevismo fu soprattutto un prodotto del proletariato mondiale. Inseparabilmente legato all’intera tradizione marxista, non fu il seme di una nuova forma di sfruttamento e oppressione, ma l’avanguardia di un movimento per abolire lo sfruttamento e l’oppressione.
Verso la fine del febbraio del 1917, i lavoratori di Pietrogrado lanciano uno sciopero generale contro le intollerabili condizioni di vita imposte dalla guerra imperialista. Gli slogan del movimento rapidamente diventano politici, con la richiesta della fine della guerra e il rovesciamento dell’autocrazia. In pochi giorni la protesta si diffonde nelle altre città e nei villaggi, e quando i lavoratori impugnano le armi e fraternizzano coi militari, lo sciopero di massa assunse il carattere di un’insurrezione.
Rivivendo l’esperienza del 1905, gli operai centralizzano la lotta attraverso dei Soviet di deputati operai, eletti dalle assemblee di fabbrica e revocabili in ogni momento. Contrariamente al 1905, soldati e contadini seguono questo esempio su vasta scala.
La classe dominante, resasi conto che i giorni dell’autocrazia sono contati, si sbarazza essa stessa dello Zar, e invita i partiti liberali e della “sinistra”, in particolare gli elementi ex proletari di recente passati nel campo della borghesia per aver appoggiato la guerra, a formare un Governo provvisorio con l’esplicito obbiettivo di guidare la Russia verso un sistema di democrazia parlamentare. Ne fatti si genera una situazione di doppio potere dato che gli operai ed i soldati hanno realmente fiducia solo ed esclusivamente nei Soviet e il Governo provvisorio borghese non è ancora in una posizione abbastanza forte per ignorarli e ancor meno per scioglierli. Ma questa netta divisione di classe è parzialmente oscurata dalla nebbia dell’euforia democratica calata sul paese dopo la rivolta di febbraio. Con l’eliminazione dello zar e il popolo giubilante per una libertà mai vista prima, tutti sembrano essere favorevoli alla “Rivoluzione” – inclusi gli alleati democratici della Russia i quali sperano che ciò possa permettere ai russi di partecipare con più efficacia allo sforzo bellico. Il Governo provvisorio si presenta quindi come guardiano della rivoluzione; i Soviet sono politicamente dominati dai menscevichi e dai socialisti rivoluzionari, che fanno di tutto per ridurli ad una appendice del nuovo affermato regime borghese. In breve, tutto l’impeto dello sciopero generale e dell’insurrezione – che in realtà è una manifestazione del movimento rivoluzionario più ampio prodottosi nei maggiori paesi capitalisti a causa della guerra – viene deviato verso fini capitalistici.
Dove sono i bolscevichi in questa situazione così piena di pericoli e promesse? Nella più completa confusione:
“Il primo mese della rivoluzione era stato per il bolscevismo un periodo di disorientamento e tergiversazione. Nel “Manifesto” del Comitato Centrale dei bolscevichi, redatto subito dopo la vittoria dell’insurrezione, si diceva che “gli operai delle fabbriche e degli stabilimenti, come pure le truppe insorte, devono eleggere immediatamente i loro rappresentanti al governo rivoluzionario provvisorio” (…) Agivano non come rappresentanti di un partito proletario che si prepari a iniziare con la loro autorità una lotta per il potere, ma come l’ala sinistra della democrazia che, proclamando i suoi principi, si dispone per un periodo di tempo indeterminato a sostenere la parte di una leale opposizione” (Trotsky, Storia della Rivoluzione Russa, vol. 1, cap. 15).
Quando in marzo Stalin e Kamenev prendono il timone del partito si spingono anche oltre. Stalin sviluppa un teoria sul ruolo complementare del governo provvisorio e dei soviet. Ancor peggio, l’organo ufficiale del partito, la Prava, adotta apertamente una posizione “difensiva” sulla guerra: “Non facciamo nostra l’inconsistente parola d’ordine:“abbasso la guerra”. La nostra parola d’ordine consiste nell’esercitare una pressione sul governo provvisorio per costringerlo… a fare un tentativo per indurre tutti i paesi belligeranti ad aprire immediate trattative… fino a quel momento ognuno resti al suo posto di combattimento!” (citato in Trosky).
Trotsky racconta di come molti elementi nel partito avvertono profonda inquietudine e rabbia per questa manica di opportunisti all’interno del partito, ma non sono armati programmaticamente per rispondere alla posizione della leadership, che sembra basarsi sulla prospettiva sviluppata dallo stesso Lenin e che era stata la posizione ufficiale del partito per un decennio: la prospettiva della “dittatura democratica degli operai e dei contadini”. L’essenza di questa teoria è che, sebbene dal punto di vista economico la rivoluzione russa sia di natura borghese, la borghesia russa è essa stessa troppo debole per realizzare la propria rivoluzione, di conseguenza la modernizzazione capitalista della Russia deve essere assunta dal proletariato e i settori più poveri dei contadini. Questa posizione si situa a metà strada tra quella dei menscevichi – che pretendono di essere dei marxisti “ortodossi” e quindi sostengono che il compito del proletariato sia dare un supporto critico alla borghesia contro l’assolutismo fino a quando in Russia non maturino i tempi per il socialismo – e quella di Trotsky, la cui teoria della “rivoluzione permanente”, sviluppata dopo gli eventi del 1905, insiste sul fatto che la classe operaia sarà il propellente della rivoluzione futura, e spingerà la rivoluzione oltre lo stadio borghese verso lo stadio socialista, ma sarà in grado di farlo solo se la rivoluzione russa coinciderà, o sarà innescata da una rivoluzione socialista nei paesi industrializzati.
In verità la teoria di Lenin è il prodotto di un periodo in cui diventa sempre più evidente che la borghesia russa non è più una forza rivoluzionaria, ma non è ancora chiaro che si è aperta l’era della rivoluzione internazionale socialista. Tuttavia la superiorità delle tesi di Trotsky sta proprio nel fatto che queste partono da un quadro internazionale, piuttosto che dal quadro specifico della Russia; e Lenin stesso, malgrado i suoi numerosi e aspri disaccordi con Trostky all’epoca, dopo gli avvenimenti del 1905, si avvicina alla nozione di rivoluzione permanente.
Nella pratica il concetto di “dittatura democratica di operai e contadini” si dimostra essere priva di sostanza; i “leninisti ortodossi”, che ripetono questa formula nel 1917, la usano come copertura del loro scivolamento verso il menscevismo puro e semplice. Kemenev afferma con vigore che bisogna dare un sostegno critico al Governo provvisorio poiché la fase democratica borghese non è ancor finita: questo corrisponde a malapena all’idea originale di Lenin, il quale sosteneva che la borghesia sarebbe arrivata inevitabilmente ad un compromesso con l’autocrazia. Ci sono anche dei seri tentativi di riunificazione tra menscevichi e bolscevichi.
Il partito bolscevico, disarmato politicamente viene trascinato verso il compromesso e il tradimento. Quando Lenin torna dall’esilio il futuro della rivoluzione è appeso ad un filo.
Nella sua Storia della Rivoluzione Russa (vol.1, cap.15), Trotsky ci dà una descrizione dettagliata dell’arrivo di Lenin alla stazione di Pietrogrado, il 3 Aprile 1917. Il soviet di Pietrogrado, ancora dominato dai menscevichi e dai socialisti rivoluzionari, organizza una grande festa di benvenuto ed accoglie Lenin con dei fiori. A nome del Soviet, Cheidze ringrazia Lenin con queste parole: “Compagno Lenin (…) salutiamo il vostro arrivo in Russia (…) ma noi riteniamo che il compito essenziale della democrazia rivoluzionaria sia per il momento quello di difendere la nostra rivoluzione da tutti gli attentati che potrebbero essere compiuti contro di essa sia dall’interno che dall’esterno (…) Speriamo che perseguirete con noi questi scopi”.
Lenin indirizza la sua risposta non ai dirigenti del comitato di benvenuto ma alle centinaia di soldati e operai che si accalcano alla stazione:
“Cari compagni, soldati, marinai e operai sono felice di salutare in voi la rivoluzione russa vittoriosa, di salutarvi come avanguardia dell’esercito rivoluzionario mondiale… Non è lontana l’ora in cui, all’appello del compagno Karl Liebknecht, i popoli rivolgeranno le armi contro i capitalisti sfruttatori. La rivoluzione russa da voi compiuta ha inaugurato una nuova epoca. Viva la rivoluzione socialista mondiale!”.
E’ così che quel guastafeste di Lenin tratta il carnevale democratico sin dal momento del suo arrivo. Quella notte Lenin elabora la sua posizione in un discorso di due ore che lascia costernati in primo luogo tutti i democratici e socialisti sentimentali, che non volevano che la rivoluzione andasse oltre a quanto fatto in febbraio, che avevano applaudito gli scioperi di massa degli operai quando questi cacciarono lo Zar e permisero al Governo provvisorio di assumere il potere, ma avevano il terrore di ogni ulteriore polarizzazione della classe. Il giorno dopo ad un incontro tra bolscevichi e menscevichi, Lenin espone quelle che in seguito si sarebbero chiamate le Tesi di Aprile:
“1) Nel nostro atteggiamento verso la guerra, la quale - sotto il nuovo governo di Lvov e consorti e grazie al carattere capitalistico di questo governo - rimane incondizionatamente, da parte della Russia, una guerra imperialista di brigantaggio, non è ammissibile nessuna benché minima concessione al “difensismo” rivoluzionario.
A una guerra rivoluzionaria, che realmente giustifichi il difensismo rivoluzionario, il proletariato cosciente può dare il suo consenso soltanto alle seguenti condizioni: a) passaggio del potere nella mani del proletariato e degli strati più poveri della popolazione contadina che si mettono dalla sua parte; b) rinuncia effettiva, e non a parole, a qualsiasi annessione; c) rottura completa, effettiva, con tutti gli interessi del capitale.
Data l’innegabile buona fede di vasti strati delle masse, che sono per il difensismo rivoluzionario e accettano la guerra come una necessità e non per spirito di conquista, dato che essi sono ingannati dalla borghesia, bisogna innanzi tutto mettere in luce i loro errori minutamente, ostinatamente, pazientemente, mostrando il legame indissolubile tra il capitale e la guerra imperialistica, mostrando che non è possibile mettere fine alla guerra con una pace puramente democratica, e non imposta con la forza, senza abbattere il capitale.
Organizzazione della più vasta propaganda di questi concetti nell’esercito combattente.
Fraternizzazione.
2) La peculiarità dell’attuale momento in Russia consiste nel passaggio dalla prima tappa della rivoluzione – che, a causa dell’insufficiente coscienza ed organizzazione del proletariato, ha dato il potere alla borghesia – alla seconda tappa, che deve dare il potere al proletariato e agli strati poveri dei contadini.
Da una parte, questo passaggio è caratterizzato dal massimo di legalità (fra tutti i paesi belligeranti, la Russia è, oggi, il paese più libero del mondo) e, d’altra parte, dall’assenza di violenza contro le masse e, infine, dall’atteggiamento inconsapevolmente fiducioso delle masse verso il governo dei capitalisti, dei peggior nemici della pace e del socialismo.
Questa peculiarità ci impone di saperci adattare alle condizioni particolari del lavoro del Partito fra le immense masse proletarie appena destate alla vita politica.
3) Non appoggiare in alcun modo il governo provvisorio, dimostrare la completa falsità di tutte le sue promesse, soprattutto di quelle concernenti la rinuncia alle annessioni. Smascherare questo governo invece di “esigere” (ciò che è inammissibile e semina illusioni) che esso, governo di capitalisti, cessi di essere imperialista.
4) Riconoscimento del fatto che il nostro partito è una minoranza e, finora, una piccola minoranza nella maggior parte dei Soviet dei deputati degli operai, di fronte al blocco di tutti gli elementi opportunisti piccolo-borghesi, sottomessi all’influenza della borghesia e veicoli dell’influenza borghese sul proletariato: dai socialisti populisti e dai socialisti-rivoluzionari al Comitato d’organizzazione (Ckheidze, Tsereteli, ecc.), a Steklov, ecc.
Spiegare alle masse che i Soviet dei deputati operai sono la sola forma possibile di governo rivoluzionario e che, per conseguenza, il nostro compito, finché questo governo sarà sottomesso all’influenza della borghesia, può consistere soltanto nella spiegazione paziente, sistematica, perseverante – particolarmente adattata ai bisogni pratici delle masse - degli errori della loro tattica.
Finché saremo in minoranza, faremo un lavoro di critica e di spiegazione degli errori, sostenendo in pari tempo la necessità del passaggio di tutto il potere statale ai Soviet dei deputati operai, affinché le masse, sulla base dell’esperienza, possano liberarsi dei loro errori.
5) Niente repubblica parlamentare - ritornare ad essa dopo i Soviet dei deputati operai, sarebbe un passo indietro - ma repubblica dei Soviet dei deputati operai, dei braccianti e dei contadini, in tutto il paese, dal basso in alto.
Soppressione della polizia, dell’esercito e corpo dei funzionari.
Salario ai funzionari - tutti eleggibili e revocabili in qualunque momento - non superiore al salario medio d’un buon operaio.
6) Nel programma agrario trasferire il centro di gravità nel Soviet dei deputati dei salariati agricoli.
Confisca di tutte le terre dei grandi proprietari fondiari.
Nazionalizzare tutte le terre del paese e metterle a disposizione dei Soviet locali dei deputati dei salariati agricoli e dei contadini poveri. Formazione dei Soviet dei deputati dei contadini poveri. Fare di ogni grande tenuta (da 100 a 300 desiatine circa, secondo le condizioni locali e secondo le decisioni delle istituzioni locali) un’azienda modello coltivata per conto della comunità e sottoposta al controllo dei Soviet dei deputati dei salariati agricoli.
7) Fusione immediata di tutte la banche del paese in una unica banca nazionale, posta sotto il controllo dei Soviet dei deputati operai.
8) Come nostro compito immediato, non “l’instaurazione” del socialismo, ma, per ora, soltanto il passaggio al controllo della produzione sociale e della ripartizione dei prodotti da parte dei Soviet dei deputati operai.
9) Compiti del partito:
a) Congresso immediato del partito.
b) Modificare il programma del partito, e principalmente:
1) Sull’imperialismo e sulla guerra imperialista;
2) Sull’atteggiamento verso lo Stato e sulla nostra rivendicazione dello “Stato-Comune”;
3) correggere il programma minimo invecchiato.
c) Cambiare il nome del partito.
10) Rinascita dell’Internazionale.
Prendere l’iniziativa della creazione di un’Internazionale rivoluzionaria, contro gli socialsciovinisti e contro il ‘centro’ ”.
Zalevski, all’epoca membro del Comitato Centrale Bolscevico, riassume così la reazione alle Tesi di Lenin sia all’interno del partito che nel movimento: “Le tesi di Lenin produssero l’effetto dell’esplosione di una bomba” (Trotsky, Vol.1, cap.15). La reazione iniziale è di incredulità e molti anatemi cadono sulla testa di Lenin: Lenin è stato troppo tempo in esilio, ha perso il contatto con la realtà russa. La sua prospettiva sulla natura della rivoluzione è caduta nel “trotskismo”. Per la sua idea sulla presa del potere dei Soviet è regredito al blanquismo, all’avventurismo, all’anarchismo. Un ex-membro del Comitato Centrale Bolscevico, a quel tempo fuori dal partito, Goldenberg, si esprime così: “Per molti anni, il posto di Bakunin nella rivoluzione russa era rimasto vuoto: ora è preso da Lenin” (Trotsky, idem). Secondo Kamenev, la visione di Lenin impedisce ai bolscevichi di agire da partito di massa, riducendone il ruolo a quello di un “gruppo di comunisti propagandisti”.
Non è la prima volta che i “vecchi bolscevichi” si aggrappano a logore formule in nome del leninismo. Nel 1905 la prima reazione dei bolscevichi nei riguardi dei Soviet era stata una meccanica interpretazione delle critiche di Lenin allo spontaneismo nel Che fare?; la direzione aveva all’epoca chiamato il Soviet di Pietrogrado a subordinarsi al partito oppure sciogliersi. Lo stesso Lenin ha rigettato categoricamente questo atteggiamento, essendo stato uno dei primi a comprendere il significato rivoluzionario del Soviet come organo del potere politico del proletariato, affermando che la questione non era “soviet o partito” ma i due insieme, i soviet ed il partito, i cui ruoli sono complementari. Allora, ancora una volta, Lenin dette a questi “leninisti” una lezione sul metodo marxista, dimostrando come il marxismo sia l’esatto contrario di un dogma; è una teoria scientifica vivente che deve costantemente essere verificata nel laboratorio dei movimenti sociali. Le Tesi di Aprile sono il compendio della capacità del marxismo di scartare, adattare, modificare o arricchire le posizioni precedenti alla luce delle esperienze della lotta di classe: “Per il presente, bisogna mettersi bene in testa questa verità incontestabile che un marxista deve tener conto della vita, dei veri fatti precisi della realtà, e non aggrapparsi alla teoria di ieri che, come ogni teoria, è al massimo capace di indicare l’essenziale, il generale, di fornire un’idea che si approssima alla complessità della vita. ‘La teoria è grigia, amico mio, ma verde è l’albero eterno della vita’” (1)
E nella stessa lettera redarguisce “questi ‘vecchi bolscevichi’ che già più di una volta hanno giocato un triste ruolo nella storia del loro partito, ripetendo stupidamente una formula imparata a memoria invece di studiare quello che c’era di originale nella realtà nuova, vivente”.
Per Lenin la “dittatura democratica” è già stata realizzata coi Soviet dei deputati operai e dei contadini e come tale già rappresenta una formula antiquata. Il compito essenziale per i bolscevichi è ora favorire la dinamica proletaria all’interno del vasto movimento sociale che si orienta verso la formazione di uno Stato-Comune (cioè ad immagine della Comune di Parigi) in Russia come primo avamposto della rivoluzione socialista mondiale. Si può discutere sullo sforzo di Lenin per salvare l’onore della vecchia formula, ma l’elemento essenziale nel suo approccio è che lui fu capace di vedere il futuro del movimento e, quindi, di comprendere la necessità di rompere col vecchiume delle consumate teorie.
Il metodo marxista non è solo dialettico e dinamico; esso è anche globale, cioè pone ogni particolare questione in un quadro storico e internazionale. Ed è soprattutto questo che ha permesso a Lenin di comprendere il senso reale degli avvenimenti. A partire dal 1914 i bolscevichi, Lenin in testa, hanno difeso la posizione internazionalista più coerente contro la guerra imperialista, vedendo in essa la prova della decadenza del capitalismo mondiale e l’inizio dell’epoca della rivoluzione proletaria mondiale. Questa è la base della posizione “trasformare la guerra imperialista in guerra civile” che Lenin ha difeso contro tutta una varietà di sciovinismi e pacifismi. Saldamente ancorato a questa analisi, Lenin non si lascia prendere neanche per un momento dall’idea che l’ascesa al potere del governo provvisorio avesse cambiato il carattere imperialista della guerra, e non risparmia alcuna critica ai bolscevichi che sono caduti in questo errore: “La Pravda esige che il governo rinunci alle annessioni. Esigere che un governo di capitalisti rinunci alle annessioni è una sciocchezza, è una vera e propria presa in giro…” (citato da Trotsky).
La riaffermazione intransigente della posizione internazionalista sulla guerra è, in quel momento, in primo luogo una necessità se si vuole porre un freno alle scivolate opportuniste nel partito. Ma è anche il punto di partenza per liquidare teoricamente la formula della “dittatura democratica” e tutte le giustificazioni mensceviche per sostenere la borghesia. All’argomento che la Russia arretrata non è ancora matura per il socialismo, Lenin risponde da vero internazionalista, riconoscendo nella Tesi 8 che “nostro compito immediato, non (è) “l’instaurazione” del socialismo”. La Russia, di per sé, non è matura per il socialismo, ma la guerra imperialista ha mostrato che il capitalismo mondiale è in realtà più che maturo. Da qui il saluto di Lenin ai lavoratori alla stazione di Pietrogrado: prendendo il potere, gli operai russi agiscono da avanguardia dell’esercito proletario internazionale. Da qui anche l’appello ad una nuova Internazionale alla fine delle Tesi. E per Lenin, come per ogni autentico internazionalista, la rivoluzione mondiale non è una pia speranza ma una prospettiva concreta che si sviluppa dalla rivolta del proletariato mondiale contro la guerra - scioperi in Gran Bretagna e Germania, manifestazioni politiche, ammutinamenti e fraternizzazioni nelle forze armate in molti paesi, e naturalmente la crescente ondata rivoluzionaria nella Russia stessa. Questa prospettiva, in quel momento ancora embrionale, sarebbe stata confermata a pieno dopo l’insurrezione di Ottobre dall’estensione dell’ondata rivoluzionaria all’Italia, l’Ungheria, l’Austria e soprattutto la Germania.
I difensori dell’“ortodossia” marxista accusano Lenin di blanquismo e bakuninismo sulla questione dell’attacco al potere e sulla natura della Stato post-rivoluzionario. Di blanquismo perché si suppone sia a favore di un colpo di Stato guidato da una minoranza – o da parte dei soli bolscevichi, o anche da parte degli operai dell’industria senza tener conto della maggioranza contadina. Di bakuninismo perché il rifiuto delle Tesi sulla repubblica parlamentare sarebbe una concessione al pregiudizio anti-politico degli anarchici e degli anarco-sindacalisti.
Nelle Lettere sulla tattica, Lenin difende le sue Tesi dalla prima accusa in questo modo: “Nelle mie tesi mi sono ben premunito contro ogni tentativo di saltare al di sopra del movimento contadino o piccolo-borghese in generale, che non ha ancora esaurito tutte le sue possibilità, contro ogni tentativo di giocare alla “presa del potere” da parte di un governo operaio, contro ogni avventura blanquista, perché mi sono richiamato espressamente all’esperienza della Comune di Parigi. E quell’esperienza, come è noto e come Marx ha esaurientemente dimostrato nel 1871 e Engels nel 1891, escluse del tutto il blanquismo, garantì il dominio diretto, immediato e incondizionato della maggioranza e l’iniziativa delle masse soltanto nella misura in cui questa massa si afferma in modo cosciente.
Nelle mie tesi ho ricondotto tutto, nel modo più esplicito, alla lotta per l’influenza all’interno dei Soviet dei deputati operai, dei salariati agricoli, dei contadini e dei soldati. E, per non lasciare in proposito nemmeno l’ombra di un dubbio, nelle tesi ho sottolineato due volte la necessità di un lavoro di “spiegazione”, paziente e tenace, che si conformi ai bisogni pratici delle masse”.
Per ritornare alla posizione anarchica sullo Stato, Lenin sottolinea in aprile, come lo farà più estesamente in Stato e Rivoluzione, che i marxisti “ortodossi”, con personalità quali Kautsky e Plekhanov alla loro testa, abbiano sotterrato il vero insegnamento di Marx ed Engels sullo Stato sotto un mucchio di letame parlamentarista. L’esperienza della Comune aveva mostrato che l’obbiettivo del proletariato nella rivoluzione non è impadronirsi del vecchio Stato, ma demolirlo da cima a fondo; questo nuovo strumento del controllo proletario, lo Stato-Comune, prima di tutto non deve essere basato sulla rappresentanza parlamentare, la quale in fin dei conti è una facciata per mascherare la dittatura della borghesia, ma sulla delega diretta e revocabile dal basso, sulle masse armate ed auto organizzate. Con la costituzione dei Soviet, l’esperienza del 1905, e la rivoluzione del 1917 non solo confermano questa prospettiva, ma determinano un passo ulteriore. Mentre la Comune era stata un organismo “popolare” in cui tutte le classi oppresse della società erano ugualmente rappresentate, i Soviet sono una forma superiore perché permettono al proletariato di organizzarsi autonomamente all’interno del generale movimento di massa. I soviet, presi nel loro insieme, costituiscono quindi un nuovo Stato qualitativamente differente dal vecchio Stato borghese, ma uno Stato vero e proprio – e qui Lenin si distingue saggiamente dagli anarchici: “(…) l’anarchismo è la negazione della necessità dello Stato e del potere statale nel periodo di transizione dal dominio della borghesia al dominio del proletariato. Io difendo invece, con una chiarezza che esclude qualsiasi possibilità di malinteso, la necessità dello Stato in questo periodo, però, d’accordo con Marx e con l’esperienza della Comune di Parigi, non di uno Stato parlamentare borghese ordinario, ma di uno Stato senza esercito permanente, senza una polizia opposta al popolo, senza una burocrazia posta al di sopra del popolo.
Se il signor Plekhanov, nel suo Edinstvo, grida con tutte le sue forze all’anarchia, non fa che dare prova ancora una volta della sua rottura con il marxismo.” (Lenin, Lettere sulla Tattica).
L’accusa che Lenin stia preparando un golpe blanquista è inseparabile dall’idea che sia in cerca di potere per il suo partito. Questo comincia ad essere il tema centrale della propaganda borghese dopo la rivoluzione di Ottobre che non sarebbe altro che un colpo di Stato guidato dai bolscevichi. Non possiamo qui trattate tutte le varietà e le sfumature di questa tesi. Trotsky fornisce una delle migliori risposte nella sua Storia della Rivoluzione Russa, quando mostra che non è il partito, ma sono i soviet a prendere il potere in Ottobre. Ma uno dei fili conduttori di questa idea è l’argomento secondo il quale la visione di Lenin del partito, come un’organizzazione unita e fortemente centralizzata, porta inesorabilmente al colpo di mano minoritario nel 1917, quindi al terrore rosso ed infine allo stalinismo.
Questa questione rimanda alla scissione iniziale tra i bolscevichi ed i menscevichi, ma non possiamo qui entrare nei dettagli di questo episodio chiave. È sufficiente dire che, da allora, la concezione di Lenin sull’organizzazione rivoluzionaria è stata sempre descritta come giacobina, elitaria, militarista e persino terrorista. Eminenti marxisti, dalla rispettabilità di Rosa Luxemburg e Trostky, sono stati citati a supporto di questa visione. Da parte nostra non neghiamo che la visione di Lenin sulla questione dell’organizzazione, sia in quel periodo che in quelli seguenti, contenga molti errori (per esempio la sua adozione nel 1902 della tesi di Kautsky sulla coscienza di classe proveniente dall’esterno della classe operaia, benché rigettata in seguito da Lenin stesso; alcune sue concezioni sul regime interno al partito, sul rapporto tra il partito e lo Stato, ecc). Ma contrariamente ai menscevichi del tempo, ai numerosi anarchici, socialdemocratici e consiliaristi, noi non facciamo di questi errori il punto di partenza, così come non analizziamo la Comune di Parigi o la Rivoluzione russa insistendo sugli errori fatti– anche quelli fatali. Il vero punto di partenza è che la lotta di Lenin lungo tutta la sua vita per costruire l’organizzazione rivoluzionaria è un’acquisizione storica del movimento operaio che ha lasciato ai rivoluzionari di oggi un base indispensabile per comprendere sia come un’organizzazione rivoluzionaria deve funzionare al suo interno, sia quale deve essere il suo ruolo all’interno dell’insieme della classe.
Rispetto all’ultimo punto, e contro ogni analisi superficiale, la concezione “stretta” dei bolscevichi sull’organizzazione, che Lenin contrappose alla “più larga” concezione menscevica, non era semplicemente il riflesso delle condizioni imposte dalla repressione zarista. Così come gli scioperi di massa e i sollevamenti rivoluzionari del 1905 non erano le ultime eco delle rivoluzioni borghesi del 19° secolo, ma mostravano il prossimo futuro della lotta di classe nella nascente epoca della decadenza del capitalismo, così la concezione bolscevica di un partito formato da rivoluzionari determinati, avente un programma chiaro e che funzionasse in maniera centralizzata, era un’anticipazione del ruolo e della struttura richiesta al partito nelle condizioni della decadenza del capitalismo, epoca della rivoluzione proletaria. Come pretendono molti anti-bolscevichi, può darsi che i menscevichi guardassero all’occidente per il loro modello di organizzazione, ma essi guardavano anche indietro, al vecchio modello socialdemocratico del partito di massa che riunisce la classe e la rappresenta essenzialmente attraverso il processo elettorale. E contro tutte le affermazione secondo le quali i bolscevichi rimangono invischiati nelle condizioni della Russia arcaica, rifacendosi al modello delle associazione cospirative, in realtà essi sono gli unici a guardare avanti, verso un periodo di grande turbolenza rivoluzionaria di massa, che non poteva essere né organizzata, né pianificata, né inquadrata dal partito, ma che rendeva tuttavia ancora più essenziale il ruolo del partito. “In effetti, lasciamo da parte la pedante teoria di uno sciopero dimostrativo messo in scema artificialmente dal Partito ed i sindacati fatti da una minoranza organizzata e consideriamo il quadro di un vero movimento popolare nato dall’esasperazione dei conflitti di classe e dalla situazione politica (…) allora il compito della social democrazia consisterà nella preparazione della direzione tecnica dello sciopero, ma nella direzione politica dell’insieme del movimento” (Sciopero di massa, partito e sindacati). Così scriveva Rosa Luxemburg nella sua magistrale analisi dello sciopero generale e delle nuove condizioni della lotta di classe internazionale. Quindi la Luxemburg, la quale è stata la più feroce critica di Lenin ai tempi della scissione del 1903, converge con gli elementi fondamentali della concezione bolscevica del partito rivoluzionario.
Questi elementi sono esposti con la massima chiarezza nelle Tesi di Aprile che, come abbiamo già visto, rifiutano ogni nozione di “imposizione” della rivoluzione dall’alto: “Finché saremo in minoranza, faremo un lavoro di critica e di spiegazione degli errori, sostenendo in pari tempo la necessità del passaggio di tutto il potere statale ai Soviet dei deputati operai, affinché le masse, sulla base dell’esperienza, possano liberarsi dei loro errori”. Questo lavoro di “spiegazione paziente, sistematica, perseverante” significava precisamente fornire una guida politica in un periodo rivoluzionario. Non è possibile passare alla fase dell’insurrezione finché le posizioni rivoluzionarie dei bolscevichi non guadagnano i soviet. In effetti, prima che questo accada, le posizioni rivoluzionarie di Lenin devono guadagnare il partito bolscevico, e ciò richiede una lotta dura e senza compromessi sin dall’arrivo di Lenin in Russia.
“Non siamo ciarlatani, dobbiamo basarci solo sulla coscienza delle masse” (secondo discorso di Lenin al suo arrivo a Pietrogrado, citato in Trotsky). Nella fase iniziale della rivoluzione, la classe operaia ha consegnato il potere alla borghesia, e ciò non dovrebbe sorprendere alcun marxista “perché abbiamo sempre saputo, e molte volte detto, che la borghesia si mantiene il potere non solo con la violenza, ma anche grazie all’incoscienza, alla routine, all’abbrutimento, alla mancanza di organizzazione delle masse” (Lettere sulla Tattica). Quindi l’obbiettivo principale dei bolscevichi è contribuire alla coscienza di classe e all’organizzazione delle masse operaie.
Questo ruolo non soddisfa i “vecchi bolscevichi” che hanno piani più “pratici”. Vogliono prendere parte alla “rivoluzione borghese” in atto e vogliono che il partito bolscevico abbia una larga influenza nel movimento così com’è. Secondo le parole di Kamenev, sono terrorizzati al pensiero che il partito possa restare su di un basso profilo, fermo sulle sue posizioni “pure”, ridotto al ruolo di “gruppo di comunisti propagandisti”.
Lenin non ha difficoltà a smontare questo argomento: gli sciovinisti non hanno forse lanciato le stesse questioni agli internazionalisti all’inizio della guerra, secondo le quali loro restavano in contatto con la coscienza delle masse, mentre bolscevichi e spartachisti non erano niente altro che una setta marginale? Deve essere particolarmente irritante ascoltare le stesse cose da compagni bolscevichi. Ma questo non indebolisce la risposta di Lenin: “Il compagno Kamenev oppone il ‘partito di massa’ al ‘gruppo di propagandisti’. Ma proprio oggi le ‘masse’ sono intossicate dal difensismo ‘rivoluzionario’. Non sarebbe allora meglio per gli internazionalisti sapersi opporre in questo momento all’intossicazione ‘di massa’ invece di ‘voler restare’ con le masse, cedendo al contagio generale? Non abbiamo visto gli sciovinisti, in tutti i paesi belligeranti d’Europa, giustificarsi con il desiderio di ‘restare con le masse’? Non è nostro dovere saper rimanere per un certo tempo in minoranza contro l’intossicazione ‘di massa’? E il lavoro di propaganda non è proprio nel momento attuale il fattore più importante per depurare la linea proletaria dall’intossicazione difensivista e piccolo-borghese delle ‘masse’? Proprio la fusione delle masse proletarie e non proletarie, senza distinzione di classe nel loro seno, è stata una delle condizioni dell’epidemia del difensismo. Parlare con disprezzo del ‘gruppo di propagandisti’ della linea proletaria è, forse, poco opportuno”. (Lettere sulla tattica).
Questo approccio, questa volontà ad andare controcorrente ed essere in minoranza difendendo dei principi di classe chiari e precisi, non ha nulla a che fare col purismo e il settarismo. Sono basati invece sulla comprensione del movimento reale che si svolge nella classe, sulla capacità di dar voce e direzione agli elementi più radicali all’interno del proletariato.
Trotsky mostra come, guadagnando il partito alle sue posizioni ed in seguito difendendo la “linea proletaria” all’interno dell’insieme della classe, Lenin cerca l’appoggio di questi elementi: “contro i vecchi bolscevichi Lenin trovò appoggio in un altro strato del partito, già temperato, ma più fresco e più legato alle masse. Nell’insurrezione di febbraio gli operai bolscevichi, come sappiamo, avevano avuto una parte decisiva. Essi ritenevano che andasse da sé che il potere sarebbe stato conquistato dalla classe che aveva riportato la vittoria. Gli stessi operai protestavano con veemenza contro l’orientamento di Kamenev e di Stalin, e il quartiere di Vyborg minacciava persino di espellere i dirigenti dal partito. Nelle province si verificava la stessa cosa. C’erano quasi dovunque bolscevichi di sinistra che venivano accusati di massimalismo e persino di anarchismo. Agli operai rivoluzionari mancavano solo le risorse teoriche per sostenere le loro posizioni. Ma erano pronti a rispondere al primo chiaro appello. Lenin si orientava verso questo strato di operai, che si erano definitivamente imposti durante l’ascesa degli anni 1912-1914.” (Trotsky, Storia della Rivoluzione Russa, cap. 16°).
Anche questo è un’espressione della conoscenza di Lenin del metodo marxista che, andando al di là delle apparenze, può discernere la reale dinamica di un movimento sociale. Al contrario, negli anni venti, quando lo stesso Lenin torna sulla questione se “rimanere con le masse” in modo da giustificare il Fronte Unito e la fusione coi partiti centristi, si ha un sintomo del fatto che il partito sta perdendo la sua comprensione del metodo marxista e scivola nell’opportunismo. Ma questo a sua volta è il risultato dell’isolamento della rivoluzione e della fusione tra bolscevichi e Soviet. Nella grande ondata rivoluzionaria in Russia, il Lenin delle Tesi di Aprile non è né un profeta isolato né un demiurgo sovrapposto alle masse volgari, ma la chiara voce della tendenza più rivoluzionaria all’interno del proletariato; una voce che indica, con precisione e chiarezza, il cammino che porta alla rivoluzione di Ottobre.
Amos, primavera 1997
1. Lenin, Lettere sulla tattica, 8-13 aprile 1917. La citazione è di Mefistofele nel Faust di Goethe.
1917: la rivoluzione russa. Le “giornate di luglio”: il partito sventa una provocazione della borghesia
Le giornate del luglio 1917 costituiscono uno dei momenti più importanti non solo della rivoluzione russa ma di tutta la storia del movimento operaio. Essenzialmente nello spazio di tre giorni, dal 3 al 5 luglio, si sviluppa uno dei più importanti scontri fra borghesia e proletariato che, benché sia terminato con la sconfitta della classe operaia, aprirà la via alla presa del potere nell'ottobre ‘17. Il 3 luglio, gli operai e i soldati di Pietrogrado si sollevano massicciamente e spontaneamente esigendo che tutto il potere passi ai consigli operai, ai Soviet. Il 4 luglio, una manifestazione armata di mezzo milione di partecipanti stringe d'assedio la direzione del soviet di Pietrogrado chiamandolo a prendere il potere ma, rispondendo all'appello dei bolscevichi, la sera si disperde pacificamente. Il 5 luglio, le truppe controrivoluzionarie riprendono la capitale della Russia, dando la caccia ai bolscevichi e reprimendo gli operai più combattivi. Tuttavia, evitando una lotta prematura per il potere, l'insieme del proletariato manterrà le sue forze rivoluzionarie intatte. E' questo che permetterà alla classe operaia di trarre le elezioni essenziali da questi avvenimenti, in particolare la comprensione del carattere controrivoluzionario della democrazia borghese e della nuova sinistra capitalista: i mensceviche e i socialrivoluzionari che hanno tradito la causa dei lavoratori e dei contadini poveri e sono passati nel campo nemico. In nessun altro momento della rivoluzione russa è stato così acuto il pericolo di una disfatta decisiva del proletariato e della liquidazione del partito bolscevico come durante queste 72 drammatiche ore. In nessun altro momento è stata così importante la fiducia profonda dei battaglioni più avanzati del proletariato nel loro partito di classe, nell'avanguardia comunista.
80 anni più tardi, di fronte alle menzogne della borghesia sulla "morte del comunismo", in particolare di fronte alla denigrazione della rivoluzione russa e del bolscevismo, una delle principali responsabilità delle organizzazioni rivoluzionarie è quella di trarre le vere lezioni delle giornate di luglio e dell'insieme della rivoluzione proletaria. Secondo le menzogne della borghesia, la rivoluzione russa è stata una lotta "popolare" per una repubblica parlamentare borghese; la Russia era "il paese più libero del mondo" fino a che i bolscevichi "inventandosi" la parola d'ordine "demagogica" di "tutto il potere ai soviet", impongono con un putsch la loro "dittatura barbara sulla grande maggioranza della popolazione lavoratrice". Tuttavia, anche un breve colpo d'occhio obiettivo agli avvenimenti del luglio 1917 mostra chiaramente che i bolscevichi sono dalla parte della classe operaia e che la democrazia borghese è dalla parte della barbarie, del putschismo e della dittatura di una piccola minoranza sulla popolazione lavoratrice.
Una provocazione cinica della borghesia e una trappola per i bolscevichi
Le giornate di luglio 1917 sono anzitutto una provocazione della borghesia preparata allo scopo di decapitare il proletariato schiacciando la rivoluzione a Pietrogrado ed eliminando il partito bolscevico, e questo prima che il processo rivoluzionario nell'insieme della Russia fosse maturo per la presa del potere da parte dei lavoratori.
Il sollevamento rivoluzionario del febbraio 1917, che ha comportato la sostituzione dello zar con un governo provvisorio "democratico borghese" e, di fronte a quest’ultimo, la creazione di consigli operai (soviet), veri centri del potere proletario, è stato fin dall'inizio il prodotto della lotta degli operai contro la guerra imperialista iniziata nel 1914. Ma il governo provvisorio, così come i partiti maggioritari nei soviet, i menscevichi e i socialrivoluzionari (SR), si impegnano a continuare la guerra contro la volontà del proletariato, a proseguire il programma imperialista di brigantaggio del capitale russo. In questo modo viene conferita, non soltanto in Russia ma anche in tutti i paesi dell'Intesa (la coalizione contro la Germania), una nuova legittimità pseudorivoluzionaria alla guerra, cioè al più grande crimine della storia dell'umanità. Fra il febbraio e il luglio 1917 parecchi milioni di soldati - il fiore della classe operaia internazionale - sono stati uccisi e mutilati al fine di stabilire chi, fra i principali gangster imperialisti, avrebbe dovuto dominare il mondo. Sebbene molti operai russi avessero creduto, all'inizio, alle menzogne dei nuovi dirigenti secondo le quali era necessario continuare la guerra "per ottenere una volta per tutte una pace giusta senza annessioni", menzogna che veniva dalla bocca stessa di coloro che si pretendevano "democratici" e "socialisti", nel giugno del 1917 il proletariato rilancia la lotta rivoluzionaria contro la carneficina imperialista con energia raddoppiata. Durante l'enorme manifestazione del 18 giugno a Pietrogrado, le parole d'ordine internazionaliste dei bolscevichi per la prima volta sono maggioritarie. All'inizio di luglio la più grande e sanguinosa offensiva militare russa dopo il "trionfo della democrazia" termina con un fiasco, con l’esercito tedesco che sfonda in diversi punti. E' il momento più critico per il militarismo russo dall'inizio della "Grande Guerra". Mentre le notizie dell’insuccesso dell'offensiva raggiungevano la capitale, attizzando il fuoco rivoluzionario, non erano ancora giunte nel resto di questo paese gigantesco. Per fare fronte a questa situazione molto tesa, si fa strada l'idea di provocare una rivolta prematura a Pietrogrado, di schiacciarvi gli operai e i bolscevichi, quindi di addossare la responsabilità dell’insuccesso dell'offensiva militare al proletariato della capitale che avrebbe dato un "colpo di pugnale nella schiena" a coloro che erano al fronte.
La situazione obiettiva non è, tuttavia, ancora favorevole alla rivolta. Benché i principali settori operai di Pietrogrado siano avanti sugli orientamenti dei bolscevichi, i menscevichi e gli SR hanno ancora una posizione maggioritaria nei soviet e sono preponderanti nelle province. Nell'insieme della classe operaia, anche a Pietrogrado, esistono ancora forti illusioni sulla capacità dei menscevichi e degli SR di servire la causa della rivoluzione. Nonostante la radicalizzazione dei soldati, che sono in maggioranza contadini in uniforme, un gran numero di reggimenti importanti sono ancora leali al governo provvisorio. Le forze della controrivoluzione, dopo una fase di disorientamento e di disorganizzazione seguita alla "rivoluzione di febbraio", si sono completamente ricostituite. Inoltre la borghesia ha una carta nella manica: documenti e testimonianze false tendenti a provare che i bolscevichi sono agenti pagati dal Kaiser.
Questo piano rappresenta perciò anzitutto una trappola, un dilemma per il partito bolscevico. Se infatti il partito si mette alla testa di un'insurrezione prematura nella capitale, si discredita di fronte al proletariato russo apparendo come il responsabile di un’avventura politica irresponsabile e, agli occhi dei settori arretrati, come supporto dell'imperialismo tedesco. Ma se non solidarizza con il movimento di massa, si isola pericolosamente dalla classe abbandonando gli operai alla loro sorte. La borghesia spera che, qualsiasi cosa faccia il partito, la sua decisione lo porti allo scacco.
La cricca dei controrivoluzionari, Centoneri, antisemiti, organizzati dalle "democrazie" occidentali
A sentire la propaganda borghese attuale si direbbe che le forze antibolsceviche dell’epoca fossero dei gentili democratici difensori della “libertà dei popoli”. Queste forze erano dirette dai Cadetti, il partito della grande industria e dei grandi proprietari terrieri, dal Comitato degli ufficiali che rappresentavano circa 100.000 ufficiali che stavano preparando un putsch militare, dal preteso "soviet" delle truppe controrivoluzionarie cosacche, dalla polizia segreta, dalla mafia antisemita dei “Centoneri” ecc., "ecco l'ambiente dove si crea l'atmosfera dei pogrom, dove nascono i tentativi di pogrom, da cui partono i colpi d'arma da fuoco contro i manifestanti" come scrive Lenin (1).
La provocazione di luglio è un colpo portato alla rivoluzione mondiale in ascesa non soltanto dalla borghesia russa ma anche dalla borghesia mondiale attraverso l'azione dei governi alleati alla Russia. In questo tentativo che cerca di annegare nel sangue una rivoluzione non ancora matura, si può vedere la mano delle vecchie borghesie democratiche: quella francese con la sua vecchia tradizione sanguinaria caratteristica di queste provocazioni (1791, 1848, 1870) e quella inglese con la sua insuperabile esperienza e intelligenza politica. Di fronte alle difficoltà crescenti della borghesia russa a combattere in maniera efficace la rivoluzione e a mantenere lo sforzo di guerra, gli alleati occidentali della Russia costituiscono, dal primo momento, la principale forza non solo per finanziare il fronte militare russo ma anche per consigliare e rafforzare le forze controrivoluzionarie in Russia. Il Comitato Provvisorio della Duma di Stato (il parlamento) "copriva legalmente l'attività controrivoluzionaria finanziata largamente dalle banche e dalle ambasciate dell'Intesa", come ricorda Trotsky (2).
"Pietrogrado era un formicolio di organizzazioni segrete e semisegrete di ufficiali che godevano di un alto appannaggio e di generosi appoggi. In una informazione confidenziale che dava il menscevico Liber circa un mese prima delle Giornate di Luglio, era stato notato che ufficiali cospiratori avevano le loro aderenze presso Buchanan. E, in effetti, i diplomatici dell'Intesa non potevano proprio preoccuparsi di una instaurazione più rapida possibile di un potere forte.” (3)
Quindi non sono i bolscevichi, ma la borghesia che si è alleata ai governi stranieri contro il proletariato russo.
Le provocazioni politiche della borghesia assetata di sangue
All'inizio di luglio tre incidenti preparati dalla borghesia sono sufficienti a dare il via a una rivolta nella capitale.
Quattro ministri del partito Cadetto danno le dimissioni dal governo
Nella misura in cui i menscevichi e gli SR avevano giustificato fino a quel momento il loro rifiuto della parola d'ordine “tutto il potere ai soviet” con la necessità di collaborare con i rappresentanti della “borghesia democratica”, che sono i Cadetti, le dimissioni di questi ultimi dalla coalizione ha chiaramente il fine di provocare fra gli operai e i soldati un rilancio della rivendicazione del potere immediato ai soviet.
“Supporre che i Cadetti non potessero prevedere le ripercussioni del loro atto di sabotaggio dichiarato rispetto ai soviet, sarebbe sottovalutare risolutamente Miliukov. Il leader del liberalismo evidentemente si sforzava di spingere i conciliatori in una situazione critica che non avrebbe avuto via d'uscita se non con le baionette: in quei giorni credeva fermamente che, con un audace salasso, si poteva salvare la situazione.” (2)
La pressione dell'Intesa sul governo provvisorio
Questa pressione mira a obbligare quest'ultimo o ad affrontare la rivoluzione con le armi o ad essere abbandonato dagli alleati.
“I fili erano nelle mani delle ambasciate e dei governi dell'Intesa. Alla conferenza tra gli alleati che si aprì a Londra, gli amici dell'Occidente "dimenticarono" di invitare l'ambasciatore di Russia; (...) Questo insulto inflitto all'ambasciatore del governo provvisorio e le dimissioni dimostrative dei cadetti avvennero il 2 luglio: i due avvenimenti avevano un solo e identico fine: obbligare i conciliatori ad abbassare la bandiera.” (2)
I partiti menscevico e SR tendono a raggiungere il campo della borghesia. La loro mancanza di esperienza di governo, le loro esitazioni ed oscillazioni piccolo-borghesi, ma anche l'esistenza nei loro ranghi di certe posizioni internazionaliste proletarie, fanno sì che essi non siano implicati direttamente nel complotto controrivoluzionario. Essi, però, sono manipolati per giocare il ruolo che è stato loro assegnato dai loro padroni dirigenti borghesi.
La minaccia di inviare al fronte i reggimenti della capitale
Nei fatti, l'esplosione della lotta di classe in risposta a queste provocazioni è iniziata non dagli operai, ma dai soldati e sostenuta non dai bolscevichi ma dagli anarchici.
“I soldati erano in genere più impazienti degli operai; anzitutto perché erano sotto la minaccia diretta di invio al fronte, poi perché avevano molta più difficoltà ad assimilare i criteri della strategia politica. Inoltre, ciascuno di essi aveva un fucile in mano e, dopo il Febbraio, il soldato era incline a sovrastimare il potere specifico di quest’arma.” (2)
I soldati tentano immediatamente di guadagnare gli operai alla loro azione. Alle fabbriche Putilov, la più grande concentrazione di operai in Russia, ottengono un successo decisivo:
“Circa diecimila operai si raccolsero davanti ai locali dell'amministrazione. Acclamati, i mitraglieri raccontarono che avevano ricevuto l'ordine di partire il 4 luglio per il fronte, ma che avevano deciso “di 'marciare non verso il fronte tedesco, contro il proletariato tedesco, ma proprio contro i propri ministri capitalisti”. Gli animi si scaldarono. “Avanti! Avanti!” gridarono gli operai.” (2)
In alcune ore, il proletariato di tutta la città si solleva, si arma e si raccoglie attorno alla parola d'ordine “tutto il potere ai soviet”, la parola d'ordine delle masse stesse.
I bolscevichi evitano la trappola
Il pomeriggio del 3 luglio i delegati del reggimento dei mitraglieri arrivano a conquistare il sostegno della conferenza locale dei bolscevichi e sono shockati nell'apprendere che il partito si è pronunciato contro l'azione. Gli argomenti forniti dal partito - secondo i quali la borghesia vuole provocare il proletariato di Pietrogrado per addossargli la responsabilità di un fiasco al fronte, che la situazione non è matura per l'insurrezione armata e che il migliore momento per un'ampia azione arriverà quando lo sfondamento del fronte sarà conosciuto da tutti - mostra che i bolscevichi hanno immediatamente colto il significato e il pericolo degli avvenimenti. Fin dalla manifestazione del 18 giugno, i bolscevichi mettono pubblicamente in guardia gli operai contro un'azione prematura.
Gli storici borghesi riconoscono la notevole intelligenza politica del partito in quel momento. In effetti il partito bolscevico è convinto che è fondamentale studiare la natura, la strategia e la tattica della classe nemica per essere in grado di rispondere di intervenire correttamente in ciascun momento. Esso è impregnato della comprensione marxista che la presa del potere rivoluzionario è una sorta di arte o scienza, che un'insurrezione inopportuna è tanto fatale quanto l’insuccesso di una presa di potere assunta al momento buono.
Ma per quanto corretta potesse essere l'analisi del partito, restare a quel punto significava cadere nella trappola della borghesia. Il primo tornante decisivo durante le giornate di luglio arriva la notte stessa, quando il Comitato Centrale del partito e quello di Pietrogrado decidono di appoggiare il movimento e di porsi alla sua testa, ma con lo scopo di assicurarsene il “carattere pacifico e organizzato”. Contrariamente agli avvenimenti spontanei e caotici del giorno precedente, le manifestazioni gigantesche del 4 luglio mostrano "la mano organizzatrice del partito". I bolscevichi sanno che l'obiettivo che le masse si sono date, cioè obbligare la direzione menscevica e SR del soviet a prendere il potere in nome dei consigli operai, è una cosa impossibile. I menscevichi e gli SR, presentati oggi come dei veri difensori della democrazia sovietica, stanno già raggiungendo la controrivoluzione e attendono l'occasione di finirla con i consigli operai. La difficoltà di questa situazione, rappresentata da una coscienza ancora insufficiente delle masse proletarie, si concretizza attraverso il famoso aneddoto di quell'operaio inviperito che agita il pugno sotto il naso di un ministro "rivoluzionario" gridandogli: "Prendi il potere, figlio di puttana, perché te lo stiamo dando!". In realtà i ministri e i capi incapaci dei soviet fanno delle finte fino a che arriveranno i reggimenti leali al governo.
Al tempo stesso, gli operai capiscono le difficoltà che vi sono a trasferire tutto il potere ai soviet e questo fino a che i traditori e gli adepti del compromesso vi mantengono la loro influenza. Poiché la classe non ha ancora trovato il metodo per trasformare il soviet dall'interno, tenta invano di imporgli la sua volontà dall'esterno.
Il secondo tornante decisivo si produce quando Zinovev, a nome dei bolscevichi, si rivolge a diecine di migliaia di operai delle Putilov e di altre fabbriche la sera del 4 luglio, giorno di grandi manifestazioni; egli inizia il discorso con tono di pacatezza per distendere l'atmosfera e finisce invitando gli operai a tornare a casa pacificamente: cosa che gli operai fanno. L'ora della rivoluzione non è ancora arrivata, ma arriverà. La vecchia verità di Lenin non è mai stata così provata in maniera spettacolare: la pazienza e lo humour sono qualità indispensabili ai rivoluzionari. La capacità dei bolscevichi di evitare al proletariato di cadere nella trappola della borghesia non è dovuta solo alla loro intelligenza politica. Ciò che è decisivo è la profonda fiducia del partito nel proletariato e nel marxismo, che gli permette di basarsi sulla forza che questo rappresenta per il futuro dell'umanità e sul suo metodo, e di premunirsi così dall'impazienza piccolo-borghese. Ciò che è decisivo è la profonda fiducia che gli operai russi sviluppano nel loro partito di classe, cosa che permette a questo di intervenire e di assumere un ruolo di direzione benché sia chiaro per tutti che esso non condivide né le loro illusioni, né i loro scopi immediati. Così la borghesia fallisce nel suo tentativo di piazzare un cuneo fra il partito e la classe, un cuneo che avrebbe significato la disfatta certa della rivoluzione.
“Dovere assoluto del partito era quello di restare con le masse e di tentare di dare alle azioni di queste masse il massimo possibile di carattere pacifico ed organizzato e di non lavarsene le mani alla Ponzio Pilato per la ragione meschina che le masse non erano organizzate fino all'ultimo uomo e che vi erano degli eccessi nel suo movimento”. (4)
I pogrom e le calunnie della controrivoluzione
Dal mattino del 5 luglio le truppe governative cominciano ad arrivare nella capitale. Iniziano la caccia ai bolscevichi, privandoli dei loro pochi mezzi di propaganda, disarmano e terrorizzano gli operai e incitano ai pogrom contro gli ebrei. I “salvatori della civiltà” contro la “barbarie bolscevica” fanno ricorso a due provocazioni principali per mobilitare le truppe contro gli operai.
La campagna di menzogne secondo la quale i bolscevichi sarebbero stati agenti tedeschi
“I soldati restavano, mesti, chiusi nelle loro caserme in attesa. Soltanto nel pomeriggio del 4 luglio le autorità scoprirono, infine, un potente mezzo d'azione: mostrare agli uomini del reggimento Preobrazenskij dei documenti che provavano come due più due fanno quattro, cioè che Lenin era una spia della Germania. La cosa riuscì. La notizia si sparse nel reggimento (...) L'opinione dei battaglioni neutrali fu bruscamente modificata” (2) In particolare è un parassita politico di nome Alexinskij - un bolscevico rinnegato che, in passato, aveva tentato senza successo di formare una opposizione di “ultrasinistra” contro Lenin e che in seguito è diventato un nemico dichiarato dei partiti operai - che viene utilizzato in questa campagna. Ne risulta che Lenin ed altri dirigenti bolscevichi sono obbligati a nascondersi mentre Trockij e altri sono arrestati. “Ciò che serve al potere non è un processo, è la persecuzione degli internazionalisti. Catturarli e tenerli sotto chiave, ecco ciò che occorre al sig. Kerenski e consorti” (5).
Da allora la borghesia non è cambiata. 80 anni dopo, essa conduce una campagna simile, con la stessa logica, contro la Sinistra Comunista. Nel luglio ’17 essa tenta di far credere che i bolscevichi dovevano essere con i tedeschi poiché rifiutavano di sostenere l'Intesa! Oggi tenta di accreditare l'idea secondo cui se la Sinistra Comunista rifiuta di sostenere il campo imperialista antifascista nella II guerra mondiale è perché essa e i suoi attuali successori sono dalla parte dei nazisti. Queste campagne lanciate dagli stati "democratici" hanno lo scopo di preparare dei pogrom futuri.
Oggi i rivoluzionari che tendono a sottovalutare il significato di simili campagne contro di loro, devono imparare ancora molto dall'esperienza dei bolscevichi che, dopo le giornate di luglio, hanno mosso mari e monti per difendere la loro reputazione in seno alla classe operaia. Trockij definisce il luglio 1917 “il mese della più gigantesca calunnia della storia dell'umanità”; ma questa è ben poca cosa rispetto a quella di oggi secondo cui il comunismo e lo stalinismo sono la stessa cosa.
Un’altra maniera per attaccare la reputazione dei rivoluzionari, tanto vecchia quanto il metodo della denigrazione pubblica e utilizzata spesso assieme a questa, è l'utilizzazione da parte dello Stato di elementi non proletari e anche antiproletari che cercano di presentarsi come rivoluzionari.
“La provocazione gioca indubbiamente un certo ruolo negli avvenimenti del fronte come nelle strade di Pietrogrado. Dopo l’insurrezione di febbraio, il governo aveva gettato sulla linea di fuoco un gran numero di anziani gendarmi e di guardie cittadine. Nessuno di loro, beninteso, aveva voglia di combattere. Essi avevano più paura dei soldati russi che di quelli tedeschi. Per far dimenticare il loro passato, essi abbracciavano le opinioni più estremiste dell’esercito, istigavano di soppiatto i soldati contro gli ufficiali, inveivano contro la disciplina e l’offensiva e, frequentemente, si spacciavano per dei bolscevichi. Sviluppando tra di loro un naturale legame di complicità, essi costituivano una originale consorteria di riluttanza e di vigliaccheria. Grazie a loro penetravano e si diffondevano rapidamente nelle truppe le dicerie più fantastiche, nelle quali i termini ultrarivoluzionari si combinavano con lo spirito reazionario dei Centoneri. Nei momenti critici, questi individui erano i primi a dare i segni di panico. L'opera demoralizzatrice dei poliziotti e dei gendarmi fu, più di una volta, menzionata dalla stampa. Non meno sovente si trovano indicazioni di questo ordine nei documenti segreti dello stesso esercito. Ma l'alto comando manteneva il silenzio preferendo assimilare i provocatori Centoneri ai bolscevichi.” (6)
Tiratori isolati sparano sulle truppe che entrano in città e l’episodio viene attribuito ai bolscevichi
“La follia calcolata di queste fucilate sconvolse profondamente gli operai. Era chiaro che dei provocatori sperimentati accoglievano i battaglioni con il piombo al fine di vaccinarli contro il bolscevismo. Gli operai facevano tutti i loro sforzi per spiegarlo ai soldati in arrivo, ma non li si lasciava avvicinare; per la prima volta, dalle giornate di febbraio, fra il soldato e l'operaio si piazzava lo junker o l'ufficiale” (2).
Obbligati a lavorare in semilegalità dopo le giornate di luglio, i bolscevichi devono combattere anche contro le illusioni democratiche di coloro che, nei loro ranghi, vogliono che i loro dirigenti si presentino davanti ai tribunali borghesi al fine di rispondere dell'accusa di essere agenti tedeschi. Riconoscendovi un'altra trappola per il partito, Lenin scrive: “Si tratta di una dittatura militare. Sarebbe dunque ridicolo ad un certo punto parlare di 'giudizio'. Non si tratta di un “giudizio ma di un episodio di guerra civile” (5).
Ma se il partito sopravvive al periodo di repressione che segue le giornate di luglio, ciò è dovuto anche alla sua tradizione di vigilanza costante nella difesa dell'organizzazione contro tutti i tentativi dello Stato di distruggerla. Si può notare, per esempio, che l'agente dell'Ochrana, Malinovskij - che prima della guerra era arrivato ad essere un membro del Comitato Centrale del partito direttamente responsabile della sicurezza dell'organizzazione - avrebbe probabilmente avuto l'incarico di nascondere Lenin, Zinovev e gli altri dopo le giornate di luglio se non fosse stato smascherato prima (malgrado l'accecamento di Lenin stesso!). Senza una simile vigilanza, il risultato sarebbe stato probabilmente una liquidazione dei dirigenti più esperti del partito. Nel gennaio 1919, Luxemburg, Liebknecht, Jogisches e altri militanti del neonato KPD sono stati assassinati dalla borghesia tedesca e sembra che le autorità abbiano avuto informazioni da un agente di polizia di alto livello in seno al partito.
Bilancio delle "giornate di luglio"
Le giornate di luglio rivelano ancora una volta l'enorme energia rivoluzionaria del proletariato, la sua lotta contro la menzogna della democrazia borghese e il fatto che esso è il solo capace di agire contro la guerra imperialista nel periodo di decadenza del capitalismo. La scelta non è “democrazia o dittatura”, ma dittatura del proletariato o dittatura della borghesia, socialismo o barbarie; è l'alternativa alla quale è confrontata l’umanità e che si è posta durante le giornate di luglio. Ma ciò che le giornate di luglio illustrano soprattutto è il ruolo indispensabile del partito di classe del proletariato. Non è affatto strano che la borghesia “celebri” oggi l'80° anniversario della rivoluzione russa con una nuova campagna di calunnie contro l'attuale campo politico rivoluzionario. Luglio 1917 ha anche mostrato che superare le illusioni sui partiti ex-operai che hanno tradito e su quelli della sinistra del capitale è una cosa indispensabile se il proletariato vuole prendere il potere. E' l'illusione principale che ha avuto la classe operaia durante le giornate di luglio. Ma questa esperienza ha chiarito definitivamente, non soltanto per la classe operaia e i bolscevichi, ma anche per i menscevichi e gli SR, che queste ultime organizzazioni erano irrevocabilmente passate alla controrivoluzione. Come scrive Lenin all'inizio settembre: “(...) in quel momento Pietrogrado non aveva potuto prendere il potere, nemmeno materialmente, e se materialmente l'avesse preso, non avrebbe potuto mantenerlo politicamente, Tseretelli e consorti non essendo ancora arrivati, nel loro percorso, al punto di sostenere un governo di boia. E' per questo che la parola d'ordine della presa del potere sarebbe stata falsa in quel momento, il 3‑5 luglio 1917 a Pietrogrado. In quel momento i bolscevichi stessi non avevano e non potevano avere deciso scientemente di trattare Tseretelli e consorti come controrivoluzionari. In quel momento, né i soldati, né gli operai potevano avere l'esperienza fornita dal mese luglio.” (7)
Dalla metà di luglio Lenin tira chiaramente questa lezione: “Dopo il 4 luglio la borghesia controrivoluzionaria, marciando con i monarchici e i Centoneri, si è conquistata, in parte con l'intimidazione, i piccolo-borghesi socialisti-rivoluzionari e menscevichi e ha dato l'effettivo potere ai Cavaignac, alla cricca militare che fucila i recalcitranti sul fronte e massacra i bolscevichi a Pietrogrado. (8) Ma la lezione chiave del luglio 1917 è quella della direzione politica della classe da parte del partito. La borghesia impiega spesso la tattica di provocare degli scontri prematuri. Che sia nel 1848 e nel 1870 in Francia, nel 1919 e 1921 in Germania, in ogni caso il risultato è una repressione del proletariato nel sangue. Se la rivoluzione russa è il solo grande esempio in cui la classe operaia è stata capace di evitare una simile trappola e una sconfitta nel sangue nel sangue, è perché in buona parte il partito bolscevico è stato capace di svolgere il suo ruolo decisivo di avanguardia. Risparmiando alla classe una simile disfatta, i bolscevichi hanno messo in rilievo, contro l'interpretazione perversa degli opportunisti, le profonde lezioni rivoluzionarie tratte da Engels nella sua celebre introduzione del 1895 alle Lotte di classe in Francia di Marx, e particolarmente questa messa in guardia: “Non c'è che un mezzo che potrebbe contenere momentaneamente il continuo accrescimento delle forze combattenti socialiste in Germania e anche farle regredire per qualche tempo, è un grande urto con le truppe, un salasso come nel 1871 a Parigi.” (9)
Trockij riassume il bilancio dell'azione di partito come segue: “Se il partito bolscevico, mettendosi a giudicare dottrinariamente come 'inopportuno' il movimento di luglio, avesse girato le spalle alle masse, la semi-insurrezione sarebbe inevitabilmente caduta sotto la direzione dispersa e non concertata degli anarchici, di avventurieri, di interpreti occasionali dell'indignazione delle masse e avrebbe sparso tutto il suo sangue in sterili convulsioni. Ma anche se il partito, piazzandosi alla testa dei mitraglieri e degli operai delle Putilov, avesse rinunciato al suo giudizio sulla situazione d'insieme e fosse scivolato sulla via di combattimenti decisivi, l'insurrezione avrebbe preso indubbiamente un'ampiezza audace, gli operai e i soldati, sotto la direzione dei bolscevichi, si sarebbero impadroniti del potere, tuttavia solo per preparare l'affondamento della rivoluzione. La questione del potere su scala nazionale non sarebbe stata, come a febbraio, risolta dalla vittoria a Pietrogrado. La provincia non avrebbe seguito la capitale. Il fronte non avrebbe compreso e non avrebbe accettato il cambiamento di regime. Le ferrovie e il telegrafo sarebbero serviti ai conciliatori contro i bolscevichi. Kerenskij e il Grande Quartiere Generale avrebbero creato un potere per il fronte e la provincia. Pietrogrado sarebbe rimasta isolata. Al suo interno sarebbe cominciata una disintegrazione. Il governo avrebbe avuto la possibilità di lanciare su Pietrogrado masse considerevoli di soldati. L'insurrezione sarebbe finita, in queste condizioni, in una tragedia di una Comune di Pietrogrado. In luglio, alla biforcazione delle vie storiche, solo l'intervento del partito dei bolscevichi elimina le due varianti di un pericolo fatale: sia quello del genere delle giornate del giugno 1848, sia quello del genere della Comune di Parigi del 1871. E' prendendo coraggiosamente la testa del movimento che il partito ha ottenuto la possibilità di arrestare le masse nel momento in cui la manifestazione cominciava a trasformarsi in un intervento generale di forze armate. Il colpo portato in luglio alle masse e al partito fu molto grave. Ma questo colpo non fu decisivo. Si contarono le vittime a diecine, ma non a diecine di migliaia. La classe operaia uscì dalla prova non decapitata e non dissanguata. Essa conservò integralmente i suoi quadri di lotta, e questi quadri avevano appreso molto.” (2)
La storia dà ragione a Lenin quando scrive: “Una nuova fase inizia. La vittoria della controrivoluzione dà il via al chiarimento in seno alle masse sulla natura dei partiti socialista-rivoluzionario e menscevico e apre la via allo spostamento di queste alla politica che sostiene il proletariato rivoluzionario.” (10)
KR.
1. "Da che parte è il potere, da che parte la controrivoluzione?" Lenin, Opere Scelte, Edizioni di Mosca.
2. Trotsky, “Storia della rivoluzione russa”
3. Trotsky, ibid. Buchanan era un diplomatico britannico di posto a Pietrogrado.
4. Lenin, “Sulle illusioni costituzionali”, Opere Complete.
5. Lenin, “I dirigenti bolscevichi devono comparire dinanzi ai tribunali?”, Opere Scelte, Edizioni di Mosca.
6. Trotsky, ibid. Il ruolo molto simile giocato da ex poliziotti, elementi criminali e atri sottoproletari nei "soldati di Spartaco" e gli "invalidi rivoluzionari" durante la rivoluzione tedesca, particolarmente durante la tragica “Settimana di Spartaco” a Berlino nel gennaio 1919, è stata ancora più catastrofica.
7. Lenin, “Voci di complotto”, Opere Complete.
8. Lenin, “A proposito delle parole d'ordine”, Opere Complete.
9. Engels, “Introduzione” a Lotte di classe in Francia di Marx
10. Lenin, “Sulle illusioni costituzionali”, Opere Complete
Links
[1] https://it.internationalism.org/en/tag/storia-del-movimento-operaio/1917-rivoluzione-russa
[2] https://it.internationalism.org/en/tag/2/26/rivoluzione-proletaria
[3] https://it.internationalism.org/en/tag/2/37/ondata-rivoluzionaria-1917-1923
[4] https://it.internationalism.org/en/tag/2/40/coscienza-di-classe
[5] https://it.internationalism.org/en/tag/3/51/partito-e-frazione