Nel 1914, i vari signori a capo dei governi, re, politici e soldati, agenti di un sistema sociale che entrava nella sua epoca di decadenza, condussero il mondo al cataclisma della I Guerra mondiale: più di 20 milioni di morti, distruzioni mai viste fino allora, razionamento, penuria e carestia tra la popolazione civile, morte, incrudimento della disciplina militare, sofferenze illimitate al fronte. Tutta l'Europa si è vista annegata nel caos e la barbarie, nella distruzione di industrie, costruzioni, monumenti...
Dopo essersi lasciato trascinare con i veleni patriottici e le mistificazioni “democratiche” dei governi, avallati dal tradimento della maggioranza dei partiti socialdemocratici e dei sindacati, il proletariato internazionale iniziò a reagire contro la barbarie guerriera a partire dalla fine del 1915. Scioperi, sommosse contro la fame, manifestazioni contro la guerra, scoppiano in Russia, in Germania, in Austria, ecc.. Al fronte, soprattutto negli eserciti russo e tedesco, si verificano degli ammutinamenti, delle diserzioni collettive, delle fraternizzazioni tra soldati dei due fronti. Alla testa del movimento si trovavano gli internazionalisti, i bolscevichi, gli spartachisti, tutta la sinistra della II Internazionale che, dallo scoppio della guerra nell’agosto 1914, la denunciavano senza esitazione come una rapina imperialista, come una manifestazione del fallimento del capitalismo mondiale, come il segnale dato al proletariato per riempire la sua missione storica: la rivoluzione socialista internazionale.All’avanguardia di questo movimento internazionale che fermerà la guerra ed aprirà la possibilità della rivoluzione mondiale, fin dal 1915 troviamo gli scioperi economici degli operai russi che vengono duramente repressi. Tuttavia il movimento cresce: il 9 gennaio 1916, l’anniversario dell’inizio della rivoluzione del 1905 viene celebrato con grossi scioperi operai. Nuovi scioperi scoppiano durante tutto l’anno accompagnati da riunioni, discussioni, rivendicazioni, scontri con la polizia.
“Verso la fine del1916 il costo della vita aumenta a salti. All’inflazione ed alla disorganizzazione dei trasporti si aggiunge una vera e propria penuria di merci. In quel periodo, il consumo si è ridotto della metà. La curva del movimento operaio delinea una brusca ascesa. A partire dall’ottobre, la lotta entra in una fase decisiva, che unisce insieme tutte le gamme svariate di malcontento: Pietrogrado prende la rincorsa per il grande salto di febbraio. Nelle fabbriche i comizi dilagano. Argomenti trattati: i rifornimenti alimentari, l’alto costo della vita, la guerra, il governo. Vengono distribuiti i volantini dei bolscevichi. Si proclamano scioperi politici. All’uscita dalle fabbriche si svolgono manifestazioni improvvisate. Capita che gli operai di certe aziende fraternizzano con i soldati. Scoppia un violento sciopero di protesta contro il processo ai marinai rivoluzionari della flotta del Baltico. (… ) Gli spiriti sono sovraeccitati, i metallurgici si sono messi in prima fila, gli operai hanno sempre di più la sensazione che non c'è possibilità di ritirata. In ogni fabbrica si costituisce un nuovo nucleo d’azione, perlopiù raccolto attorno ai bolscevichi. Gli scioperi e i comizi si succedono senza interruzione nel corso delle due prime settimane di febbraio. L’8 febbraio, alla Poutilov i poliziotti vengono accolti da ‘una grandine di ferraglie e di scarti’. Il 14, giorno di apertura della Duma, ci sono circa 90.000 scioperanti a Pietrogrado. Molte fabbriche chiudono anche a Mosca. Il 16, le autorità decidono di introdurre a Pietrogrado le tessere del pane. Questa novità accresce il nervosismo. Il 19, vicino ai negozi di rifornimento, si formano dei gruppi, composti soprattutto da donne, e tutti esigono pane. L’indomani, in certi quartieri della città, vengono saccheggiati i forni. Sono i lampi che preannunciano l’insurrezione destinata a scoppiare qualche giorno dopo.” (1).
Un movimento di massa
Sono queste le tappe successive di un processo sociale che appare oggi utopico a molti operai: quelle della trasformazione dei lavoratori da una massa sottomessa e divisa, in una classe unita che agisce come un solo uomo e diventa pronta a lanciarsi nella lotta rivoluzionaria, come dimostrato dai 5 giorni, dal 22 al 27 febbraio, del 1917.
“Sin dal mattino gli operai si presentano nelle fabbriche e, invece di mettersi al lavoro, tengono comizi, e successivamente si dirigono verso il centro della città. Nuovi quartieri, nuovi settori della popolazione vengono trascinati nel movimento. La parola d’ordine “Pane” è lasciata cadere o è soffocata da altre: “Abbasso l’autocrazia! Abbasso la guerra!”. Continuano le manifestazioni sulla prospettiva Nevsky (…).
Sotto le insegne della “giornata della donna”, si scatenò il 23 febbraio un’insurrezione a lungo maturata, a lungo contenuta, delle masse operaie di Pietrogrado. La prima fase fu lo sciopero, che in tre giorni si estese al punto di divenire quasi generale. Questo solo fatto bastava ad infondere fiducia alla massa ed a spingerla in avanti. Lo sciopero, assumendo un carattere offensivo sempre più accentuato, si combinò con manifestazioni che misero di fronte le folle rivoluzionarie e le truppe. (...) la massa non vuol più battere in ritirata, resiste con ottimistico furore e non abbandona il campo neppure dopo aver subito cariche omicide. (...) ‘Non sparate sui vostri fratelli e sulle vostre sorelle!’ gridano gli operai e le operaie. E non solo questo: ‘Marciate con noi!’. Così, nelle strade, sulle piazze, dinanzi ai ponti, alle porte delle caserme, si svolgeva una lotta incessante, ora drammatica, ora impercettibile, ma sempre accanita, per la conquista dei soldati. (...) Gli operai non cedono affatto, non ripiegano e intendono raggiungere il loro scopo anche sotto le pallottole. Accanto a loro, le operaie, madri e sorelle, spose e compagne. E poi non è forse giunta l’ora di cui spesso si era parlato bassa voce, negli angoli nascosti: ‘Se ci mettessimo tutti insieme?’” (2).
Le classi dirigenti non arrivano a crederci, pensano che si tratti di una rivolta che sparirà con una buona punizione. L’insuccesso strepitoso delle azioni terroristiche di piccoli corpi scelti comandati dai colonnelli della gendarmeria mette in evidenza le vere radici del movimento: “La rivoluzione, ai comandanti d’armata, intraprendenti a parole, sembra indifendibile (...); sembra che basti alzare la sciabola su tutto questo caos perché tutto si disperda immediatamente senza lasciare traccia. Ma è un’illusione ottica grossolana. Il caos esiste solo in apparenza. In profondità si produce una irresistibile cristallizzazione delle masse intorno a nuovi assi” (3).
Una volta rotte le prime catene, gli operai non vogliono arretrare più e, per non avanzare alla cieca, riprendono l’esperienza del 1905 creando i soviet, organizzazioni unitarie dell’insieme della classe in lotta. I soviet vengono subito accaparrati dai partiti menscevico e socialista-rivoluzionario, vecchi partiti operai passati al campo borghese con la loro partecipazione alla guerra, e permettono la formazione di un governo provvisorio composto dalle “grandi personalità” russe di sempre: Miliukov, Rodzianov, Kerenski.
La prima ossessione di questo governo è convincere gli operai a “ritornare alla normalità”, ad “abbandonare i loro sogni”, diventare la massa sottomessa, passiva, atomizzata di cui la borghesia ha bisogno per mantenere i suoi affari e continuare la guerra. Gli operai non cedono. Vogliono vivere e sviluppare la nuova politica: quella che loro stessi esercitano, unendo in un legame inseparabile la lotta per i loro interessi immediati e la lotta per l’interesse generale. Così, di fronte alla resistenza dei borghesi, dei menscevichi e dei socialisti-rivoluzionari per i quali “ciò che importa, è lavorare e non rivendicare, perché, adesso, abbiamo la libertà politica”, gli operai rivendicano la giornata di 8 ore per avere la “libertà” di riunirsi, di discutere, di leggere, di stare tra loro: “Un’ondata di sciopero ricomincia dopo la caduta dell’assolutismo. In ogni fabbrica o laboratorio, senza aspettare gli accordi firmati dall’alto,si presentano rivendicazioni sui salari e la giornata di lavoro. I conflitti si aggravano di giorno in giorno e si complicano in un’atmosfera di lotta” (4).
Il 18 aprile, Miliukov, ministro liberale del partito Cadetto del governo provvisorio, pubblica una nota provocatrice che riafferma l’impegno della Russia con gli alleati nella continuazione della guerra imperialista. Gli operai ed i soldati rispondono immediatamente: sorgono manifestazioni spontanee, si tengono assemblee di massa nei quartieri, nei reggimenti, nelle fabbriche: “L’agitazione che si era sviluppata nella città non arretrava. Folle di persone si riunirono. Le riunioni continuavano. Si discuteva nelle strade. Nei tram, i viaggiatori si dividevano tra sostenitori ed avversari di Miliukov... L’agitazione non si limitava a Pietrogrado. A Mosca, gli operai che abbandonavano le macchine ed i soldati che uscivano dalle caserme invadevano le strade con le loro rumorose proteste” (5).
Il 20 aprile, una gigantesca manifestazione impone le dimissioni di Miliukov. La borghesia deve arretrare nei suoi piani di guerra. Maggio registra una frenetica attività di organizzazione. Ci sono meno manifestazioni e meno scioperi; ciò non esprime un riflusso del movimento, ma piuttosto un avanzamento ed uno sviluppo perché gli operai si dedicano ad un aspetto della lotta fino ad allora poco considerato: la propria organizzazione di massa. I soviet si estendono in tutti gli angoli della Russia, ed intorno ad essi appare una moltitudine di organismi di massa: comitati di fabbrica, comitati di contadini, soviet di quartiere, comitati di soldati. Attraverso questi le masse si raggruppano, discutono, pensano e decidono. Al loro contatto i gruppi di lavoratori più in ritardo si svegliano: “I servi, trattati come animali e a mala pena pagati, si emancipavano. Poiché allora un paio di scarpe costava più di cento rubli e le paghe erano di circa 35 rubli al mese, si rifiutavano di consumare le scarpe per fare la coda. (…) Anche i vetturini avevano il loro sindacato ed erano rappresentati al Soviet di Pietrogrado. I garzoni di hotel e ristoranti si erano organizzati e rifiutavano le mance”. (6)
Gli operai ed i soldati cominciano a stancarsi delle eterne promesse del governo provvisorio e dell’appoggio datogli dai socialisti menscevichi e dai socialisti-rivoluzionari. Vedono come aumentano le difficoltà di approvvigionamento, la disoccupazione, la fame. Vedono che, di fronte alla guerra ed alla questione contadina, quelli in alto offrono solo discorsi ampollosi. Sono stanchi della politica borghese e cominciano ad intravedere le possibili conseguenze ultime della loro propria politica: la rivendicazione di tutto il potere ai soviet si trasforma in aspirazione di larghe masse operaie (7).
Giugno è un mese di intensa agitazione politica che culmina con le manifestazioni armate degli operai e dei soldati di Pietrogrado il 4 e 5 luglio: “Il primo posto spetta agli operai di fabbrica (…). Dove i dirigenti esitano o si oppongono, i giovani operai costringono il membro di servizio del comitato di fabbrica a suonare la sirena per far arrestare il lavoro.(…) Tutte le fabbriche scioperavano e si tenevano delle assemblee. Si eleggevano dirigenti della manifestazione e i delegati che avrebbero presentato le rivendicazioni al Comitato esecutivo” (8).
Tuttavia, le giornate di luglio si chiudono con un amaro insuccesso per i lavoratori. La situazione non è ancora matura per la presa del potere perché: i soldati non sono pienamente solidali con gli operai, i contadini sono pieni di illusioni sui socialisti-rivoluzionari e il movimento in provincia è in ritardo rispetto alla capitale.
Nei mesi successivi di agosto e settembre, amareggiati dalla sconfitta e dalla violenza della repressione borghese, gli operai sono spinti a risolvere praticamente questi ostacoli, non seguendo un piano d’azione prestabilito, ma in un “oceano di iniziative”, nelle lotte e le discussioni nei soviet dove si materializza la presa di coscienza del movimento. Le azioni degli operai e quelle dei soldati si fondono completamente: “Appare un fenomeno di osmosi, specialmente a Pietrogrado. Quando l’agitazione si impossessa del quartiere di Viborg, i reggimenti della capitale entrano in effervescenza, e viceversa. Gli operai ed i soldati imparano ad uscire in strada per manifestare i loro sentimenti. La strada appartiene a loro. Nessuna forza, nessun potere, può impedire loro in quel momento di difendere le proprie rivendicazioni o di cantare a pieno polmone inni rivoluzionari.” (9).
Con la sconfitta di luglio, la borghesia crede di farla finita con questo incubo. Per ciò, dividendo il compito tra il blocco “democratico” di Kerenski e quello apertamente reazionario di Kornilov, capo dell’esercito, organizza il colpo di Stato di quest’ultimo. Kornilov mette assieme reggimenti di cosacchi, di caucasi ecc., che sembrano ancora fedeli al potere borghese, e tenta di lanciarli contro Pietrogrado.
Ma il tentativo fallisce clamorosamente. La reazione degli operai e dei soldati, la loro ferma organizzazione nel Comitato di difesa della rivoluzione - che, sotto il controllo del soviet di Pietrogrado, si trasformerà più tardi in Comitato militare rivoluzionario, organo dell’insurrezione di ottobre - fanno si che le truppe di Kornilov, o restano immobilizzate e si arrendono, o disertano per unirsi agli operai ed ai soldati, il che succede quasi sempre.
“Il complotto era diretto da gente abituata a non far nulla, incapace di far nulla senza gli strati inferiori, senza la forza operaia, senza la carne da cannone, senza attendenti, domestici,furieri, autisti, facchini, cuochi, lavandaie, deviatori, telegrafisti, palafrenieri, cocchieri. E tutte queste piccole ruote umane, impercettibili, innumerevoli, indispensabili, erano dalla parte dei soviet e contro Kornilov. (...) L’ideale dell’educazione militare è che il soldato agisca senza la sorveglianza dei capi, ma come se fosse sotto i loro occhi. I soldati ed i marinai russi del 1917, che non eseguivano gli ordini ufficiali neppure sotto gli occhi dei comandanti, afferravano al volo, avidamente, gli ordini della rivoluzione e, ancor più spesso, li eseguivano di loro iniziativa, prima ancora di averli ricevuti. (…)
Per esse (le masse) si trattava, non di proteggere il Governo, ma di difendere la rivoluzione:e tanto più era decisa e intrepida la loro lotta. La resistenza all’ammutinamento sorgeva dai binari ferroviari, dalle pietre, dall’aria stessa. I ferrovieri della stazione di Luga, dove era giunto Krymov, si rifiutavano ostinatamente di far partire i treni che trasportavano truppe, e addicevano la mancanza di locomotive. I reparti cosacchi si trovavano a loro volta accerchiati da soldati armati facenti parte della guarnigione di Luga che contava ventimila uomini. Scontri non ce ne furono, ma accadde qualcosa di assai più pericoloso: ci fu il contatto, lo scambio di idee, la reciproca comprensione” (10).
I borghesi concepiscono le rivoluzioni operaie come un atto di pazzia collettiva, un caos spaventoso che finisce in modo orrendo. L’ideologia borghese non può ammettere che gli sfruttati possano agire per proprio conto. Azione collettiva e solidale, azione cosciente della maggioranza lavoratrice, sono nozioni che il pensiero borghese considera come un’utopia contro natura (le cose “naturali” per la borghesia sono la guerra di tutti contro tutti e la manipolazione di grandi masse umane da parte di un’élite).
“In tutte le rivoluzioni precedenti, sulle barricate si battevano operai, piccoli artigiani, un certo numero di studenti; i soldati facevano la loro parte; dopo la borghesia facoltosa, che aveva osservato gli scontri di barricata standosene prudentemente alla finestra, raccoglieva il potere. Ma la rivoluzione del febbraio 1917 differiva delle rivoluzioni precedenti per il carattere sociale incomparabilmente più elevato e per l’alto livello di politicizzazione della classe rivoluzionaria, per un’ostile diffidenza degli insorti nei riguardi della borghesia liberale e, quindi, per la creazione, nel momento stesso della vittoria, di un nuovo organo di potere rivoluzionario: un soviet che si basava sulla forza armata delle masse” (11).
Questa natura totalmente nuova della rivoluzione d’ottobre corrisponde all’essere stesso del proletariato, classe sfruttata e rivoluzionaria allo stesso tempo, che può liberarsi solo se agisce in maniera collettiva e cosciente.
La rivoluzione russa non è il semplice prodotto passivo di condizioni oggettive eccezionali. È anche il prodotto di una presa di coscienza collettiva. Sotto forma di lezioni, di riflessioni, di parole d’ordine, di ricordi, possiamo vedere i segni delle esperienze del proletariato, della Comune di Parigi del 1871 e della rivoluzione del 1905, e quelli delle battaglie politiche del movimento operaio, della Lega dei comunisti, della 1a e 2a Internazionale, della sinistra di Zimmerwald, degli spartachisti e del partito bolscevico. La rivoluzione russa è certamente una risposta alla guerra, alla fame ed alla barbarie dello zarismo moribondo, ma è una risposta cosciente, guidata dalla continuità storica e mondiale del movimento proletario.
Ciò si manifesta concretamente nell’enorme esperienza degli operai russi che avevano vissuto le grandi lotte del 1898, 1902, la rivoluzione del 905 e le battaglie del 1912-14, e che avevano anche fatto nascere il partito bolscevico, alla sinistra della 2a Internazionale.
“Era necessario contare non con una qualsiasi massa, ma con la massa degli operai di Pietrogrado e degli operai russi in generale che avevano vissuto l’esperienza della rivoluzione del 1905, l’insurrezione di Mosca del mese di dicembre dello stesso anno, ed era necessario che all’interno di questa massa ci fossero operai che avessero riflettuto sull’esperienza del 1905, che avessero assimilato la prospettiva della rivoluzione, che avesseroriflettuto una dozzina di volta sulla questione dell’esercito” (12).
Più di 70 anni prima della rivoluzione del 1917, Marx ed Engels avevano scritto: “Questa rivoluzione non è dunque solo necessaria in quanto unico mezzo per rovesciare la classe dominante, ma anche perché solo una rivoluzione permetterà alla classe che rovescia l’altra di spazzare via tutto il marciume del vecchio sistema che le è incollato addosso e di diventare adatta a fondare la società su basi nuove” (13).
La rivoluzione russa conferma pienamente questa posizione: il movimento porta in sé gli strumenti per l’auto-educazione delle masse. “Qui è la sua forza. Ogni settimana apportava alle masse qualcosa di nuovo. Due mesi facevano un epoca. Alla fine di febbraio: insurrezione. Alla fine di aprile: manifestazione degli operai e dei soldati armati a Pietrogrado. All'inizio di luglio: nuova manifestazione, con maggiore ampiezza e parole d’ordine più risolute. Alla fine di agosto: il tentativo di colpo di Stato di Kornilov, respinto dalle masse. Alla fine di ottobre: conquista del potere da parte dei bolscevichi. Sotto questo ritmo degli avvenimenti di una regolarità sorprendente si compivano profondi processi molecolari che saldavano in un solo insieme politico gli elementi eterogenei della classe operaia” (14).
“L’intera Russia imparava a leggere; leggeva di politica, di economia, di storia, perché il popolo aveva bisogno di sapere. (...) La sete d’istruzione, per tanto tempo frenata, diventò con la rivoluzione un vero delirio. Dal solo Istituto Smolny uscivano ogni giorno, durante i primi sei mesi, tonnellate di letteratura che con carri e vagoni andavano a saturare il paese. La Russia assorbiva, insaziabile, come la sabbia calda assorbe l’acqua. (…) E quale ruolo giocava la parola! I ‘torrenti di eloquenza’ di cui parla Carlyle a proposito della Francia erano solamente inezie rispetto alle conferenze, ai dibattiti, ai discorsi nei teatri, nei circoli, le scuole, i club, le sale di riunioni dei Soviet, le sedi dei sindacati le caserme. Si tenevano riunioni e comizi nelle trincee, sulle piazze dei villaggi, nelle fabbriche. Quale ammirevole spettacolo i 40.000 operai della Poutilov che ascoltavano oratori socialdemocratici, socialisti-rivoluzionari, anarchici ed altri, così attenti a tutti ed indifferenti per mesi alla lunghezza dei discorsi, a Pietrogrado ed in tutta la Russia, ogni angolo di strada era una tribuna pubblica. Nei treni, nei tram, dovunque nasceva all’improvviso la discussione. (…) In tutte le riunioni, la proposta di limitare il tempo di parola era respinta regolarmente; ciascuno poteva esprimere liberamente ciò che pensava..” (15).
La “democrazia” borghese parla molto di “libertà di espressione” quando l’esperienza ci dice che tutto in essa è manipolazione, spettacolo e lavaggio del cervello: l’autentica libertà di espressione è quella che conquistano le masse operaie nella loro azione rivoluzionaria: “In ogni fabbrica, in ogni laboratorio, in ogni compagnia, in ogni caffè, in ogni cantone, anche nelle borgate deserte, il pensiero rivoluzionario realizzava un lavoro silenzioso e molecolare. Ovunque sorgevano degli interpreti degli avvenimenti, degli operai a cui si poteva chiedere la verità su ciò che era accaduto e da cui si potevano aspettare le necessarie parole d’ordine. Il loro istinto di classe si trovava accresciuto dal criterio politico e, sebbene non sviluppavano tutte le loro idee in modo conseguente, il loro pensiero spingeva invariabilmente in una stessa direzione. Questi elementi di esperienza, di critica, di iniziativa, di abnegazione, si sviluppavano nelle masse e costituivano la meccanica interna, inaccessibile allo sguardo superficiale, e tuttavia decisiva, del movimento rivoluzionario come processo cosciente” (16).
Questa riflessione, questa presa di coscienza, mette a nudo “tutta l’ingiustizia materiale e morale inflitta ai lavoratori, lo sfruttamento disumano, i salari di miseria, il lavoro spossante, le devastazioni sulla salute, i sistemi raffinati di sanzione, ed il disprezzo e 1’offesa alla loro dignità umana da parte dei capitalisti e dei padroni, quest’insieme di condizioni di lavoro rovinoso e vergognoso che è imposto loro e che rappresa il destino quotidiano del proletariato sotto il giogo del capitalismo” (17).
Anche per tale motivo, la rivoluzione Russa presenta un’unità permanente, inseparabile, tra la lotta politica e la lotta economica: “Ogni ondata d’azione politica lascia dietro di sé un terreno fertile da cui nascono subito mille nuovi germogli: le rivendicazioni economiche. E viceversa, la guerra economica incessante che gli operai fanno al capitale tiene sveglia l’energia combattiva anche nei momenti di tregua politica, costituisce in qualche modo un serbatoio permanente di energia da dove la lotta politica trae sempre delle forze fresche: allo stesso tempo il lavoro infaticabile di azione rivendicativa innesca ora qui, ora là, acuti conflitti da cui esplodono bruscamente battaglie politiche” (18). Questo sviluppo della coscienza ha portato gli operai in giugno-luglio alla convinzione che essi non devono consumare le loro energie disperdendosi in mille conflitti economici parziali, ma devono concentrare le forze nella lotta politica rivoluzionaria. Ciò non significa rigettare la lotta rivendicativa ma, al contrario, assumerne le conseguenze politiche: “I soldati e gli operai ritenevano che dalla soluzione data al problema del potere, il paese sarebbe governato dalla borghesia o dai soviet, dipendevano tutti gli altri problemi: salari, prezzo del pane, obbligo di farsi uccidere al fronte per le ragioni ignote” (19). Questa presa di coscienza delle masse operaie culmina con l’insurrezione di ottobre di cui Trotsky descrive così l’atmosfera preesistente: "”Le masse sentivano il bisogno di tenersi unite, ciascuno voleva controllare sé stesso attraverso gli altri e tutti, con un’attenzione ed una tensione estrema, osservavano come un identico pensiero maturasse nelle coscienze, sia pure con diverse sfumature e caratteristiche. Folle innumerevoli frequentavano i circhi e gli altri luoghi di riunione dove parlavano i bolscevichi più popolari, con gli ultimi argomenti e gli ultimi appelli. (…) Ma in quest’ultima fase prima della rivoluzione, incomparabilmente più efficace era l’agitazione molecolare condotta da anonimi operai, marinai e soldati che conquistavano simpatizzanti uno dietro l’altro, eliminando gli ultimi dubbi, vincendo le ultime esitazioni. Mesi di vita politica febbrile avevano creato innumerevoli quadri di base, avevano educato centinaia e migliaia di autodidatti che si erano abituati a seguire la politica dal basso e non dall’alto. (...) Ormai la massa non tollerava più nel suo ambiente gli esitanti, i dubbiosi, i neutrali. Cercava di prendere tutti, di attirarli, di convincerli, di conquistarli. Le fabbriche come i reggimenti, inviavano delegati al fronte. Le trincee si legavano agli operai e ai contadini delle più immediate retrovie. Nelle città di questo settore avevano luogo assemblee, consultazioni, conferenze innumerevoli, in cui i soldati combinavano la loro azione con quella degli operai e dei contadini” (20).
“Mentre la società ufficiale - questa sovrastruttura a numerosi piani che le classi dirigenti costituiscono, coi loro strati distinti, i loro gruppi, i loro partiti e le loro cricche - viveva giorno per giorno nella sua inerzia ed il suo automatismo, alimentandosi di resti di idee consumate, sorda alle fatali esigenze dell’evoluzione, sedotta dai fantasmi, non prevedendo niente, nelle masse operaie si avverava un processo spontaneo e profondo, non solo di odio crescente contro i dirigenti, ma di giudizio critico sulla loro impotenza, di accumulo di esperienza e di coscienza creatrice che si confermò nel sollevamento rivoluzionario e nella sua vittoria” (21).
Mentre la politica borghese è sempre al profitto di una minoranza della società che costituisce la classe dominante, la politica del proletariato non insegue un beneficio particolare ma quello di tutta l'umanità. “La classe sfruttata ed oppressa (il proletariato) non può più liberarsi della classe che lo sfrutta e l’opprime (la borghesia) senza liberare, contemporaneamente e per sempre, la società intera dallo sfruttamento, dall’oppressione e dalla lotta di classe” (22).
La lotta rivoluzionaria del proletariato costituisce l’unica speranza di liberazione per tutte le masse sfruttate. Come la rivoluzione russa ha evidenziato, gli operai poterono guadagnare alla loro causa i soldati, in maggioranza contadini in uniforme, e tutta la popolazione contadina in generale. Il proletariato confermava così che la rivoluzione non è solo una risposta in difesa dei suoi interessi, ma anche l’unico sbocco possibile per farla finita con la guerra ed i rapporti sociali dell’oppressione capitalista e dello sfruttamento in generale.
La volontà operaia di dare una prospettiva alle altre classi oppresse è stata sfruttata abilmente dai partiti menscevico e socialista-rivoluzionario che pretendevano, in nome dell’alleanza con i contadini ed i soldati, che il proletariato rinunciasse alla sua lotta autonoma di classe e alla rivoluzione socialista. A prima vista questa posizione può sembrare la più “logica”: se vogliamo conquistare le altre classi, bisogna piegarsi alle loro rivendicazioni, bisogna cercare il minimo comune denominatore intorno al quale tutti possono unirsi.
Tuttavia, “Le classi medie, i piccoli fabbricanti, i commercianti al dettaglio, gli artigiani, i contadini, combattono tutti la borghesia perché è una minaccia per la loro esistenza in quanto classi medie. Non sono rivoluzionarie dunque, ma conservatrici, anzi sono reazionarie: cercano di far girare alla rovescia la ruota della storia” (23).
In un’alleanza interclassista, il proletariato ha tutto da perdere: non guadagna le altre classi oppresse ma le spinge nelle braccia del capitale ed indebolisce la sua unità e la sua coscienza in modo decisivo: non difende le sue rivendicazioni ma le diluisce e le nega; non avanza sulla strada del socialismo, ma si impantana ed annega nella palude del capitalismo decadente. In realtà non aiuta gli strati piccolo-borghesi e contadini. Contribuisce piuttosto al loro sacrificio sull’altare degli interessi del capitale, perché le rivendicazioni “popolari” sono la maschera che utilizza la borghesia per far passare sottobanco i propri interessi. Nel “popolo” non sono gli interessi delle “classi lavoratrici” ad essere rappresentati, ma l’interesse sfruttatore, nazionale e imperialista dell’insieme della borghesia. “L’alleanza tra i menscevichi e i socialrivoluzionari significava, in quelle condizioni, non una collaborazione del proletariato con i contadini, ma una coalizione di partiti che avevano rotto col proletariato e coni contadini per far blocco con le classi possidenti” (24).
Se il proletariato vuole guadagnare alla sua causa gli strati non-sfruttatori, deve affermare in modo chiaro ed eclatante le proprie rivendicazioni, il proprio essere, la sua autonomia di classe. Deve guadagnare gli altri strati non-sfruttatori in ciò che questi possono avere di rivoluzionario. “Se sono rivoluzionari, è in considerazione del loro passaggio imminente al proletariato: difendono allora i loro interessi futuri e non i loro interessi attuali, abbandonano il loro punto di vista per condividere quello del proletariato” (25). Mettendo al centro della lotta la fine della guerra imperialista; cercando di dare una prospettiva risolutiva al problema agrario (26); creando i soviet come organizzazione di tutti gli sfruttati; e, soprattutto, ponendo l’alternativa di una nuova società di fronte alla bancarotta ed al caos della società capitalista, il proletariato in Russia si pose oggettivamente all’avanguardia di tutte le classi sfruttate e seppe dar loro una prospettiva alla quale unirsi e per la quale lottare.
L’affermazione autonoma del proletariato non lo isola dagli altri strati oppressi. Al contrario gli permette di isolare lo Stato borghese da quest’ultimi. Di fronte all’impatto sui soldati ed i contadini della campagna della borghesia russa su “l’egoismo” degli operai che rivendicavano la giornata di 8 ore, questi ultimi “compresero il pericolo e si difesero abilmente. Allo scopo bastava loro raccontare la verità, citare i dati dei profitti di guerra, mostrare ai soldati le fabbriche e i reparti in cui si sentiva il rumore delle macchine, le fiamme infernali dei forni, fronte permanente su cui i lavoratori subivano perdite innumerevoli. Per iniziativa degli operai, cominciarono, da parte dei distaccamenti della guarnigione, visite regolari nelle fabbriche, soprattutto in quelle che lavoravano per la difesa. Il soldato guardava ed ascoltava, l’operaio mostrava e spiegava. Le visite si concludevano con una solenne fraternizzazione” (27).
“L’esercito era irrimediabilmente malato. Valeva ancora qualche cosa per dire la sua parola nella rivoluzione. Ma per la guerra, non esisteva già più” (28).
Questa “malattia incurabile” dell’esercito era il prodotto della lotta autonoma della classe operaia. Allo stesso modo, il proletariato ha affrontato con risolutezza il problema agrario che il capitalismo decadente è incapace di risolvere, e soprattutto aggrava: uscivano tutti i giorni dalle città industriali legioni di agitatori, di delegazioni di fabbrica, di soviet per discutere con i contadini, per incoraggiarli alla lotta, per organizzare gli operai agricoli e gli agricoltori poveri. I soviet ed i comitati di fabbrica adottarono numerose risoluzioni in cui dichiaravano la loro solidarietà ai contadini e proponevano misure concrete di soluzione del problema agrario: “La conferenza dei comitati di fabbrica e delle officine dedica la sua attenzione alla questione agraria ed elabora, sulla base di un rapporto di Trotsky, un manifesto ai contadini: il proletariato ha coscienza di sé non solo come classe particolare, ma come dirigente del popolo” (29).
Mentre la politica della borghesia concepisce la maggioranza come una massa da manipolare affinché voti ciò che è già preparato dai poteri dello Stato, la politica operaia si pone come l’opera libera e cosciente della grande maggioranza per i propri interessi.
“I soviet, consigli di deputati o delegati di assemblee, apparvero spontaneamente per la prima volta durante il grande “sciopero di massa” del 1905. Erano l’emanazione diretta delle migliaia di assemblee di lavoratori, nelle fabbriche e nei quartieri, che si moltiplicavano nella più importante esplosione di vita operaia mai vista fino allora nella storia. Come se riprendessero la lotta là dove i loro antenati della Comune di Parigi l’avevano lasciata, gli operai russi generalizzavano nella pratica la forma di organizzazione che i comunardi avevano abbozzato: assemblee sovrane, centralizzazione attraverso delegati eleggibili e revocabili” (30).
A partire dal rovesciamento dello zarismo da parte degli operai si costituirono velocemente a Pietrogrado, a Mosca, a Jarkov, a Helsinfors, in tutte le città industriali Soviet dei delegati operai ai quali si unirono i delegati dei soldati ed, in seguito, dei contadini. Intorno ai soviet il proletariato e le masse sfruttate costituirono una rete infinita di organizzazioni di lotta, basate sulle assemblee, sulla libera discussione e decisione di tutti gli sfruttati: soviet di quartiere, consigli di fabbrica, comitati di soldati, comitati contadini... “Coprendo tutto il territorio russo, la rete dei consigli locali di deputati degli operai e dei soldati costituiva in qualche modo l’ossatura della rivoluzione” (31).
La “democrazia” borghese riduce la “partecipazione” delle masse all’elezione ogni 4 anni di qualcuno che fa quello di cui ha bisogno la borghesia; di fronte a ciò, i soviet costituiscono la partecipazione permanente, diretta, delle masse operaie che discutono in gigantesche assemblee generali e decidono su ogni questione che tocca la società. I delegati sono eletti e revocabili ogni momento ed essi assistono al Congresso con mandati definiti.
La “democrazia” borghese concepisce la “partecipazione” come la farsa dell’individuo libero che decide solo nell’urna. In effetti questo è la consacrazione dell’atomizzazione, dell’individualismo, del tutti contro tutti, il camuffamento della divisione in classi, il che favorisce la classe minoritaria e sfruttatrice. Al contrario, i soviet si basano sulla discussione e la decisione collettiva, ciascuno può sentire lo spirito e la forza dell’insieme e su questa base sviluppare tutte le sue capacità rafforzando a sua volta il collettivo. I soviet partono dall’organizzazione autonoma della classe lavoratrice per lottare in vista dell’abolizione delle classi.
Gli operai, i soldati e i contadini consideravano i soviet la propria organizzazione.
"Non solo gli operai e i soldati delle formidabili guarnigioni delle retrovie, ma anche il popolo variopinto delle città, gli artigiani,i piccoli commercianti, i piccoli funzionari, i cocchieri, i portieri, i domestici di tutti i tipi si tenevano lontano dal governo provvisorio e dai suoi uffici, cercavano un potere più vicino a loro, più accessibile. In numero sempre maggiore si presentavano al palazzo di Tauride delegati provenienti dalle campagne. Le masse affluivano nei soviet come sotto gli archi di trionfo della rivoluzione. Tutto ciò che era al di fuori dei soviet, restava in qualche modo tagliato fuori dalla rivoluzione e sembrava appartenere ad un altro mondo. Era proprio così: al di fuori dei soviet restava il mondo dei possidenti…” (32).
Niente poteva essere fatto in Russia senza i soviet: le delegazioni delle squadre del Baltico e del Mare Nero, dichiararono fin dal 16 marzo che avrebbero ubbidito solo agli ordini del governo provvisorio che fossero in accordo con le decisioni dei soviet. Il 172° reggimento è ancora più esplicito: “L’esercito e la popolazione devono sottoporsi solo alle decisioni del Soviet. Gli ordini del governo che contravvengono alle decisioni dei soviet non sono da eseguire” (33).
Guchkov, grande capitalista e ministro del governo provvisorio dichiarava: “Purtroppo il governo non dispone di un potere effettivo, le truppe, le ferrovie, la posta, il telegrafo, tutto è in mano ai Soviet e si può affermare che il governo provvisorio esiste solo nella misura in cui il soviet lo permette” (34).
La classe operaia, come classe che aspira alla trasformazione rivoluzionaria e cosciente del mondo, necessita di un organo che le permetta di esprimere tutte le sue capacità, tutte le sue tendenze, tutti i suoi pensieri: un organo estremamente dinamico che sintetizzi ad ogni momento l’evoluzione e l’avanzamento delle masse; un organo che non cada nel conservatorismo e la burocrazia che le permetta di respingere e di combattere ogni tentativo di confiscare il potere diretto della maggioranza. Un organo di lavoro dove le cose si decidono velocemente e in modo vivente, sebbene al tempo stesso in modo consapevole e collettivo, in modo che tutti si sentano coinvolti nella loro applicazione.
I soviet “Non accettavano affatto la teoria della divisione dei poteri e intervenivano nella direzione dell’esercito, nei conflitti economici, nelle questioni dei rifornimenti alimentari e dei trasporti, e persino nelle faccende giudiziarie. Sotto la pressione degli operai decretavano la giornata delle otto ore, eliminavano gli amministratori troppo reazionari, destituivano i più insopportabili commissari del governo provvisorio, procedevano ad arresti e a perquisizioni,proibivano i giornali ostili” (35).
Abbiamo visto come la classe operaia è stata capace di unirsi, di esprimere ogni sua energia creatrice, di agire in modo organizzata e cosciente, e, in fin dei conti, di elevarsi di fronte alla società come la classe rivoluzionaria che ha la missione di instaurare la nuova società, senza classi e senza Stato. Ma, per fare ciò, la classe operaia doveva distruggere il potere della classe nemica: lo Stato borghese incarnato dal governo provvisorio ed imporre il proprio potere: il potere dei soviet.
(dalla Révue Internationale n°71)
1. Trotsky, Storia della rivoluzione russa, cap. “Il proletariato ed i contadini”, ed. Mondadori
2. Trotsky, ibid., cap. “Dal 23 al 27 febbraio 1917”.
3. Trotsky, ibid.
4. Ana M.Pankratova, I consigli di fabbrica nella Russia del 1917.
5. Trotsky, Storia della rivoluzione russa
6. John Reed, I 10 giorni che sconvolsero il mondo.
7. Questa rivendicazione fu respinta dallo stesso partito bolscevico come utopica, astratta, ecc. quando, due mesi prima, veniva sostenuta da Lenin nelle sue “Tesi di aprile”.
8. Trotsky, Storia della rivoluzione russa, cap. “Le giornate di luglio”.
9. Tradotto dallo spagnolo: G. Soria, I 300 giorni della rivoluzione russa.
10. Trotsky, Storia della rivoluzione russa, cap. “La borghesia si misura con la democrazia…”
11. Trotsky, ibid., cap. “Il paradosso della rivoluzione di febbraio”.
12. Trotsky, ibid.
13. Marx-Engels, L’idéologia tedesca, cap. 1, “Feuerbach”.
14. Trotsky, Storia della rivoluzione russa, cap. “Raggruppamento nelle masse”.
15. John Reed, I 10 giorni che sconvolsero il mondo.
16. Trotsky, Storia della rivoluzione russa, cap. “Raggruppamento nelle masse”.
17. Rosa Luxemburg, Nell'ora rivoluzionaria, 2a parte.
18. Rosa-Luxemburg, Sciopero di massa, partito e sindacati
19. Trotsky, Storia della rivoluzione russa, cap. “Le giornate di luglio, preparazione ed inizio”.
20. Trotsky, ibid., cap. “L’uscita dal pre-parlamento”.
21. Trotsky, ibid., cap. “Chi diresse l’insurrezione di febbraio?”.
22. Engels, Prefazione del 1883 al Manifesto comunista.
23. Marx-Engels, Il manifesto comunista.
24. Trotsky, Storia della rivoluzione russa, cap. “Il comitato esecutivo”.
25. Marx-Engels, Il manifesto comunista.
26. Non si tratta nell’ambito di quest’articolo di discutere se la soluzione che i bolscevichi ed i soviet hanno alla fine dato alla questione agraria - la ripartizione delle terre - fu giusta o meno. Rosa Luxemburg l’ha criticata e l’esperienza ha dimostrato che non lo fu. Ma ciò non può nascondere l’essenziale e cioè che il proletariato ed i bolscevichi hanno posto seriamente la necessità di una soluzione dal punto di vista del potere del proletariato e dal punto di vista della lotta per la rivoluzione socialista.
27. Trotsky, Storia della rivoluzione russa, cap. “Il comitato esecutivo”.
28. Trotsky, ibid., cap. “L’esercito e la guerra”.
29. Trotsky, ibid., cap. “L'uscita dal pre-parlamento”.
30. Révolutione Internationale, n°190 “Il proletariato dovrà imporre la sua dittatura per condurre l’umanità all’emancipazione”.
31. O. Anweiler, I soviet in Russia.
32. Trotsky, Storia della rivoluzione russa, cap. “Il nuovo potere”.
33. Trotsky, ibid.
34. Trotsky, ibid.
35. Trotsky, ibid., cap. “La prima coalizione”.
L’Ottobre 1917 ci ha lasciato una lezione fondamentale: la borghesia non lascia via libera alla lotta rivoluzionaria delle masse operaie. Al contrario, cerca di sabotarla con tutti i mezzi. Oltre la repressione diretta, essa utilizza un’arma molto pericolosa: il sabotaggio dall’interno, esercitato dalle forze borghesi mascherate da “operaie” e “radicali” – allora i partiti “socialisti”, oggi i partiti di “sinistra” e di “estrema sinistra”, e i sindacati.
Questo sabotaggio ha costituito la principale minaccia per la rivoluzione iniziata a febbraio: il sabotaggio dei soviet da parte dei partiti socialtraditori che tenevano in piedi l’apparato di Stato borghese. In questo articolo affronteremo questo problema e gli strumenti con i quali il proletariato è riuscito a risolverlo: il rinnovamento dei Soviet, il Partito bolscevico, l’insurrezione.
La borghesia presenta la Rivoluzione di febbraio come un movimento per la democrazia violentato dal colpo di Stato bolscevico. Le sue leggende consistono nell’opporre Febbraio ad Ottobre, presentando il primo come un’autentica “festa democratica” e il secondo come un colpo di Stato “contro la volontà popolare”.
Questa menzogna è il prodotto della rabbia della borghesia di fronte agli avvenimenti tra il febbraio e l’ottobre che non hanno seguito lo schema sperato. La borghesia pensava che una volta passate le convulsioni che a febbraio avevano rovesciato lo Zar, le masse sarebbero rientrate a casa tranquillamente, lasciando i politici borghesi a dirigere alla loro maniera, legittimati di tanto in tanto da elezioni “democratiche”. Tuttavia il proletariato non abbocca all’amo, dispiega una immensa attività, prende coscienza della sua missione storica e si dà i mezzi per lottare: i Soviet. Ha inizio allora un periodo di doppio potere: “o la borghesia si impadronirà effettivamente del vecchio apparato di Stato, dopo averlo rimesso a nuovo per servire i suoi disegni, e allora i soviet dovranno scomparire; oppure i soviet costituiranno la base del nuovo Stato, avendo liquidato non solo il vecchio apparato, ma anche il dominio delle classi che se ne servivano” (1).
Per distruggere i soviet ed imporre l’autorità dello Stato, la borghesia utilizza la carta dei partiti menscevico e socialista-rivoluzionario, vecchi partiti operai che, con la guerra, erano passati nel campo borghese. All’inizio della rivoluzione di febbraio questi godevano d’una immensa fiducia tra gli operai di cui approfittano per accaparrarsi i soviet e servire da copertura alla borghesia: “Dove un ministro borghese non avrebbe potuto presentarsi a difendere il governo, dinanzi agli operai rivoluzionari o nei Soviet, là si presentava (o meglio: veniva inviato dalla borghesia) un ministro “socialista” – Skobelev, Tsereteli, Cernov o un altro – che adempiva coscienziosamente al compito di servire la borghesia, sudava sangue, difendeva il ministero, assolveva di tutto i capitalisti, ingannava il popolo ripetendogli di aspettare, di aspettare e di aspettare” (2).
A partire da febbraio comincia una situazione estremamente pericolosa per le masse operaie: esse lottano, con i bolscevichi in testa, per fermare la guerra, per la soluzione del problema agrario, per abolire lo sfruttamento capitalista e per questo hanno creato i Soviet dando loro una fiducia senza riserve. Eppure questi Soviet, nati dalle loro viscere, invasi dai demagoghi menscevichi o socialdemocratici negano ora le necessità più importanti.
Promettono mille volte la pace e lasciano che il governo provvisorio continui la guerra.
Il 27 marzo, il governo provvisorio tenta di scatenare l’offensiva dei Dardanelli, il cui obiettivo è la conquista di Costantinopoli. Il 18 aprile, Miliukov, ministro degli Affari esteri, ratifica con un famoso documento l’adesione della Russia alla banda dell’Intesa (Francia e Gran Bretagna). A maggio, Kerensky inizia una campagna sul fronte per sollevare il morale dei soldati e spingerli a battersi, arrivando a dire, colmo del cinismo, “avete la pace sulla punta delle vostre baionette”. Nuovamente in giugno ed in agosto, i socialdemocratici, in stretta collaborazione con gli odiosi generali zaristi, tentano di trascinare gli operai nella carneficina di guerra.
Inoltre questi demagoghi dei “diritti dell’uomo”, tentano di ristabilire una brutale disciplina militare nell’esercito restaurando la pena di morte e costringendo i Comitati dei soldati a non “mettersi al di sopra degli ufficiali”. Ad esempio, quando il Soviet di Pietrogrado decide in massa di pubblicare il famoso decreto n° 1, che proibisce le sevizie corporali sui soldati e difende i loro diritti e la loro dignità, i socialtraditori del Comitato esecutivo spediscono “…alla stampa, come antidoto, un appello ai soldati, che, pur avendo l’aria di condannare il linciaggio degli ufficiali, esigeva sottomissione dinanzi al vecchio ordine” (3).
Blaterano senza interruzione sulla “soluzione del problema agrario”, mentre lasciano intatto il potere dei proprietari e schiacciano le ribellioni contadine.
Hanno bloccato sistematicamente i pur timidi decreti sulla questione agraria - ad esempio, quello che proibisce il trasferimento delle terre - restituendo le terre occupate spontaneamente dai contadini ai loro ex padroni; hanno represso i sollevamenti contadini con il sangue ed il fuoco inviando spedizioni punitive. Hanno restaurato l’impiego della frusta nei villaggi. Bloccano l’applicazione della giornata lavorativa di 8 ore e permettono ai proprietari di smantellare le imprese. Hanno lasciato che i proprietari sabotassero la produzione con l’obiettivo, da un lato, di affamare gli operai e, dall’altro, di disperderli e demoralizzarli: “Approfittando della produzione capitalista moderna e della sua relazione stretta con le banche internazionali e nazionali, come pure con le organizzazioni del capitale unificato (sindacati patronali, trust, etc.), i capitalisti cominciarono ad applicare un sistema di sabotaggio di grande portata e minuziosamente calcolato. Non arretrarono dinanzi ad alcun mezzo, cominciando con l’assenza di amministrazione delle fabbriche, la disorganizzazione artificiale della vita industriale, lo stoccaggio o la scomparsa delle materie prime, e finendo con la chiusura di fabbriche private delle risorse (...)” (4).
Scatenano una terribile repressione contro le lotte operaie.
“A Kharkov, 30.000 minatori s’organizzarono, prendendo come massima il preambolo degli statuti dell’I.W.W.” (Industrial Woekers of the World, Lavoratori Industriali del Mondo): “Non c’è nulla in comune tra la classe dei lavoratori e la classe dei datori di lavoro”. “I cosacchi li dispersero; alcuni proprietari di miniere dichiararono la serrata ed il resto dei minatori proclamò lo sciopero generale. Il ministro del commercio e dell’industria, Konovalov, incaricò il suo assistente, Orlov, fornito dei pieni poteri, di porre fine ai disordini. Orlov era odiato dai minatori. Lo Zik (5), non solo ne approvò la missione, ma rifiutò anche di domandare che i cosacchi fossero ritirati dal bacino del Donetz” (6).
Seminano l’illusione tra le masse con vuote parole sulla “democrazia rivoluzionaria”, mentre sabotano con tutti i mezzi i Soviet.
Hanno provato a liquidare i Soviet dall’interno: non rispettando gli accordi, relegando in secondo piano le riunioni plenarie a profitto della cospirazione del “comitato ristretto”, cercando di dividere le masse sfruttate e di provocare scontri: “Fin da aprile, i menscevichi ed i socialisti-rivoluzionari avevano iniziato a fare appello alla provincia contro Pietrogrado, ai soldati contro gli operai, alla cavalleria contro i mitraglieri. Avevano dato alle compagnie una rappresentazione nei Soviet più favorita di quella delle fabbriche; avevano patrocinato le piccole imprese diffuse piuttosto che le fabbriche giganti della metallurgia. Rappresentando il passato di ieri, cercavano un appoggio nei ritardatari di qualsiasi specie. Perdendo colpi, stimolavano la retroguardia contro l’avanguardia” (7). Hanno fatto di tutto affinché i Soviet rendessero il potere agli “organi democratici”: gli Zemstva – organi locali d’origine zarista - e la conferenza “Democratica” di Mosca che si era tenuta in agosto, vero nido di vipere dove si erano riunite le forze “rappresentative” che comprendevano nobili, militari, anziani membri dei Cento Neri, cadetti, etc., tutte forze che hanno dato la loro benedizione al colpo di Stato militare di Kornilov. A settembre hanno fatto un nuovo tentativo per eliminare i soviet: la convocazione della Conferenza pre-democratica nella quale i delegati della borghesia e della nobiltà - le minoranze sfruttatrici odiate da tutti e che rappresentano solo se stesse – occupano, secondo l’espressa volontà dei socialtraditori, più di 683 posti di rappresentanti di fronte ai 230 posti dei delegati dei Soviet. Kerensky promette all’ambasciatore americano: “Faremo in modo che i soviet muoiano di morte naturale. Il centro di gravità della vita politica si sposterà progressivamente dai Soviet verso i nuovi organi democratici di rappresentanza autonoma”. I Soviet che chiedono la presa del potere vengono massacrati “democraticamente” dalla forza delle armi: “I bolscevichi, che avevano conquistato la maggioranza nei Soviet (di Kaluga), liberarono alcuni prigionieri politici. Con il consenso del commissario del governo, la Duma municipale fece arrivare le truppe da Minsk e bombardare con l’artiglieria la sede dei Soviet. I bolscevichi si arresero. Mentre essi abbandonavano l’edificio, i cosacchi li attaccarono gridando: «Ecco quello che capiterà a tutti i Soviet bolscevichi…” (8).
Gli operai vedono come i loro organi di classe vengono confiscati, snaturati e incatenati ad una politica che va contro i loro interessi. Ciò che, come abbiamo visto nella prima parte di questo opuscolo, aveva portato alle crisi politiche di aprile, di giugno e soprattutto di luglio, li spinge all’azione decisiva: rinnovare i soviet e prendere il potere. Come afferma Lenin i soviet sono “organi dove la fonte del potere è direttamente nelle mani delle masse popolari, alla base” (“Il dualismo di potere”). È questo che permette agli operai di cambiarli rapidamente appena si rendono conto che questi non rispondono più ai loro interessi. A partire dalla metà di agosto la vita dei soviet si accelera a un ritmo vertiginoso. Le riunioni di succedono giorno e notte, senza interruzione. Gli operai e i soldati discutono coscienziosamente, prendono decisioni, votano più volte al giorno. In questo clima d’intesa attività delle masse (9) numerosi soviet (Helsinfors, Urali, Kronstadt, Reval, flotta del Baltico, etc.) eleggono maggioranze rivoluzionarie formate da delegati bolscevichi, menscevichi internazionalisti, massimalisti, socialisti-rivoluzionari di sinistra, anarchici, etc.
Il 31 agosto, il soviet di Pietrogrado approva una mozione bolscevica. I suoi dirigenti – menscevichi e socialisti-rivoluzionari – rifiutano di applicarla e danno le dimissioni. Il 9 settembre, il soviet elegge una maggioranza bolscevica, seguito da quello di Mosca e, in seguito, da tutti quelli del paese. Le masse hanno i soviet di cui hanno bisogno e si preparano quindi a prendere il potere e ad esercitalo.
Il ruolo del partito bolscevico
In questa lotta delle masse per prendere il controllo delle loro organizzazioni contro il sabotaggio borghese, i bolscevichi giocarono un ruolo decisivo. Essi concentrarono la loro attività sullo sviluppo dei soviet. “La Conferenza dichiara ancora una volta che è indispensabile proseguire un lavoro sistematico in tutti i campi all’interno dei Soviet dei deputati operai e dei soldati, di aumentarne il numero, di accrescerne le forze e d’unire strettamente nel loro seno i gruppi proletari, internazionalisti, del nostro Partito” (10).
Questa attività aveva come asse centrale lo sviluppo della coscienza di classe: “è precisamente un paziente lavoro di chiarificazione della coscienza di classe del proletariato e di coesione dei proletari della città e della campagna” (11). I bolscevichi, da una parte, avevano fiducia nella capacità di critica e di analisi delle masse: “Ma, mentre l’agitazione dei menscevichi e dei socialrivoluzionari aveva un carattere dispersivo, contraddittorio, spesso elusivo, l’agitazione dei bolscevichi si distingueva per la sua natura meditata e concentrata. I conciliatori chiacchieravano per eludere le difficoltà, i bolscevichi le affrontavano. Una costante analisi della situazione, una verifica delle parole d’ordine sulla base dei fatti, un atteggiamento serio anche verso l’avversario poco serio, conferivano una forza particolare, un vigore persuasivo all’agitazione bolscevica” (12). D’altra parte essi avevano fiducia nelle loro capacità di unione e di autorganizzazione: “Non credete alle parole. Non lasciatevi ingannare con promesse. Non sopravvalutate le vostre forze. Organizzatevi in ogni fabbrica, in ogni reggimento ed in ogni compagnia, in ogni quartiere. Lavorate ad organizzarvi giorno dopo giorno, ora dopo ora (...)” (13).
I bolscevichi non pretendevano di sottomettere le masse a un “piano d’azione” precostituito, sollevando le masse come si solleva un esercito. Sapevano che la Rivoluzione è l’opera dell’azione diretta delle masse e che la loro missione politica era agire all’interno di quest’azione diretta. “La principale forza di Lenin consisteva nel comprendere la logica interna del movimento e regolava secondo questa la sua politica. Non imponeva il suo piano alle masse. Aiutava le masse ad elaborare e realizzare i loro piani” (14).
Il partito non sviluppava il suo ruolo d’avanguardia dicendo alla classe: “qui è la verità, inginocchiatevi”, al contrario, esso era attraversato da inquietudini e preoccupazioni che attraversavano tutta la classe e, come tale, benché in modo diverso, era esposto alle influenze deleterie dell’ideologia borghese. Assumeva il proprio ruolo di motore nello sviluppo della coscienza di classe attraverso una serie di dibattiti politici durante i quali superava gli errori e le insufficienze delle sue posizioni precedenti e si batteva a morte per eliminare le deviazioni opportuniste che potevano minacciarlo.
All’inizio di marzo un’importante parte dei bolscevichi propose di unirsi con i partiti socialisti (menscevichi e socialisti-rivoluzionari). La loro argomentazione, apparentemente giusta, in questi primi momenti di gioia generale e di inesperienza delle masse aveva un cero impatto: piuttosto che andare ciascuno per conto proprio, perché non unirsi, tutti i socialisti? Perché gettare confusione tra gli operai con due o tre partiti distinti che si richiamano tutti al proletariato e al socialismo? Ciò rappresentava una grave minaccia per la rivoluzione: il partito, che dal 1902 aveva lottato contro l’opportunismo ed il riformismo; che dal 1914 era stato il più conseguente, il più deciso ad opporre la rivoluzione internazionale alla prima guerra mondiale, correva il pericolo di diluirsi nelle acque torbide dei partiti “social-traditori”. Come il proletariato avrebbe superato le confusioni e le illusioni che restavano al suo interno? Come avrebbe combattuto le manovre e le trappole del nemico? Come avrebbe conservato la rotta della lotta nei momenti di debolezza o di sconfitta? Lenin e la base del partito lottarono contro questa falsa unità che, nei fatti, significava unirsi dietro la borghesia.
Il partito bolscevico era all’inizio fortemente minoritario. Molti operai conservavano ancora illusioni sul Governo provvisorio e lo vedevano come un’emanazione dei Soviet, mentre in realtà era il loro peggior nemico. Gli organi dirigenti dei bolscevichi assunsero in marzo-aprile un atteggiamento conciliante con il governo provvisorio finiva per essere un appoggio aperto alla guerra imperialista. Contro questa deviazione opportunista si sviluppò un movimento della base del partito (comitato di Vyborg) che trovò in Lenin e le sue Tesi d’Aprile la sua espressione più chiara. Per Lenin il problema di fondo era “Non appoggiare in alcun modo il governo provvisorio; dimostrare la completa falsità di tutte le sue promesse, soprattutto di quelle concernenti la rinuncia alle annessioni. Smascherare questo governo invece di ‘esigere’ (ciò che è inammissibile e semina illusioni) che esso, governo di capitalisti, cessi di essere imperialista” (15).
Lenin denunciava anche l’arma fondamentale dei menscevichi e dei socialisti-rivoluzionari contro i Soviet: “L’ ”errore” dei capi su menzionati sta nella loro posizione piccolo-borghese, sta nel fatto che essi offuscano la coscienza degli operai invece d’illuminarla, inculcano illusioni piccolo-borghesi invece di confutarle, consolidano l’influenza della borghesia sulle masse invece di liberarle da questa influenza” (16).
Contro quelli che giudicavano questa denunzia “poco pratica”, Lenin sosteneva: “In realtà questo è, più di ogni altro, un lavoro rivoluzionario pratico; perché non è possibile far progredire la rivoluzione, che si è fermata, che è soffocata dalle frasi, che “segna il passo”, non in conseguenza di un impedimento esteriore, non in seguito a violenze della borghesia (...), ma a causa della fiducia incosciente delle masse. Solo combattendo questa fiducia incosciente (non si può e non si deve combatterla che sul terreno delle idee, colla persuasione amichevole, con consigli basati sull’esperienza vissuta) noi possiamo liberarci della trionfante orgia di frasi rivoluzionarie e dare impulso reale allo sviluppo sia della coscienza proletaria, sia della coscienza delle masse, sia della loro iniziativa locale (...)” (17). Difendere l’esperienza storica del proletariato, mantenere vive le sue posizioni di classe, esige spesso di restare in minoranza fra gli operai. È così perché “(..) la massa esita tra la fiducia nei suoi vecchi padroni, i capitalisti, e la rabbia contro questi; tra la fiducia nella nuova classe, la sola animata da uno spirito rivoluzionario conseguente e che apre a tutti i lavoratori la via di un futuro radioso, - il proletariato - ed una coscienza ancora oscura del ruolo storico e mondiale di quest’ultimo” (18).
Per aiutare a superare queste debolezze “non è il numero che importa, ma l’espressione fedele delle idee e della politica del proletariato veramente rivoluzionario” (19).
Come ogni partito autenticamente proletario, il partito bolscevico era una parte integrante del movimento della classe. I suoi militanti erano i più attivi nelle lotte, nei Soviet, nei consigli di fabbrica, nelle assemblee e nelle riunioni. I giorni di luglio hanno messo in evidenza quest’impegno irremovibile del partito nei confronti della classe.
Come abbiamo già visto, la situazione alla fine di giugno diventava intollerabile a causa della fame, della guerra, del caos, del sabotaggio dei Soviet, della politica del comitato centrale nelle mani dei social-traditori, politica che consisteva nel non fare nulla, in complicità con la borghesia. Gli operai ed i soldati, soprattutto nella capitale, iniziavano a sospettare apertamente dei social-traditori. L’impazienza, la disperazione, la collera, diventavano ogni giorno più forti tra gli operai, spingendoli a prendere il potere con un’azione di forza. Tuttavia non c’erano ancora tutte le condizioni:
- gli operai ed i soldati delle province non erano allo stesso livello politico dei loro fratelli di Pietrogrado;
- i contadini avevano ancora fiducia nel governo provvisorio;
- l’idea dominante tra gli operai di Pietrogrado non era tanto prendere il potere ma piuttosto fare un’azione di forza per obbligare i dirigenti “socialisti” a “prendere realmente il potere”, cioè richiedere alla quinta colonna della borghesia di prendere il potere in nome degli operai.
In un tale situazione, lanciarsi nello scontro decisivo con la borghesia e i suoi sostenitori, significava imbarcarsi in un’avventura che poteva compromettere definitivamente il destino della rivoluzione. Era una scossa prematura che poteva concludersi con una sconfitta definitiva. Il partito bolscevico sconsigliò tale azione ma, vedendo che le masse non ne tenevano conto e continuavano ad avanzare, non si ritirò dicendo “sono affari vostri”. Il partito partecipò all’azione cercando, da una parte, di impedire che si trasformasse in un’avventura disastrosa e, d’altra parte, di fare in modo che gli operai traessero il maggior numero di lezioni per preparare l’insurrezione definitiva. Lottò con tutte le sue forze affinché fosse il Soviet di Pietrogrado, grazie ad una discussione approfondita e dotandosi dei dirigenti adeguati, a mettersi d’accordo sull’orientamento politico dominante nelle masse.
Tuttavia il movimento fallì e subì la sconfitta. La borghesia ed i suoi accoliti menscevichi e socialisti-rivoluzionari lanciarono una repressione violenta contro gli operai e soprattutto contro i bolscevichi. Questi pagarono un prezzo molto alto: prigione, processi, esilio. Ma questo sacrificio aiutò la classe, in modo decisivo, a limitare gli effetti della sconfitta subita e porre in modo più cosciente e più organizzato, dunque nelle migliori condizioni, il problema dell’insurrezione. Quest’impegno del partito verso la classe permise a partire da agosto, una volta passati i momenti peggiori della reazione borghese, lo sviluppo della piena armonia tra il partito e la classe, indispensabile per il trionfo della rivoluzione.
“Durante le giornate di febbraio, venne alla luce tutto il lavoro svolto in precedenza per lunghi anni dai bolscevichi, e gli operai avanzati, educati dal partito, trovarono il loro posto nella lotta; ma non c’era ancora una direzione immediata da parte del partito. Negli avvenimenti di aprile, le parole d’ordine del partito rivelarono la loro forza dinamica, ma il movimento come tale si sviluppò spontaneamente. In giugno, si manifestò l’enorme forza del partito, ma le masse marciavano ancora entro il quadro di una manifestazione ufficialmente organizzata dagli avversari. Solo in luglio, dopo aver sperimentato su se stesso la violenza della pressione delle masse, il partito bolscevico scende nelle piazze contro tutti gli altri partiti e determina la natura sostanziale del movimento non solo con le sue parole d’ordine, ma con la sua direzione organizzata. La funzione di una avanguardia dai ranghi serrati si rivela per la prima volta in tutta la sua portata nelle giornate di luglio, quando il partito -pagandolo a caro prezzo - preserva il proletariato da una disfatta, e garantisce l’avvenire della rivoluzione e il suo stesso avvenire” (20).
La situazione di doppio potere che prevalse nel periodo da febbraio ad ottobre fu una situazione instabile e pericolosa. La sua durata eccessiva, senza che nessuno delle due classi potesse imporsi, fu soprattutto dannosa al proletariato: se l’incapacità ed il caos che caratterizzavano la classe al potere accentuavano la sua mancanza di credibilità, al tempo stesso causavano lassismo e confusione nelle masse operaie, disgregavano le loro forze in combattimenti sterili, ed iniziavano ad intaccare la simpatia delle classi intermedie verso il proletariato. Perciò era necessario per il proletariato decidere di prendere il potere con l’insurrezione. “ (.. ) le grandi rivoluzioni (...) hanno una legge vitale: o andare avanti con uno slancio molto rapido e risoluto, eliminare con decisione tutti gli ostacoli e porsi obiettivi sempre più lontani, o essere rapidamente rigettate indietro al debole punto di partenza e schiacciate dalla controrivoluzione” (21).
L’insurrezione è un’arte. Richiede di essere compiuta ad un momento preciso nell’evolvere della situazione rivoluzionaria: né prematuramente, cosa che condurrebbe al fallimento, né troppo tardi, cosa che condurrebbe il movimento rivoluzionario, una volta passata l’opportunità, a disgregarsi, vittima della controrivoluzione.
All’inizio del mese di settembre la borghesia, attraverso Kornilov, tentò un colpo di Stato che costituì il segnale dell’offensiva finale della borghesia per rovesciare i Soviet e ristabilire interamente il suo potere. Il proletariato, con l’aiuto massiccio dei soldati, riuscì a far fallire la manovra, e ciò accelerò la decomposizione dell’esercito: i soldati di numerosi reggimenti si pronunciarono a favore della Rivoluzione espellendo gli ufficiali e organizzandosi in consigli di soldati.
Come abbiamo visto prima, il rinnovo dei Soviet, a partire dalla metà del mese di agosto, iniziava a far pendere il rapporto di forze chiaramente a favore del proletariato. La sconfitta del gruppo di Kornilov accelerò questo processo.
Da metà settembre una marea di risoluzioni che chiedevano la presa del potere dilagò dai Soviet locali e regionali (Kronstadt, Ekaterinoslav, etc.): il Congresso dei Soviet della regione Nord, riunitosi dall’11 al 13 ottobre, chiamò apertamente all’insurrezione. A Minsk, il Congresso regionale dei Soviet decise di sostenere l’insurrezione ed inviare truppe di soldati favorevoli alla rivoluzione. Il 12 ottobre “l’assemblea generale degli operai di una delle fabbriche più rivoluzionarie della capitale (Stary-Par-vyeinen) rispose agli attacchi incessanti della stampa borghese: ‘affermiamo fermamente che scenderemo in piazza quando giudicheremo ciò indispensabile. Non abbiamo timore della prossima lotta che si annuncia e crediamo fermamente che ne usciremo vincitori’ ” (22).
Il 17 ottobre, il Soviet dei soldati di Pietrogrado decise: “La guarnigione di Pietrogrado non riconosce più il governo provvisorio. Il nostro governo è il Soviet di Pietrogrado. Seguiremo soltanto gli ordini del Soviet di Pietrogrado, trasmessi dal suo Comitato militare rivoluzionario” (23). Il Soviet del distretto di Vyborg decise di fare una marcia per sostenere questa risoluzione alla quale si aggiunsero i marinai. Un giornale liberale di Mosca - citato da Trotsky - descrive così l’atmosfera nella capitale: “Nel quartieri, nelle fabbriche di Pietrogrado, Vevski, Obujov e Putilov, l’agitazione bolscevica per il sollevamento raggiunge il culmine . Lo stato d’animo degli operai è tale che sono pronti a mettersi in marcia in qualsiasi momento”. L’accelerazione delle rivolte contadine a settembre costituì un altro elemento della maturazione delle condizioni necessarie all’insurrezione: “Lasciar reprimere l’insurrezione contadina quando si hanno nelle proprie mani i Soviet delle due capitali, significa perdere, e perdere meritatamente, tutta la fiducia dei contadini, significa mettersi, agli occhi dei contadini, alla pari dei Liber-Dan e delle altre canaglie” (24).
Ma è a livello mondiale che si trova la chiave della rivoluzione. Lenin ha chiarito questo punto in “Lettera ai compagni bolscevichi del Congresso dei Soviet della regione Nord” (8-10-1917): “La nostra rivoluzione attraversa un periodo estremamente critico. Questa crisi coincide con la grande crisi di sviluppo della rivoluzione socialista mondiale e della lotta dell’imperialismo universale contro la rivoluzione. Un compito gigantesco incombe ai dirigenti responsabili del nostro partito; se non lo si adempie, il movimento proletario internazionalista rischia di andare incontro ad un fallimento totale. Il momento è così grave che ogni temporeggiamento equivale effettivamente alla morte”. In un’altra lettera precisa: “I bolscevichi non hanno il diritto di attendere il Congresso dei Soviet, devono prendere il potere immediatamente. Così facendo salvano la rivoluzione mondiale (altrimenti persisterà la minaccia di una transazione tra gli imperialisti di tutti i paesi che, dopo le esecuzioni in Germania, avranno delle compiacenze reciproche e si uniranno contro di noi); essi salvano la rivoluzione russa (diversamente l’ondata d’anarchia attuale può diventare più forte di noi)” (25).
Questa coscienza della responsabilità internazionale del proletariato russo non apparteneva solo a Lenin ed ai bolscevichi. Al contrario, molti settori operai condividevano questa coscienza.
- Il 1 maggio 1917, “ovunque in Russia, i prigionieri di guerra presero parte a manifestazioni al fianco dei soldati, sotto bandiere comuni, a volte intonando lo stesso inno in varie lingue (...). Il ministro cadetto Singarev, in una conversazione con i delegati delle trincee, difendeva l’ordinanza di Guckov contro una “indulgenza eccessiva” nei confronti dei prigionieri, alludendo a ‘gli atti di crudeltà da parte dei tedeschi’ (…). L’assemblea si pronunciò risolutamente per il miglioramento della sorte dei prigionieri” (26).
- “Un soldato del fronte rumeno, magro, tragico, appassionato gridò: “Compagni, al fronte noi moriamo di fame e di freddo. Ci si fa morire senza ragione. Prego i compagni americani di dire in America che i russi abbandoneranno la loro Rivoluzione solo quando saranno tutti morti. Noi difenderemo la nostra fortezza con tutte le nostre forze fino a che tutti i popoli si leveranno e ci verranno in aiuto. Dite agli operai americani di sollevarsi e di combattere per la rivoluzione sociale!” (27).
Il governo Kerenski provò a spostare i reggimenti più rivoluzionari di Pietrogrado, Mosca, Vladimir, Reval, ecc., verso il fronte o in regioni isolate per tentare di decapitare la lotta. A sostegno di questa misura la stampa liberale e menscevica scatenò una campagna di calunnie contro i soldati, trattandoli da “vigliacchi”, accusandoli “non di voler sacrificare la loro vita per la patria”, ecc.. Gli operai della capitale risposero immediatamente; numerose assemblee di fabbrica sostennero i soldati, richiedendo tutto il potere ai Soviet e adottando misure per armare gli operai. In questo contesto il Soviet di Pietrogrado decise, nella sua riunione del 9 ottobre, di istituire un Comitato militare rivoluzionario con l’obiettivo primario di controllare il governo, rapidamente trasformatosi in centro organizzatore dell’insurrezione. Questo Comitato raccoglieva rappresentanti del Soviet di Pietrogrado, del Soviet dei marinai, del Soviet della regione della Finlandia, del sindacato delle ferrovie, del Congresso dei consigli di fabbrica e delle Guardie rosse.
Queste ultime erano un corpo operaio: “si erano costituite per la prima volta durante la rivoluzione del 1905; riapparvero durante i giorni del febbraio 1917 dove una forza armata era necessaria per il mantenimento dell’ordine nella città. Allora, avendo ricevuto armi, tutti gli sforzi compiuti successivamente dal governo provvisorio per disarmarli restarono quasi inutili. Ad ogni grande crisi della rivoluzione, si vedono apparire nelle strade le guardie rosse, indisciplinate, senza addestramento militare, ma piene di ardore rivoluzionario” (28).
Appoggiandosi su questo raggruppamento di forze di classe, il Comitato militare rivoluzionario (CMR) convocò una conferenza dei comitati di reggimento che, il 18 ottobre, discussero apertamente la questione dell’insurrezione. Questa conferenza si pronunciò a grande maggioranza a favore, ad eccezione di due comitati che erano contro e altri due che si dichiararono neutrali (ci furono più di cinque reggimenti che non furono rappresentati alla conferenza). Con lo stesso spirito, la conferenza adottò una risoluzione a favore dell’armamento degli operai.
Questa risoluzione veniva già applicata nella pratica, gli operai in massa si erano recati agli arsenali dello Stato per richiedere che si consegnassero loro delle armi. Quando il governo proibì la consegna delle armi, gli operai ed i dipendenti dell’arsenale della fortezza Pietro e Paolo (roccaforte reazionaria) decisero di mettersi a disposizione del CMR e, in contatto con altri arsenali, organizzarono la consegna delle armi agli operai.
Il 21 ottobre, la Conferenza dei comitati di reggimento prese la risoluzione seguente: “1- La guarnigione di Pietrogrado e dintorni promette al Comitato militare rivoluzionario di appoggiarlo completamente in tutte le sue decisioni (…); 2- (...) La guarnigione si rivolge ai cosacchi: vi invitiamo alle nostre riunioni di domani. Benvenuti, fratelli cosacchi; 3- Il congresso panrusso dei Soviet deve prendere il potere(..). La guarnigione promette solennemente di mettere tutte le proprie forze a disposizione del Congresso. Contate su di noi, legittimi rappresentanti dei soldati, degli operai e dei contadini. Siamo tutti ai nostri posti, pronti a vincere o a morire” (29).
Possiamo vedere qui i tratti caratteristici dell’insurrezione operaia: l’iniziativa creativa delle masse, un’organizzazione semplice ed ammirevole, discussioni e dibattiti che danno luogo a risoluzioni che sintetizzano la coscienza acquisita dalle masse, il ricorso alla convinzione ed alla persuasione, l’appello ai cosacchi perché abbandonino la banda del Governo, o la riunione appassionata e drammatica dei soldati della fortezza Pietro e Paolo tenutasi il 23 ottobre che decide di obbedire soltanto al CMR. Tutte queste caratteristiche sono quelle di un movimento di emancipazione dell’umanità, dell’azione diretta, appassionata, creativa delle masse sfruttate.
Il giorno del 22 ottobre, su appello del Soviet di Pietrogrado, sigillò definitivamente l’insurrezione: riunioni ed assemblee si tennero in tutte le zone, in tutte le fabbriche, e furono in massa d’accordo: “Abbasso Kerenski”, “Tutto il potere ai Soviet”. Fu un atto gigantesco nel quale gli operai, gli impiegati, i soldati, numerosi cosacchi, donne e bambini, segnarono apertamente il loro impegno nell’insurrezione.
Non è possibile raccontare tutti i dettagli degli avvenimenti nel quadro di quest’articolo (rinviamo ai libri citati di Trotsky e di John Reed). Ciò che vogliamo mettere in luce è il carattere massiccio, aperto, collettivo dell’insurrezione: “L’insurrezione fu decisa, per così dire, per una data fissa: il 25 ottobre. Non fu fissata da una riunione segreta, ma apertamente e pubblicamente, e la rivoluzione trionfante ebbe luogo precisamente il 25 ottobre (6 novembre) come era stato previsto. La storia universale ha conosciuto un grande numero di sommosse e di rivoluzioni: ma cercheremmo invano un'altra insurrezione di una classe oppressa che sia stata fissata in anticipo e pubblicamente, con una data annunciata, e che sia stata compiuta vittoriosamente il giorno annunciato. In questo senso ed in numerosi altri, la rivoluzione di novembre è unica ed incomparabile” (30).
Fin da settembre i bolscevichi posero chiaramente la questione dell’insurrezione nelle assemblee di operai e di soldati, presero le posizioni più combattive e decise all’interno del CMR e della Guardia rossa. Andarono nelle caserme dove c’erano maggiori dubbi o erano favorevoli al Governo provvisorio, per convincere i soldati - il discorso di Trotsky fu determinante per convincere i soldati della fortezza Pietro e Paolo. Denunciarono senza tregua le manovre, le esitazioni, le trappole dei menscevichi. Lottarono per la convocazione del secondo Congresso dei Soviet contro il sabotaggio del social-traditori.
Tuttavia non furono i bolscevichi, ma tutto il proletariato di Pietrogrado che decise e fece l’insurrezione. I menscevichi ed i socialisti-rivoluzionari rifiutarono molte volte la convocazione del secondo Congresso dei Soviet. Fu la pressione delle masse, l’insistenza dei bolscevichi, la spedizione di migliaia di telegrammi dei Soviet locali che richiedevano questa convocazione che, infine, costrinse il Comitato esecutivo centrale - covo dei social-traditori - a convocarla per il 25 ottobre.
“Dopo la rivoluzione del 25 ottobre, i menscevichi, e soprattutto Martov, parlarono molto di usurpazione del potere alle spalle del Soviet e della classe operaia. È difficile immaginare una deformazione più vergognosa dei fatti. Quando abbiamo deciso a maggioranza, nel corso della riunione dei Soviet, la convocazione del secondo Congresso per il 25 ottobre, i menscevichi hanno detto: ‘voi avete deciso la rivoluzione’. Quando, con la schiacciante maggioranza del Soviet di Pietrogrado, noi abbiamo rifiutato di lasciare partire i reggimenti della capitale, i menscevichi hanno detto: ‘è l’inizio dell'insurrezione’. Quando abbiamo creato, nel Soviet di Pietrogrado, il CMR, i menscevichi hanno constatato: ‘è l’inizio dell’insurrezione armata’. Ma quando il giorno decisivo scoppiò l’insurrezione prevista da quest’organismo, creato e ‘scoperto’ molto prima, gli stessi menscevichi gridarono: ‘è una macchinazione di cospiratori che ha causato una rivoluzione alle spalle della classe’.” (31).
Il proletariato si diede i mezzi - armamento generale degli operai, formazione del CMR, insurrezione - per avere la forza necessaria affinché il congresso dei Soviet potesse prendere effettivamente il potere. Se il congresso dei Soviet avesse deciso “di prendere il potere” senza questa preparazione precedente, tale decisione sarebbe stata solo un inutile gesticolare facilmente disarticolabile da parte dei nemici della Rivoluzione. Non si può comprendere il Congresso dei Soviet come un fenomeno isolato, formale. Occorre capirlo in tutta la dinamica generale della classe e, concretamente, all’interno di un processo nel quale si sviluppavano le condizioni della rivoluzione su scala mondiale e dove, all’interno della Russia, un’infinità di Soviet locali chiamava alla presa del potere o lo prendeva effettivamente: è simultaneamente che a Pietrogrado, Mosca, Tula, negli Urali, in Siberia, ecc., i Soviet fecero trionfare l’insurrezione.
Il Congresso dei Soviet prese la decisione definitiva confermando la piena validità dell’iniziativa del proletariato di Pietrogrado: “appoggiandosi sulla volontà dell’immensa maggioranza degli operai, dei soldati e dei contadini, e sull’insurrezione vittoriosa degli operai e della guarnigione di Pietrogrado, il Congresso prende il potere. Il congresso decide: tutto il potere nelle località passa nelle mani dei Soviet dei deputati degli operai, dei soldati e dei contadini, destinati a garantire un ordine realmente rivoluzionario”.
AD.
1. Trotsky, “Storia della rivoluzione russa”, Vol. I, capitolo “Il dualismo di potere”.
2. Lenin, “Gli insegnamenti della rivoluzione”, punto VI. (“Le opere”).
3. Trotsky, op. cit. Vol I, capitolo “I dirigenti e la guerra”.
4. Ana M. Pankratova, “I consigli di fabbrica nella Russia del1917”, capitolo “Lo sviluppo della lotta tra il Capitale e il Lavoro e la prima Conferenza dei comitati di fabbrica”.
5. Zik: Comitato centrale esecutivo pan-russo dei soviet dei deputati operai e dei soldati.
6. J. Reed: “I dieci giorni che sconvolsero il mondo”.
7. Trotsky, op. cit., vol. II, capitolo “Le giornate di luglio”.
8. J. Reed, idem.
9. Noi non abbiamo mai negato gli errori commessi dal partito bolscevico, né la sua degenerazione e la sua trasformazione in colonna vertebrale dell’odiosa dittatura staliniana. Il ruolo del partito bolscevico così come la critica implacabile dei suoi errori e la sua degenerazione sono stati analizzati in diversi articoli della nostra Rivista Internazionale:
- “La degenerazione della Rivoluzione Russa” e “Le lezioni di Kronstadt” (n° 3)
- “La difesa del carattere proletario della Rivoluzione d’Ottobre” (n° 12 e 13).
La ragione essenziale della degenerazione dei partiti e delle organizzazioni politiche del proletariato sta nel peso dell’ideologia borghese tra i loro ranghi, che crea costantemente delle tendenze all’opportunismo e al centrismo (vedi “Risoluzione sul centrismo e l’opportunismo”, Revue Internationale n° 44).
10. “Risoluzione sui Soviet dei deputati operai e soldati adottato alla VII conferenza bolscevica di tutta la Russia”, aprile 1917.
11. idem
12. Trotsky, op. cit. Vol. II, capitolo “I bolscevichi e i soviet”.
13. Lenin, “Introduzione alla Conferenza d'aprile 1917”.
14. Trotsky, op. cit., Vol. I, capitolo “Il riarmo del partito”.
15. Lenin, “I compiti del proletariato nella rivoluzione attuale”, tesi 3.
16. Lenin, “Il dualismo del potere”.
17. Lenin, “I compiti del proletariato nella nostra rivoluzione”, tesi 7.
18. Lenin, “Gli insegnamenti della crisi”, aprile 1917.
19. Lenin, “I compiti del proletariato …” , tesi 17.
20. Trotsky, op. cit., Vol. II, capitolo “I bolscevichi avrebbero potuto prendere il potere in luglio?”.
21. Rosa Luxemburg, “La Rivoluzione Russa”.
22. Trotsky, op. cit., Vol II, capitolo “Il Comitato militare rivoluzionario”.
23. J.Reed, op. cit.
24. Lenin, “La crisi è matura”, VI parte.
25. “Lettera al Comitato Centrale”, 1 ottobre 1917.
26. Trotsky, op. cit., Vol. II, capitolo “Il gruppo dirigente e la guerra”.
27. J. Reed, op. cit.
28. J. Reed, op. cit.
29. Citato da Trotsky, op. cit., Vol. II, capitolo “Il Comitato militare rivoluzionario”.
30. Trotsky, “La rivoluzione di novembre”, 1919.
31. Trotsky, idem.
Certi storici al soldo del capitale sono pieni di elogi ipocriti per “l’iniziativa” e “lo slancio rivoluzionario” degli operai e dei loro organi di lotta di massa, i consigli operai. Sono traboccanti di comprensione per la disperazione degli operai, dei soldati e dei contadini provati dalla “grande guerra”. Soprattutto questi signori si spacciano per i difensori della “vera rivoluzione russa” contro la sua pretesa distruzione da parte dei bolscevichi. In altri termini, la borghesia attacca la rivoluzione russa mettendo al centro una falsa contrapposizione tra il febbraio e l’ottobre ‘17, una contrapposizione tra l’inizio e la conclusione della lotta per il potere che è l’essenza di ogni grande rivoluzione.
Quando la borghesia ricorda il carattere esplosivo, di massa e spontaneo delle lotte che iniziano nel febbraio ‘17, cioè gli scioperi di massa, i milioni di persone che occupano la strada, le esplosioni di euforia pubblica, fino alle stesse dichiarazioni di Lenin sulla Russia di quell’epoca considerata il paese più libero sulla terra, vi oppone poi gli avvenimenti d’ottobre in cui ci sarebbe stata poca spontaneità, dove gli avvenimenti sarebbero stati pianificati in anticipo, senza alcuno sciopero, senza manifestazioni di piazza né assemblee di massa durante l’insurrezione, quando il potere sarebbe stato preso grazie all’azione di alcune migliaia di uomini in armi nella capitale sotto il comando di un comitato rivoluzionario direttamente ispirato dal partito bolscevico. Questo non prova forse che l’ottobre non è altro che un golpe bolscevico? Un golpe contro la maggioranza della popolazione, contro la classe operaia, contro la storia, contro la stessa natura umana? E tutto ciò, ci dicono, è la conseguenza di una “pazza utopia marxista” che poteva sopravvivere solo con il terrore e che ha portato direttamente allo stalinismo.
Secondo la classe dominante il proletariato nel 1917 non voleva niente di più di quello che il regime di febbraio gli aveva promesso: una “democrazia parlamentare”, con l’impegno di “rispettare i diritti dell’uomo” ed un governo che, pur continuando la guerra, si dichiarava anche lui “a favore” di una pace veloce “senza annessioni”. In altri termini, la borghesia vuol farci credere che il proletariato russo si batteva per ottenere la stessa situazione miserabile che il proletariato moderno subisce oggi! Ci assicurano che se il regime di febbraio non fosse stato rovesciato in ottobre, la Russia oggi sarebbe un paese potente e “prospero” come gli Stati Uniti e lo sviluppo del capitalismo del XX secolo sarebbe stato pacifico.
Questa ipocrita difesa del carattere “spontaneo” degli avvenimenti di febbraio esprime in realtà l’odio e la paura per la rivoluzione di ottobre da parte degli sfruttatori di tutti i pesi. La spontaneità dello sciopero di massa, l’assembramento di tutto il proletariato nelle strade e le assemblee generali, la formazione dei consigli operai nel fuoco della lotta sono dei momenti essenziali della lotta di emancipazione della classe operaia. Come notava Lenin “Che la spontaneità di un movimento sia un indice della sua profonda penetrazione nelle masse, della solidità delle sue radici, dell’impossibilità ad allontanarlo, questo è certo” (1). Ma finché la borghesia resta la classe dominante, finché le armi politiche e repressive dello Stato capitalista restano intatte, le è sempre possibile bloccare, neutralizzare e dissolvere quelle del suo nemico di classe. I consigli operai, questi potenti strumenti della lotta operaia che sorgono più o meno spontaneamente, non sono tuttavia né la sola né necessariamente la più alta espressione della rivoluzione proletaria. Essi predominano nelle prime tappe del processo rivoluzionario. La borghesia controrivoluzionaria li porta alle stelle proprio per fare passare l’inizio della rivoluzione per il suo punto culminante, per il suo punto di arrivo, perché sa che è più facile distruggere una rivoluzione che si ferma a metà strada.
Ma la rivoluzione russa non si è fermata a metà strada. Andando fino in fondo, finendo ciò che aveva iniziato nel febbraio, ha espresso la capacità della classe operaia di costruire pazientemente, consapevolmente, collettivamente, quindi non solo “spontaneamente” ma in modo deliberato, pianificato, strategico, gli strumenti di cui ha bisogno per impossessarsi del potere: il suo partito marxista di classe, i suoi consigli operai galvanizzati da un programma di classe ed una reale volontà di dirigere la società, così come gli strumenti specifici e la strategia dell’insurrezione proletaria. L’essenza della rivoluzione proletaria sta nell’unità tra le lotte politiche di massa e la presa militare del potere, tra la spontaneità e la pianificazione, tra i consigli operai ed il partito di classe, tra l’azione di milioni di lavoratori e quella delle audaci minoranze d’avanguardia della classe. E’ questa unità che oggi la borghesia mira a distruggere con le calunnie contro il bolscevismo e l’insurrezione di ottobre. La distruzione dello Stato borghese, il capovolgimento del dominio della classe borghese, l’inizio della rivoluzione mondiale, questa è stata la gigantesca realizzazione dell’ottobre ‘17, vale a dire il capitolo più importante, il più cosciente e più audace della storia dell’umanità fino ad oggi. Ottobre ha ridotto in briciole secoli di schiavitù generata dalla società divisa in classi, dimostrando che con il proletariato esiste, per la prima volta nella storia, una classe che è nello stesso tempo sfruttata e rivoluzionaria. Una classe che è capace di dirigere la società, di abolire il dominio di classe, di liberare l’umanità dalle sue catene “preistoriche” a dalle forze sociali cieche. Per questo la classe dominante all’epoca, ed oggi più che mai, scarica carrettate di menzogne e di calunnie sull’ottobre rosso, l’avvenimento “più odiato” della storia moderna ma che in realtà è l’orgoglio della classe proletaria cosciente. Vogliamo dimostrare che l’insurrezione di ottobre, che gli scribacchini prostituiti al capitale, chiamano “golpe”, è stato il punto culminante, non solo della rivoluzione russa, ma di tutta la lotta della nostra classe fino ad oggi. Come Lenin scriveva nel 1917: “L’odio selvaggio che ci porta la borghesia dimostra nella maniera più concreta questa verità, che noi mostriamo correttamente al popolo le vie ed i mezzi che permetteranno di mettere fine al dominio della borghesia” (2).
Il 10 ottobre 1917, Lenin, l’uomo più ricercato nel paese, perseguitato dalla polizia in tutti gli angoli della Russia, si presenta all’assemblea del Comitato centrale del partito bolscevico a Pietrogrado, travestito con una parrucca e degli occhiali, e propone la seguente risoluzione scritta su una pagina di quaderno: “Il Comitato Centrale riconosce che sia la situazione internazionale (ammutinamento della flotta in Germania come manifestazione estrema del maturare in tutta l’Europa della rivoluzione socialista mondiale e minaccia di pace da parte degli imperialisti allo scopo di soffocare la rivoluzione in Russia), sia la situazione militare (indubbia decisione della borghesia russa, di Kerensky e soci, di consegnare Pietrogrado ai tedeschi) – tutto questo in connessione con la rivolta contadina e con l’orientarsi del favore popolare verso il nostro partito (elezioni a Mosca) e infine l’evidente preparazione di una seconda avventura korniloviana (allontanamento delle truppe di Pietrogrado, spedizione di Cosacchi a Pietrogrado, accerchiamento di Minsk da parte dei Cosacchi, ecc.)- tutto ciò pone all’ordine del giorno l’insurrezione armata. Riconoscendo che l’insurrezione armata è inevitabile e che è completamente matura, il Comitato centrale invita tutte le organizzazioni del partito a orientarsi in questo senso, a discutere e a risolvere partendo da questo punto di vista tutti i problemi pratici (congresso dei soviet della regione del Nord, allontanamento delle truppe di Pietrogrado, movimenti delle truppe di Mosca e di Minsk, ecc.)”(3).
Esattamente quattro mesi prima, il partito bolscevico aveva frenato deliberatamente lo slancio combattivo degli operai di Pietrogrado che, provocati dalla classe dominante, rischiavano di cadere nella trappola di uno scontro prematuro ed isolato con lo Stato. Una tale situazione avrebbe significato la decapitazione del proletariato russo nella capitale ed il suo partito di classe sarebbe stato decimato (vedi l’articolo “Le giornate di luglio”). Il Partito una volta superate le esitazioni interne, si impegna fermamente, come scrive Lenin nel suo famoso articolo “La crisi è matura”, “a mobilitare tutte le forze per inculcare agli operai ed ai soldati l’idea dell’assoluta necessità di una lotta accanita, estrema, decisiva per il capovolgimento del governo di Kerensky”. Il 29 settembre dichiarava: “La crisi è matura. Tutto l’onore del partito bolscevico è in gioco. Tutto l’avvenire della rivoluzione operaia internazionale per il socialismo è in gioco”.
Ciò che spiega il nuovo atteggiamento del partito, completamente differente in ottobre rispetto a quello di luglio, è contenuto nella risoluzione su citata, è l’audacia e la brillante chiarezza del marxismo. Il punto di partenza, come sempre per il marxismo, è l’analisi della situazione internazionale, la valutazione del rapporto di forze tra le classi e i bisogni del proletariato mondiale. La risoluzione sottolinea che, a differenza di luglio, il proletariato russo non è più solo, che la rivoluzione mondiale è iniziata nei paesi centrali del capitalismo. “L’ascesa della rivoluzione mondiale è incontestabile. L’esplosione di rivolta degli operai cechi è stata soffocata con una crudeltà incredibile che manifesta il panico del governo. In Italia, si è arrivati a un’esplosione delle masse a Torino. Ma il fatto più importante è l’ammutinamento della flotta tedesca” (4). La classe operaia russa ha la responsabilità non solo di cogliere l’opportunità di rompere l’isolamento internazionale imposto fino a quel momento dalla guerra mondiale ma, sopratutto, di propagare la fiamma dell’insurrezione in Europa occidentale iniziando la rivoluzione mondiale.
Contro la minoranza del proprio partito, che fa da eco all’argomentazione pseudo-marxista dei menscevichi, in realtà controrivoluzionaria, secondo la quale la rivoluzione deve iniziare in un paese più avanzato, Lenin mostra che le condizioni in Germania sono in effetti molto più difficili che in Russia e che il reale significato dell’insurrezione in Russia sta nel fatto che questa aiuterebbe il sorgere della rivoluzione in Germania: “... nelle condizioni penose, infernali, con il solo Liebknecht (per di più chiuso nel penitenziario), senza giornali, senza libertà di riunioni, senza Soviet, nel pieno dell’ostilità incredibile di tutte le classi della popolazione - fino all’ultimo contadino agiato - rispetto all’idea dell’internazionalismo, malgrado l’organizzazione superiore della grande, media e piccola borghesia imperialista, i tedeschi, e cioè i rivoluzionari internazionalisti tedeschi, gli operai che portano la giubba da marinaio, hanno scatenato un ammutinamento della flotta quando avevano forse solo una possibilità su cento. E noi, che abbiamo dozzine di giornali, la libertà di riunione, che abbiamo la maggioranza nei Soviet, noi che in confronto agli internazionalisti proletari del mondo intero abbiamo le migliori condizioni, noi negheremmo di sostenere attraverso la nostra insurrezione i rivoluzionari tedeschi. Ragioneremmo come gli Scheidemann e i Renaudel: la cosa più saggia è non sollevarci perché se ci fucilano tutto il mondo perderà degli internazionalisti di una così bella tempra, così sensati, così perfetti!! Diamo prova del nostro buonsenso. Adottiamo una risoluzione di simpatia verso gli insorti tedeschi e rinunciamo all’insurrezione in Russia. Ciò sarà vero internazionalismo, ponderato e calmo” (5).
Questo punto di vista ed il metodo internazionalista, esatto opposto della visione borghese nazionalista dello stalinismo che si è sviluppata a partire dalla controrivoluzione che è seguita, non appartiene esclusivamente al partito bolscevico, ma è il livello comune agli operai della Russia maturati all’educazione politica marxista. All’inizio di ottobre i marinai rivoluzionari della flotta del Baltico lanciano ai quattro angoli della terra, dalle radio delle loro navi, il seguente appello: “In questo momento in cui le onde sono rosse del sangue dei nostri fratelli, facciamo sentire la nostra voce:... Popoli oppressi del mondo intero, sventolate la bandiera della rivolta!”. Tuttavia, la valutazione dei bolscevichi del rapporto di forze tra le classi a scala mondiale non si limita ad esaminare lo stato del proletariato internazionale ma esprime anche una visione chiara della situazione globale della classe nemica. Basandosi sempre su una profonda conoscenza della storia del movimento operaio, i bolscevichi sanno molto bene che la borghesia imperialista anche in piena guerra mondiale, come ha dimostrato l’esempio della Comune di Parigi del 1871, potrebbe unire le sue forze contro la rivoluzione.
“L’inerzia totale della flotta inglese in generale, e dei sottomarini inglesi al momento della presa dell’isola di Oesel da parte dei tedeschi, se la si rapporta al piano del governo per trasferirsi da Pietrogrado a Mosca, non dimostra forse che è stato tramato un complotto tra gli imperialisti russi ed inglesi, tra Kerensky e i capitalisti anglo-francesi per consegnare Pietrogrado ai tedeschi e per soffocare così la rivoluzione russa?” chiede Lenin ed aggiunge: “La risoluzione della sezione dei soldati del Soviet di Pietrogrado contro il trasferimento del governo ha mostrato che, anche tra i soldati, matura la convinzione che esiste un complotto Kerensky” (6). In agosto, sotto Kerensky e Kornilov, Riga la rivoluzionaria era già stata consegnata agli artigli dell’imperatore Guglielmo II. Le prime voci di un’eventuale pace separata tra la Gran Bretagna e la Germania contro la rivoluzione russa preoccupano Lenin. Lo scopo dei bolscevichi non è la “pace”, ma la rivoluzione perché sanno, da veri marxisti, che un cessate il fuoco capitalista può essere solo un intervallo tra due guerre mondiali. E’ questa visione penetrante, comunista dell’inevitabile sprofondamento nella barbarie che il capitalismo decadente riserva all’umanità, che ha spinto il bolscevismo ad una corsa contro il tempo per porre fine alla guerra con gli strumenti proletari, rivoluzionari. Allo stesso tempo, i capitalisti cominciano a sabotare dappertutto e sistematicamente la produzione per screditare la rivoluzione. Tuttavia tutti questi avvenimenti contribuiscono alla fine anche a distruggere, agli occhi degli operai, il mito patriottico della “difesa nazionale” secondo cui la borghesia ed il proletariato di una stessa nazione avrebbero un interesse comune a respingere “l’aggressore” straniero. Ciò spiega anche perché in ottobre la preoccupazione dei lavoratori non è più scatenare scioperi, ma piuttosto salvaguardare la produzione in corso di fronte allo smembramento delle “proprie” fabbriche da parte della borghesia.
Tra i fattori decisivi nello spingere la classe operaia all’insurrezione, c'è il fatto che la rivoluzione viene minacciata da nuovi attacchi controrivoluzionari ma anche che gli operai, in particolare nei principali soviet, sostengono fermamente i bolscevichi. Questi due fattori sono il risultato diretto del più importante scontro di massa tra borghesia e proletariato tra il luglio e l’ottobre del 1917: il golpe di Kornilov in agosto. Il proletariato, sotto la direzione dei bolscevichi, aveva fermato la marcia di Kornilov sulla capitale soprattutto disfacendo le sue truppe, sabotando i sistemi di trasporto e la loro logistica grazie agli operai delle ferrovie, delle poste e di altri settori. Durante quest’azione, in cui i soviet avevano ripreso vita in quanto organizzazione rivoluzionaria di tutta la classe, gli operai scoprirono che il governo provvisorio di Pietrogrado, sotto la direzione del socialista-rivoluzionario Kerensky e dei menscevichi, era implicato nel complotto contro-rivoluzionario. A partire da quel momento, gli operai compresero che questi partiti erano diventati una vera e propria “ala sinistra del capitale” e iniziarono a radunarsi dietro i bolscevichi.
“Tutta l’arte tattica consiste nell’afferrare il momento in cui la totalità delle condizioni è tra le più favorevoli. Il sollevamento di Kornilov aveva creato queste condizioni. Le masse che avevano perso fiducia nei partiti della maggioranza dei soviet, hanno visto il pericolo concreto della contro-rivoluzione. Credevano in quello che i bolscevichi reclamavano all’epoca per respingere questo pericolo” (7).
Il test più chiaro che prova le qualità rivoluzionarie di un partito operaio è la sua capacità a porre la questione della presa del potere. “L’adattamento più gigantesco è quando il partito proletario deve passare dalla preparazione, dalla propaganda, dall’organizzazione, dall’agitazione alla lotta immediata per il potere, all’insurrezione armata contro la borghesia. Tutto ciò che esiste nel partito come elemento indeciso, scettico, opportunista, menscevico, prende posizione contro l’insurrezione” (8).
Il partito bolscevico supera questa prova implicandosi in prima persona nella lotta armata per il potere, dando prova così di qualità rivoluzionarie senza precedenti.
Nel febbraio 1917 si produce quella che viene definita una situazione di “doppio potere”. Accanto allo Stato borghese ed opponendosi ad esso, i consigli operai appaiono come un’alternativa, come un governo potenziale della classe operaia. Poiché due poteri, di due classi nemiche, in opposizione tra loro, non possono coesistere e poiché uno deve distruggere necessariamente l’altro per potersi imporre sulla società, un periodo di “doppio potere” è obbligatoriamente estremamente breve ed instabile. Una tale fase non è certo caratterizzata dalla “coesistenza pacifica” e la tolleranza reciproca. Può avere un’apparenza di equilibrio sociale, ma in realtà è una tappa decisiva nella guerra civile tra lavoro e capitale.
Per poter presentare la rivoluzione di ottobre come un “golpe bolscevico” la borghesia deve falsificare necessariamente la storia camuffando la lotta a morte tra le classi che ha avuto luogo tra febbraio ed ottobre 1917. Il protrarsi “anomalo” di questo periodo di “doppio potere” avrebbe implicato necessariamente la fine della rivoluzione e dei suoi organi. Il Soviet “non può essere che un organo insurrezionale, un organo del potere rivoluzionario. Altrimenti i soviet non sono che giocattoli inutili che conducono infallibilmente all’apatia, all’indifferenza, allo scoraggiamento delle masse legittimamente nauseate dalla ripetizione continua di risoluzioni e proteste”(9). Se l’insurrezione proletaria non è stata più spontanea di un colpo di Stato militare controrivoluzionario, durante i mesi che hanno preceduto ottobre entrambe le classi hanno espresso più volte la tendenza spontanea a lottare per il potere. Le giornate di luglio ed il golpe di Kornilov ne sono state le più chiare manifestazioni. In realtà l’insurrezione di ottobre non è iniziata con il segnale dato dal partito bolscevico, ma con il tentativo del governo borghese di mandare al fronte le truppe più rivoluzionarie, i due terzi della guarnigione di Pietrogrado, e di sostituirle nella capitale con i battaglioni contro-rivoluzionari. In altri termini, la borghesia fa un nuovo tentativo, poche settimane dopo Kornilov, per schiacciare la rivoluzione, e in risposta il proletariato prende delle misure insurrezionali per salvarla.
“Di fatto, il risultato del sollevamento del 25 Ottobre era stato per tre quarti, se non di più, decisivo dal momento in cui abbiamo rifiutato lo spostamento delle truppe, formato il Comitato Militare Rivoluzionario (16 Ottobre,) nominato i nostri commissari in tutte le organizzazioni e formazioni della truppa, isolando così completamente non solo il comando del distretto militare di Pietrogrado, ma il governo. A partire dal momento in cui i battaglioni, sotto gli ordini del Comitato Militare Rivoluzionario, rifiutano di lasciare la città, e non la lasciano, abbiamo un’insurrezione vittoriosa nella capitale” (10).
Inoltre, questo Comitato militare rivoluzionario che conduce le azioni militari decisive del 25 ottobre, lungi dall’essere un organo del partito bolscevico, viene originariamente proposto dai partiti controrivoluzionari di “sinistra” come strumento per imporre il ritiro delle truppe rivoluzionarie dalla capitale che sono sotto l’autorità dei soviet; immediatamente però il soviet lo trasforma in uno strumento per opporsi a questa misura e per organizzare la lotta per il potere.
“No il potere dei soviet non era una chimera, una costruzione arbitraria, l’invenzione di teorici di partito. Esso montava irresistibilmente dal basso, dal disastro economico, dall’impotenza dei possidenti, dal bisogno delle masse; i soviet diventavano in realtà il potere per gli operai, i soldati, i contadini, non c’erano altre vie. A proposito del potere dei soviet, già non era più tempo di cercare dei ragionamenti e delle obiezioni: bisognava realizzarlo” (11). La leggenda di un golpe bolscevico è una delle più grosse menzogne della storia. L’insurrezione viene annunciata pubblicamente e in anticipo ai delegati rivoluzionari eletti. L’intervento di Trotsky alla Conferenza della guarnigione di Pietrogrado il 18 ottobre ne è la prova: “La borghesia sa che il soviet di Pietrogrado proporrà al Congresso dei soviet di prendere in mano il potere... Prevedendo l’inevitabile battaglia, le classi borghesi si sforzano di disarmare Pietrogrado… Al primo tentativo della controrivoluzione per sopprimere il Congresso, risponderemo con una controffensiva che sarà implacabile e che spingeremo fino in fondo”. Il punto 3 della risoluzione adottata dalla Conferenza della guarnigione dice: “Il Congresso panrusso dei soviet deve prendere il potere e deve assicurare la pace, la terra ed il pane al popolo” (12). Per assicurarsi che tutto il proletariato sostenga la lotta per il potere, questa conferenza decide per una sfilata pacifica da tenersi a Pietrogrado prima del congresso dei soviet e sulla base di assemblee di massa e dibattiti. “Decine di migliaia di persone sommergevano l’enorme edificio della Casa del Popolo... Sui pali di ghisa ed alle finestre, erano sospese ghirlande, grappoli di teste umane, gambe, braccia. C’era nell’aria quella carica di elettricità che annuncia una prossima burrasca. Abbasso! Abbasso la guerra! Il potere ai Soviet! Neanche uno dei conciliatori osò mostrarsi davanti a queste folle ardenti per opporre loro delle obiezioni o degli avvertimenti. La parola apparteneva ai Bolscevichi” (13). Trotsky aggiunge: “L’esperienza della rivoluzione, della guerra, della dura lotta, di tutta un’amara vita, risale dalla profondità della memoria di ogni uomo schiacciato dal bisogno e si fissa in queste parole d’ordine semplici ed imperiose. Non si può continuare così, bisogna aprire una breccia verso l’avvenire”.
Il Partito non ha inventato “la volontà di prendere il potere” delle masse. Ma l’ha ispirata e ha dato fiducia alla classe nella sua capacità a governare. Come Lenin ha scritto dopo il golpe di Kornilov: “Che coloro che hanno poco fiducia apprendano da questo esempio. Vergogna per coloro che dicono “noi non abbiamo una macchina da sostituire alla vecchia che gira inesorabilmente per la difesa della borghesia”. Perché abbiamo una macchina. E sono i soviet. Non temete le iniziative e l’indipendenza delle masse. Fidatevi delle organizzazioni rivoluzionarie delle masse e vedrete in tutte le sfere della vita dello Stato lo stesso potere, la stessa maestosità e la stessa volontà invincibile degli operai e dei contadini, di quelli dimostrati nella solidarietà e nell’entusiasmo contro il Kornilovismo” (14).
L’insurrezione è uno dei problemi cruciali, più complessi, più esigenti che il proletariato deve risolvere per compiere la sua missione storica. Nella rivoluzione borghese questa questione non era altrettanto decisiva perché la borghesia poteva appoggiarsi, nella sua lotta per il potere, su quello che già aveva conquistato a livello economico e politico in seno alla società feudale. Durante la sua rivoluzione, la borghesia ha lasciato che la piccola borghesia e la giovane classe operaia si battessero per lei. Quando il fumo della battaglia si è dissipato, ha spesso preferito rimettere il potere appena conquistato nelle mani di una classe feudale imborghesita, addomesticata, poiché quest’ultima aveva, per tradizione, l’autorità dalla sua parte. Al contrario, il proletariato non ha né proprietà, né potere economico all’interno della società capitalista. Non può dunque delegare né la lotta per il potere né la difesa del suo dominio di classe, una volta conquistato, a nessun’altra classe o settore della società. Deve prendere il potere in prima persona convogliando gli altri strati sotto la propria direzione, prenderne l’intera responsabilità ed assumere le conseguenze ed i rischi delle sue lotte. Nell’insurrezione, il proletariato rivela e scopre lui stesso, più chiaramente che in qualsiasi altro momento precedente, il “segreto” della propria esistenza in quanto prima ed ultima classe sfruttata e rivoluzionaria. Non bisogna stupirsi dunque se la borghesia è così accanita nel voler distruggere la memoria dell’Ottobre!
Il compito primordiale del proletariato nella rivoluzione, a partire da febbraio, era conquistare il cuore e lo spirito di tutti quei settori che potevano essere guadagnati alla sua causa, ma che potevano anche essere utilizzati contro la rivoluzione: i soldati, i contadini, i funzionari, i lavoratori dei trasporti, fino ai meno ben disposti come i domestici della borghesia. Alla vigilia dell’insurrezione questo compito era stato assolto.
Il compito dell’insurrezione è completamente diverso: consiste nel rompere la resistenza di quei corpi di Stato e di quelle formazioni armate che non possono essere conquistate ma la cui esistenza prolungata porta in germe la più barbara controrivoluzione. Per rompere questa resistenza, per demolire lo Stato borghese, il proletariato deve creare una forza armata e metterla sotto la propria direzione di classe con una disciplina di ferro. Le forze armate del 25 ottobre, sebbene condotte dal proletariato, sono composte principalmente da soldati che ubbidiscono al suo comando. “La Rivoluzione d’Ottobre era la lotta del proletariato contro la borghesia. Ma l’esito di questa lotta fu deciso in ultima istanza dal contadino... A conferire all’insurrezione nella capitale la caratteristica di un colpo sferrato rapidamente con un minimo di perdite, fu la combinazione della cospirazione rivoluzionaria, dell’insurrezione proletaria e della lotta della guarnigione contadina per la sua sopravvivenza. Il partito dirigeva l’insurrezione; il proletariato era la forza motrice principale; i distaccamenti operai armati erano il pugno dell’insurrezione, ma l’esito della lotta rea determinato dalla pesante guarnigione contadina” (15). In realtà, il proletariato può impossessarsi del potere perché è capace di mobilitare gli altri strati non sfruttatori dietro il proprio progetto di classe. Esattamente il contrario di un “golpe!”.
“Di manifestazioni, di battaglie di strada, di barricate quasi non ce ne furono, non ci fu niente di tutto quello che si intende normalmente per insurrezione: la rivoluzione non aveva bisogno di risolvere un problema che era già stato risolto. La conquista dell’apparato statale poteva essere realizzata secondo un piano, con l’intervento di distaccamenti armati relativamente poco numerosi, partendo da un unico centro. (...) In ottobre la calma nelle strade, l’assenza della folla, la mancanza di combattimenti davano motivo agli avversari di parlare di cospirazione di una minoranza insignificante, di avventura di un pugno di bolscevichi. (…) In realtà, i bolscevichi avevano potuto ridurre a un “complotto” la lotta per il potere nella sua fase conclusiva, non perché fossero una piccola minoranza, ma, al contrario, perché nei quartieri e nelle caserme erano seguiti da una schiacciante maggioranza, compatta, organizzata, disciplinata” (16).
Da un punto di vista tecnico, l’insurrezione comunista è solo una semplice questione di organizzazione militare e di strategia. Politicamente, è il compito più esigente che si possa immaginare. Di tutti i compiti, il più difficile, quello che pone più problemi, è la scelta del momento buono per ingaggiare la lotta per il potere: né troppo presto, né troppo tardi. Nel luglio 1917, ed anche ad agosto al momento del golpe di Kornilov, quando i bolscevichi frenarono la classe che era pronta a scendere in lotta per il potere, il pericolo maggiore era un’insurrezione prematura; a partire da settembre, Lenin chiama senza sosta alla preparazione di una lotta armata dichiarando: “Ora o mai più!”.
“E’ impossibile prolungare a piacere una situazione rivoluzionaria. Se i bolscevichi non avessero conquistato il potere in ottobre-novembre, probabilmente non lo avrebbero più conquistato. Invece di una direzione decisa, le masse avrebbero trovato anche nei bolscevichi un contrasto continuo tra le parole ed i fatti e si sarebbero allontanate da un partito che avrebbe deluso le loro speranze per due o tre mesi, come si erano allontanate dai socialisti-rivoluzionari e dai menscevichi” (17). Per questo quando Lenin si batte contro il pericolo di ritardare la lotta per il potere, non insiste solo sui preparativi contro-rivoluzionari della borghesia mondiale, ma mette anche in guardia contro gli effetti disastrosi delle esitazioni sugli stessi operai che “sono quasi disperati”. Il popolo “affamato” potrebbe incominciare a “distruggere tutto intorno a lui”, “in modo puramente anarchico, se i Bolscevichi non sono capaci di condurlo alla battaglia finale. Non è possibile aspettare senza rischiare di aiutare Rodzianko a mettersi d’accordo con Guillaume e favorire la disorganizzazione completa con la diserzione generale dei soldati, se (già demoralizzati) non arrivano alla disperazione e buttano tutto all’aria” (18).
Scegliere il momento buono richiede quindi una valutazione esatta non solo del rapporto di forza tra le classi, ma anche della dinamica degli stradi intermedi. “Una situazione rivoluzionaria non dura eternamente. Di tutte le condizioni per una rivoluzione, la più instabile è lo stato d’animo della piccola borghesia. Durante le crisi nazionali, quest’ultima segue la classe che le ispira fiducia non solo a parole, ma anche con i fatti. Capace di slanci impulsivi e addirittura di lasciarsi prendere da una febbre rivoluzionaria, la piccola borghesia non è però costante, si perde facilmente di coraggio in caso di insuccesso e dalle speranze più ardenti precipita nella delusione. Sono appunto i mutamenti rapidi e violenti dei suoi stati d’animo a rendere tanto instabile una situazione rivoluzionaria. Se il partito proletario non ha la decisione necessaria per tradurre tempestivamente l’attesa e le speranze delle masse popolari in un’azione rivoluzionaria, il flusso è sostituito ben presto dal riflusso: gli strati intermedi distolgono lo sguardo dalla rivoluzione e cercano un salvatore nel campo opposto” (19).
Nella sua lotta per convincere il partito dell’imperiosa necessità di una insurrezione immediata, Lenin ritorna alla famosa argomentazione di Marx (in Rivoluzione e controrivoluzione in Germania) sul fatto che l’insurrezione “è un’arte, come la guerra e come altre forme d’arte. Essa è sottomessa ad alcune regole la cui omissione conduce alla perdita del partito che non ne tiene conto”. Secondo Marx le regole più importanti sono: - una volta iniziata l’insurrezione non fermarsi mai a metà strada; - essere sempre all’offensiva perché “la difensiva è la morte di ogni sollevamento armato”; - sorprendere il nemico e demoralizzarlo con successi quotidiani, “anche piccoli”, che lo obbligano a retrocedere; - “in breve,(agire) secondo le parole di Danton, fino ad oggi il più grande maestro di tattica rivoluzionaria: audacia, ancora audacia e sempre audacia”. E come dice Lenin: “Riunire ad ogni costo una grande superiorità di forze al posto decisivo, al momento decisivo, altrimenti il nemico, che ha una migliore preparazione ed una migliore organizzazione, annienterà gli insorti”, aggiungendo “Speriamo che, nel caso fosse decisa l’insurrezione, i dirigenti applicheranno con successo i grandi precetti di Danton e di Marx. Il successo della Rivoluzione sia russa che mondiale dipende da due o tre giorni di lotta” (20).
In questa prospettiva, il proletariato deve creare gli organi della sua lotta per il potere, un comitato militare e dei distaccamenti armati. “Come un fabbro non può afferrare a mani nude un ferro incandescente, così il proletariato non può impadronirsi a mani nude del potere; ha bisogno di un’organizzazione adatta allo scopo. La combinazione dell’insurrezione di massa con la cospirazione, la subordinazione della cospirazione all’insurrezione, l’organizzazione dell’insurrezione per mezzo della cospirazione, rientrano nella sfera complicata e gravida di responsabilità della politica rivoluzionaria che Marx ed Engels chiamavano ‘arte dell’insurrezione’.”(21).
E’ questo approccio centralizzato, coordinato e predeterminato che ha permesso al proletariato di rompere le ultime resistenze della classe dominante sferrando quel colpo terribile che la borghesia mondiale non ha mai né dimenticato, né perdonato. “Gli storici e gli uomini politici definiscono di solito insurrezione spontanea un movimento di massa che, unito da una comune ostilità al vecchio regime, non ha obiettivi chiari, né precisi metodi di lotta, né una direzione che lo guidi in modo cosciente alla vittoria. L’insurrezione delle forze spontanee è considerata benevolmente dagli storici ufficiali, … come una sventura inevitabile la cui responsabilità ricade sul vecchio regime. (…) Quello che nega come ‘blanquismo’ o peggio ancora come bolscevismo, è la preparazione cosciente dell’insurrezione, il piano, la preparazione” (22).
L’audacia con la quale la classe operaia le ha strappato il potere è quello che fa infuriare ancora di più la borghesia. Nell’ottobre la borghesia mondiale sa che si prepara un sollevamento operaio. Ma non sa né quando, né dove il nemico attaccherà. Sferrando un colpo decisivo il proletariato approfitta del vantaggio della sorpresa dato che lui stesso non ha deciso il momento ed il campo di battaglia. La borghesia crede e spera che il nemico sia troppo ingenuo e “democratico” per decidere pubblicamente sull’insurrezione, di fronte alla classe dominante, al congresso pan-russo dei soviet convocato a Pietrogrado. Spera in questa occasione di sabotare e giocare d’anticipo rispetto alla decisone e la sua messa in opera. Ma quando i delegati del congresso arrivano nella capitale l’insurrezione è in piena marcia e la classe dominante già vacilla. Il proletariato di Pietrogrado, tramite il suo Comitato militare rivoluzionario, rimette il potere al Congresso dei Soviet e la borghesia non può far niente per impedirlo. Golpe! Cospirazione! Gridava e grida ancora oggi la borghesia. La risposta di Lenin è stata: Golpe, no! Cospirazione, si! Ma una cospirazione subordinata alla volontà delle masse ed ai bisogni dell’insurrezione. Trotsky aggiunge: “Quanto più alto è il livello politico di un movimento rivoluzionario e quanto più seria ne è la direzione, tanto maggiore è il posto della cospirazione nell’insurrezione popolare”.
Il bolscevismo è una forma di blanquismo? Oggi la classe dominante rinnova questa accusa. “Più di una volta, anche molto prima della rivoluzione di ottobre, i bolscevichi erano stati costretti a respingere le accuse degli avversari che li accusavano di macchinazioni cospirative e di blanquismo. In realtà, nessuno più di Lenin condusse una lotta intransigente contro il metodo della pura cospirazione. Più di una volta gli opportunisti della socialdemocrazia internazionale presero le difese della vecchia tattica socialrivoluzionaria del terrore individuale contro gli agenti dello zarismo, mentre questa tattica era sottoposta a una critica spietata da parte dei bolscevichi che all’avventurismo individualistico dell’intellighenzia contrapponevano la concezione dell’insurrezione di massa. Ma, respingendo tutte le varianti di blanquismo e di anarchismo, Lenin non si inchinava per un solo istante alla ‘sacrosanta’ forza spontanea delle masse”. E a ciò Trotsky aggiunge: “La cospirazione non sostituisce l’insurrezione. La minoranza attiva del proletariato, per quanto organizzata, non può impadronirsi del potere indipendentemente dalla situazione generale del paese: in questo senso, il blanquismo è condannato dalla storia. Ma solo in questo senso. La teorizzazione in forma positiva conserva tutto il suo valore. Per la conquista del potere non basta al proletariato un’insurrezione di forze spontanee. Ha bisogno di un’adeguata organizzazione, ha bisogno di un piano, ha bisogno della cospirazione. Lenin pone il problema in questi termini” (23).
E’ noto che Lenin, il primo ad essere stato assolutamente chiaro sulla necessità della lotta per il potere in ottobre, elaborando diversi piani per l’insurrezione, uno centrato sulla Finlandia e la flotta del Baltico un altro su Mosca, ad un certo momento ha difeso l’idea che fosse il partito bolscevico, e non un organo dei soviet, a organizzare direttamente l’insurrezione. Gli avvenimenti hanno provato che l’organizzazione e la direzione di un sollevamento da parte di un organo dei soviet, quale il Comitato militare rivoluzionario, nel quale il partito aveva evidentemente un’influenza dominante, è stata la migliore garanzia per il successo, perché la classe nel suo insieme, e non solo i simpatizzanti del partito, si sentono rappresentati dai suoi organi rivoluzionari unitari.
Ma secondo gli storici borghesi la proposta di Lenin dimostra che per lui la rivoluzione non era emanazione delle masse, ma un affare privato del partito. Altrimenti perché, si chiedono questi signori, sarebbe stato tanto contrario ad aspettare il Congresso dei Soviet per decidere l’insurrezione? In realtà l’atteggiamento di Lenin concorda in pieno con il marxismo e la sua fiducia, storicamente fondata, nelle masse proletarie. “ … sarebbe stato disastroso, o puramente formale, decidere di aspettare il voto incerto del 25 ottobre. Il popolo ha il diritto ed il dovere di decidere una tale questione non attraverso un voto, ma grazie alla sua forza; il popolo ha il diritto ed il dovere, nei momenti critici della rivoluzione, di mostrare ai suoi rappresentanti, anche ai migliori, la direzione giusta invece di aspettarla da loro. Ogni rivoluzione ha mostrato ciò, e sarebbe un inveterato crimine da parte dei rivoluzionari lasciar passare il momento buono quando sanno che da questo dipende la salvezza della rivoluzione, i propositi di pace, la salvezza di Pietrogrado, la fame e la carestia, la cessione delle terre ai contadini. Il governo vacilla. Bisogna dargli il colpo finale, ad ogni costo!” (24).
In realtà tutti i dirigenti bolscevichi sono d’accordo, indipendentemente da chi viene proclamata l’insurrezione, a rimettere immediatamente il potere appena conquistato al Congresso dei Soviet di tutte le Russie. Il partito sa perfettamente che la rivoluzione non è un affare né del solo partito né dei soli operai di Pietrogrado, bensì dell’intero proletariato. Ma per quanto riguarda la questione di chi deve mettere in atto l’insurrezione, Lenin ha perfettamente ragione a mettere avanti che questa deve esser fatta dagli organi di classe più adeguati allo scopo, i più capaci di assumersi il compito di pianificarla politicamente e militarmente e di prendere la direzione politica della lotta per il potere. Gli eventi hanno provato che Trotsky ha avuto ragione ad evidenziare che un organo specifico dei Soviet creato proprio per questo compito, sotto l’influenza diretta del partito, sarebbe stato il più adattato. Non si tratta solo di un dibattito sui principi, ma di un dibattito che riguarda la vitale questione dell’efficacia politica. La preoccupazione di fondo di Lenin di non caricare l’insieme del Soviet di un tale compito perché ciò avrebbe inevitabilmente ritardato l’insurrezione e svelato i piani al nemico, è pienamente valida. La dolorosa esperienza dell’insieme della rivoluzione russa è stata necessaria perché fosse posta chiaramente alcuni anni più tardi, nell’ambito della Sinistra comunista, la questione che se è indispensabile che il partito assuma la direzione politica tanto nella lotta per il potere che nella dittatura del proletariato, non è suo compito prendere il potere. Su questa questione né Lenin, né gli altri bolscevichi, né gli spartacisti in Germania erano completamente chiari nel 1917, e non potevano esserlo. Ma per quanto riguarda “l’arte dell’insurrezione”, la pazienza rivoluzionaria ed anche la prudenza per evitare ogni scontro prematuro, per quanto riguarda l’audacia rivoluzionaria per prendere il potere, non ci sono oggi rivoluzionari da cui si possa imparare di più che da Lenin. In particolare sul ruolo del partito nell’insurrezione, la storia ha provato che Lenin aveva ragione: sono 1e masse che prendono il potere, sono i Soviet che ne assumono l’organizzazione, ma il partito di classe è l’arma indispensabile della lotta per il potere. Nel luglio 1917 è il partito che salva la classe da una sconfitta decisiva. Nell’ottobre 1917 è ancora lui che mette la classe sulla via del potere. Senza questa indispensabile direzione il potere non sarebbe stato preso.
Lenin contro Stalin
L’argomentazione “finale” della borghesia è: ma la rivoluzione d’ottobre ha portato allo stalinismo! Quello che “ha portato allo stalinismo” sono stati la controrivoluzione borghese, la sconfitta della rivoluzione mondiale nell’Europa occidentale, l’invasione e l’isolamento internazionale dell’Unione sovietica, il sostegno della borghesia mondiale alla burocrazia nazionalistica che nasceva in Russia contro il proletariato e contro i bolscevichi. È importante ricordare che durante le settimane cruciali dell’ottobre ‘17, come nei mesi precedenti, si è manifestata all’interno dello stesso partito bolscevico una corrente contraria all’insurrezione che rifletteva il peso dell’ideologia borghese e che Stalin ne era già un pericoloso rappresentante. Già nel marzo 1917 Stalin era stato il principale portavoce di quelli che, nel partito, volevano abbandonare la posizione internazionalista rivoluzionaria, sostenere il governo provvisorio e la sua politica di continuazione della guerra imperialista e fondersi con i menscevichi. Mentre Lenin si pronunciava pubblicamente per l’insurrezione nelle settimane precedenti il sollevamento, Stalin, come editore dell’organo di stampa del partito, ritardava intenzionalmente la pubblicazione dei suoi articoli, mentre i contributi di Zinoviev e Kamenev contro il sollevamento, che sfidavano spesso la disciplina del partito, venivano pubblicati come se rappresentassero le posizioni del bolscevismo. Nonostante le minacce di Lenin di dimettersi dal Comitato centrale, Stalin continuò la sua azione con il pretesto che Lenin, Zinoviev e Kamenev condividevano “lo stesso il punto di vista”, quando il primo aveva tutto il partito dietro di sé ed era a favore dell’insurrezione immediata, mentre gli altri due sabotavano apertamente le decisioni del partito. Nel corso dell’insurrezione stessa, l’avventuriero politico Stalin “scomparve”, in realtà per vedere da che parte girava il vento senza esporsi. La lotta di Lenin e del partito contro lo “stalinismo” nel 1917, contro le manipolazioni, contro il sabotaggio ipocrita dell’insurrezione (a differenza di Zinoviev e Kamenev che, almeno, agivano in modo aperto), sarebbe ripresa all’interno del partito negli ultimi anni della vita di Lenin ma, questa volta, in condizioni storiche infinitamente più sfavorevoli.
Lungi dall’essere un volgare colpo di Stato, come vorrebbe far credere la classe dominante, la rivoluzione d’ottobre è stata il punto culminante raggiunto dall’umanità nella sua storia fino ad oggi. Per la prima volta una classe sfruttata ha avuto il coraggio e la capacità di strappare il potere dalle mani degli sfruttatori ed inaugurare la rivoluzione proletaria mondiale. Anche se la rivoluzione sarebbe stata presto sconfitta, a Berlino, a Budapest ed a Torino e benché il proletariato russo e mondiale abbia dovuto pagare ad un prezzo terribile questa sconfitta (gli orrori della controrivoluzione, un’altra guerra mondiale e tutta la costante barbarie fino ad oggi), la borghesia non è ancora stata capace di cancellare completamente nella memoria operaia questo evento esaltante e le sue lezioni. Oggi, mentre nella classe dominante c’è solo ideologia e pensiero in decomposizione, con il suo sfrenato individualismo, il suo nichilismo, il suo oscurantismo, mentre fioriscono visioni del mondo reazionarie come il razzismo ed il nazionalismo, il misticismo e l’ecologismo, mentre le ultime vestigia di una fiducia nel progresso umano vengono abbandonate, quello che ci mostra la via è il faro dell’Ottobre rosso. La memoria dell’ottobre è là per ricordare al proletariato che il futuro dell’umanità sta nelle sue mani e che lui è capace di assolvere questo compito. La lotta di classe del proletariato, la riappropriazione della sua storia, la difesa e lo sviluppo del metodo scientifico marxista, questo è stato il programma dell’ottobre. Questo è oggi il programma per il futuro dell’umanità. Come Trotsky ha scritto nella conclusione della sua grande Storia della Rivoluzione Russa: “L’ascesa storica dell’umanità, considerata nel suo insieme, può essere sintetizzata come un susseguirsi di vittorie sulle forze cieche – nella natura, nella società, nell’uomo stesso. Il pensiero critico e creatore ha potuto sinora riportare i suoi maggiori successi nella lotta contro la natura. Le scienze fisico-chimiche sono già arrivate ad un punto tale che l’uomo si accinge di tutta evidenza a diventare padrone della materia. Ma i rapporti sociali continuano a formarsi alla maniera delle isole coralline. Il parlamentarismo ha illuminato solo la superficie della società e per di più con una luce artificiale. In confronto alla monarchia e ad altri retaggi del cannibalismo e dello stato selvaggio delle caverne, la democrazia costituisce naturalmente una grande conquista. Ma non intacca il gioco cieco delle forze dei rapporti sociali. La rivoluzione d’Ottobre ha alzato la mano per la prima volta contro questa più profonda sfera dell’inconscio. Il sistema sovietico vuole stabilire una finalità e un piano nelle basi stesse di una società, dove sino a quel momento avevano prevalso solo effetti accumulati”.
(dalla Revue Internationale n° 91)
1. Lenin, “La Rivoluzione Russa e la Guerra Civile”, Opere complete, vol. 26.
2. Lenin, “I Bolscevichi conserveranno il potere?”, Ibid.
3. Lenin, “Risoluzione dell’insurrezione”, Ibid.
4. Lenin, “Lettera ai compagni bolscevichi che partecipano al Congresso dei soviet della regione nord”, Ibid.
5. Lenin, “Lettera ai compagni”, Ibid.
6. Lenin, “Lettera alla Conferenza della città di Pietrogrado”, Ibid.
7. Trotsky, "Le lezioni di ottobre", scritto nel 1924.
8. Trotsky, ibid.
9. Lenin, “Tesi per il rapporto alla Conferenza dell’8 ottobre”, Ibid.
10. Trotsky, "Le lezioni di ottobre".
11. Trotsky, “Storia della rivoluzione russa”, vol. 2, “ L’insurrezione di Ottobre”.
12. Trotsky, Ibid.
13. Trotsky, Ibid.
14. Lenin, “I Bolscevichi conserveranno il potere?” Ibid. Vedi anche "Stato e Rivoluzione".
15. Trotsky, Ibid.
16. Trotsky, Ibid.
17. Trotsky, “Storia della rivoluzione russa”, vol. 2, “Lenin lancia l’appello all’insurrezione”
18. Lenin, “Lettera ai compagni” Ibid.
19. Trotsky, “Storia della rivoluzione russa”, vol. 2, “L’arte dell’insurrezione”
20. Lenin, “Consigli di un assente”, Ibid.
21. Trotsky, Ibid.
22. Trotsky, Ibid.
23. Trotsky, Ibid.
24. Lenin, “Lettera al Comitato Centrale”, Ibid.
Links
[1] https://it.internationalism.org/en/tag/storia-del-movimento-operaio/1917-rivoluzione-russa
[2] https://it.internationalism.org/en/tag/2/26/rivoluzione-proletaria
[3] https://it.internationalism.org/en/tag/2/37/ondata-rivoluzionaria-1917-1923
[4] https://it.internationalism.org/en/tag/2/40/coscienza-di-classe