La Rivoluzione in Russia del 1917 ha rappresentato finora la più grandiosa azione che delle masse sfruttate abbiano compiuto per distruggere l’ordine che le riduce allo stato di bestie da soma della macchina economica e di carne da cannone nelle guerre tra potenze capitaliste. Essa ha costituito il punto avanzato di un’ondata rivoluzionaria mondiale che si è sviluppata in reazione alla barbarie della prima guerra mondiale. Per diventare padroni del loro proprio destino e cominciare la costruzione di un’altra società, una società comunista, senza sfruttamento, senza miseria, senza guerre, senza classi, senza nazioni, milioni di proletari, trascinando dietro di sé tutti gli altri strati sfruttati della società, sono riusciti a rompere la loro atomizzazione, a unirsi coscientemente, a darsi i mezzi per agire collettivamente come una sola forza. Per la prima volta nella storia del proletariato, questo riusciva a prendere il potere politico in un paese.
Coalizzandovi contro le forze delle sue diverse frazioni nazionali che, ancora alla vigilia, si scontravano nella prima guerra mondiale, la borghesia è riuscita a superare, prima che potesse generalizzarsi, la rivoluzione mondiale, in particolare schiacciando il proletariato in Germania che costituiva il cuore del proletariato industriale mondiale. Soffocando la rivoluzione russa con il blocco delle sue frontiere, ha accelerato il suo processo di decomposizione con la perdita progressiva, da parte del proletariato, del suo potere politico. Così obiettivamente ha favorito la vittoria dello stalinismo in Russia che è stato l’artefice della controrivoluzione in questo paese in cui si è imposto tramite la repressione sistematica e di massa della classe operaia e l’eliminazione, all’interno del partito bolscevico, di quelli che erano state le principali figure dell’ottobre 1917.
Questo primo tentativo rivoluzionario mondiale costituisce per la classe operaia una fonte d’insegnamento considerevole fornendo un patrimonio inestimabile in vista della preparazione dei prossimi confronti rivoluzionari (1).
Nulla fa più rabbia ad una classe sfruttatrice che un sollevamento degli sfruttati. Le rivolte degli schiavi nell’impero romano, dei contadini sotto il feudalesimo sono state sempre represse con una crudeltà spietata. La ribellione della classe operaia contro il capitalismo è un affronto ancora più grande contro la classe dominante di questo sistema poiché porta chiaramente sulla sua bandiera la prospettiva di una nuova società, una società autenticamente comunista che libera l’umanità dai mali di tutte le società di classe della storia fino al capitalismo. Di conseguenza, per la classe capitalista, non basta reprimere soltanto i tentativi rivoluzionari della classe operaia, annegarli nel sangue, anche se la controrivoluzione capitalista è certamente la più sanguinosa della storia, è anche necessario snaturarli per discreditarli.
È a tale scopo che, oltre al suo arsenale repressivo, la borghesia ha utilizzato il suo arsenale ideologico per mettere in scena e mantenere la più grande menzogna della storia secondo la quale lo stalinismo avrebbe costituito la continuità del regime politico uscito dalla rivoluzione del 1917 in Russia. Inoltre, un’altra menzogna vuole che tutti i paesi sui quali l’URSS ha successivamente esteso il suo dominio sarebbero stati essi stessi dei “regimi comunisti”. Tutte le frazioni della borghesia, dai partiti comunisti alla estrema destra passando per i socialdemocratici (senza dimenticare le correnti trotskiste da quando queste hanno raggiunto la borghesia denunciando l’internazionalismo proletario in occasione della Seconda guerra mondiale), dalla fine degli anni 1920, hanno apportato il loro contributo a questa mistificazione. Le campagne democratiche assordanti che, con il crollo dei regimi stalinisti all’inizio degli anni ‘90, hanno trascinato nel fango il movimento operaio, le sue ore di gloria (ottobre 1917), le sue organizzazioni rivoluzionarie (il partito bolscevico) e le sue grandi figure (Marx, Lenin), hanno rilanciato questa mistificazione con l’obiettivo, raggiunto in parte, di indebolire la coscienza della classe operaia.
Tuttavia, la borghesia non è riuscita a sradicare la coscienza di classe del proletariato e, ancora una volta, sotto la pressione dello sprofondamento nella crisi e degli attacchi contro la classe operaia, di fronte a delle manifestazioni sempre più evidenti del fallimento del capitalismo, si manifestano dei tentativi da parte di minoranze per ricollegarsi con il passato rivoluzionario della loro classe. Le menzogne più grossolane della borghesia sulla rivoluzione russa non resisteranno alle loro interrogazioni né alla loro ricerca di verità. È per questo che non intendiamo ritornare specificamente in quest’opuscolo sul fatto che, piuttosto che rappresentare una continuità con il movimento rivoluzionario, lo stalinismo è stato, al contrario, il suo principale boia (2).
Attraverso la pubblicazione di questa raccolta di articoli apparsi nella nostra Rivista Internazionale, abbiamo scelto di rispondere a un certo numero di domande o dubbi che ritornano regolarmente quando viene evocata la rivoluzione d'ottobre:
- L’insurrezione d’ottobre è stata un colpo di Stato del Partito Bolscevico o l’emanazione della volontà dei Soviet?
- La classe operaia ha marciato verso la rivoluzione d’ottobre seguendo ciecamente il Partito bolscevico oppure l’Ottobre ha costituito la conclusione di un movimento autentico della classe operaia?
- Come spiegare l’influenza crescente del Partito Bolscevico all’interno della classe operaia? Gli operai, fuorviati e mistificati dal Partito bolscevico, si sarebbero gradualmente liberati delle loro responsabilità per abbandonarlo? Oppure questa avanguardia difendeva realmente gli interessi immediati e storici della classe, di fronte alla posizione di tutti gli altri partiti (compresi i cosiddetti partiti operai) che erano a favore della difesa del capitale nazionale e per la guerra?
- Sarebbe stato possibile, dopo avere dato il potere ad un partito borghese nel febbraio 1917, che il proletariato riuscisse, senza partito, a prendere il potere in ottobre?
- Come spiegare la degenerazione della rivoluzione russa? Forse che questa era già iscritta nel programma del partito bolscevico che portava in modo implicito il progetto staliniano? Oppure è a causa dell’isolamento internazionale del bastione proletario?
1. Leggere il nostro opuscolo Russia 1917, inizio della rivoluzione mondiale - la più grande esperienza rivoluzionaria della classe operaia.
2. Per i nostri lettori interessati, raccomandiamo la lettura del nostro opuscolo “Il terrore stalinista: un crimine del capitalismo, non del comunismo” e “Crollo dello stalinismo”, così come il nostro manifesto “Rivoluzione comunista o distruzione dell'umanità”.
Nel 1914, i vari signori a capo dei governi, re, politici e soldati, agenti di un sistema sociale che entrava nella sua epoca di decadenza, condussero il mondo al cataclisma della I Guerra mondiale: più di 20 milioni di morti, distruzioni mai viste fino allora, razionamento, penuria e carestia tra la popolazione civile, morte, incrudimento della disciplina militare, sofferenze illimitate al fronte. Tutta l'Europa si è vista annegata nel caos e la barbarie, nella distruzione di industrie, costruzioni, monumenti...
Dopo essersi lasciato trascinare con i veleni patriottici e le mistificazioni “democratiche” dei governi, avallati dal tradimento della maggioranza dei partiti socialdemocratici e dei sindacati, il proletariato internazionale iniziò a reagire contro la barbarie guerriera a partire dalla fine del 1915. Scioperi, sommosse contro la fame, manifestazioni contro la guerra, scoppiano in Russia, in Germania, in Austria, ecc.. Al fronte, soprattutto negli eserciti russo e tedesco, si verificano degli ammutinamenti, delle diserzioni collettive, delle fraternizzazioni tra soldati dei due fronti. Alla testa del movimento si trovavano gli internazionalisti, i bolscevichi, gli spartachisti, tutta la sinistra della II Internazionale che, dallo scoppio della guerra nell’agosto 1914, la denunciavano senza esitazione come una rapina imperialista, come una manifestazione del fallimento del capitalismo mondiale, come il segnale dato al proletariato per riempire la sua missione storica: la rivoluzione socialista internazionale.All’avanguardia di questo movimento internazionale che fermerà la guerra ed aprirà la possibilità della rivoluzione mondiale, fin dal 1915 troviamo gli scioperi economici degli operai russi che vengono duramente repressi. Tuttavia il movimento cresce: il 9 gennaio 1916, l’anniversario dell’inizio della rivoluzione del 1905 viene celebrato con grossi scioperi operai. Nuovi scioperi scoppiano durante tutto l’anno accompagnati da riunioni, discussioni, rivendicazioni, scontri con la polizia.
“Verso la fine del1916 il costo della vita aumenta a salti. All’inflazione ed alla disorganizzazione dei trasporti si aggiunge una vera e propria penuria di merci. In quel periodo, il consumo si è ridotto della metà. La curva del movimento operaio delinea una brusca ascesa. A partire dall’ottobre, la lotta entra in una fase decisiva, che unisce insieme tutte le gamme svariate di malcontento: Pietrogrado prende la rincorsa per il grande salto di febbraio. Nelle fabbriche i comizi dilagano. Argomenti trattati: i rifornimenti alimentari, l’alto costo della vita, la guerra, il governo. Vengono distribuiti i volantini dei bolscevichi. Si proclamano scioperi politici. All’uscita dalle fabbriche si svolgono manifestazioni improvvisate. Capita che gli operai di certe aziende fraternizzano con i soldati. Scoppia un violento sciopero di protesta contro il processo ai marinai rivoluzionari della flotta del Baltico. (… ) Gli spiriti sono sovraeccitati, i metallurgici si sono messi in prima fila, gli operai hanno sempre di più la sensazione che non c'è possibilità di ritirata. In ogni fabbrica si costituisce un nuovo nucleo d’azione, perlopiù raccolto attorno ai bolscevichi. Gli scioperi e i comizi si succedono senza interruzione nel corso delle due prime settimane di febbraio. L’8 febbraio, alla Poutilov i poliziotti vengono accolti da ‘una grandine di ferraglie e di scarti’. Il 14, giorno di apertura della Duma, ci sono circa 90.000 scioperanti a Pietrogrado. Molte fabbriche chiudono anche a Mosca. Il 16, le autorità decidono di introdurre a Pietrogrado le tessere del pane. Questa novità accresce il nervosismo. Il 19, vicino ai negozi di rifornimento, si formano dei gruppi, composti soprattutto da donne, e tutti esigono pane. L’indomani, in certi quartieri della città, vengono saccheggiati i forni. Sono i lampi che preannunciano l’insurrezione destinata a scoppiare qualche giorno dopo.” (1).
Un movimento di massa
Sono queste le tappe successive di un processo sociale che appare oggi utopico a molti operai: quelle della trasformazione dei lavoratori da una massa sottomessa e divisa, in una classe unita che agisce come un solo uomo e diventa pronta a lanciarsi nella lotta rivoluzionaria, come dimostrato dai 5 giorni, dal 22 al 27 febbraio, del 1917.
“Sin dal mattino gli operai si presentano nelle fabbriche e, invece di mettersi al lavoro, tengono comizi, e successivamente si dirigono verso il centro della città. Nuovi quartieri, nuovi settori della popolazione vengono trascinati nel movimento. La parola d’ordine “Pane” è lasciata cadere o è soffocata da altre: “Abbasso l’autocrazia! Abbasso la guerra!”. Continuano le manifestazioni sulla prospettiva Nevsky (…).
Sotto le insegne della “giornata della donna”, si scatenò il 23 febbraio un’insurrezione a lungo maturata, a lungo contenuta, delle masse operaie di Pietrogrado. La prima fase fu lo sciopero, che in tre giorni si estese al punto di divenire quasi generale. Questo solo fatto bastava ad infondere fiducia alla massa ed a spingerla in avanti. Lo sciopero, assumendo un carattere offensivo sempre più accentuato, si combinò con manifestazioni che misero di fronte le folle rivoluzionarie e le truppe. (...) la massa non vuol più battere in ritirata, resiste con ottimistico furore e non abbandona il campo neppure dopo aver subito cariche omicide. (...) ‘Non sparate sui vostri fratelli e sulle vostre sorelle!’ gridano gli operai e le operaie. E non solo questo: ‘Marciate con noi!’. Così, nelle strade, sulle piazze, dinanzi ai ponti, alle porte delle caserme, si svolgeva una lotta incessante, ora drammatica, ora impercettibile, ma sempre accanita, per la conquista dei soldati. (...) Gli operai non cedono affatto, non ripiegano e intendono raggiungere il loro scopo anche sotto le pallottole. Accanto a loro, le operaie, madri e sorelle, spose e compagne. E poi non è forse giunta l’ora di cui spesso si era parlato bassa voce, negli angoli nascosti: ‘Se ci mettessimo tutti insieme?’” (2).
Le classi dirigenti non arrivano a crederci, pensano che si tratti di una rivolta che sparirà con una buona punizione. L’insuccesso strepitoso delle azioni terroristiche di piccoli corpi scelti comandati dai colonnelli della gendarmeria mette in evidenza le vere radici del movimento: “La rivoluzione, ai comandanti d’armata, intraprendenti a parole, sembra indifendibile (...); sembra che basti alzare la sciabola su tutto questo caos perché tutto si disperda immediatamente senza lasciare traccia. Ma è un’illusione ottica grossolana. Il caos esiste solo in apparenza. In profondità si produce una irresistibile cristallizzazione delle masse intorno a nuovi assi” (3).
Una volta rotte le prime catene, gli operai non vogliono arretrare più e, per non avanzare alla cieca, riprendono l’esperienza del 1905 creando i soviet, organizzazioni unitarie dell’insieme della classe in lotta. I soviet vengono subito accaparrati dai partiti menscevico e socialista-rivoluzionario, vecchi partiti operai passati al campo borghese con la loro partecipazione alla guerra, e permettono la formazione di un governo provvisorio composto dalle “grandi personalità” russe di sempre: Miliukov, Rodzianov, Kerenski.
La prima ossessione di questo governo è convincere gli operai a “ritornare alla normalità”, ad “abbandonare i loro sogni”, diventare la massa sottomessa, passiva, atomizzata di cui la borghesia ha bisogno per mantenere i suoi affari e continuare la guerra. Gli operai non cedono. Vogliono vivere e sviluppare la nuova politica: quella che loro stessi esercitano, unendo in un legame inseparabile la lotta per i loro interessi immediati e la lotta per l’interesse generale. Così, di fronte alla resistenza dei borghesi, dei menscevichi e dei socialisti-rivoluzionari per i quali “ciò che importa, è lavorare e non rivendicare, perché, adesso, abbiamo la libertà politica”, gli operai rivendicano la giornata di 8 ore per avere la “libertà” di riunirsi, di discutere, di leggere, di stare tra loro: “Un’ondata di sciopero ricomincia dopo la caduta dell’assolutismo. In ogni fabbrica o laboratorio, senza aspettare gli accordi firmati dall’alto,si presentano rivendicazioni sui salari e la giornata di lavoro. I conflitti si aggravano di giorno in giorno e si complicano in un’atmosfera di lotta” (4).
Il 18 aprile, Miliukov, ministro liberale del partito Cadetto del governo provvisorio, pubblica una nota provocatrice che riafferma l’impegno della Russia con gli alleati nella continuazione della guerra imperialista. Gli operai ed i soldati rispondono immediatamente: sorgono manifestazioni spontanee, si tengono assemblee di massa nei quartieri, nei reggimenti, nelle fabbriche: “L’agitazione che si era sviluppata nella città non arretrava. Folle di persone si riunirono. Le riunioni continuavano. Si discuteva nelle strade. Nei tram, i viaggiatori si dividevano tra sostenitori ed avversari di Miliukov... L’agitazione non si limitava a Pietrogrado. A Mosca, gli operai che abbandonavano le macchine ed i soldati che uscivano dalle caserme invadevano le strade con le loro rumorose proteste” (5).
Il 20 aprile, una gigantesca manifestazione impone le dimissioni di Miliukov. La borghesia deve arretrare nei suoi piani di guerra. Maggio registra una frenetica attività di organizzazione. Ci sono meno manifestazioni e meno scioperi; ciò non esprime un riflusso del movimento, ma piuttosto un avanzamento ed uno sviluppo perché gli operai si dedicano ad un aspetto della lotta fino ad allora poco considerato: la propria organizzazione di massa. I soviet si estendono in tutti gli angoli della Russia, ed intorno ad essi appare una moltitudine di organismi di massa: comitati di fabbrica, comitati di contadini, soviet di quartiere, comitati di soldati. Attraverso questi le masse si raggruppano, discutono, pensano e decidono. Al loro contatto i gruppi di lavoratori più in ritardo si svegliano: “I servi, trattati come animali e a mala pena pagati, si emancipavano. Poiché allora un paio di scarpe costava più di cento rubli e le paghe erano di circa 35 rubli al mese, si rifiutavano di consumare le scarpe per fare la coda. (…) Anche i vetturini avevano il loro sindacato ed erano rappresentati al Soviet di Pietrogrado. I garzoni di hotel e ristoranti si erano organizzati e rifiutavano le mance”. (6)
Gli operai ed i soldati cominciano a stancarsi delle eterne promesse del governo provvisorio e dell’appoggio datogli dai socialisti menscevichi e dai socialisti-rivoluzionari. Vedono come aumentano le difficoltà di approvvigionamento, la disoccupazione, la fame. Vedono che, di fronte alla guerra ed alla questione contadina, quelli in alto offrono solo discorsi ampollosi. Sono stanchi della politica borghese e cominciano ad intravedere le possibili conseguenze ultime della loro propria politica: la rivendicazione di tutto il potere ai soviet si trasforma in aspirazione di larghe masse operaie (7).
Giugno è un mese di intensa agitazione politica che culmina con le manifestazioni armate degli operai e dei soldati di Pietrogrado il 4 e 5 luglio: “Il primo posto spetta agli operai di fabbrica (…). Dove i dirigenti esitano o si oppongono, i giovani operai costringono il membro di servizio del comitato di fabbrica a suonare la sirena per far arrestare il lavoro.(…) Tutte le fabbriche scioperavano e si tenevano delle assemblee. Si eleggevano dirigenti della manifestazione e i delegati che avrebbero presentato le rivendicazioni al Comitato esecutivo” (8).
Tuttavia, le giornate di luglio si chiudono con un amaro insuccesso per i lavoratori. La situazione non è ancora matura per la presa del potere perché: i soldati non sono pienamente solidali con gli operai, i contadini sono pieni di illusioni sui socialisti-rivoluzionari e il movimento in provincia è in ritardo rispetto alla capitale.
Nei mesi successivi di agosto e settembre, amareggiati dalla sconfitta e dalla violenza della repressione borghese, gli operai sono spinti a risolvere praticamente questi ostacoli, non seguendo un piano d’azione prestabilito, ma in un “oceano di iniziative”, nelle lotte e le discussioni nei soviet dove si materializza la presa di coscienza del movimento. Le azioni degli operai e quelle dei soldati si fondono completamente: “Appare un fenomeno di osmosi, specialmente a Pietrogrado. Quando l’agitazione si impossessa del quartiere di Viborg, i reggimenti della capitale entrano in effervescenza, e viceversa. Gli operai ed i soldati imparano ad uscire in strada per manifestare i loro sentimenti. La strada appartiene a loro. Nessuna forza, nessun potere, può impedire loro in quel momento di difendere le proprie rivendicazioni o di cantare a pieno polmone inni rivoluzionari.” (9).
Con la sconfitta di luglio, la borghesia crede di farla finita con questo incubo. Per ciò, dividendo il compito tra il blocco “democratico” di Kerenski e quello apertamente reazionario di Kornilov, capo dell’esercito, organizza il colpo di Stato di quest’ultimo. Kornilov mette assieme reggimenti di cosacchi, di caucasi ecc., che sembrano ancora fedeli al potere borghese, e tenta di lanciarli contro Pietrogrado.
Ma il tentativo fallisce clamorosamente. La reazione degli operai e dei soldati, la loro ferma organizzazione nel Comitato di difesa della rivoluzione - che, sotto il controllo del soviet di Pietrogrado, si trasformerà più tardi in Comitato militare rivoluzionario, organo dell’insurrezione di ottobre - fanno si che le truppe di Kornilov, o restano immobilizzate e si arrendono, o disertano per unirsi agli operai ed ai soldati, il che succede quasi sempre.
“Il complotto era diretto da gente abituata a non far nulla, incapace di far nulla senza gli strati inferiori, senza la forza operaia, senza la carne da cannone, senza attendenti, domestici,furieri, autisti, facchini, cuochi, lavandaie, deviatori, telegrafisti, palafrenieri, cocchieri. E tutte queste piccole ruote umane, impercettibili, innumerevoli, indispensabili, erano dalla parte dei soviet e contro Kornilov. (...) L’ideale dell’educazione militare è che il soldato agisca senza la sorveglianza dei capi, ma come se fosse sotto i loro occhi. I soldati ed i marinai russi del 1917, che non eseguivano gli ordini ufficiali neppure sotto gli occhi dei comandanti, afferravano al volo, avidamente, gli ordini della rivoluzione e, ancor più spesso, li eseguivano di loro iniziativa, prima ancora di averli ricevuti. (…)
Per esse (le masse) si trattava, non di proteggere il Governo, ma di difendere la rivoluzione:e tanto più era decisa e intrepida la loro lotta. La resistenza all’ammutinamento sorgeva dai binari ferroviari, dalle pietre, dall’aria stessa. I ferrovieri della stazione di Luga, dove era giunto Krymov, si rifiutavano ostinatamente di far partire i treni che trasportavano truppe, e addicevano la mancanza di locomotive. I reparti cosacchi si trovavano a loro volta accerchiati da soldati armati facenti parte della guarnigione di Luga che contava ventimila uomini. Scontri non ce ne furono, ma accadde qualcosa di assai più pericoloso: ci fu il contatto, lo scambio di idee, la reciproca comprensione” (10).
I borghesi concepiscono le rivoluzioni operaie come un atto di pazzia collettiva, un caos spaventoso che finisce in modo orrendo. L’ideologia borghese non può ammettere che gli sfruttati possano agire per proprio conto. Azione collettiva e solidale, azione cosciente della maggioranza lavoratrice, sono nozioni che il pensiero borghese considera come un’utopia contro natura (le cose “naturali” per la borghesia sono la guerra di tutti contro tutti e la manipolazione di grandi masse umane da parte di un’élite).
“In tutte le rivoluzioni precedenti, sulle barricate si battevano operai, piccoli artigiani, un certo numero di studenti; i soldati facevano la loro parte; dopo la borghesia facoltosa, che aveva osservato gli scontri di barricata standosene prudentemente alla finestra, raccoglieva il potere. Ma la rivoluzione del febbraio 1917 differiva delle rivoluzioni precedenti per il carattere sociale incomparabilmente più elevato e per l’alto livello di politicizzazione della classe rivoluzionaria, per un’ostile diffidenza degli insorti nei riguardi della borghesia liberale e, quindi, per la creazione, nel momento stesso della vittoria, di un nuovo organo di potere rivoluzionario: un soviet che si basava sulla forza armata delle masse” (11).
Questa natura totalmente nuova della rivoluzione d’ottobre corrisponde all’essere stesso del proletariato, classe sfruttata e rivoluzionaria allo stesso tempo, che può liberarsi solo se agisce in maniera collettiva e cosciente.
La rivoluzione russa non è il semplice prodotto passivo di condizioni oggettive eccezionali. È anche il prodotto di una presa di coscienza collettiva. Sotto forma di lezioni, di riflessioni, di parole d’ordine, di ricordi, possiamo vedere i segni delle esperienze del proletariato, della Comune di Parigi del 1871 e della rivoluzione del 1905, e quelli delle battaglie politiche del movimento operaio, della Lega dei comunisti, della 1a e 2a Internazionale, della sinistra di Zimmerwald, degli spartachisti e del partito bolscevico. La rivoluzione russa è certamente una risposta alla guerra, alla fame ed alla barbarie dello zarismo moribondo, ma è una risposta cosciente, guidata dalla continuità storica e mondiale del movimento proletario.
Ciò si manifesta concretamente nell’enorme esperienza degli operai russi che avevano vissuto le grandi lotte del 1898, 1902, la rivoluzione del 905 e le battaglie del 1912-14, e che avevano anche fatto nascere il partito bolscevico, alla sinistra della 2a Internazionale.
“Era necessario contare non con una qualsiasi massa, ma con la massa degli operai di Pietrogrado e degli operai russi in generale che avevano vissuto l’esperienza della rivoluzione del 1905, l’insurrezione di Mosca del mese di dicembre dello stesso anno, ed era necessario che all’interno di questa massa ci fossero operai che avessero riflettuto sull’esperienza del 1905, che avessero assimilato la prospettiva della rivoluzione, che avesseroriflettuto una dozzina di volta sulla questione dell’esercito” (12).
Più di 70 anni prima della rivoluzione del 1917, Marx ed Engels avevano scritto: “Questa rivoluzione non è dunque solo necessaria in quanto unico mezzo per rovesciare la classe dominante, ma anche perché solo una rivoluzione permetterà alla classe che rovescia l’altra di spazzare via tutto il marciume del vecchio sistema che le è incollato addosso e di diventare adatta a fondare la società su basi nuove” (13).
La rivoluzione russa conferma pienamente questa posizione: il movimento porta in sé gli strumenti per l’auto-educazione delle masse. “Qui è la sua forza. Ogni settimana apportava alle masse qualcosa di nuovo. Due mesi facevano un epoca. Alla fine di febbraio: insurrezione. Alla fine di aprile: manifestazione degli operai e dei soldati armati a Pietrogrado. All'inizio di luglio: nuova manifestazione, con maggiore ampiezza e parole d’ordine più risolute. Alla fine di agosto: il tentativo di colpo di Stato di Kornilov, respinto dalle masse. Alla fine di ottobre: conquista del potere da parte dei bolscevichi. Sotto questo ritmo degli avvenimenti di una regolarità sorprendente si compivano profondi processi molecolari che saldavano in un solo insieme politico gli elementi eterogenei della classe operaia” (14).
“L’intera Russia imparava a leggere; leggeva di politica, di economia, di storia, perché il popolo aveva bisogno di sapere. (...) La sete d’istruzione, per tanto tempo frenata, diventò con la rivoluzione un vero delirio. Dal solo Istituto Smolny uscivano ogni giorno, durante i primi sei mesi, tonnellate di letteratura che con carri e vagoni andavano a saturare il paese. La Russia assorbiva, insaziabile, come la sabbia calda assorbe l’acqua. (…) E quale ruolo giocava la parola! I ‘torrenti di eloquenza’ di cui parla Carlyle a proposito della Francia erano solamente inezie rispetto alle conferenze, ai dibattiti, ai discorsi nei teatri, nei circoli, le scuole, i club, le sale di riunioni dei Soviet, le sedi dei sindacati le caserme. Si tenevano riunioni e comizi nelle trincee, sulle piazze dei villaggi, nelle fabbriche. Quale ammirevole spettacolo i 40.000 operai della Poutilov che ascoltavano oratori socialdemocratici, socialisti-rivoluzionari, anarchici ed altri, così attenti a tutti ed indifferenti per mesi alla lunghezza dei discorsi, a Pietrogrado ed in tutta la Russia, ogni angolo di strada era una tribuna pubblica. Nei treni, nei tram, dovunque nasceva all’improvviso la discussione. (…) In tutte le riunioni, la proposta di limitare il tempo di parola era respinta regolarmente; ciascuno poteva esprimere liberamente ciò che pensava..” (15).
La “democrazia” borghese parla molto di “libertà di espressione” quando l’esperienza ci dice che tutto in essa è manipolazione, spettacolo e lavaggio del cervello: l’autentica libertà di espressione è quella che conquistano le masse operaie nella loro azione rivoluzionaria: “In ogni fabbrica, in ogni laboratorio, in ogni compagnia, in ogni caffè, in ogni cantone, anche nelle borgate deserte, il pensiero rivoluzionario realizzava un lavoro silenzioso e molecolare. Ovunque sorgevano degli interpreti degli avvenimenti, degli operai a cui si poteva chiedere la verità su ciò che era accaduto e da cui si potevano aspettare le necessarie parole d’ordine. Il loro istinto di classe si trovava accresciuto dal criterio politico e, sebbene non sviluppavano tutte le loro idee in modo conseguente, il loro pensiero spingeva invariabilmente in una stessa direzione. Questi elementi di esperienza, di critica, di iniziativa, di abnegazione, si sviluppavano nelle masse e costituivano la meccanica interna, inaccessibile allo sguardo superficiale, e tuttavia decisiva, del movimento rivoluzionario come processo cosciente” (16).
Questa riflessione, questa presa di coscienza, mette a nudo “tutta l’ingiustizia materiale e morale inflitta ai lavoratori, lo sfruttamento disumano, i salari di miseria, il lavoro spossante, le devastazioni sulla salute, i sistemi raffinati di sanzione, ed il disprezzo e 1’offesa alla loro dignità umana da parte dei capitalisti e dei padroni, quest’insieme di condizioni di lavoro rovinoso e vergognoso che è imposto loro e che rappresa il destino quotidiano del proletariato sotto il giogo del capitalismo” (17).
Anche per tale motivo, la rivoluzione Russa presenta un’unità permanente, inseparabile, tra la lotta politica e la lotta economica: “Ogni ondata d’azione politica lascia dietro di sé un terreno fertile da cui nascono subito mille nuovi germogli: le rivendicazioni economiche. E viceversa, la guerra economica incessante che gli operai fanno al capitale tiene sveglia l’energia combattiva anche nei momenti di tregua politica, costituisce in qualche modo un serbatoio permanente di energia da dove la lotta politica trae sempre delle forze fresche: allo stesso tempo il lavoro infaticabile di azione rivendicativa innesca ora qui, ora là, acuti conflitti da cui esplodono bruscamente battaglie politiche” (18). Questo sviluppo della coscienza ha portato gli operai in giugno-luglio alla convinzione che essi non devono consumare le loro energie disperdendosi in mille conflitti economici parziali, ma devono concentrare le forze nella lotta politica rivoluzionaria. Ciò non significa rigettare la lotta rivendicativa ma, al contrario, assumerne le conseguenze politiche: “I soldati e gli operai ritenevano che dalla soluzione data al problema del potere, il paese sarebbe governato dalla borghesia o dai soviet, dipendevano tutti gli altri problemi: salari, prezzo del pane, obbligo di farsi uccidere al fronte per le ragioni ignote” (19). Questa presa di coscienza delle masse operaie culmina con l’insurrezione di ottobre di cui Trotsky descrive così l’atmosfera preesistente: "”Le masse sentivano il bisogno di tenersi unite, ciascuno voleva controllare sé stesso attraverso gli altri e tutti, con un’attenzione ed una tensione estrema, osservavano come un identico pensiero maturasse nelle coscienze, sia pure con diverse sfumature e caratteristiche. Folle innumerevoli frequentavano i circhi e gli altri luoghi di riunione dove parlavano i bolscevichi più popolari, con gli ultimi argomenti e gli ultimi appelli. (…) Ma in quest’ultima fase prima della rivoluzione, incomparabilmente più efficace era l’agitazione molecolare condotta da anonimi operai, marinai e soldati che conquistavano simpatizzanti uno dietro l’altro, eliminando gli ultimi dubbi, vincendo le ultime esitazioni. Mesi di vita politica febbrile avevano creato innumerevoli quadri di base, avevano educato centinaia e migliaia di autodidatti che si erano abituati a seguire la politica dal basso e non dall’alto. (...) Ormai la massa non tollerava più nel suo ambiente gli esitanti, i dubbiosi, i neutrali. Cercava di prendere tutti, di attirarli, di convincerli, di conquistarli. Le fabbriche come i reggimenti, inviavano delegati al fronte. Le trincee si legavano agli operai e ai contadini delle più immediate retrovie. Nelle città di questo settore avevano luogo assemblee, consultazioni, conferenze innumerevoli, in cui i soldati combinavano la loro azione con quella degli operai e dei contadini” (20).
“Mentre la società ufficiale - questa sovrastruttura a numerosi piani che le classi dirigenti costituiscono, coi loro strati distinti, i loro gruppi, i loro partiti e le loro cricche - viveva giorno per giorno nella sua inerzia ed il suo automatismo, alimentandosi di resti di idee consumate, sorda alle fatali esigenze dell’evoluzione, sedotta dai fantasmi, non prevedendo niente, nelle masse operaie si avverava un processo spontaneo e profondo, non solo di odio crescente contro i dirigenti, ma di giudizio critico sulla loro impotenza, di accumulo di esperienza e di coscienza creatrice che si confermò nel sollevamento rivoluzionario e nella sua vittoria” (21).
Mentre la politica borghese è sempre al profitto di una minoranza della società che costituisce la classe dominante, la politica del proletariato non insegue un beneficio particolare ma quello di tutta l'umanità. “La classe sfruttata ed oppressa (il proletariato) non può più liberarsi della classe che lo sfrutta e l’opprime (la borghesia) senza liberare, contemporaneamente e per sempre, la società intera dallo sfruttamento, dall’oppressione e dalla lotta di classe” (22).
La lotta rivoluzionaria del proletariato costituisce l’unica speranza di liberazione per tutte le masse sfruttate. Come la rivoluzione russa ha evidenziato, gli operai poterono guadagnare alla loro causa i soldati, in maggioranza contadini in uniforme, e tutta la popolazione contadina in generale. Il proletariato confermava così che la rivoluzione non è solo una risposta in difesa dei suoi interessi, ma anche l’unico sbocco possibile per farla finita con la guerra ed i rapporti sociali dell’oppressione capitalista e dello sfruttamento in generale.
La volontà operaia di dare una prospettiva alle altre classi oppresse è stata sfruttata abilmente dai partiti menscevico e socialista-rivoluzionario che pretendevano, in nome dell’alleanza con i contadini ed i soldati, che il proletariato rinunciasse alla sua lotta autonoma di classe e alla rivoluzione socialista. A prima vista questa posizione può sembrare la più “logica”: se vogliamo conquistare le altre classi, bisogna piegarsi alle loro rivendicazioni, bisogna cercare il minimo comune denominatore intorno al quale tutti possono unirsi.
Tuttavia, “Le classi medie, i piccoli fabbricanti, i commercianti al dettaglio, gli artigiani, i contadini, combattono tutti la borghesia perché è una minaccia per la loro esistenza in quanto classi medie. Non sono rivoluzionarie dunque, ma conservatrici, anzi sono reazionarie: cercano di far girare alla rovescia la ruota della storia” (23).
In un’alleanza interclassista, il proletariato ha tutto da perdere: non guadagna le altre classi oppresse ma le spinge nelle braccia del capitale ed indebolisce la sua unità e la sua coscienza in modo decisivo: non difende le sue rivendicazioni ma le diluisce e le nega; non avanza sulla strada del socialismo, ma si impantana ed annega nella palude del capitalismo decadente. In realtà non aiuta gli strati piccolo-borghesi e contadini. Contribuisce piuttosto al loro sacrificio sull’altare degli interessi del capitale, perché le rivendicazioni “popolari” sono la maschera che utilizza la borghesia per far passare sottobanco i propri interessi. Nel “popolo” non sono gli interessi delle “classi lavoratrici” ad essere rappresentati, ma l’interesse sfruttatore, nazionale e imperialista dell’insieme della borghesia. “L’alleanza tra i menscevichi e i socialrivoluzionari significava, in quelle condizioni, non una collaborazione del proletariato con i contadini, ma una coalizione di partiti che avevano rotto col proletariato e coni contadini per far blocco con le classi possidenti” (24).
Se il proletariato vuole guadagnare alla sua causa gli strati non-sfruttatori, deve affermare in modo chiaro ed eclatante le proprie rivendicazioni, il proprio essere, la sua autonomia di classe. Deve guadagnare gli altri strati non-sfruttatori in ciò che questi possono avere di rivoluzionario. “Se sono rivoluzionari, è in considerazione del loro passaggio imminente al proletariato: difendono allora i loro interessi futuri e non i loro interessi attuali, abbandonano il loro punto di vista per condividere quello del proletariato” (25). Mettendo al centro della lotta la fine della guerra imperialista; cercando di dare una prospettiva risolutiva al problema agrario (26); creando i soviet come organizzazione di tutti gli sfruttati; e, soprattutto, ponendo l’alternativa di una nuova società di fronte alla bancarotta ed al caos della società capitalista, il proletariato in Russia si pose oggettivamente all’avanguardia di tutte le classi sfruttate e seppe dar loro una prospettiva alla quale unirsi e per la quale lottare.
L’affermazione autonoma del proletariato non lo isola dagli altri strati oppressi. Al contrario gli permette di isolare lo Stato borghese da quest’ultimi. Di fronte all’impatto sui soldati ed i contadini della campagna della borghesia russa su “l’egoismo” degli operai che rivendicavano la giornata di 8 ore, questi ultimi “compresero il pericolo e si difesero abilmente. Allo scopo bastava loro raccontare la verità, citare i dati dei profitti di guerra, mostrare ai soldati le fabbriche e i reparti in cui si sentiva il rumore delle macchine, le fiamme infernali dei forni, fronte permanente su cui i lavoratori subivano perdite innumerevoli. Per iniziativa degli operai, cominciarono, da parte dei distaccamenti della guarnigione, visite regolari nelle fabbriche, soprattutto in quelle che lavoravano per la difesa. Il soldato guardava ed ascoltava, l’operaio mostrava e spiegava. Le visite si concludevano con una solenne fraternizzazione” (27).
“L’esercito era irrimediabilmente malato. Valeva ancora qualche cosa per dire la sua parola nella rivoluzione. Ma per la guerra, non esisteva già più” (28).
Questa “malattia incurabile” dell’esercito era il prodotto della lotta autonoma della classe operaia. Allo stesso modo, il proletariato ha affrontato con risolutezza il problema agrario che il capitalismo decadente è incapace di risolvere, e soprattutto aggrava: uscivano tutti i giorni dalle città industriali legioni di agitatori, di delegazioni di fabbrica, di soviet per discutere con i contadini, per incoraggiarli alla lotta, per organizzare gli operai agricoli e gli agricoltori poveri. I soviet ed i comitati di fabbrica adottarono numerose risoluzioni in cui dichiaravano la loro solidarietà ai contadini e proponevano misure concrete di soluzione del problema agrario: “La conferenza dei comitati di fabbrica e delle officine dedica la sua attenzione alla questione agraria ed elabora, sulla base di un rapporto di Trotsky, un manifesto ai contadini: il proletariato ha coscienza di sé non solo come classe particolare, ma come dirigente del popolo” (29).
Mentre la politica della borghesia concepisce la maggioranza come una massa da manipolare affinché voti ciò che è già preparato dai poteri dello Stato, la politica operaia si pone come l’opera libera e cosciente della grande maggioranza per i propri interessi.
“I soviet, consigli di deputati o delegati di assemblee, apparvero spontaneamente per la prima volta durante il grande “sciopero di massa” del 1905. Erano l’emanazione diretta delle migliaia di assemblee di lavoratori, nelle fabbriche e nei quartieri, che si moltiplicavano nella più importante esplosione di vita operaia mai vista fino allora nella storia. Come se riprendessero la lotta là dove i loro antenati della Comune di Parigi l’avevano lasciata, gli operai russi generalizzavano nella pratica la forma di organizzazione che i comunardi avevano abbozzato: assemblee sovrane, centralizzazione attraverso delegati eleggibili e revocabili” (30).
A partire dal rovesciamento dello zarismo da parte degli operai si costituirono velocemente a Pietrogrado, a Mosca, a Jarkov, a Helsinfors, in tutte le città industriali Soviet dei delegati operai ai quali si unirono i delegati dei soldati ed, in seguito, dei contadini. Intorno ai soviet il proletariato e le masse sfruttate costituirono una rete infinita di organizzazioni di lotta, basate sulle assemblee, sulla libera discussione e decisione di tutti gli sfruttati: soviet di quartiere, consigli di fabbrica, comitati di soldati, comitati contadini... “Coprendo tutto il territorio russo, la rete dei consigli locali di deputati degli operai e dei soldati costituiva in qualche modo l’ossatura della rivoluzione” (31).
La “democrazia” borghese riduce la “partecipazione” delle masse all’elezione ogni 4 anni di qualcuno che fa quello di cui ha bisogno la borghesia; di fronte a ciò, i soviet costituiscono la partecipazione permanente, diretta, delle masse operaie che discutono in gigantesche assemblee generali e decidono su ogni questione che tocca la società. I delegati sono eletti e revocabili ogni momento ed essi assistono al Congresso con mandati definiti.
La “democrazia” borghese concepisce la “partecipazione” come la farsa dell’individuo libero che decide solo nell’urna. In effetti questo è la consacrazione dell’atomizzazione, dell’individualismo, del tutti contro tutti, il camuffamento della divisione in classi, il che favorisce la classe minoritaria e sfruttatrice. Al contrario, i soviet si basano sulla discussione e la decisione collettiva, ciascuno può sentire lo spirito e la forza dell’insieme e su questa base sviluppare tutte le sue capacità rafforzando a sua volta il collettivo. I soviet partono dall’organizzazione autonoma della classe lavoratrice per lottare in vista dell’abolizione delle classi.
Gli operai, i soldati e i contadini consideravano i soviet la propria organizzazione.
"Non solo gli operai e i soldati delle formidabili guarnigioni delle retrovie, ma anche il popolo variopinto delle città, gli artigiani,i piccoli commercianti, i piccoli funzionari, i cocchieri, i portieri, i domestici di tutti i tipi si tenevano lontano dal governo provvisorio e dai suoi uffici, cercavano un potere più vicino a loro, più accessibile. In numero sempre maggiore si presentavano al palazzo di Tauride delegati provenienti dalle campagne. Le masse affluivano nei soviet come sotto gli archi di trionfo della rivoluzione. Tutto ciò che era al di fuori dei soviet, restava in qualche modo tagliato fuori dalla rivoluzione e sembrava appartenere ad un altro mondo. Era proprio così: al di fuori dei soviet restava il mondo dei possidenti…” (32).
Niente poteva essere fatto in Russia senza i soviet: le delegazioni delle squadre del Baltico e del Mare Nero, dichiararono fin dal 16 marzo che avrebbero ubbidito solo agli ordini del governo provvisorio che fossero in accordo con le decisioni dei soviet. Il 172° reggimento è ancora più esplicito: “L’esercito e la popolazione devono sottoporsi solo alle decisioni del Soviet. Gli ordini del governo che contravvengono alle decisioni dei soviet non sono da eseguire” (33).
Guchkov, grande capitalista e ministro del governo provvisorio dichiarava: “Purtroppo il governo non dispone di un potere effettivo, le truppe, le ferrovie, la posta, il telegrafo, tutto è in mano ai Soviet e si può affermare che il governo provvisorio esiste solo nella misura in cui il soviet lo permette” (34).
La classe operaia, come classe che aspira alla trasformazione rivoluzionaria e cosciente del mondo, necessita di un organo che le permetta di esprimere tutte le sue capacità, tutte le sue tendenze, tutti i suoi pensieri: un organo estremamente dinamico che sintetizzi ad ogni momento l’evoluzione e l’avanzamento delle masse; un organo che non cada nel conservatorismo e la burocrazia che le permetta di respingere e di combattere ogni tentativo di confiscare il potere diretto della maggioranza. Un organo di lavoro dove le cose si decidono velocemente e in modo vivente, sebbene al tempo stesso in modo consapevole e collettivo, in modo che tutti si sentano coinvolti nella loro applicazione.
I soviet “Non accettavano affatto la teoria della divisione dei poteri e intervenivano nella direzione dell’esercito, nei conflitti economici, nelle questioni dei rifornimenti alimentari e dei trasporti, e persino nelle faccende giudiziarie. Sotto la pressione degli operai decretavano la giornata delle otto ore, eliminavano gli amministratori troppo reazionari, destituivano i più insopportabili commissari del governo provvisorio, procedevano ad arresti e a perquisizioni,proibivano i giornali ostili” (35).
Abbiamo visto come la classe operaia è stata capace di unirsi, di esprimere ogni sua energia creatrice, di agire in modo organizzata e cosciente, e, in fin dei conti, di elevarsi di fronte alla società come la classe rivoluzionaria che ha la missione di instaurare la nuova società, senza classi e senza Stato. Ma, per fare ciò, la classe operaia doveva distruggere il potere della classe nemica: lo Stato borghese incarnato dal governo provvisorio ed imporre il proprio potere: il potere dei soviet.
(dalla Révue Internationale n°71)
1. Trotsky, Storia della rivoluzione russa, cap. “Il proletariato ed i contadini”, ed. Mondadori
2. Trotsky, ibid., cap. “Dal 23 al 27 febbraio 1917”.
3. Trotsky, ibid.
4. Ana M.Pankratova, I consigli di fabbrica nella Russia del 1917.
5. Trotsky, Storia della rivoluzione russa
6. John Reed, I 10 giorni che sconvolsero il mondo.
7. Questa rivendicazione fu respinta dallo stesso partito bolscevico come utopica, astratta, ecc. quando, due mesi prima, veniva sostenuta da Lenin nelle sue “Tesi di aprile”.
8. Trotsky, Storia della rivoluzione russa, cap. “Le giornate di luglio”.
9. Tradotto dallo spagnolo: G. Soria, I 300 giorni della rivoluzione russa.
10. Trotsky, Storia della rivoluzione russa, cap. “La borghesia si misura con la democrazia…”
11. Trotsky, ibid., cap. “Il paradosso della rivoluzione di febbraio”.
12. Trotsky, ibid.
13. Marx-Engels, L’idéologia tedesca, cap. 1, “Feuerbach”.
14. Trotsky, Storia della rivoluzione russa, cap. “Raggruppamento nelle masse”.
15. John Reed, I 10 giorni che sconvolsero il mondo.
16. Trotsky, Storia della rivoluzione russa, cap. “Raggruppamento nelle masse”.
17. Rosa Luxemburg, Nell'ora rivoluzionaria, 2a parte.
18. Rosa-Luxemburg, Sciopero di massa, partito e sindacati
19. Trotsky, Storia della rivoluzione russa, cap. “Le giornate di luglio, preparazione ed inizio”.
20. Trotsky, ibid., cap. “L’uscita dal pre-parlamento”.
21. Trotsky, ibid., cap. “Chi diresse l’insurrezione di febbraio?”.
22. Engels, Prefazione del 1883 al Manifesto comunista.
23. Marx-Engels, Il manifesto comunista.
24. Trotsky, Storia della rivoluzione russa, cap. “Il comitato esecutivo”.
25. Marx-Engels, Il manifesto comunista.
26. Non si tratta nell’ambito di quest’articolo di discutere se la soluzione che i bolscevichi ed i soviet hanno alla fine dato alla questione agraria - la ripartizione delle terre - fu giusta o meno. Rosa Luxemburg l’ha criticata e l’esperienza ha dimostrato che non lo fu. Ma ciò non può nascondere l’essenziale e cioè che il proletariato ed i bolscevichi hanno posto seriamente la necessità di una soluzione dal punto di vista del potere del proletariato e dal punto di vista della lotta per la rivoluzione socialista.
27. Trotsky, Storia della rivoluzione russa, cap. “Il comitato esecutivo”.
28. Trotsky, ibid., cap. “L’esercito e la guerra”.
29. Trotsky, ibid., cap. “L'uscita dal pre-parlamento”.
30. Révolutione Internationale, n°190 “Il proletariato dovrà imporre la sua dittatura per condurre l’umanità all’emancipazione”.
31. O. Anweiler, I soviet in Russia.
32. Trotsky, Storia della rivoluzione russa, cap. “Il nuovo potere”.
33. Trotsky, ibid.
34. Trotsky, ibid.
35. Trotsky, ibid., cap. “La prima coalizione”.
L’Ottobre 1917 ci ha lasciato una lezione fondamentale: la borghesia non lascia via libera alla lotta rivoluzionaria delle masse operaie. Al contrario, cerca di sabotarla con tutti i mezzi. Oltre la repressione diretta, essa utilizza un’arma molto pericolosa: il sabotaggio dall’interno, esercitato dalle forze borghesi mascherate da “operaie” e “radicali” – allora i partiti “socialisti”, oggi i partiti di “sinistra” e di “estrema sinistra”, e i sindacati.
Questo sabotaggio ha costituito la principale minaccia per la rivoluzione iniziata a febbraio: il sabotaggio dei soviet da parte dei partiti socialtraditori che tenevano in piedi l’apparato di Stato borghese. In questo articolo affronteremo questo problema e gli strumenti con i quali il proletariato è riuscito a risolverlo: il rinnovamento dei Soviet, il Partito bolscevico, l’insurrezione.
La borghesia presenta la Rivoluzione di febbraio come un movimento per la democrazia violentato dal colpo di Stato bolscevico. Le sue leggende consistono nell’opporre Febbraio ad Ottobre, presentando il primo come un’autentica “festa democratica” e il secondo come un colpo di Stato “contro la volontà popolare”.
Questa menzogna è il prodotto della rabbia della borghesia di fronte agli avvenimenti tra il febbraio e l’ottobre che non hanno seguito lo schema sperato. La borghesia pensava che una volta passate le convulsioni che a febbraio avevano rovesciato lo Zar, le masse sarebbero rientrate a casa tranquillamente, lasciando i politici borghesi a dirigere alla loro maniera, legittimati di tanto in tanto da elezioni “democratiche”. Tuttavia il proletariato non abbocca all’amo, dispiega una immensa attività, prende coscienza della sua missione storica e si dà i mezzi per lottare: i Soviet. Ha inizio allora un periodo di doppio potere: “o la borghesia si impadronirà effettivamente del vecchio apparato di Stato, dopo averlo rimesso a nuovo per servire i suoi disegni, e allora i soviet dovranno scomparire; oppure i soviet costituiranno la base del nuovo Stato, avendo liquidato non solo il vecchio apparato, ma anche il dominio delle classi che se ne servivano” (1).
Per distruggere i soviet ed imporre l’autorità dello Stato, la borghesia utilizza la carta dei partiti menscevico e socialista-rivoluzionario, vecchi partiti operai che, con la guerra, erano passati nel campo borghese. All’inizio della rivoluzione di febbraio questi godevano d’una immensa fiducia tra gli operai di cui approfittano per accaparrarsi i soviet e servire da copertura alla borghesia: “Dove un ministro borghese non avrebbe potuto presentarsi a difendere il governo, dinanzi agli operai rivoluzionari o nei Soviet, là si presentava (o meglio: veniva inviato dalla borghesia) un ministro “socialista” – Skobelev, Tsereteli, Cernov o un altro – che adempiva coscienziosamente al compito di servire la borghesia, sudava sangue, difendeva il ministero, assolveva di tutto i capitalisti, ingannava il popolo ripetendogli di aspettare, di aspettare e di aspettare” (2).
A partire da febbraio comincia una situazione estremamente pericolosa per le masse operaie: esse lottano, con i bolscevichi in testa, per fermare la guerra, per la soluzione del problema agrario, per abolire lo sfruttamento capitalista e per questo hanno creato i Soviet dando loro una fiducia senza riserve. Eppure questi Soviet, nati dalle loro viscere, invasi dai demagoghi menscevichi o socialdemocratici negano ora le necessità più importanti.
Promettono mille volte la pace e lasciano che il governo provvisorio continui la guerra.
Il 27 marzo, il governo provvisorio tenta di scatenare l’offensiva dei Dardanelli, il cui obiettivo è la conquista di Costantinopoli. Il 18 aprile, Miliukov, ministro degli Affari esteri, ratifica con un famoso documento l’adesione della Russia alla banda dell’Intesa (Francia e Gran Bretagna). A maggio, Kerensky inizia una campagna sul fronte per sollevare il morale dei soldati e spingerli a battersi, arrivando a dire, colmo del cinismo, “avete la pace sulla punta delle vostre baionette”. Nuovamente in giugno ed in agosto, i socialdemocratici, in stretta collaborazione con gli odiosi generali zaristi, tentano di trascinare gli operai nella carneficina di guerra.
Inoltre questi demagoghi dei “diritti dell’uomo”, tentano di ristabilire una brutale disciplina militare nell’esercito restaurando la pena di morte e costringendo i Comitati dei soldati a non “mettersi al di sopra degli ufficiali”. Ad esempio, quando il Soviet di Pietrogrado decide in massa di pubblicare il famoso decreto n° 1, che proibisce le sevizie corporali sui soldati e difende i loro diritti e la loro dignità, i socialtraditori del Comitato esecutivo spediscono “…alla stampa, come antidoto, un appello ai soldati, che, pur avendo l’aria di condannare il linciaggio degli ufficiali, esigeva sottomissione dinanzi al vecchio ordine” (3).
Blaterano senza interruzione sulla “soluzione del problema agrario”, mentre lasciano intatto il potere dei proprietari e schiacciano le ribellioni contadine.
Hanno bloccato sistematicamente i pur timidi decreti sulla questione agraria - ad esempio, quello che proibisce il trasferimento delle terre - restituendo le terre occupate spontaneamente dai contadini ai loro ex padroni; hanno represso i sollevamenti contadini con il sangue ed il fuoco inviando spedizioni punitive. Hanno restaurato l’impiego della frusta nei villaggi. Bloccano l’applicazione della giornata lavorativa di 8 ore e permettono ai proprietari di smantellare le imprese. Hanno lasciato che i proprietari sabotassero la produzione con l’obiettivo, da un lato, di affamare gli operai e, dall’altro, di disperderli e demoralizzarli: “Approfittando della produzione capitalista moderna e della sua relazione stretta con le banche internazionali e nazionali, come pure con le organizzazioni del capitale unificato (sindacati patronali, trust, etc.), i capitalisti cominciarono ad applicare un sistema di sabotaggio di grande portata e minuziosamente calcolato. Non arretrarono dinanzi ad alcun mezzo, cominciando con l’assenza di amministrazione delle fabbriche, la disorganizzazione artificiale della vita industriale, lo stoccaggio o la scomparsa delle materie prime, e finendo con la chiusura di fabbriche private delle risorse (...)” (4).
Scatenano una terribile repressione contro le lotte operaie.
“A Kharkov, 30.000 minatori s’organizzarono, prendendo come massima il preambolo degli statuti dell’I.W.W.” (Industrial Woekers of the World, Lavoratori Industriali del Mondo): “Non c’è nulla in comune tra la classe dei lavoratori e la classe dei datori di lavoro”. “I cosacchi li dispersero; alcuni proprietari di miniere dichiararono la serrata ed il resto dei minatori proclamò lo sciopero generale. Il ministro del commercio e dell’industria, Konovalov, incaricò il suo assistente, Orlov, fornito dei pieni poteri, di porre fine ai disordini. Orlov era odiato dai minatori. Lo Zik (5), non solo ne approvò la missione, ma rifiutò anche di domandare che i cosacchi fossero ritirati dal bacino del Donetz” (6).
Seminano l’illusione tra le masse con vuote parole sulla “democrazia rivoluzionaria”, mentre sabotano con tutti i mezzi i Soviet.
Hanno provato a liquidare i Soviet dall’interno: non rispettando gli accordi, relegando in secondo piano le riunioni plenarie a profitto della cospirazione del “comitato ristretto”, cercando di dividere le masse sfruttate e di provocare scontri: “Fin da aprile, i menscevichi ed i socialisti-rivoluzionari avevano iniziato a fare appello alla provincia contro Pietrogrado, ai soldati contro gli operai, alla cavalleria contro i mitraglieri. Avevano dato alle compagnie una rappresentazione nei Soviet più favorita di quella delle fabbriche; avevano patrocinato le piccole imprese diffuse piuttosto che le fabbriche giganti della metallurgia. Rappresentando il passato di ieri, cercavano un appoggio nei ritardatari di qualsiasi specie. Perdendo colpi, stimolavano la retroguardia contro l’avanguardia” (7). Hanno fatto di tutto affinché i Soviet rendessero il potere agli “organi democratici”: gli Zemstva – organi locali d’origine zarista - e la conferenza “Democratica” di Mosca che si era tenuta in agosto, vero nido di vipere dove si erano riunite le forze “rappresentative” che comprendevano nobili, militari, anziani membri dei Cento Neri, cadetti, etc., tutte forze che hanno dato la loro benedizione al colpo di Stato militare di Kornilov. A settembre hanno fatto un nuovo tentativo per eliminare i soviet: la convocazione della Conferenza pre-democratica nella quale i delegati della borghesia e della nobiltà - le minoranze sfruttatrici odiate da tutti e che rappresentano solo se stesse – occupano, secondo l’espressa volontà dei socialtraditori, più di 683 posti di rappresentanti di fronte ai 230 posti dei delegati dei Soviet. Kerensky promette all’ambasciatore americano: “Faremo in modo che i soviet muoiano di morte naturale. Il centro di gravità della vita politica si sposterà progressivamente dai Soviet verso i nuovi organi democratici di rappresentanza autonoma”. I Soviet che chiedono la presa del potere vengono massacrati “democraticamente” dalla forza delle armi: “I bolscevichi, che avevano conquistato la maggioranza nei Soviet (di Kaluga), liberarono alcuni prigionieri politici. Con il consenso del commissario del governo, la Duma municipale fece arrivare le truppe da Minsk e bombardare con l’artiglieria la sede dei Soviet. I bolscevichi si arresero. Mentre essi abbandonavano l’edificio, i cosacchi li attaccarono gridando: «Ecco quello che capiterà a tutti i Soviet bolscevichi…” (8).
Gli operai vedono come i loro organi di classe vengono confiscati, snaturati e incatenati ad una politica che va contro i loro interessi. Ciò che, come abbiamo visto nella prima parte di questo opuscolo, aveva portato alle crisi politiche di aprile, di giugno e soprattutto di luglio, li spinge all’azione decisiva: rinnovare i soviet e prendere il potere. Come afferma Lenin i soviet sono “organi dove la fonte del potere è direttamente nelle mani delle masse popolari, alla base” (“Il dualismo di potere”). È questo che permette agli operai di cambiarli rapidamente appena si rendono conto che questi non rispondono più ai loro interessi. A partire dalla metà di agosto la vita dei soviet si accelera a un ritmo vertiginoso. Le riunioni di succedono giorno e notte, senza interruzione. Gli operai e i soldati discutono coscienziosamente, prendono decisioni, votano più volte al giorno. In questo clima d’intesa attività delle masse (9) numerosi soviet (Helsinfors, Urali, Kronstadt, Reval, flotta del Baltico, etc.) eleggono maggioranze rivoluzionarie formate da delegati bolscevichi, menscevichi internazionalisti, massimalisti, socialisti-rivoluzionari di sinistra, anarchici, etc.
Il 31 agosto, il soviet di Pietrogrado approva una mozione bolscevica. I suoi dirigenti – menscevichi e socialisti-rivoluzionari – rifiutano di applicarla e danno le dimissioni. Il 9 settembre, il soviet elegge una maggioranza bolscevica, seguito da quello di Mosca e, in seguito, da tutti quelli del paese. Le masse hanno i soviet di cui hanno bisogno e si preparano quindi a prendere il potere e ad esercitalo.
Il ruolo del partito bolscevico
In questa lotta delle masse per prendere il controllo delle loro organizzazioni contro il sabotaggio borghese, i bolscevichi giocarono un ruolo decisivo. Essi concentrarono la loro attività sullo sviluppo dei soviet. “La Conferenza dichiara ancora una volta che è indispensabile proseguire un lavoro sistematico in tutti i campi all’interno dei Soviet dei deputati operai e dei soldati, di aumentarne il numero, di accrescerne le forze e d’unire strettamente nel loro seno i gruppi proletari, internazionalisti, del nostro Partito” (10).
Questa attività aveva come asse centrale lo sviluppo della coscienza di classe: “è precisamente un paziente lavoro di chiarificazione della coscienza di classe del proletariato e di coesione dei proletari della città e della campagna” (11). I bolscevichi, da una parte, avevano fiducia nella capacità di critica e di analisi delle masse: “Ma, mentre l’agitazione dei menscevichi e dei socialrivoluzionari aveva un carattere dispersivo, contraddittorio, spesso elusivo, l’agitazione dei bolscevichi si distingueva per la sua natura meditata e concentrata. I conciliatori chiacchieravano per eludere le difficoltà, i bolscevichi le affrontavano. Una costante analisi della situazione, una verifica delle parole d’ordine sulla base dei fatti, un atteggiamento serio anche verso l’avversario poco serio, conferivano una forza particolare, un vigore persuasivo all’agitazione bolscevica” (12). D’altra parte essi avevano fiducia nelle loro capacità di unione e di autorganizzazione: “Non credete alle parole. Non lasciatevi ingannare con promesse. Non sopravvalutate le vostre forze. Organizzatevi in ogni fabbrica, in ogni reggimento ed in ogni compagnia, in ogni quartiere. Lavorate ad organizzarvi giorno dopo giorno, ora dopo ora (...)” (13).
I bolscevichi non pretendevano di sottomettere le masse a un “piano d’azione” precostituito, sollevando le masse come si solleva un esercito. Sapevano che la Rivoluzione è l’opera dell’azione diretta delle masse e che la loro missione politica era agire all’interno di quest’azione diretta. “La principale forza di Lenin consisteva nel comprendere la logica interna del movimento e regolava secondo questa la sua politica. Non imponeva il suo piano alle masse. Aiutava le masse ad elaborare e realizzare i loro piani” (14).
Il partito non sviluppava il suo ruolo d’avanguardia dicendo alla classe: “qui è la verità, inginocchiatevi”, al contrario, esso era attraversato da inquietudini e preoccupazioni che attraversavano tutta la classe e, come tale, benché in modo diverso, era esposto alle influenze deleterie dell’ideologia borghese. Assumeva il proprio ruolo di motore nello sviluppo della coscienza di classe attraverso una serie di dibattiti politici durante i quali superava gli errori e le insufficienze delle sue posizioni precedenti e si batteva a morte per eliminare le deviazioni opportuniste che potevano minacciarlo.
All’inizio di marzo un’importante parte dei bolscevichi propose di unirsi con i partiti socialisti (menscevichi e socialisti-rivoluzionari). La loro argomentazione, apparentemente giusta, in questi primi momenti di gioia generale e di inesperienza delle masse aveva un cero impatto: piuttosto che andare ciascuno per conto proprio, perché non unirsi, tutti i socialisti? Perché gettare confusione tra gli operai con due o tre partiti distinti che si richiamano tutti al proletariato e al socialismo? Ciò rappresentava una grave minaccia per la rivoluzione: il partito, che dal 1902 aveva lottato contro l’opportunismo ed il riformismo; che dal 1914 era stato il più conseguente, il più deciso ad opporre la rivoluzione internazionale alla prima guerra mondiale, correva il pericolo di diluirsi nelle acque torbide dei partiti “social-traditori”. Come il proletariato avrebbe superato le confusioni e le illusioni che restavano al suo interno? Come avrebbe combattuto le manovre e le trappole del nemico? Come avrebbe conservato la rotta della lotta nei momenti di debolezza o di sconfitta? Lenin e la base del partito lottarono contro questa falsa unità che, nei fatti, significava unirsi dietro la borghesia.
Il partito bolscevico era all’inizio fortemente minoritario. Molti operai conservavano ancora illusioni sul Governo provvisorio e lo vedevano come un’emanazione dei Soviet, mentre in realtà era il loro peggior nemico. Gli organi dirigenti dei bolscevichi assunsero in marzo-aprile un atteggiamento conciliante con il governo provvisorio finiva per essere un appoggio aperto alla guerra imperialista. Contro questa deviazione opportunista si sviluppò un movimento della base del partito (comitato di Vyborg) che trovò in Lenin e le sue Tesi d’Aprile la sua espressione più chiara. Per Lenin il problema di fondo era “Non appoggiare in alcun modo il governo provvisorio; dimostrare la completa falsità di tutte le sue promesse, soprattutto di quelle concernenti la rinuncia alle annessioni. Smascherare questo governo invece di ‘esigere’ (ciò che è inammissibile e semina illusioni) che esso, governo di capitalisti, cessi di essere imperialista” (15).
Lenin denunciava anche l’arma fondamentale dei menscevichi e dei socialisti-rivoluzionari contro i Soviet: “L’ ”errore” dei capi su menzionati sta nella loro posizione piccolo-borghese, sta nel fatto che essi offuscano la coscienza degli operai invece d’illuminarla, inculcano illusioni piccolo-borghesi invece di confutarle, consolidano l’influenza della borghesia sulle masse invece di liberarle da questa influenza” (16).
Contro quelli che giudicavano questa denunzia “poco pratica”, Lenin sosteneva: “In realtà questo è, più di ogni altro, un lavoro rivoluzionario pratico; perché non è possibile far progredire la rivoluzione, che si è fermata, che è soffocata dalle frasi, che “segna il passo”, non in conseguenza di un impedimento esteriore, non in seguito a violenze della borghesia (...), ma a causa della fiducia incosciente delle masse. Solo combattendo questa fiducia incosciente (non si può e non si deve combatterla che sul terreno delle idee, colla persuasione amichevole, con consigli basati sull’esperienza vissuta) noi possiamo liberarci della trionfante orgia di frasi rivoluzionarie e dare impulso reale allo sviluppo sia della coscienza proletaria, sia della coscienza delle masse, sia della loro iniziativa locale (...)” (17). Difendere l’esperienza storica del proletariato, mantenere vive le sue posizioni di classe, esige spesso di restare in minoranza fra gli operai. È così perché “(..) la massa esita tra la fiducia nei suoi vecchi padroni, i capitalisti, e la rabbia contro questi; tra la fiducia nella nuova classe, la sola animata da uno spirito rivoluzionario conseguente e che apre a tutti i lavoratori la via di un futuro radioso, - il proletariato - ed una coscienza ancora oscura del ruolo storico e mondiale di quest’ultimo” (18).
Per aiutare a superare queste debolezze “non è il numero che importa, ma l’espressione fedele delle idee e della politica del proletariato veramente rivoluzionario” (19).
Come ogni partito autenticamente proletario, il partito bolscevico era una parte integrante del movimento della classe. I suoi militanti erano i più attivi nelle lotte, nei Soviet, nei consigli di fabbrica, nelle assemblee e nelle riunioni. I giorni di luglio hanno messo in evidenza quest’impegno irremovibile del partito nei confronti della classe.
Come abbiamo già visto, la situazione alla fine di giugno diventava intollerabile a causa della fame, della guerra, del caos, del sabotaggio dei Soviet, della politica del comitato centrale nelle mani dei social-traditori, politica che consisteva nel non fare nulla, in complicità con la borghesia. Gli operai ed i soldati, soprattutto nella capitale, iniziavano a sospettare apertamente dei social-traditori. L’impazienza, la disperazione, la collera, diventavano ogni giorno più forti tra gli operai, spingendoli a prendere il potere con un’azione di forza. Tuttavia non c’erano ancora tutte le condizioni:
- gli operai ed i soldati delle province non erano allo stesso livello politico dei loro fratelli di Pietrogrado;
- i contadini avevano ancora fiducia nel governo provvisorio;
- l’idea dominante tra gli operai di Pietrogrado non era tanto prendere il potere ma piuttosto fare un’azione di forza per obbligare i dirigenti “socialisti” a “prendere realmente il potere”, cioè richiedere alla quinta colonna della borghesia di prendere il potere in nome degli operai.
In un tale situazione, lanciarsi nello scontro decisivo con la borghesia e i suoi sostenitori, significava imbarcarsi in un’avventura che poteva compromettere definitivamente il destino della rivoluzione. Era una scossa prematura che poteva concludersi con una sconfitta definitiva. Il partito bolscevico sconsigliò tale azione ma, vedendo che le masse non ne tenevano conto e continuavano ad avanzare, non si ritirò dicendo “sono affari vostri”. Il partito partecipò all’azione cercando, da una parte, di impedire che si trasformasse in un’avventura disastrosa e, d’altra parte, di fare in modo che gli operai traessero il maggior numero di lezioni per preparare l’insurrezione definitiva. Lottò con tutte le sue forze affinché fosse il Soviet di Pietrogrado, grazie ad una discussione approfondita e dotandosi dei dirigenti adeguati, a mettersi d’accordo sull’orientamento politico dominante nelle masse.
Tuttavia il movimento fallì e subì la sconfitta. La borghesia ed i suoi accoliti menscevichi e socialisti-rivoluzionari lanciarono una repressione violenta contro gli operai e soprattutto contro i bolscevichi. Questi pagarono un prezzo molto alto: prigione, processi, esilio. Ma questo sacrificio aiutò la classe, in modo decisivo, a limitare gli effetti della sconfitta subita e porre in modo più cosciente e più organizzato, dunque nelle migliori condizioni, il problema dell’insurrezione. Quest’impegno del partito verso la classe permise a partire da agosto, una volta passati i momenti peggiori della reazione borghese, lo sviluppo della piena armonia tra il partito e la classe, indispensabile per il trionfo della rivoluzione.
“Durante le giornate di febbraio, venne alla luce tutto il lavoro svolto in precedenza per lunghi anni dai bolscevichi, e gli operai avanzati, educati dal partito, trovarono il loro posto nella lotta; ma non c’era ancora una direzione immediata da parte del partito. Negli avvenimenti di aprile, le parole d’ordine del partito rivelarono la loro forza dinamica, ma il movimento come tale si sviluppò spontaneamente. In giugno, si manifestò l’enorme forza del partito, ma le masse marciavano ancora entro il quadro di una manifestazione ufficialmente organizzata dagli avversari. Solo in luglio, dopo aver sperimentato su se stesso la violenza della pressione delle masse, il partito bolscevico scende nelle piazze contro tutti gli altri partiti e determina la natura sostanziale del movimento non solo con le sue parole d’ordine, ma con la sua direzione organizzata. La funzione di una avanguardia dai ranghi serrati si rivela per la prima volta in tutta la sua portata nelle giornate di luglio, quando il partito -pagandolo a caro prezzo - preserva il proletariato da una disfatta, e garantisce l’avvenire della rivoluzione e il suo stesso avvenire” (20).
La situazione di doppio potere che prevalse nel periodo da febbraio ad ottobre fu una situazione instabile e pericolosa. La sua durata eccessiva, senza che nessuno delle due classi potesse imporsi, fu soprattutto dannosa al proletariato: se l’incapacità ed il caos che caratterizzavano la classe al potere accentuavano la sua mancanza di credibilità, al tempo stesso causavano lassismo e confusione nelle masse operaie, disgregavano le loro forze in combattimenti sterili, ed iniziavano ad intaccare la simpatia delle classi intermedie verso il proletariato. Perciò era necessario per il proletariato decidere di prendere il potere con l’insurrezione. “ (.. ) le grandi rivoluzioni (...) hanno una legge vitale: o andare avanti con uno slancio molto rapido e risoluto, eliminare con decisione tutti gli ostacoli e porsi obiettivi sempre più lontani, o essere rapidamente rigettate indietro al debole punto di partenza e schiacciate dalla controrivoluzione” (21).
L’insurrezione è un’arte. Richiede di essere compiuta ad un momento preciso nell’evolvere della situazione rivoluzionaria: né prematuramente, cosa che condurrebbe al fallimento, né troppo tardi, cosa che condurrebbe il movimento rivoluzionario, una volta passata l’opportunità, a disgregarsi, vittima della controrivoluzione.
All’inizio del mese di settembre la borghesia, attraverso Kornilov, tentò un colpo di Stato che costituì il segnale dell’offensiva finale della borghesia per rovesciare i Soviet e ristabilire interamente il suo potere. Il proletariato, con l’aiuto massiccio dei soldati, riuscì a far fallire la manovra, e ciò accelerò la decomposizione dell’esercito: i soldati di numerosi reggimenti si pronunciarono a favore della Rivoluzione espellendo gli ufficiali e organizzandosi in consigli di soldati.
Come abbiamo visto prima, il rinnovo dei Soviet, a partire dalla metà del mese di agosto, iniziava a far pendere il rapporto di forze chiaramente a favore del proletariato. La sconfitta del gruppo di Kornilov accelerò questo processo.
Da metà settembre una marea di risoluzioni che chiedevano la presa del potere dilagò dai Soviet locali e regionali (Kronstadt, Ekaterinoslav, etc.): il Congresso dei Soviet della regione Nord, riunitosi dall’11 al 13 ottobre, chiamò apertamente all’insurrezione. A Minsk, il Congresso regionale dei Soviet decise di sostenere l’insurrezione ed inviare truppe di soldati favorevoli alla rivoluzione. Il 12 ottobre “l’assemblea generale degli operai di una delle fabbriche più rivoluzionarie della capitale (Stary-Par-vyeinen) rispose agli attacchi incessanti della stampa borghese: ‘affermiamo fermamente che scenderemo in piazza quando giudicheremo ciò indispensabile. Non abbiamo timore della prossima lotta che si annuncia e crediamo fermamente che ne usciremo vincitori’ ” (22).
Il 17 ottobre, il Soviet dei soldati di Pietrogrado decise: “La guarnigione di Pietrogrado non riconosce più il governo provvisorio. Il nostro governo è il Soviet di Pietrogrado. Seguiremo soltanto gli ordini del Soviet di Pietrogrado, trasmessi dal suo Comitato militare rivoluzionario” (23). Il Soviet del distretto di Vyborg decise di fare una marcia per sostenere questa risoluzione alla quale si aggiunsero i marinai. Un giornale liberale di Mosca - citato da Trotsky - descrive così l’atmosfera nella capitale: “Nel quartieri, nelle fabbriche di Pietrogrado, Vevski, Obujov e Putilov, l’agitazione bolscevica per il sollevamento raggiunge il culmine . Lo stato d’animo degli operai è tale che sono pronti a mettersi in marcia in qualsiasi momento”. L’accelerazione delle rivolte contadine a settembre costituì un altro elemento della maturazione delle condizioni necessarie all’insurrezione: “Lasciar reprimere l’insurrezione contadina quando si hanno nelle proprie mani i Soviet delle due capitali, significa perdere, e perdere meritatamente, tutta la fiducia dei contadini, significa mettersi, agli occhi dei contadini, alla pari dei Liber-Dan e delle altre canaglie” (24).
Ma è a livello mondiale che si trova la chiave della rivoluzione. Lenin ha chiarito questo punto in “Lettera ai compagni bolscevichi del Congresso dei Soviet della regione Nord” (8-10-1917): “La nostra rivoluzione attraversa un periodo estremamente critico. Questa crisi coincide con la grande crisi di sviluppo della rivoluzione socialista mondiale e della lotta dell’imperialismo universale contro la rivoluzione. Un compito gigantesco incombe ai dirigenti responsabili del nostro partito; se non lo si adempie, il movimento proletario internazionalista rischia di andare incontro ad un fallimento totale. Il momento è così grave che ogni temporeggiamento equivale effettivamente alla morte”. In un’altra lettera precisa: “I bolscevichi non hanno il diritto di attendere il Congresso dei Soviet, devono prendere il potere immediatamente. Così facendo salvano la rivoluzione mondiale (altrimenti persisterà la minaccia di una transazione tra gli imperialisti di tutti i paesi che, dopo le esecuzioni in Germania, avranno delle compiacenze reciproche e si uniranno contro di noi); essi salvano la rivoluzione russa (diversamente l’ondata d’anarchia attuale può diventare più forte di noi)” (25).
Questa coscienza della responsabilità internazionale del proletariato russo non apparteneva solo a Lenin ed ai bolscevichi. Al contrario, molti settori operai condividevano questa coscienza.
- Il 1 maggio 1917, “ovunque in Russia, i prigionieri di guerra presero parte a manifestazioni al fianco dei soldati, sotto bandiere comuni, a volte intonando lo stesso inno in varie lingue (...). Il ministro cadetto Singarev, in una conversazione con i delegati delle trincee, difendeva l’ordinanza di Guckov contro una “indulgenza eccessiva” nei confronti dei prigionieri, alludendo a ‘gli atti di crudeltà da parte dei tedeschi’ (…). L’assemblea si pronunciò risolutamente per il miglioramento della sorte dei prigionieri” (26).
- “Un soldato del fronte rumeno, magro, tragico, appassionato gridò: “Compagni, al fronte noi moriamo di fame e di freddo. Ci si fa morire senza ragione. Prego i compagni americani di dire in America che i russi abbandoneranno la loro Rivoluzione solo quando saranno tutti morti. Noi difenderemo la nostra fortezza con tutte le nostre forze fino a che tutti i popoli si leveranno e ci verranno in aiuto. Dite agli operai americani di sollevarsi e di combattere per la rivoluzione sociale!” (27).
Il governo Kerenski provò a spostare i reggimenti più rivoluzionari di Pietrogrado, Mosca, Vladimir, Reval, ecc., verso il fronte o in regioni isolate per tentare di decapitare la lotta. A sostegno di questa misura la stampa liberale e menscevica scatenò una campagna di calunnie contro i soldati, trattandoli da “vigliacchi”, accusandoli “non di voler sacrificare la loro vita per la patria”, ecc.. Gli operai della capitale risposero immediatamente; numerose assemblee di fabbrica sostennero i soldati, richiedendo tutto il potere ai Soviet e adottando misure per armare gli operai. In questo contesto il Soviet di Pietrogrado decise, nella sua riunione del 9 ottobre, di istituire un Comitato militare rivoluzionario con l’obiettivo primario di controllare il governo, rapidamente trasformatosi in centro organizzatore dell’insurrezione. Questo Comitato raccoglieva rappresentanti del Soviet di Pietrogrado, del Soviet dei marinai, del Soviet della regione della Finlandia, del sindacato delle ferrovie, del Congresso dei consigli di fabbrica e delle Guardie rosse.
Queste ultime erano un corpo operaio: “si erano costituite per la prima volta durante la rivoluzione del 1905; riapparvero durante i giorni del febbraio 1917 dove una forza armata era necessaria per il mantenimento dell’ordine nella città. Allora, avendo ricevuto armi, tutti gli sforzi compiuti successivamente dal governo provvisorio per disarmarli restarono quasi inutili. Ad ogni grande crisi della rivoluzione, si vedono apparire nelle strade le guardie rosse, indisciplinate, senza addestramento militare, ma piene di ardore rivoluzionario” (28).
Appoggiandosi su questo raggruppamento di forze di classe, il Comitato militare rivoluzionario (CMR) convocò una conferenza dei comitati di reggimento che, il 18 ottobre, discussero apertamente la questione dell’insurrezione. Questa conferenza si pronunciò a grande maggioranza a favore, ad eccezione di due comitati che erano contro e altri due che si dichiararono neutrali (ci furono più di cinque reggimenti che non furono rappresentati alla conferenza). Con lo stesso spirito, la conferenza adottò una risoluzione a favore dell’armamento degli operai.
Questa risoluzione veniva già applicata nella pratica, gli operai in massa si erano recati agli arsenali dello Stato per richiedere che si consegnassero loro delle armi. Quando il governo proibì la consegna delle armi, gli operai ed i dipendenti dell’arsenale della fortezza Pietro e Paolo (roccaforte reazionaria) decisero di mettersi a disposizione del CMR e, in contatto con altri arsenali, organizzarono la consegna delle armi agli operai.
Il 21 ottobre, la Conferenza dei comitati di reggimento prese la risoluzione seguente: “1- La guarnigione di Pietrogrado e dintorni promette al Comitato militare rivoluzionario di appoggiarlo completamente in tutte le sue decisioni (…); 2- (...) La guarnigione si rivolge ai cosacchi: vi invitiamo alle nostre riunioni di domani. Benvenuti, fratelli cosacchi; 3- Il congresso panrusso dei Soviet deve prendere il potere(..). La guarnigione promette solennemente di mettere tutte le proprie forze a disposizione del Congresso. Contate su di noi, legittimi rappresentanti dei soldati, degli operai e dei contadini. Siamo tutti ai nostri posti, pronti a vincere o a morire” (29).
Possiamo vedere qui i tratti caratteristici dell’insurrezione operaia: l’iniziativa creativa delle masse, un’organizzazione semplice ed ammirevole, discussioni e dibattiti che danno luogo a risoluzioni che sintetizzano la coscienza acquisita dalle masse, il ricorso alla convinzione ed alla persuasione, l’appello ai cosacchi perché abbandonino la banda del Governo, o la riunione appassionata e drammatica dei soldati della fortezza Pietro e Paolo tenutasi il 23 ottobre che decide di obbedire soltanto al CMR. Tutte queste caratteristiche sono quelle di un movimento di emancipazione dell’umanità, dell’azione diretta, appassionata, creativa delle masse sfruttate.
Il giorno del 22 ottobre, su appello del Soviet di Pietrogrado, sigillò definitivamente l’insurrezione: riunioni ed assemblee si tennero in tutte le zone, in tutte le fabbriche, e furono in massa d’accordo: “Abbasso Kerenski”, “Tutto il potere ai Soviet”. Fu un atto gigantesco nel quale gli operai, gli impiegati, i soldati, numerosi cosacchi, donne e bambini, segnarono apertamente il loro impegno nell’insurrezione.
Non è possibile raccontare tutti i dettagli degli avvenimenti nel quadro di quest’articolo (rinviamo ai libri citati di Trotsky e di John Reed). Ciò che vogliamo mettere in luce è il carattere massiccio, aperto, collettivo dell’insurrezione: “L’insurrezione fu decisa, per così dire, per una data fissa: il 25 ottobre. Non fu fissata da una riunione segreta, ma apertamente e pubblicamente, e la rivoluzione trionfante ebbe luogo precisamente il 25 ottobre (6 novembre) come era stato previsto. La storia universale ha conosciuto un grande numero di sommosse e di rivoluzioni: ma cercheremmo invano un'altra insurrezione di una classe oppressa che sia stata fissata in anticipo e pubblicamente, con una data annunciata, e che sia stata compiuta vittoriosamente il giorno annunciato. In questo senso ed in numerosi altri, la rivoluzione di novembre è unica ed incomparabile” (30).
Fin da settembre i bolscevichi posero chiaramente la questione dell’insurrezione nelle assemblee di operai e di soldati, presero le posizioni più combattive e decise all’interno del CMR e della Guardia rossa. Andarono nelle caserme dove c’erano maggiori dubbi o erano favorevoli al Governo provvisorio, per convincere i soldati - il discorso di Trotsky fu determinante per convincere i soldati della fortezza Pietro e Paolo. Denunciarono senza tregua le manovre, le esitazioni, le trappole dei menscevichi. Lottarono per la convocazione del secondo Congresso dei Soviet contro il sabotaggio del social-traditori.
Tuttavia non furono i bolscevichi, ma tutto il proletariato di Pietrogrado che decise e fece l’insurrezione. I menscevichi ed i socialisti-rivoluzionari rifiutarono molte volte la convocazione del secondo Congresso dei Soviet. Fu la pressione delle masse, l’insistenza dei bolscevichi, la spedizione di migliaia di telegrammi dei Soviet locali che richiedevano questa convocazione che, infine, costrinse il Comitato esecutivo centrale - covo dei social-traditori - a convocarla per il 25 ottobre.
“Dopo la rivoluzione del 25 ottobre, i menscevichi, e soprattutto Martov, parlarono molto di usurpazione del potere alle spalle del Soviet e della classe operaia. È difficile immaginare una deformazione più vergognosa dei fatti. Quando abbiamo deciso a maggioranza, nel corso della riunione dei Soviet, la convocazione del secondo Congresso per il 25 ottobre, i menscevichi hanno detto: ‘voi avete deciso la rivoluzione’. Quando, con la schiacciante maggioranza del Soviet di Pietrogrado, noi abbiamo rifiutato di lasciare partire i reggimenti della capitale, i menscevichi hanno detto: ‘è l’inizio dell'insurrezione’. Quando abbiamo creato, nel Soviet di Pietrogrado, il CMR, i menscevichi hanno constatato: ‘è l’inizio dell’insurrezione armata’. Ma quando il giorno decisivo scoppiò l’insurrezione prevista da quest’organismo, creato e ‘scoperto’ molto prima, gli stessi menscevichi gridarono: ‘è una macchinazione di cospiratori che ha causato una rivoluzione alle spalle della classe’.” (31).
Il proletariato si diede i mezzi - armamento generale degli operai, formazione del CMR, insurrezione - per avere la forza necessaria affinché il congresso dei Soviet potesse prendere effettivamente il potere. Se il congresso dei Soviet avesse deciso “di prendere il potere” senza questa preparazione precedente, tale decisione sarebbe stata solo un inutile gesticolare facilmente disarticolabile da parte dei nemici della Rivoluzione. Non si può comprendere il Congresso dei Soviet come un fenomeno isolato, formale. Occorre capirlo in tutta la dinamica generale della classe e, concretamente, all’interno di un processo nel quale si sviluppavano le condizioni della rivoluzione su scala mondiale e dove, all’interno della Russia, un’infinità di Soviet locali chiamava alla presa del potere o lo prendeva effettivamente: è simultaneamente che a Pietrogrado, Mosca, Tula, negli Urali, in Siberia, ecc., i Soviet fecero trionfare l’insurrezione.
Il Congresso dei Soviet prese la decisione definitiva confermando la piena validità dell’iniziativa del proletariato di Pietrogrado: “appoggiandosi sulla volontà dell’immensa maggioranza degli operai, dei soldati e dei contadini, e sull’insurrezione vittoriosa degli operai e della guarnigione di Pietrogrado, il Congresso prende il potere. Il congresso decide: tutto il potere nelle località passa nelle mani dei Soviet dei deputati degli operai, dei soldati e dei contadini, destinati a garantire un ordine realmente rivoluzionario”.
AD.
1. Trotsky, “Storia della rivoluzione russa”, Vol. I, capitolo “Il dualismo di potere”.
2. Lenin, “Gli insegnamenti della rivoluzione”, punto VI. (“Le opere”).
3. Trotsky, op. cit. Vol I, capitolo “I dirigenti e la guerra”.
4. Ana M. Pankratova, “I consigli di fabbrica nella Russia del1917”, capitolo “Lo sviluppo della lotta tra il Capitale e il Lavoro e la prima Conferenza dei comitati di fabbrica”.
5. Zik: Comitato centrale esecutivo pan-russo dei soviet dei deputati operai e dei soldati.
6. J. Reed: “I dieci giorni che sconvolsero il mondo”.
7. Trotsky, op. cit., vol. II, capitolo “Le giornate di luglio”.
8. J. Reed, idem.
9. Noi non abbiamo mai negato gli errori commessi dal partito bolscevico, né la sua degenerazione e la sua trasformazione in colonna vertebrale dell’odiosa dittatura staliniana. Il ruolo del partito bolscevico così come la critica implacabile dei suoi errori e la sua degenerazione sono stati analizzati in diversi articoli della nostra Rivista Internazionale:
- “La degenerazione della Rivoluzione Russa” e “Le lezioni di Kronstadt” (n° 3)
- “La difesa del carattere proletario della Rivoluzione d’Ottobre” (n° 12 e 13).
La ragione essenziale della degenerazione dei partiti e delle organizzazioni politiche del proletariato sta nel peso dell’ideologia borghese tra i loro ranghi, che crea costantemente delle tendenze all’opportunismo e al centrismo (vedi “Risoluzione sul centrismo e l’opportunismo”, Revue Internationale n° 44).
10. “Risoluzione sui Soviet dei deputati operai e soldati adottato alla VII conferenza bolscevica di tutta la Russia”, aprile 1917.
11. idem
12. Trotsky, op. cit. Vol. II, capitolo “I bolscevichi e i soviet”.
13. Lenin, “Introduzione alla Conferenza d'aprile 1917”.
14. Trotsky, op. cit., Vol. I, capitolo “Il riarmo del partito”.
15. Lenin, “I compiti del proletariato nella rivoluzione attuale”, tesi 3.
16. Lenin, “Il dualismo del potere”.
17. Lenin, “I compiti del proletariato nella nostra rivoluzione”, tesi 7.
18. Lenin, “Gli insegnamenti della crisi”, aprile 1917.
19. Lenin, “I compiti del proletariato …” , tesi 17.
20. Trotsky, op. cit., Vol. II, capitolo “I bolscevichi avrebbero potuto prendere il potere in luglio?”.
21. Rosa Luxemburg, “La Rivoluzione Russa”.
22. Trotsky, op. cit., Vol II, capitolo “Il Comitato militare rivoluzionario”.
23. J.Reed, op. cit.
24. Lenin, “La crisi è matura”, VI parte.
25. “Lettera al Comitato Centrale”, 1 ottobre 1917.
26. Trotsky, op. cit., Vol. II, capitolo “Il gruppo dirigente e la guerra”.
27. J. Reed, op. cit.
28. J. Reed, op. cit.
29. Citato da Trotsky, op. cit., Vol. II, capitolo “Il Comitato militare rivoluzionario”.
30. Trotsky, “La rivoluzione di novembre”, 1919.
31. Trotsky, idem.
Certi storici al soldo del capitale sono pieni di elogi ipocriti per “l’iniziativa” e “lo slancio rivoluzionario” degli operai e dei loro organi di lotta di massa, i consigli operai. Sono traboccanti di comprensione per la disperazione degli operai, dei soldati e dei contadini provati dalla “grande guerra”. Soprattutto questi signori si spacciano per i difensori della “vera rivoluzione russa” contro la sua pretesa distruzione da parte dei bolscevichi. In altri termini, la borghesia attacca la rivoluzione russa mettendo al centro una falsa contrapposizione tra il febbraio e l’ottobre ‘17, una contrapposizione tra l’inizio e la conclusione della lotta per il potere che è l’essenza di ogni grande rivoluzione.
Quando la borghesia ricorda il carattere esplosivo, di massa e spontaneo delle lotte che iniziano nel febbraio ‘17, cioè gli scioperi di massa, i milioni di persone che occupano la strada, le esplosioni di euforia pubblica, fino alle stesse dichiarazioni di Lenin sulla Russia di quell’epoca considerata il paese più libero sulla terra, vi oppone poi gli avvenimenti d’ottobre in cui ci sarebbe stata poca spontaneità, dove gli avvenimenti sarebbero stati pianificati in anticipo, senza alcuno sciopero, senza manifestazioni di piazza né assemblee di massa durante l’insurrezione, quando il potere sarebbe stato preso grazie all’azione di alcune migliaia di uomini in armi nella capitale sotto il comando di un comitato rivoluzionario direttamente ispirato dal partito bolscevico. Questo non prova forse che l’ottobre non è altro che un golpe bolscevico? Un golpe contro la maggioranza della popolazione, contro la classe operaia, contro la storia, contro la stessa natura umana? E tutto ciò, ci dicono, è la conseguenza di una “pazza utopia marxista” che poteva sopravvivere solo con il terrore e che ha portato direttamente allo stalinismo.
Secondo la classe dominante il proletariato nel 1917 non voleva niente di più di quello che il regime di febbraio gli aveva promesso: una “democrazia parlamentare”, con l’impegno di “rispettare i diritti dell’uomo” ed un governo che, pur continuando la guerra, si dichiarava anche lui “a favore” di una pace veloce “senza annessioni”. In altri termini, la borghesia vuol farci credere che il proletariato russo si batteva per ottenere la stessa situazione miserabile che il proletariato moderno subisce oggi! Ci assicurano che se il regime di febbraio non fosse stato rovesciato in ottobre, la Russia oggi sarebbe un paese potente e “prospero” come gli Stati Uniti e lo sviluppo del capitalismo del XX secolo sarebbe stato pacifico.
Questa ipocrita difesa del carattere “spontaneo” degli avvenimenti di febbraio esprime in realtà l’odio e la paura per la rivoluzione di ottobre da parte degli sfruttatori di tutti i pesi. La spontaneità dello sciopero di massa, l’assembramento di tutto il proletariato nelle strade e le assemblee generali, la formazione dei consigli operai nel fuoco della lotta sono dei momenti essenziali della lotta di emancipazione della classe operaia. Come notava Lenin “Che la spontaneità di un movimento sia un indice della sua profonda penetrazione nelle masse, della solidità delle sue radici, dell’impossibilità ad allontanarlo, questo è certo” (1). Ma finché la borghesia resta la classe dominante, finché le armi politiche e repressive dello Stato capitalista restano intatte, le è sempre possibile bloccare, neutralizzare e dissolvere quelle del suo nemico di classe. I consigli operai, questi potenti strumenti della lotta operaia che sorgono più o meno spontaneamente, non sono tuttavia né la sola né necessariamente la più alta espressione della rivoluzione proletaria. Essi predominano nelle prime tappe del processo rivoluzionario. La borghesia controrivoluzionaria li porta alle stelle proprio per fare passare l’inizio della rivoluzione per il suo punto culminante, per il suo punto di arrivo, perché sa che è più facile distruggere una rivoluzione che si ferma a metà strada.
Ma la rivoluzione russa non si è fermata a metà strada. Andando fino in fondo, finendo ciò che aveva iniziato nel febbraio, ha espresso la capacità della classe operaia di costruire pazientemente, consapevolmente, collettivamente, quindi non solo “spontaneamente” ma in modo deliberato, pianificato, strategico, gli strumenti di cui ha bisogno per impossessarsi del potere: il suo partito marxista di classe, i suoi consigli operai galvanizzati da un programma di classe ed una reale volontà di dirigere la società, così come gli strumenti specifici e la strategia dell’insurrezione proletaria. L’essenza della rivoluzione proletaria sta nell’unità tra le lotte politiche di massa e la presa militare del potere, tra la spontaneità e la pianificazione, tra i consigli operai ed il partito di classe, tra l’azione di milioni di lavoratori e quella delle audaci minoranze d’avanguardia della classe. E’ questa unità che oggi la borghesia mira a distruggere con le calunnie contro il bolscevismo e l’insurrezione di ottobre. La distruzione dello Stato borghese, il capovolgimento del dominio della classe borghese, l’inizio della rivoluzione mondiale, questa è stata la gigantesca realizzazione dell’ottobre ‘17, vale a dire il capitolo più importante, il più cosciente e più audace della storia dell’umanità fino ad oggi. Ottobre ha ridotto in briciole secoli di schiavitù generata dalla società divisa in classi, dimostrando che con il proletariato esiste, per la prima volta nella storia, una classe che è nello stesso tempo sfruttata e rivoluzionaria. Una classe che è capace di dirigere la società, di abolire il dominio di classe, di liberare l’umanità dalle sue catene “preistoriche” a dalle forze sociali cieche. Per questo la classe dominante all’epoca, ed oggi più che mai, scarica carrettate di menzogne e di calunnie sull’ottobre rosso, l’avvenimento “più odiato” della storia moderna ma che in realtà è l’orgoglio della classe proletaria cosciente. Vogliamo dimostrare che l’insurrezione di ottobre, che gli scribacchini prostituiti al capitale, chiamano “golpe”, è stato il punto culminante, non solo della rivoluzione russa, ma di tutta la lotta della nostra classe fino ad oggi. Come Lenin scriveva nel 1917: “L’odio selvaggio che ci porta la borghesia dimostra nella maniera più concreta questa verità, che noi mostriamo correttamente al popolo le vie ed i mezzi che permetteranno di mettere fine al dominio della borghesia” (2).
Il 10 ottobre 1917, Lenin, l’uomo più ricercato nel paese, perseguitato dalla polizia in tutti gli angoli della Russia, si presenta all’assemblea del Comitato centrale del partito bolscevico a Pietrogrado, travestito con una parrucca e degli occhiali, e propone la seguente risoluzione scritta su una pagina di quaderno: “Il Comitato Centrale riconosce che sia la situazione internazionale (ammutinamento della flotta in Germania come manifestazione estrema del maturare in tutta l’Europa della rivoluzione socialista mondiale e minaccia di pace da parte degli imperialisti allo scopo di soffocare la rivoluzione in Russia), sia la situazione militare (indubbia decisione della borghesia russa, di Kerensky e soci, di consegnare Pietrogrado ai tedeschi) – tutto questo in connessione con la rivolta contadina e con l’orientarsi del favore popolare verso il nostro partito (elezioni a Mosca) e infine l’evidente preparazione di una seconda avventura korniloviana (allontanamento delle truppe di Pietrogrado, spedizione di Cosacchi a Pietrogrado, accerchiamento di Minsk da parte dei Cosacchi, ecc.)- tutto ciò pone all’ordine del giorno l’insurrezione armata. Riconoscendo che l’insurrezione armata è inevitabile e che è completamente matura, il Comitato centrale invita tutte le organizzazioni del partito a orientarsi in questo senso, a discutere e a risolvere partendo da questo punto di vista tutti i problemi pratici (congresso dei soviet della regione del Nord, allontanamento delle truppe di Pietrogrado, movimenti delle truppe di Mosca e di Minsk, ecc.)”(3).
Esattamente quattro mesi prima, il partito bolscevico aveva frenato deliberatamente lo slancio combattivo degli operai di Pietrogrado che, provocati dalla classe dominante, rischiavano di cadere nella trappola di uno scontro prematuro ed isolato con lo Stato. Una tale situazione avrebbe significato la decapitazione del proletariato russo nella capitale ed il suo partito di classe sarebbe stato decimato (vedi l’articolo “Le giornate di luglio”). Il Partito una volta superate le esitazioni interne, si impegna fermamente, come scrive Lenin nel suo famoso articolo “La crisi è matura”, “a mobilitare tutte le forze per inculcare agli operai ed ai soldati l’idea dell’assoluta necessità di una lotta accanita, estrema, decisiva per il capovolgimento del governo di Kerensky”. Il 29 settembre dichiarava: “La crisi è matura. Tutto l’onore del partito bolscevico è in gioco. Tutto l’avvenire della rivoluzione operaia internazionale per il socialismo è in gioco”.
Ciò che spiega il nuovo atteggiamento del partito, completamente differente in ottobre rispetto a quello di luglio, è contenuto nella risoluzione su citata, è l’audacia e la brillante chiarezza del marxismo. Il punto di partenza, come sempre per il marxismo, è l’analisi della situazione internazionale, la valutazione del rapporto di forze tra le classi e i bisogni del proletariato mondiale. La risoluzione sottolinea che, a differenza di luglio, il proletariato russo non è più solo, che la rivoluzione mondiale è iniziata nei paesi centrali del capitalismo. “L’ascesa della rivoluzione mondiale è incontestabile. L’esplosione di rivolta degli operai cechi è stata soffocata con una crudeltà incredibile che manifesta il panico del governo. In Italia, si è arrivati a un’esplosione delle masse a Torino. Ma il fatto più importante è l’ammutinamento della flotta tedesca” (4). La classe operaia russa ha la responsabilità non solo di cogliere l’opportunità di rompere l’isolamento internazionale imposto fino a quel momento dalla guerra mondiale ma, sopratutto, di propagare la fiamma dell’insurrezione in Europa occidentale iniziando la rivoluzione mondiale.
Contro la minoranza del proprio partito, che fa da eco all’argomentazione pseudo-marxista dei menscevichi, in realtà controrivoluzionaria, secondo la quale la rivoluzione deve iniziare in un paese più avanzato, Lenin mostra che le condizioni in Germania sono in effetti molto più difficili che in Russia e che il reale significato dell’insurrezione in Russia sta nel fatto che questa aiuterebbe il sorgere della rivoluzione in Germania: “... nelle condizioni penose, infernali, con il solo Liebknecht (per di più chiuso nel penitenziario), senza giornali, senza libertà di riunioni, senza Soviet, nel pieno dell’ostilità incredibile di tutte le classi della popolazione - fino all’ultimo contadino agiato - rispetto all’idea dell’internazionalismo, malgrado l’organizzazione superiore della grande, media e piccola borghesia imperialista, i tedeschi, e cioè i rivoluzionari internazionalisti tedeschi, gli operai che portano la giubba da marinaio, hanno scatenato un ammutinamento della flotta quando avevano forse solo una possibilità su cento. E noi, che abbiamo dozzine di giornali, la libertà di riunione, che abbiamo la maggioranza nei Soviet, noi che in confronto agli internazionalisti proletari del mondo intero abbiamo le migliori condizioni, noi negheremmo di sostenere attraverso la nostra insurrezione i rivoluzionari tedeschi. Ragioneremmo come gli Scheidemann e i Renaudel: la cosa più saggia è non sollevarci perché se ci fucilano tutto il mondo perderà degli internazionalisti di una così bella tempra, così sensati, così perfetti!! Diamo prova del nostro buonsenso. Adottiamo una risoluzione di simpatia verso gli insorti tedeschi e rinunciamo all’insurrezione in Russia. Ciò sarà vero internazionalismo, ponderato e calmo” (5).
Questo punto di vista ed il metodo internazionalista, esatto opposto della visione borghese nazionalista dello stalinismo che si è sviluppata a partire dalla controrivoluzione che è seguita, non appartiene esclusivamente al partito bolscevico, ma è il livello comune agli operai della Russia maturati all’educazione politica marxista. All’inizio di ottobre i marinai rivoluzionari della flotta del Baltico lanciano ai quattro angoli della terra, dalle radio delle loro navi, il seguente appello: “In questo momento in cui le onde sono rosse del sangue dei nostri fratelli, facciamo sentire la nostra voce:... Popoli oppressi del mondo intero, sventolate la bandiera della rivolta!”. Tuttavia, la valutazione dei bolscevichi del rapporto di forze tra le classi a scala mondiale non si limita ad esaminare lo stato del proletariato internazionale ma esprime anche una visione chiara della situazione globale della classe nemica. Basandosi sempre su una profonda conoscenza della storia del movimento operaio, i bolscevichi sanno molto bene che la borghesia imperialista anche in piena guerra mondiale, come ha dimostrato l’esempio della Comune di Parigi del 1871, potrebbe unire le sue forze contro la rivoluzione.
“L’inerzia totale della flotta inglese in generale, e dei sottomarini inglesi al momento della presa dell’isola di Oesel da parte dei tedeschi, se la si rapporta al piano del governo per trasferirsi da Pietrogrado a Mosca, non dimostra forse che è stato tramato un complotto tra gli imperialisti russi ed inglesi, tra Kerensky e i capitalisti anglo-francesi per consegnare Pietrogrado ai tedeschi e per soffocare così la rivoluzione russa?” chiede Lenin ed aggiunge: “La risoluzione della sezione dei soldati del Soviet di Pietrogrado contro il trasferimento del governo ha mostrato che, anche tra i soldati, matura la convinzione che esiste un complotto Kerensky” (6). In agosto, sotto Kerensky e Kornilov, Riga la rivoluzionaria era già stata consegnata agli artigli dell’imperatore Guglielmo II. Le prime voci di un’eventuale pace separata tra la Gran Bretagna e la Germania contro la rivoluzione russa preoccupano Lenin. Lo scopo dei bolscevichi non è la “pace”, ma la rivoluzione perché sanno, da veri marxisti, che un cessate il fuoco capitalista può essere solo un intervallo tra due guerre mondiali. E’ questa visione penetrante, comunista dell’inevitabile sprofondamento nella barbarie che il capitalismo decadente riserva all’umanità, che ha spinto il bolscevismo ad una corsa contro il tempo per porre fine alla guerra con gli strumenti proletari, rivoluzionari. Allo stesso tempo, i capitalisti cominciano a sabotare dappertutto e sistematicamente la produzione per screditare la rivoluzione. Tuttavia tutti questi avvenimenti contribuiscono alla fine anche a distruggere, agli occhi degli operai, il mito patriottico della “difesa nazionale” secondo cui la borghesia ed il proletariato di una stessa nazione avrebbero un interesse comune a respingere “l’aggressore” straniero. Ciò spiega anche perché in ottobre la preoccupazione dei lavoratori non è più scatenare scioperi, ma piuttosto salvaguardare la produzione in corso di fronte allo smembramento delle “proprie” fabbriche da parte della borghesia.
Tra i fattori decisivi nello spingere la classe operaia all’insurrezione, c'è il fatto che la rivoluzione viene minacciata da nuovi attacchi controrivoluzionari ma anche che gli operai, in particolare nei principali soviet, sostengono fermamente i bolscevichi. Questi due fattori sono il risultato diretto del più importante scontro di massa tra borghesia e proletariato tra il luglio e l’ottobre del 1917: il golpe di Kornilov in agosto. Il proletariato, sotto la direzione dei bolscevichi, aveva fermato la marcia di Kornilov sulla capitale soprattutto disfacendo le sue truppe, sabotando i sistemi di trasporto e la loro logistica grazie agli operai delle ferrovie, delle poste e di altri settori. Durante quest’azione, in cui i soviet avevano ripreso vita in quanto organizzazione rivoluzionaria di tutta la classe, gli operai scoprirono che il governo provvisorio di Pietrogrado, sotto la direzione del socialista-rivoluzionario Kerensky e dei menscevichi, era implicato nel complotto contro-rivoluzionario. A partire da quel momento, gli operai compresero che questi partiti erano diventati una vera e propria “ala sinistra del capitale” e iniziarono a radunarsi dietro i bolscevichi.
“Tutta l’arte tattica consiste nell’afferrare il momento in cui la totalità delle condizioni è tra le più favorevoli. Il sollevamento di Kornilov aveva creato queste condizioni. Le masse che avevano perso fiducia nei partiti della maggioranza dei soviet, hanno visto il pericolo concreto della contro-rivoluzione. Credevano in quello che i bolscevichi reclamavano all’epoca per respingere questo pericolo” (7).
Il test più chiaro che prova le qualità rivoluzionarie di un partito operaio è la sua capacità a porre la questione della presa del potere. “L’adattamento più gigantesco è quando il partito proletario deve passare dalla preparazione, dalla propaganda, dall’organizzazione, dall’agitazione alla lotta immediata per il potere, all’insurrezione armata contro la borghesia. Tutto ciò che esiste nel partito come elemento indeciso, scettico, opportunista, menscevico, prende posizione contro l’insurrezione” (8).
Il partito bolscevico supera questa prova implicandosi in prima persona nella lotta armata per il potere, dando prova così di qualità rivoluzionarie senza precedenti.
Nel febbraio 1917 si produce quella che viene definita una situazione di “doppio potere”. Accanto allo Stato borghese ed opponendosi ad esso, i consigli operai appaiono come un’alternativa, come un governo potenziale della classe operaia. Poiché due poteri, di due classi nemiche, in opposizione tra loro, non possono coesistere e poiché uno deve distruggere necessariamente l’altro per potersi imporre sulla società, un periodo di “doppio potere” è obbligatoriamente estremamente breve ed instabile. Una tale fase non è certo caratterizzata dalla “coesistenza pacifica” e la tolleranza reciproca. Può avere un’apparenza di equilibrio sociale, ma in realtà è una tappa decisiva nella guerra civile tra lavoro e capitale.
Per poter presentare la rivoluzione di ottobre come un “golpe bolscevico” la borghesia deve falsificare necessariamente la storia camuffando la lotta a morte tra le classi che ha avuto luogo tra febbraio ed ottobre 1917. Il protrarsi “anomalo” di questo periodo di “doppio potere” avrebbe implicato necessariamente la fine della rivoluzione e dei suoi organi. Il Soviet “non può essere che un organo insurrezionale, un organo del potere rivoluzionario. Altrimenti i soviet non sono che giocattoli inutili che conducono infallibilmente all’apatia, all’indifferenza, allo scoraggiamento delle masse legittimamente nauseate dalla ripetizione continua di risoluzioni e proteste”(9). Se l’insurrezione proletaria non è stata più spontanea di un colpo di Stato militare controrivoluzionario, durante i mesi che hanno preceduto ottobre entrambe le classi hanno espresso più volte la tendenza spontanea a lottare per il potere. Le giornate di luglio ed il golpe di Kornilov ne sono state le più chiare manifestazioni. In realtà l’insurrezione di ottobre non è iniziata con il segnale dato dal partito bolscevico, ma con il tentativo del governo borghese di mandare al fronte le truppe più rivoluzionarie, i due terzi della guarnigione di Pietrogrado, e di sostituirle nella capitale con i battaglioni contro-rivoluzionari. In altri termini, la borghesia fa un nuovo tentativo, poche settimane dopo Kornilov, per schiacciare la rivoluzione, e in risposta il proletariato prende delle misure insurrezionali per salvarla.
“Di fatto, il risultato del sollevamento del 25 Ottobre era stato per tre quarti, se non di più, decisivo dal momento in cui abbiamo rifiutato lo spostamento delle truppe, formato il Comitato Militare Rivoluzionario (16 Ottobre,) nominato i nostri commissari in tutte le organizzazioni e formazioni della truppa, isolando così completamente non solo il comando del distretto militare di Pietrogrado, ma il governo. A partire dal momento in cui i battaglioni, sotto gli ordini del Comitato Militare Rivoluzionario, rifiutano di lasciare la città, e non la lasciano, abbiamo un’insurrezione vittoriosa nella capitale” (10).
Inoltre, questo Comitato militare rivoluzionario che conduce le azioni militari decisive del 25 ottobre, lungi dall’essere un organo del partito bolscevico, viene originariamente proposto dai partiti controrivoluzionari di “sinistra” come strumento per imporre il ritiro delle truppe rivoluzionarie dalla capitale che sono sotto l’autorità dei soviet; immediatamente però il soviet lo trasforma in uno strumento per opporsi a questa misura e per organizzare la lotta per il potere.
“No il potere dei soviet non era una chimera, una costruzione arbitraria, l’invenzione di teorici di partito. Esso montava irresistibilmente dal basso, dal disastro economico, dall’impotenza dei possidenti, dal bisogno delle masse; i soviet diventavano in realtà il potere per gli operai, i soldati, i contadini, non c’erano altre vie. A proposito del potere dei soviet, già non era più tempo di cercare dei ragionamenti e delle obiezioni: bisognava realizzarlo” (11). La leggenda di un golpe bolscevico è una delle più grosse menzogne della storia. L’insurrezione viene annunciata pubblicamente e in anticipo ai delegati rivoluzionari eletti. L’intervento di Trotsky alla Conferenza della guarnigione di Pietrogrado il 18 ottobre ne è la prova: “La borghesia sa che il soviet di Pietrogrado proporrà al Congresso dei soviet di prendere in mano il potere... Prevedendo l’inevitabile battaglia, le classi borghesi si sforzano di disarmare Pietrogrado… Al primo tentativo della controrivoluzione per sopprimere il Congresso, risponderemo con una controffensiva che sarà implacabile e che spingeremo fino in fondo”. Il punto 3 della risoluzione adottata dalla Conferenza della guarnigione dice: “Il Congresso panrusso dei soviet deve prendere il potere e deve assicurare la pace, la terra ed il pane al popolo” (12). Per assicurarsi che tutto il proletariato sostenga la lotta per il potere, questa conferenza decide per una sfilata pacifica da tenersi a Pietrogrado prima del congresso dei soviet e sulla base di assemblee di massa e dibattiti. “Decine di migliaia di persone sommergevano l’enorme edificio della Casa del Popolo... Sui pali di ghisa ed alle finestre, erano sospese ghirlande, grappoli di teste umane, gambe, braccia. C’era nell’aria quella carica di elettricità che annuncia una prossima burrasca. Abbasso! Abbasso la guerra! Il potere ai Soviet! Neanche uno dei conciliatori osò mostrarsi davanti a queste folle ardenti per opporre loro delle obiezioni o degli avvertimenti. La parola apparteneva ai Bolscevichi” (13). Trotsky aggiunge: “L’esperienza della rivoluzione, della guerra, della dura lotta, di tutta un’amara vita, risale dalla profondità della memoria di ogni uomo schiacciato dal bisogno e si fissa in queste parole d’ordine semplici ed imperiose. Non si può continuare così, bisogna aprire una breccia verso l’avvenire”.
Il Partito non ha inventato “la volontà di prendere il potere” delle masse. Ma l’ha ispirata e ha dato fiducia alla classe nella sua capacità a governare. Come Lenin ha scritto dopo il golpe di Kornilov: “Che coloro che hanno poco fiducia apprendano da questo esempio. Vergogna per coloro che dicono “noi non abbiamo una macchina da sostituire alla vecchia che gira inesorabilmente per la difesa della borghesia”. Perché abbiamo una macchina. E sono i soviet. Non temete le iniziative e l’indipendenza delle masse. Fidatevi delle organizzazioni rivoluzionarie delle masse e vedrete in tutte le sfere della vita dello Stato lo stesso potere, la stessa maestosità e la stessa volontà invincibile degli operai e dei contadini, di quelli dimostrati nella solidarietà e nell’entusiasmo contro il Kornilovismo” (14).
L’insurrezione è uno dei problemi cruciali, più complessi, più esigenti che il proletariato deve risolvere per compiere la sua missione storica. Nella rivoluzione borghese questa questione non era altrettanto decisiva perché la borghesia poteva appoggiarsi, nella sua lotta per il potere, su quello che già aveva conquistato a livello economico e politico in seno alla società feudale. Durante la sua rivoluzione, la borghesia ha lasciato che la piccola borghesia e la giovane classe operaia si battessero per lei. Quando il fumo della battaglia si è dissipato, ha spesso preferito rimettere il potere appena conquistato nelle mani di una classe feudale imborghesita, addomesticata, poiché quest’ultima aveva, per tradizione, l’autorità dalla sua parte. Al contrario, il proletariato non ha né proprietà, né potere economico all’interno della società capitalista. Non può dunque delegare né la lotta per il potere né la difesa del suo dominio di classe, una volta conquistato, a nessun’altra classe o settore della società. Deve prendere il potere in prima persona convogliando gli altri strati sotto la propria direzione, prenderne l’intera responsabilità ed assumere le conseguenze ed i rischi delle sue lotte. Nell’insurrezione, il proletariato rivela e scopre lui stesso, più chiaramente che in qualsiasi altro momento precedente, il “segreto” della propria esistenza in quanto prima ed ultima classe sfruttata e rivoluzionaria. Non bisogna stupirsi dunque se la borghesia è così accanita nel voler distruggere la memoria dell’Ottobre!
Il compito primordiale del proletariato nella rivoluzione, a partire da febbraio, era conquistare il cuore e lo spirito di tutti quei settori che potevano essere guadagnati alla sua causa, ma che potevano anche essere utilizzati contro la rivoluzione: i soldati, i contadini, i funzionari, i lavoratori dei trasporti, fino ai meno ben disposti come i domestici della borghesia. Alla vigilia dell’insurrezione questo compito era stato assolto.
Il compito dell’insurrezione è completamente diverso: consiste nel rompere la resistenza di quei corpi di Stato e di quelle formazioni armate che non possono essere conquistate ma la cui esistenza prolungata porta in germe la più barbara controrivoluzione. Per rompere questa resistenza, per demolire lo Stato borghese, il proletariato deve creare una forza armata e metterla sotto la propria direzione di classe con una disciplina di ferro. Le forze armate del 25 ottobre, sebbene condotte dal proletariato, sono composte principalmente da soldati che ubbidiscono al suo comando. “La Rivoluzione d’Ottobre era la lotta del proletariato contro la borghesia. Ma l’esito di questa lotta fu deciso in ultima istanza dal contadino... A conferire all’insurrezione nella capitale la caratteristica di un colpo sferrato rapidamente con un minimo di perdite, fu la combinazione della cospirazione rivoluzionaria, dell’insurrezione proletaria e della lotta della guarnigione contadina per la sua sopravvivenza. Il partito dirigeva l’insurrezione; il proletariato era la forza motrice principale; i distaccamenti operai armati erano il pugno dell’insurrezione, ma l’esito della lotta rea determinato dalla pesante guarnigione contadina” (15). In realtà, il proletariato può impossessarsi del potere perché è capace di mobilitare gli altri strati non sfruttatori dietro il proprio progetto di classe. Esattamente il contrario di un “golpe!”.
“Di manifestazioni, di battaglie di strada, di barricate quasi non ce ne furono, non ci fu niente di tutto quello che si intende normalmente per insurrezione: la rivoluzione non aveva bisogno di risolvere un problema che era già stato risolto. La conquista dell’apparato statale poteva essere realizzata secondo un piano, con l’intervento di distaccamenti armati relativamente poco numerosi, partendo da un unico centro. (...) In ottobre la calma nelle strade, l’assenza della folla, la mancanza di combattimenti davano motivo agli avversari di parlare di cospirazione di una minoranza insignificante, di avventura di un pugno di bolscevichi. (…) In realtà, i bolscevichi avevano potuto ridurre a un “complotto” la lotta per il potere nella sua fase conclusiva, non perché fossero una piccola minoranza, ma, al contrario, perché nei quartieri e nelle caserme erano seguiti da una schiacciante maggioranza, compatta, organizzata, disciplinata” (16).
Da un punto di vista tecnico, l’insurrezione comunista è solo una semplice questione di organizzazione militare e di strategia. Politicamente, è il compito più esigente che si possa immaginare. Di tutti i compiti, il più difficile, quello che pone più problemi, è la scelta del momento buono per ingaggiare la lotta per il potere: né troppo presto, né troppo tardi. Nel luglio 1917, ed anche ad agosto al momento del golpe di Kornilov, quando i bolscevichi frenarono la classe che era pronta a scendere in lotta per il potere, il pericolo maggiore era un’insurrezione prematura; a partire da settembre, Lenin chiama senza sosta alla preparazione di una lotta armata dichiarando: “Ora o mai più!”.
“E’ impossibile prolungare a piacere una situazione rivoluzionaria. Se i bolscevichi non avessero conquistato il potere in ottobre-novembre, probabilmente non lo avrebbero più conquistato. Invece di una direzione decisa, le masse avrebbero trovato anche nei bolscevichi un contrasto continuo tra le parole ed i fatti e si sarebbero allontanate da un partito che avrebbe deluso le loro speranze per due o tre mesi, come si erano allontanate dai socialisti-rivoluzionari e dai menscevichi” (17). Per questo quando Lenin si batte contro il pericolo di ritardare la lotta per il potere, non insiste solo sui preparativi contro-rivoluzionari della borghesia mondiale, ma mette anche in guardia contro gli effetti disastrosi delle esitazioni sugli stessi operai che “sono quasi disperati”. Il popolo “affamato” potrebbe incominciare a “distruggere tutto intorno a lui”, “in modo puramente anarchico, se i Bolscevichi non sono capaci di condurlo alla battaglia finale. Non è possibile aspettare senza rischiare di aiutare Rodzianko a mettersi d’accordo con Guillaume e favorire la disorganizzazione completa con la diserzione generale dei soldati, se (già demoralizzati) non arrivano alla disperazione e buttano tutto all’aria” (18).
Scegliere il momento buono richiede quindi una valutazione esatta non solo del rapporto di forza tra le classi, ma anche della dinamica degli stradi intermedi. “Una situazione rivoluzionaria non dura eternamente. Di tutte le condizioni per una rivoluzione, la più instabile è lo stato d’animo della piccola borghesia. Durante le crisi nazionali, quest’ultima segue la classe che le ispira fiducia non solo a parole, ma anche con i fatti. Capace di slanci impulsivi e addirittura di lasciarsi prendere da una febbre rivoluzionaria, la piccola borghesia non è però costante, si perde facilmente di coraggio in caso di insuccesso e dalle speranze più ardenti precipita nella delusione. Sono appunto i mutamenti rapidi e violenti dei suoi stati d’animo a rendere tanto instabile una situazione rivoluzionaria. Se il partito proletario non ha la decisione necessaria per tradurre tempestivamente l’attesa e le speranze delle masse popolari in un’azione rivoluzionaria, il flusso è sostituito ben presto dal riflusso: gli strati intermedi distolgono lo sguardo dalla rivoluzione e cercano un salvatore nel campo opposto” (19).
Nella sua lotta per convincere il partito dell’imperiosa necessità di una insurrezione immediata, Lenin ritorna alla famosa argomentazione di Marx (in Rivoluzione e controrivoluzione in Germania) sul fatto che l’insurrezione “è un’arte, come la guerra e come altre forme d’arte. Essa è sottomessa ad alcune regole la cui omissione conduce alla perdita del partito che non ne tiene conto”. Secondo Marx le regole più importanti sono: - una volta iniziata l’insurrezione non fermarsi mai a metà strada; - essere sempre all’offensiva perché “la difensiva è la morte di ogni sollevamento armato”; - sorprendere il nemico e demoralizzarlo con successi quotidiani, “anche piccoli”, che lo obbligano a retrocedere; - “in breve,(agire) secondo le parole di Danton, fino ad oggi il più grande maestro di tattica rivoluzionaria: audacia, ancora audacia e sempre audacia”. E come dice Lenin: “Riunire ad ogni costo una grande superiorità di forze al posto decisivo, al momento decisivo, altrimenti il nemico, che ha una migliore preparazione ed una migliore organizzazione, annienterà gli insorti”, aggiungendo “Speriamo che, nel caso fosse decisa l’insurrezione, i dirigenti applicheranno con successo i grandi precetti di Danton e di Marx. Il successo della Rivoluzione sia russa che mondiale dipende da due o tre giorni di lotta” (20).
In questa prospettiva, il proletariato deve creare gli organi della sua lotta per il potere, un comitato militare e dei distaccamenti armati. “Come un fabbro non può afferrare a mani nude un ferro incandescente, così il proletariato non può impadronirsi a mani nude del potere; ha bisogno di un’organizzazione adatta allo scopo. La combinazione dell’insurrezione di massa con la cospirazione, la subordinazione della cospirazione all’insurrezione, l’organizzazione dell’insurrezione per mezzo della cospirazione, rientrano nella sfera complicata e gravida di responsabilità della politica rivoluzionaria che Marx ed Engels chiamavano ‘arte dell’insurrezione’.”(21).
E’ questo approccio centralizzato, coordinato e predeterminato che ha permesso al proletariato di rompere le ultime resistenze della classe dominante sferrando quel colpo terribile che la borghesia mondiale non ha mai né dimenticato, né perdonato. “Gli storici e gli uomini politici definiscono di solito insurrezione spontanea un movimento di massa che, unito da una comune ostilità al vecchio regime, non ha obiettivi chiari, né precisi metodi di lotta, né una direzione che lo guidi in modo cosciente alla vittoria. L’insurrezione delle forze spontanee è considerata benevolmente dagli storici ufficiali, … come una sventura inevitabile la cui responsabilità ricade sul vecchio regime. (…) Quello che nega come ‘blanquismo’ o peggio ancora come bolscevismo, è la preparazione cosciente dell’insurrezione, il piano, la preparazione” (22).
L’audacia con la quale la classe operaia le ha strappato il potere è quello che fa infuriare ancora di più la borghesia. Nell’ottobre la borghesia mondiale sa che si prepara un sollevamento operaio. Ma non sa né quando, né dove il nemico attaccherà. Sferrando un colpo decisivo il proletariato approfitta del vantaggio della sorpresa dato che lui stesso non ha deciso il momento ed il campo di battaglia. La borghesia crede e spera che il nemico sia troppo ingenuo e “democratico” per decidere pubblicamente sull’insurrezione, di fronte alla classe dominante, al congresso pan-russo dei soviet convocato a Pietrogrado. Spera in questa occasione di sabotare e giocare d’anticipo rispetto alla decisone e la sua messa in opera. Ma quando i delegati del congresso arrivano nella capitale l’insurrezione è in piena marcia e la classe dominante già vacilla. Il proletariato di Pietrogrado, tramite il suo Comitato militare rivoluzionario, rimette il potere al Congresso dei Soviet e la borghesia non può far niente per impedirlo. Golpe! Cospirazione! Gridava e grida ancora oggi la borghesia. La risposta di Lenin è stata: Golpe, no! Cospirazione, si! Ma una cospirazione subordinata alla volontà delle masse ed ai bisogni dell’insurrezione. Trotsky aggiunge: “Quanto più alto è il livello politico di un movimento rivoluzionario e quanto più seria ne è la direzione, tanto maggiore è il posto della cospirazione nell’insurrezione popolare”.
Il bolscevismo è una forma di blanquismo? Oggi la classe dominante rinnova questa accusa. “Più di una volta, anche molto prima della rivoluzione di ottobre, i bolscevichi erano stati costretti a respingere le accuse degli avversari che li accusavano di macchinazioni cospirative e di blanquismo. In realtà, nessuno più di Lenin condusse una lotta intransigente contro il metodo della pura cospirazione. Più di una volta gli opportunisti della socialdemocrazia internazionale presero le difese della vecchia tattica socialrivoluzionaria del terrore individuale contro gli agenti dello zarismo, mentre questa tattica era sottoposta a una critica spietata da parte dei bolscevichi che all’avventurismo individualistico dell’intellighenzia contrapponevano la concezione dell’insurrezione di massa. Ma, respingendo tutte le varianti di blanquismo e di anarchismo, Lenin non si inchinava per un solo istante alla ‘sacrosanta’ forza spontanea delle masse”. E a ciò Trotsky aggiunge: “La cospirazione non sostituisce l’insurrezione. La minoranza attiva del proletariato, per quanto organizzata, non può impadronirsi del potere indipendentemente dalla situazione generale del paese: in questo senso, il blanquismo è condannato dalla storia. Ma solo in questo senso. La teorizzazione in forma positiva conserva tutto il suo valore. Per la conquista del potere non basta al proletariato un’insurrezione di forze spontanee. Ha bisogno di un’adeguata organizzazione, ha bisogno di un piano, ha bisogno della cospirazione. Lenin pone il problema in questi termini” (23).
E’ noto che Lenin, il primo ad essere stato assolutamente chiaro sulla necessità della lotta per il potere in ottobre, elaborando diversi piani per l’insurrezione, uno centrato sulla Finlandia e la flotta del Baltico un altro su Mosca, ad un certo momento ha difeso l’idea che fosse il partito bolscevico, e non un organo dei soviet, a organizzare direttamente l’insurrezione. Gli avvenimenti hanno provato che l’organizzazione e la direzione di un sollevamento da parte di un organo dei soviet, quale il Comitato militare rivoluzionario, nel quale il partito aveva evidentemente un’influenza dominante, è stata la migliore garanzia per il successo, perché la classe nel suo insieme, e non solo i simpatizzanti del partito, si sentono rappresentati dai suoi organi rivoluzionari unitari.
Ma secondo gli storici borghesi la proposta di Lenin dimostra che per lui la rivoluzione non era emanazione delle masse, ma un affare privato del partito. Altrimenti perché, si chiedono questi signori, sarebbe stato tanto contrario ad aspettare il Congresso dei Soviet per decidere l’insurrezione? In realtà l’atteggiamento di Lenin concorda in pieno con il marxismo e la sua fiducia, storicamente fondata, nelle masse proletarie. “ … sarebbe stato disastroso, o puramente formale, decidere di aspettare il voto incerto del 25 ottobre. Il popolo ha il diritto ed il dovere di decidere una tale questione non attraverso un voto, ma grazie alla sua forza; il popolo ha il diritto ed il dovere, nei momenti critici della rivoluzione, di mostrare ai suoi rappresentanti, anche ai migliori, la direzione giusta invece di aspettarla da loro. Ogni rivoluzione ha mostrato ciò, e sarebbe un inveterato crimine da parte dei rivoluzionari lasciar passare il momento buono quando sanno che da questo dipende la salvezza della rivoluzione, i propositi di pace, la salvezza di Pietrogrado, la fame e la carestia, la cessione delle terre ai contadini. Il governo vacilla. Bisogna dargli il colpo finale, ad ogni costo!” (24).
In realtà tutti i dirigenti bolscevichi sono d’accordo, indipendentemente da chi viene proclamata l’insurrezione, a rimettere immediatamente il potere appena conquistato al Congresso dei Soviet di tutte le Russie. Il partito sa perfettamente che la rivoluzione non è un affare né del solo partito né dei soli operai di Pietrogrado, bensì dell’intero proletariato. Ma per quanto riguarda la questione di chi deve mettere in atto l’insurrezione, Lenin ha perfettamente ragione a mettere avanti che questa deve esser fatta dagli organi di classe più adeguati allo scopo, i più capaci di assumersi il compito di pianificarla politicamente e militarmente e di prendere la direzione politica della lotta per il potere. Gli eventi hanno provato che Trotsky ha avuto ragione ad evidenziare che un organo specifico dei Soviet creato proprio per questo compito, sotto l’influenza diretta del partito, sarebbe stato il più adattato. Non si tratta solo di un dibattito sui principi, ma di un dibattito che riguarda la vitale questione dell’efficacia politica. La preoccupazione di fondo di Lenin di non caricare l’insieme del Soviet di un tale compito perché ciò avrebbe inevitabilmente ritardato l’insurrezione e svelato i piani al nemico, è pienamente valida. La dolorosa esperienza dell’insieme della rivoluzione russa è stata necessaria perché fosse posta chiaramente alcuni anni più tardi, nell’ambito della Sinistra comunista, la questione che se è indispensabile che il partito assuma la direzione politica tanto nella lotta per il potere che nella dittatura del proletariato, non è suo compito prendere il potere. Su questa questione né Lenin, né gli altri bolscevichi, né gli spartacisti in Germania erano completamente chiari nel 1917, e non potevano esserlo. Ma per quanto riguarda “l’arte dell’insurrezione”, la pazienza rivoluzionaria ed anche la prudenza per evitare ogni scontro prematuro, per quanto riguarda l’audacia rivoluzionaria per prendere il potere, non ci sono oggi rivoluzionari da cui si possa imparare di più che da Lenin. In particolare sul ruolo del partito nell’insurrezione, la storia ha provato che Lenin aveva ragione: sono 1e masse che prendono il potere, sono i Soviet che ne assumono l’organizzazione, ma il partito di classe è l’arma indispensabile della lotta per il potere. Nel luglio 1917 è il partito che salva la classe da una sconfitta decisiva. Nell’ottobre 1917 è ancora lui che mette la classe sulla via del potere. Senza questa indispensabile direzione il potere non sarebbe stato preso.
Lenin contro Stalin
L’argomentazione “finale” della borghesia è: ma la rivoluzione d’ottobre ha portato allo stalinismo! Quello che “ha portato allo stalinismo” sono stati la controrivoluzione borghese, la sconfitta della rivoluzione mondiale nell’Europa occidentale, l’invasione e l’isolamento internazionale dell’Unione sovietica, il sostegno della borghesia mondiale alla burocrazia nazionalistica che nasceva in Russia contro il proletariato e contro i bolscevichi. È importante ricordare che durante le settimane cruciali dell’ottobre ‘17, come nei mesi precedenti, si è manifestata all’interno dello stesso partito bolscevico una corrente contraria all’insurrezione che rifletteva il peso dell’ideologia borghese e che Stalin ne era già un pericoloso rappresentante. Già nel marzo 1917 Stalin era stato il principale portavoce di quelli che, nel partito, volevano abbandonare la posizione internazionalista rivoluzionaria, sostenere il governo provvisorio e la sua politica di continuazione della guerra imperialista e fondersi con i menscevichi. Mentre Lenin si pronunciava pubblicamente per l’insurrezione nelle settimane precedenti il sollevamento, Stalin, come editore dell’organo di stampa del partito, ritardava intenzionalmente la pubblicazione dei suoi articoli, mentre i contributi di Zinoviev e Kamenev contro il sollevamento, che sfidavano spesso la disciplina del partito, venivano pubblicati come se rappresentassero le posizioni del bolscevismo. Nonostante le minacce di Lenin di dimettersi dal Comitato centrale, Stalin continuò la sua azione con il pretesto che Lenin, Zinoviev e Kamenev condividevano “lo stesso il punto di vista”, quando il primo aveva tutto il partito dietro di sé ed era a favore dell’insurrezione immediata, mentre gli altri due sabotavano apertamente le decisioni del partito. Nel corso dell’insurrezione stessa, l’avventuriero politico Stalin “scomparve”, in realtà per vedere da che parte girava il vento senza esporsi. La lotta di Lenin e del partito contro lo “stalinismo” nel 1917, contro le manipolazioni, contro il sabotaggio ipocrita dell’insurrezione (a differenza di Zinoviev e Kamenev che, almeno, agivano in modo aperto), sarebbe ripresa all’interno del partito negli ultimi anni della vita di Lenin ma, questa volta, in condizioni storiche infinitamente più sfavorevoli.
Lungi dall’essere un volgare colpo di Stato, come vorrebbe far credere la classe dominante, la rivoluzione d’ottobre è stata il punto culminante raggiunto dall’umanità nella sua storia fino ad oggi. Per la prima volta una classe sfruttata ha avuto il coraggio e la capacità di strappare il potere dalle mani degli sfruttatori ed inaugurare la rivoluzione proletaria mondiale. Anche se la rivoluzione sarebbe stata presto sconfitta, a Berlino, a Budapest ed a Torino e benché il proletariato russo e mondiale abbia dovuto pagare ad un prezzo terribile questa sconfitta (gli orrori della controrivoluzione, un’altra guerra mondiale e tutta la costante barbarie fino ad oggi), la borghesia non è ancora stata capace di cancellare completamente nella memoria operaia questo evento esaltante e le sue lezioni. Oggi, mentre nella classe dominante c’è solo ideologia e pensiero in decomposizione, con il suo sfrenato individualismo, il suo nichilismo, il suo oscurantismo, mentre fioriscono visioni del mondo reazionarie come il razzismo ed il nazionalismo, il misticismo e l’ecologismo, mentre le ultime vestigia di una fiducia nel progresso umano vengono abbandonate, quello che ci mostra la via è il faro dell’Ottobre rosso. La memoria dell’ottobre è là per ricordare al proletariato che il futuro dell’umanità sta nelle sue mani e che lui è capace di assolvere questo compito. La lotta di classe del proletariato, la riappropriazione della sua storia, la difesa e lo sviluppo del metodo scientifico marxista, questo è stato il programma dell’ottobre. Questo è oggi il programma per il futuro dell’umanità. Come Trotsky ha scritto nella conclusione della sua grande Storia della Rivoluzione Russa: “L’ascesa storica dell’umanità, considerata nel suo insieme, può essere sintetizzata come un susseguirsi di vittorie sulle forze cieche – nella natura, nella società, nell’uomo stesso. Il pensiero critico e creatore ha potuto sinora riportare i suoi maggiori successi nella lotta contro la natura. Le scienze fisico-chimiche sono già arrivate ad un punto tale che l’uomo si accinge di tutta evidenza a diventare padrone della materia. Ma i rapporti sociali continuano a formarsi alla maniera delle isole coralline. Il parlamentarismo ha illuminato solo la superficie della società e per di più con una luce artificiale. In confronto alla monarchia e ad altri retaggi del cannibalismo e dello stato selvaggio delle caverne, la democrazia costituisce naturalmente una grande conquista. Ma non intacca il gioco cieco delle forze dei rapporti sociali. La rivoluzione d’Ottobre ha alzato la mano per la prima volta contro questa più profonda sfera dell’inconscio. Il sistema sovietico vuole stabilire una finalità e un piano nelle basi stesse di una società, dove sino a quel momento avevano prevalso solo effetti accumulati”.
(dalla Revue Internationale n° 91)
1. Lenin, “La Rivoluzione Russa e la Guerra Civile”, Opere complete, vol. 26.
2. Lenin, “I Bolscevichi conserveranno il potere?”, Ibid.
3. Lenin, “Risoluzione dell’insurrezione”, Ibid.
4. Lenin, “Lettera ai compagni bolscevichi che partecipano al Congresso dei soviet della regione nord”, Ibid.
5. Lenin, “Lettera ai compagni”, Ibid.
6. Lenin, “Lettera alla Conferenza della città di Pietrogrado”, Ibid.
7. Trotsky, "Le lezioni di ottobre", scritto nel 1924.
8. Trotsky, ibid.
9. Lenin, “Tesi per il rapporto alla Conferenza dell’8 ottobre”, Ibid.
10. Trotsky, "Le lezioni di ottobre".
11. Trotsky, “Storia della rivoluzione russa”, vol. 2, “ L’insurrezione di Ottobre”.
12. Trotsky, Ibid.
13. Trotsky, Ibid.
14. Lenin, “I Bolscevichi conserveranno il potere?” Ibid. Vedi anche "Stato e Rivoluzione".
15. Trotsky, Ibid.
16. Trotsky, Ibid.
17. Trotsky, “Storia della rivoluzione russa”, vol. 2, “Lenin lancia l’appello all’insurrezione”
18. Lenin, “Lettera ai compagni” Ibid.
19. Trotsky, “Storia della rivoluzione russa”, vol. 2, “L’arte dell’insurrezione”
20. Lenin, “Consigli di un assente”, Ibid.
21. Trotsky, Ibid.
22. Trotsky, Ibid.
23. Trotsky, Ibid.
24. Lenin, “Lettera al Comitato Centrale”, Ibid.
Una cosa è certa: l’odio ed il disprezzo della borghesia per la rivoluzione proletaria che è cominciata in Russia nel 1917, i suoi sforzi per deformare e snaturare la sua memoria, riguardano soprattutto l’organizzazione politica che ha incarnato lo spirito del vasto movimento insurrezionale, il partito bolscevico. Ciò non ci deve sorprendere: dall’epoca della Lega dei Comunisti e della Prima Internazionale, la borghesia ha sempre voluto “perdonare” alla maggioranza dei poveri operai di essere stati ingannati dai complotti e dalle macchinazioni delle minoranze rivoluzionarie e queste ultime sono state sempre viste invariabilmente come l’incarnazione del male. E per il capitale, nessuna di queste organizzazioni è stata così nefasta come i bolscevichi; questi sono riusciti “a fuorviare” i semplici operai più a lungo e andando più lontano di qualsiasi altro partito rivoluzionario nella storia.
Un elemento importante in questa campagna antibolscevica è l’idea che il bolscevismo, con tutto il suo discorso sul marxismo e la rivoluzione mondiale, era soprattutto l’espressione dello stato di arretratezza della Russia. Questa cantilena non è nuova: era uno dei temi favoriti del “rinnegato Kautsky” dopo l’insurrezione d’Ottobre. Ma ha ulteriormente preso una rispettabilità accademica considerevole. Uno dei migliori studi sui dirigenti della rivoluzione russa - Three Who Made a Révolution (I tre che fecero una rivoluzione) di Bertram Wolfe - scritta negli anni 1950, sviluppa questa idea con un’attenzione particolare per Lenin.
In questa visione, la posizione di Lenin sull’organizzazione politica proletaria come un corpo “ristretto” composto da rivoluzionari convinti, deve più alle concezioni cospiratrici e segrete di “narodniki” e di Bakunin che a Marx. Tali storici mettono spesso ciò in opposizione con le concezioni più “sofisticate”, più “europee” e più “democratiche” dei menscevichi. E certamente, poiché la forma dell’organizzazione rivoluzionaria è strettamente collegata alla forma della rivoluzione stessa, l’organizzazione democratica menscevica ci avrebbe dato una Russia democratica mentre la forma dittatoriale bolscevica ci ha dato una Russia dittatoriale.
Ma non sono soltanto i portavoce ufficiali della borghesia che portano avanti tali idee. Queste sono anche suggerite, in un contesto leggermente diverso, da anarchici di ogni tipo, specialisti di un approccio sulla rivoluzione russa del tipo “ve l’avevamo detto”. “Si sapeva dall’inizio che il bolscevismo era cattivo e che si sarebbe concluso con degli strappi - tutti questi discorsi sul partito, lo Stato di transizione e la dittatura del proletariato non potevano che condurre a ciò.” Non risponderemo qui a tutte queste calunnie contro i bolscevichi ma ci limiteremo a due episodi essenziali della rivoluzione russa che dimostrano il ruolo dell’avanguardia nel combattimento rivoluzionario della classe operaia: “le Tesi d’aprile difese da Lenin in occasione del suo ritorno in Russia nel 1917, ed i giorni di luglio.
1917: LA RIVOLUZIONE RUSSA
Le Tesi di Aprile, faro della rivoluzione proletaria
Nulla fa arrabbiare di più una classe sfruttatrice quanto un sollevamento degli sfruttati. Le rivolte degli schiavi sotto l’impero romano, dei contadini sotto il feudalesimo, sono state sempre represse con la crudeltà più disgustosa. Ma la ribellione della classe operaia contro il capitalismo è un affronto ancora maggiore contro la classe dominante di questo sistema perché porta in sé i vessilli di una società nuova, una società comunista che realmente corrisponde ad una possibilità ed a una necessità storica. Per la classe capitalista, dunque, non è sufficiente reprimere i tentativi rivoluzionari della classe operaia, di annegarli nel sangue – sebbene la controrivoluzione capitalista sia la più sanguinosa della storia. È necessario ridicolizzare l’idea che la classe operaia sia portatrice del nuovo ordine sociale, mostrare la totale futilità del progetto comunista, e per poterlo fare occorre un arsenale di menzogne e distorsioni da affiancare all’arsenale bellico. Da qui la necessità per il capitale di alimentare nel corso del ventesimo secolo la più grande menzogna della storia: Stalinismo = comunismo.
Il crollo del blocco dell’est nel 1989, e della Russia due anni dopo, benché abbia privato la borghesia di un “esempio” vivente di questa falsità, nei fatti ha rafforzato la mistificazione perché ha reso possibile il diffondersi di una gigantesca campagna sul definitivo fallimento del comunismo, del marxismo, e persino sull’obsolescenza della stessa idea di lotta di classe. Abbiamo esaminato più volte nella nostra stampa gli effetti profondamente distruttivi di questa campagna sulla coscienza del proletariato mondiale e non svilupperemo qui questo aspetto. E’ importante però sottolineare che, benché l’impatto di questa campagna sia diminuito negli ultimi anni – in particolare perché le promesse della borghesia su di “un nuovo ordine mondiale” di pace e prosperità, che avrebbe dovuto seguire alla scomparsa dello stalinismo, si sono dimostrate aria fritta – essa è così importante per l’apparato ideologico di controllo della borghesia che questa non mancherà di sfruttare ogni opportunità per dargli nuova vita e vigore.
Nell’ottantesimo anniversario della rivoluzione russa sicuramente sentiremo nuove menzogne. Ma una cosa è certa: l’odio e il disprezzo della borghesia verso la rivoluzione proletaria iniziata in Russia nel 1917, gli sforzi per deformare e snaturare la memoria di quei giorni, saranno focalizzati soprattutto sull’organizzazione politica che incarnò lo spirito di quel vasto movimento insurrezionale: il partito Bolscevico. Il che non deve sorprenderci: sin dai giorni della Lega dei Comunisti e della I Internazionale, la borghesia si è sempre mostrata disposta a “perdonare” alla maggioranza dei poveri lavoratori di essersi fatti imbrogliare dai complotti e le macchinazioni delle minoranze rivoluzionarie, le quali invece sono state sempre mostrate come l’incarnazione del male. E per il capitale nessuna è stata tanto nefasta quanto i bolscevichi che sono riusciti a “fuorviare” i poveri lavoratori più a lungo e meglio di ogni altro partito rivoluzionario della storia.
Non è questo il luogo per esaminare tutti i recenti libri, articoli e documentari dedicati alla rivoluzione Russa. Basta dire che i più pubblicizzati - per esempio The Unknown Lenin: from the Soviet Archives, (Lenin sconosciuto: dagli archivi sovietici) e Il vero Lenin del vecchio archivista del KGB, Volkogonov, che pretende di aver avuto accesso agli schedari del 1917, finora inaccessibili - hanno avuto un tema ben preciso: mostrare che Lenin e i bolscevichi erano una banda di fanatici affamati di potere che hanno fatto di tutto per usurpare le conquiste democratiche della rivoluzione del febbraio ‘17, e far precipitare la Russia ed il mondo in una delle esperienze più disastrose della storia. Naturalmente, questi signori “dimostrano” con minuziosa e dettagliata attenzione che il terrore stalinista fu la semplice continuazione e completamento del terrore leninista. Il sottotitolo della edizione tedesca del lavoro di Volkogonov su Lenin, “Utopia e Terrore”, riassume bene l’approccio della borghesia: la rivoluzione degenera nel terrore proprio perché tenta di imporre un ideale utopico, il comunismo, che è antitetico alla natura umana.
Un importante elemento di questa inquisizione anti-bolscevica è l’idea che il bolscevismo, con tutto il suo parlare di marxismo e rivoluzione internazionale, sia soprattutto un’espressione dell’arretratezza russa. Questa canzone non è nuova: era una delle preferite del “rinnegato Kautsky” subito dopo l’insurrezione di Ottobre, che in seguito ha acquisito una considerevole rispettabilità accademica. Uno dei migliori studi sui dirigenti della rivoluzione russa - Three Who Made a Revolution di Bentram Wolfe, scritto negli anni ’50 - sviluppa questa idea con una particolare attenzione verso Lenin. Secondo la sua visione, la posizione di Lenin sull’organizzazione politica proletaria vista come un “ristretto” corpo di rivoluzionari convinti, apparteneva più che a Marx, alle concezioni cospirative e segrete dei “narodniki” e di Bakunin. Tali storici spesso contrappongono la visione di Lenin alle concezioni più “sofisticate”, più “europee” e più “democratiche” dei menscevichi. E naturalmente, poiché la forma dell’organizzazione rivoluzionaria è strettamente legata alla forma della rivoluzione stessa, l’organizzazione democratica menscevica avrebbe portato ad una Russia democratica mentre la forma dittatoriale bolscevica ci ha dato una Russia dittatoriale.
A spacciare questo genere di idee non sono solo i portavoce ufficiali della borghesia. In una veste leggermente diversa, sono veicolate anche da anarchici di ogni risma, specialisti nell’approccio del tipo “l’avevamo detto noi”. “Si sapeva sin dall’inizio che il bolscevismo era cattivo e sarebbe finito in lacrime – tutto quel parlare di partito, periodo di transizione e dittatura del proletariato, non potevano che portare a questo”. Ma l’anarchismo ha l’abitudine di rinnovarsi in continuo e può essere molto più subdolo di così. Un esempio ci viene dal materiale che è stato divulgato da una specie parassitaria d’anarchismo che si proclama la “London Psychogeographical Association”. La LPA ha calorosamente aderito all’argomento della CCI secondo il quale il bakuninismo, con tutto il suo parlare di libertà e uguaglianza, le sue critiche all’ “autoritarismo” marxista, si basava in realtà su una visione profondamente gerarchica ed anche esoterica, strettamente legata alla franco-massoneria. Tuttavia per la LPA questo è solo l’antipasto: il piatto forte è che la concezione bolscevica del partito è la vera continuazione del bakuninismo e quindi della franco-massoneria. Il cerchio è chiuso: i “comunisti” della LPA rigurgitano gli avanzi dei professori della guerra fredda.
La sfida posta da tutti questi diffamatori del bolscevismo è considerevole, e non può trovare risposta nel contesto di un singolo articolo. Ad esempio, fare una valutazione critica della concezione “leninista” dell’organizzazione, rifiutare il pregiudizio secondo il quale quest’ultima sia una nuova versione del narodnikismo o del bakuninismo, potrebbe richiedere una serie di articoli. Il nostro obbiettivo qui è più limitato: esaminare un particolare episodio degli eventi della rivoluzione russa – le Tesi d’Aprile difese da Lenin al suo ritorno in Russia nel 1917. Non solo perché manca un mese all’anniversario, ma soprattutto perché questo corto e preciso documento ci offre un eccellente punto di partenza per rifiutare tutte le falsità sul partito bolscevico, e per riaffermare la cosa essenziale: questo partito non era un prodotto dell’arretratezza russa, di un distorto anarco-terrorismo, o di una non mitigata brama di potere dei leader della rivoluzione. Il bolscevismo fu soprattutto un prodotto del proletariato mondiale. Inseparabilmente legato all’intera tradizione marxista, non fu il seme di una nuova forma di sfruttamento e oppressione, ma l’avanguardia di un movimento per abolire lo sfruttamento e l’oppressione.
Verso la fine del febbraio del 1917, i lavoratori di Pietrogrado lanciano uno sciopero generale contro le intollerabili condizioni di vita imposte dalla guerra imperialista. Gli slogan del movimento rapidamente diventano politici, con la richiesta della fine della guerra e il rovesciamento dell’autocrazia. In pochi giorni la protesta si diffonde nelle altre città e nei villaggi, e quando i lavoratori impugnano le armi e fraternizzano coi militari, lo sciopero di massa assunse il carattere di un’insurrezione.
Rivivendo l’esperienza del 1905, gli operai centralizzano la lotta attraverso dei Soviet di deputati operai, eletti dalle assemblee di fabbrica e revocabili in ogni momento. Contrariamente al 1905, soldati e contadini seguono questo esempio su vasta scala.
La classe dominante, resasi conto che i giorni dell’autocrazia sono contati, si sbarazza essa stessa dello Zar, e invita i partiti liberali e della “sinistra”, in particolare gli elementi ex proletari di recente passati nel campo della borghesia per aver appoggiato la guerra, a formare un Governo provvisorio con l’esplicito obbiettivo di guidare la Russia verso un sistema di democrazia parlamentare. Ne fatti si genera una situazione di doppio potere dato che gli operai ed i soldati hanno realmente fiducia solo ed esclusivamente nei Soviet e il Governo provvisorio borghese non è ancora in una posizione abbastanza forte per ignorarli e ancor meno per scioglierli. Ma questa netta divisione di classe è parzialmente oscurata dalla nebbia dell’euforia democratica calata sul paese dopo la rivolta di febbraio. Con l’eliminazione dello zar e il popolo giubilante per una libertà mai vista prima, tutti sembrano essere favorevoli alla “Rivoluzione” – inclusi gli alleati democratici della Russia i quali sperano che ciò possa permettere ai russi di partecipare con più efficacia allo sforzo bellico. Il Governo provvisorio si presenta quindi come guardiano della rivoluzione; i Soviet sono politicamente dominati dai menscevichi e dai socialisti rivoluzionari, che fanno di tutto per ridurli ad una appendice del nuovo affermato regime borghese. In breve, tutto l’impeto dello sciopero generale e dell’insurrezione – che in realtà è una manifestazione del movimento rivoluzionario più ampio prodottosi nei maggiori paesi capitalisti a causa della guerra – viene deviato verso fini capitalistici.
Dove sono i bolscevichi in questa situazione così piena di pericoli e promesse? Nella più completa confusione:
“Il primo mese della rivoluzione era stato per il bolscevismo un periodo di disorientamento e tergiversazione. Nel “Manifesto” del Comitato Centrale dei bolscevichi, redatto subito dopo la vittoria dell’insurrezione, si diceva che “gli operai delle fabbriche e degli stabilimenti, come pure le truppe insorte, devono eleggere immediatamente i loro rappresentanti al governo rivoluzionario provvisorio” (…) Agivano non come rappresentanti di un partito proletario che si prepari a iniziare con la loro autorità una lotta per il potere, ma come l’ala sinistra della democrazia che, proclamando i suoi principi, si dispone per un periodo di tempo indeterminato a sostenere la parte di una leale opposizione” (Trotsky, Storia della Rivoluzione Russa, vol. 1, cap. 15).
Quando in marzo Stalin e Kamenev prendono il timone del partito si spingono anche oltre. Stalin sviluppa un teoria sul ruolo complementare del governo provvisorio e dei soviet. Ancor peggio, l’organo ufficiale del partito, la Prava, adotta apertamente una posizione “difensiva” sulla guerra: “Non facciamo nostra l’inconsistente parola d’ordine:“abbasso la guerra”. La nostra parola d’ordine consiste nell’esercitare una pressione sul governo provvisorio per costringerlo… a fare un tentativo per indurre tutti i paesi belligeranti ad aprire immediate trattative… fino a quel momento ognuno resti al suo posto di combattimento!” (citato in Trosky).
Trotsky racconta di come molti elementi nel partito avvertono profonda inquietudine e rabbia per questa manica di opportunisti all’interno del partito, ma non sono armati programmaticamente per rispondere alla posizione della leadership, che sembra basarsi sulla prospettiva sviluppata dallo stesso Lenin e che era stata la posizione ufficiale del partito per un decennio: la prospettiva della “dittatura democratica degli operai e dei contadini”. L’essenza di questa teoria è che, sebbene dal punto di vista economico la rivoluzione russa sia di natura borghese, la borghesia russa è essa stessa troppo debole per realizzare la propria rivoluzione, di conseguenza la modernizzazione capitalista della Russia deve essere assunta dal proletariato e i settori più poveri dei contadini. Questa posizione si situa a metà strada tra quella dei menscevichi – che pretendono di essere dei marxisti “ortodossi” e quindi sostengono che il compito del proletariato sia dare un supporto critico alla borghesia contro l’assolutismo fino a quando in Russia non maturino i tempi per il socialismo – e quella di Trotsky, la cui teoria della “rivoluzione permanente”, sviluppata dopo gli eventi del 1905, insiste sul fatto che la classe operaia sarà il propellente della rivoluzione futura, e spingerà la rivoluzione oltre lo stadio borghese verso lo stadio socialista, ma sarà in grado di farlo solo se la rivoluzione russa coinciderà, o sarà innescata da una rivoluzione socialista nei paesi industrializzati.
In verità la teoria di Lenin è il prodotto di un periodo in cui diventa sempre più evidente che la borghesia russa non è più una forza rivoluzionaria, ma non è ancora chiaro che si è aperta l’era della rivoluzione internazionale socialista. Tuttavia la superiorità delle tesi di Trotsky sta proprio nel fatto che queste partono da un quadro internazionale, piuttosto che dal quadro specifico della Russia; e Lenin stesso, malgrado i suoi numerosi e aspri disaccordi con Trostky all’epoca, dopo gli avvenimenti del 1905, si avvicina alla nozione di rivoluzione permanente.
Nella pratica il concetto di “dittatura democratica di operai e contadini” si dimostra essere priva di sostanza; i “leninisti ortodossi”, che ripetono questa formula nel 1917, la usano come copertura del loro scivolamento verso il menscevismo puro e semplice. Kemenev afferma con vigore che bisogna dare un sostegno critico al Governo provvisorio poiché la fase democratica borghese non è ancor finita: questo corrisponde a malapena all’idea originale di Lenin, il quale sosteneva che la borghesia sarebbe arrivata inevitabilmente ad un compromesso con l’autocrazia. Ci sono anche dei seri tentativi di riunificazione tra menscevichi e bolscevichi.
Il partito bolscevico, disarmato politicamente viene trascinato verso il compromesso e il tradimento. Quando Lenin torna dall’esilio il futuro della rivoluzione è appeso ad un filo.
Nella sua Storia della Rivoluzione Russa (vol.1, cap.15), Trotsky ci dà una descrizione dettagliata dell’arrivo di Lenin alla stazione di Pietrogrado, il 3 Aprile 1917. Il soviet di Pietrogrado, ancora dominato dai menscevichi e dai socialisti rivoluzionari, organizza una grande festa di benvenuto ed accoglie Lenin con dei fiori. A nome del Soviet, Cheidze ringrazia Lenin con queste parole: “Compagno Lenin (…) salutiamo il vostro arrivo in Russia (…) ma noi riteniamo che il compito essenziale della democrazia rivoluzionaria sia per il momento quello di difendere la nostra rivoluzione da tutti gli attentati che potrebbero essere compiuti contro di essa sia dall’interno che dall’esterno (…) Speriamo che perseguirete con noi questi scopi”.
Lenin indirizza la sua risposta non ai dirigenti del comitato di benvenuto ma alle centinaia di soldati e operai che si accalcano alla stazione:
“Cari compagni, soldati, marinai e operai sono felice di salutare in voi la rivoluzione russa vittoriosa, di salutarvi come avanguardia dell’esercito rivoluzionario mondiale… Non è lontana l’ora in cui, all’appello del compagno Karl Liebknecht, i popoli rivolgeranno le armi contro i capitalisti sfruttatori. La rivoluzione russa da voi compiuta ha inaugurato una nuova epoca. Viva la rivoluzione socialista mondiale!”.
E’ così che quel guastafeste di Lenin tratta il carnevale democratico sin dal momento del suo arrivo. Quella notte Lenin elabora la sua posizione in un discorso di due ore che lascia costernati in primo luogo tutti i democratici e socialisti sentimentali, che non volevano che la rivoluzione andasse oltre a quanto fatto in febbraio, che avevano applaudito gli scioperi di massa degli operai quando questi cacciarono lo Zar e permisero al Governo provvisorio di assumere il potere, ma avevano il terrore di ogni ulteriore polarizzazione della classe. Il giorno dopo ad un incontro tra bolscevichi e menscevichi, Lenin espone quelle che in seguito si sarebbero chiamate le Tesi di Aprile:
“1) Nel nostro atteggiamento verso la guerra, la quale - sotto il nuovo governo di Lvov e consorti e grazie al carattere capitalistico di questo governo - rimane incondizionatamente, da parte della Russia, una guerra imperialista di brigantaggio, non è ammissibile nessuna benché minima concessione al “difensismo” rivoluzionario.
A una guerra rivoluzionaria, che realmente giustifichi il difensismo rivoluzionario, il proletariato cosciente può dare il suo consenso soltanto alle seguenti condizioni: a) passaggio del potere nella mani del proletariato e degli strati più poveri della popolazione contadina che si mettono dalla sua parte; b) rinuncia effettiva, e non a parole, a qualsiasi annessione; c) rottura completa, effettiva, con tutti gli interessi del capitale.
Data l’innegabile buona fede di vasti strati delle masse, che sono per il difensismo rivoluzionario e accettano la guerra come una necessità e non per spirito di conquista, dato che essi sono ingannati dalla borghesia, bisogna innanzi tutto mettere in luce i loro errori minutamente, ostinatamente, pazientemente, mostrando il legame indissolubile tra il capitale e la guerra imperialistica, mostrando che non è possibile mettere fine alla guerra con una pace puramente democratica, e non imposta con la forza, senza abbattere il capitale.
Organizzazione della più vasta propaganda di questi concetti nell’esercito combattente.
Fraternizzazione.
2) La peculiarità dell’attuale momento in Russia consiste nel passaggio dalla prima tappa della rivoluzione – che, a causa dell’insufficiente coscienza ed organizzazione del proletariato, ha dato il potere alla borghesia – alla seconda tappa, che deve dare il potere al proletariato e agli strati poveri dei contadini.
Da una parte, questo passaggio è caratterizzato dal massimo di legalità (fra tutti i paesi belligeranti, la Russia è, oggi, il paese più libero del mondo) e, d’altra parte, dall’assenza di violenza contro le masse e, infine, dall’atteggiamento inconsapevolmente fiducioso delle masse verso il governo dei capitalisti, dei peggior nemici della pace e del socialismo.
Questa peculiarità ci impone di saperci adattare alle condizioni particolari del lavoro del Partito fra le immense masse proletarie appena destate alla vita politica.
3) Non appoggiare in alcun modo il governo provvisorio, dimostrare la completa falsità di tutte le sue promesse, soprattutto di quelle concernenti la rinuncia alle annessioni. Smascherare questo governo invece di “esigere” (ciò che è inammissibile e semina illusioni) che esso, governo di capitalisti, cessi di essere imperialista.
4) Riconoscimento del fatto che il nostro partito è una minoranza e, finora, una piccola minoranza nella maggior parte dei Soviet dei deputati degli operai, di fronte al blocco di tutti gli elementi opportunisti piccolo-borghesi, sottomessi all’influenza della borghesia e veicoli dell’influenza borghese sul proletariato: dai socialisti populisti e dai socialisti-rivoluzionari al Comitato d’organizzazione (Ckheidze, Tsereteli, ecc.), a Steklov, ecc.
Spiegare alle masse che i Soviet dei deputati operai sono la sola forma possibile di governo rivoluzionario e che, per conseguenza, il nostro compito, finché questo governo sarà sottomesso all’influenza della borghesia, può consistere soltanto nella spiegazione paziente, sistematica, perseverante – particolarmente adattata ai bisogni pratici delle masse - degli errori della loro tattica.
Finché saremo in minoranza, faremo un lavoro di critica e di spiegazione degli errori, sostenendo in pari tempo la necessità del passaggio di tutto il potere statale ai Soviet dei deputati operai, affinché le masse, sulla base dell’esperienza, possano liberarsi dei loro errori.
5) Niente repubblica parlamentare - ritornare ad essa dopo i Soviet dei deputati operai, sarebbe un passo indietro - ma repubblica dei Soviet dei deputati operai, dei braccianti e dei contadini, in tutto il paese, dal basso in alto.
Soppressione della polizia, dell’esercito e corpo dei funzionari.
Salario ai funzionari - tutti eleggibili e revocabili in qualunque momento - non superiore al salario medio d’un buon operaio.
6) Nel programma agrario trasferire il centro di gravità nel Soviet dei deputati dei salariati agricoli.
Confisca di tutte le terre dei grandi proprietari fondiari.
Nazionalizzare tutte le terre del paese e metterle a disposizione dei Soviet locali dei deputati dei salariati agricoli e dei contadini poveri. Formazione dei Soviet dei deputati dei contadini poveri. Fare di ogni grande tenuta (da 100 a 300 desiatine circa, secondo le condizioni locali e secondo le decisioni delle istituzioni locali) un’azienda modello coltivata per conto della comunità e sottoposta al controllo dei Soviet dei deputati dei salariati agricoli.
7) Fusione immediata di tutte la banche del paese in una unica banca nazionale, posta sotto il controllo dei Soviet dei deputati operai.
8) Come nostro compito immediato, non “l’instaurazione” del socialismo, ma, per ora, soltanto il passaggio al controllo della produzione sociale e della ripartizione dei prodotti da parte dei Soviet dei deputati operai.
9) Compiti del partito:
a) Congresso immediato del partito.
b) Modificare il programma del partito, e principalmente:
1) Sull’imperialismo e sulla guerra imperialista;
2) Sull’atteggiamento verso lo Stato e sulla nostra rivendicazione dello “Stato-Comune”;
3) correggere il programma minimo invecchiato.
c) Cambiare il nome del partito.
10) Rinascita dell’Internazionale.
Prendere l’iniziativa della creazione di un’Internazionale rivoluzionaria, contro gli socialsciovinisti e contro il ‘centro’ ”.
Zalevski, all’epoca membro del Comitato Centrale Bolscevico, riassume così la reazione alle Tesi di Lenin sia all’interno del partito che nel movimento: “Le tesi di Lenin produssero l’effetto dell’esplosione di una bomba” (Trotsky, Vol.1, cap.15). La reazione iniziale è di incredulità e molti anatemi cadono sulla testa di Lenin: Lenin è stato troppo tempo in esilio, ha perso il contatto con la realtà russa. La sua prospettiva sulla natura della rivoluzione è caduta nel “trotskismo”. Per la sua idea sulla presa del potere dei Soviet è regredito al blanquismo, all’avventurismo, all’anarchismo. Un ex-membro del Comitato Centrale Bolscevico, a quel tempo fuori dal partito, Goldenberg, si esprime così: “Per molti anni, il posto di Bakunin nella rivoluzione russa era rimasto vuoto: ora è preso da Lenin” (Trotsky, idem). Secondo Kamenev, la visione di Lenin impedisce ai bolscevichi di agire da partito di massa, riducendone il ruolo a quello di un “gruppo di comunisti propagandisti”.
Non è la prima volta che i “vecchi bolscevichi” si aggrappano a logore formule in nome del leninismo. Nel 1905 la prima reazione dei bolscevichi nei riguardi dei Soviet era stata una meccanica interpretazione delle critiche di Lenin allo spontaneismo nel Che fare?; la direzione aveva all’epoca chiamato il Soviet di Pietrogrado a subordinarsi al partito oppure sciogliersi. Lo stesso Lenin ha rigettato categoricamente questo atteggiamento, essendo stato uno dei primi a comprendere il significato rivoluzionario del Soviet come organo del potere politico del proletariato, affermando che la questione non era “soviet o partito” ma i due insieme, i soviet ed il partito, i cui ruoli sono complementari. Allora, ancora una volta, Lenin dette a questi “leninisti” una lezione sul metodo marxista, dimostrando come il marxismo sia l’esatto contrario di un dogma; è una teoria scientifica vivente che deve costantemente essere verificata nel laboratorio dei movimenti sociali. Le Tesi di Aprile sono il compendio della capacità del marxismo di scartare, adattare, modificare o arricchire le posizioni precedenti alla luce delle esperienze della lotta di classe: “Per il presente, bisogna mettersi bene in testa questa verità incontestabile che un marxista deve tener conto della vita, dei veri fatti precisi della realtà, e non aggrapparsi alla teoria di ieri che, come ogni teoria, è al massimo capace di indicare l’essenziale, il generale, di fornire un’idea che si approssima alla complessità della vita. ‘La teoria è grigia, amico mio, ma verde è l’albero eterno della vita’” (1)
E nella stessa lettera redarguisce “questi ‘vecchi bolscevichi’ che già più di una volta hanno giocato un triste ruolo nella storia del loro partito, ripetendo stupidamente una formula imparata a memoria invece di studiare quello che c’era di originale nella realtà nuova, vivente”.
Per Lenin la “dittatura democratica” è già stata realizzata coi Soviet dei deputati operai e dei contadini e come tale già rappresenta una formula antiquata. Il compito essenziale per i bolscevichi è ora favorire la dinamica proletaria all’interno del vasto movimento sociale che si orienta verso la formazione di uno Stato-Comune (cioè ad immagine della Comune di Parigi) in Russia come primo avamposto della rivoluzione socialista mondiale. Si può discutere sullo sforzo di Lenin per salvare l’onore della vecchia formula, ma l’elemento essenziale nel suo approccio è che lui fu capace di vedere il futuro del movimento e, quindi, di comprendere la necessità di rompere col vecchiume delle consumate teorie.
Il metodo marxista non è solo dialettico e dinamico; esso è anche globale, cioè pone ogni particolare questione in un quadro storico e internazionale. Ed è soprattutto questo che ha permesso a Lenin di comprendere il senso reale degli avvenimenti. A partire dal 1914 i bolscevichi, Lenin in testa, hanno difeso la posizione internazionalista più coerente contro la guerra imperialista, vedendo in essa la prova della decadenza del capitalismo mondiale e l’inizio dell’epoca della rivoluzione proletaria mondiale. Questa è la base della posizione “trasformare la guerra imperialista in guerra civile” che Lenin ha difeso contro tutta una varietà di sciovinismi e pacifismi. Saldamente ancorato a questa analisi, Lenin non si lascia prendere neanche per un momento dall’idea che l’ascesa al potere del governo provvisorio avesse cambiato il carattere imperialista della guerra, e non risparmia alcuna critica ai bolscevichi che sono caduti in questo errore: “La Pravda esige che il governo rinunci alle annessioni. Esigere che un governo di capitalisti rinunci alle annessioni è una sciocchezza, è una vera e propria presa in giro…” (citato da Trotsky).
La riaffermazione intransigente della posizione internazionalista sulla guerra è, in quel momento, in primo luogo una necessità se si vuole porre un freno alle scivolate opportuniste nel partito. Ma è anche il punto di partenza per liquidare teoricamente la formula della “dittatura democratica” e tutte le giustificazioni mensceviche per sostenere la borghesia. All’argomento che la Russia arretrata non è ancora matura per il socialismo, Lenin risponde da vero internazionalista, riconoscendo nella Tesi 8 che “nostro compito immediato, non (è) “l’instaurazione” del socialismo”. La Russia, di per sé, non è matura per il socialismo, ma la guerra imperialista ha mostrato che il capitalismo mondiale è in realtà più che maturo. Da qui il saluto di Lenin ai lavoratori alla stazione di Pietrogrado: prendendo il potere, gli operai russi agiscono da avanguardia dell’esercito proletario internazionale. Da qui anche l’appello ad una nuova Internazionale alla fine delle Tesi. E per Lenin, come per ogni autentico internazionalista, la rivoluzione mondiale non è una pia speranza ma una prospettiva concreta che si sviluppa dalla rivolta del proletariato mondiale contro la guerra - scioperi in Gran Bretagna e Germania, manifestazioni politiche, ammutinamenti e fraternizzazioni nelle forze armate in molti paesi, e naturalmente la crescente ondata rivoluzionaria nella Russia stessa. Questa prospettiva, in quel momento ancora embrionale, sarebbe stata confermata a pieno dopo l’insurrezione di Ottobre dall’estensione dell’ondata rivoluzionaria all’Italia, l’Ungheria, l’Austria e soprattutto la Germania.
I difensori dell’“ortodossia” marxista accusano Lenin di blanquismo e bakuninismo sulla questione dell’attacco al potere e sulla natura della Stato post-rivoluzionario. Di blanquismo perché si suppone sia a favore di un colpo di Stato guidato da una minoranza – o da parte dei soli bolscevichi, o anche da parte degli operai dell’industria senza tener conto della maggioranza contadina. Di bakuninismo perché il rifiuto delle Tesi sulla repubblica parlamentare sarebbe una concessione al pregiudizio anti-politico degli anarchici e degli anarco-sindacalisti.
Nelle Lettere sulla tattica, Lenin difende le sue Tesi dalla prima accusa in questo modo: “Nelle mie tesi mi sono ben premunito contro ogni tentativo di saltare al di sopra del movimento contadino o piccolo-borghese in generale, che non ha ancora esaurito tutte le sue possibilità, contro ogni tentativo di giocare alla “presa del potere” da parte di un governo operaio, contro ogni avventura blanquista, perché mi sono richiamato espressamente all’esperienza della Comune di Parigi. E quell’esperienza, come è noto e come Marx ha esaurientemente dimostrato nel 1871 e Engels nel 1891, escluse del tutto il blanquismo, garantì il dominio diretto, immediato e incondizionato della maggioranza e l’iniziativa delle masse soltanto nella misura in cui questa massa si afferma in modo cosciente.
Nelle mie tesi ho ricondotto tutto, nel modo più esplicito, alla lotta per l’influenza all’interno dei Soviet dei deputati operai, dei salariati agricoli, dei contadini e dei soldati. E, per non lasciare in proposito nemmeno l’ombra di un dubbio, nelle tesi ho sottolineato due volte la necessità di un lavoro di “spiegazione”, paziente e tenace, che si conformi ai bisogni pratici delle masse”.
Per ritornare alla posizione anarchica sullo Stato, Lenin sottolinea in aprile, come lo farà più estesamente in Stato e Rivoluzione, che i marxisti “ortodossi”, con personalità quali Kautsky e Plekhanov alla loro testa, abbiano sotterrato il vero insegnamento di Marx ed Engels sullo Stato sotto un mucchio di letame parlamentarista. L’esperienza della Comune aveva mostrato che l’obbiettivo del proletariato nella rivoluzione non è impadronirsi del vecchio Stato, ma demolirlo da cima a fondo; questo nuovo strumento del controllo proletario, lo Stato-Comune, prima di tutto non deve essere basato sulla rappresentanza parlamentare, la quale in fin dei conti è una facciata per mascherare la dittatura della borghesia, ma sulla delega diretta e revocabile dal basso, sulle masse armate ed auto organizzate. Con la costituzione dei Soviet, l’esperienza del 1905, e la rivoluzione del 1917 non solo confermano questa prospettiva, ma determinano un passo ulteriore. Mentre la Comune era stata un organismo “popolare” in cui tutte le classi oppresse della società erano ugualmente rappresentate, i Soviet sono una forma superiore perché permettono al proletariato di organizzarsi autonomamente all’interno del generale movimento di massa. I soviet, presi nel loro insieme, costituiscono quindi un nuovo Stato qualitativamente differente dal vecchio Stato borghese, ma uno Stato vero e proprio – e qui Lenin si distingue saggiamente dagli anarchici: “(…) l’anarchismo è la negazione della necessità dello Stato e del potere statale nel periodo di transizione dal dominio della borghesia al dominio del proletariato. Io difendo invece, con una chiarezza che esclude qualsiasi possibilità di malinteso, la necessità dello Stato in questo periodo, però, d’accordo con Marx e con l’esperienza della Comune di Parigi, non di uno Stato parlamentare borghese ordinario, ma di uno Stato senza esercito permanente, senza una polizia opposta al popolo, senza una burocrazia posta al di sopra del popolo.
Se il signor Plekhanov, nel suo Edinstvo, grida con tutte le sue forze all’anarchia, non fa che dare prova ancora una volta della sua rottura con il marxismo.” (Lenin, Lettere sulla Tattica).
L’accusa che Lenin stia preparando un golpe blanquista è inseparabile dall’idea che sia in cerca di potere per il suo partito. Questo comincia ad essere il tema centrale della propaganda borghese dopo la rivoluzione di Ottobre che non sarebbe altro che un colpo di Stato guidato dai bolscevichi. Non possiamo qui trattate tutte le varietà e le sfumature di questa tesi. Trotsky fornisce una delle migliori risposte nella sua Storia della Rivoluzione Russa, quando mostra che non è il partito, ma sono i soviet a prendere il potere in Ottobre. Ma uno dei fili conduttori di questa idea è l’argomento secondo il quale la visione di Lenin del partito, come un’organizzazione unita e fortemente centralizzata, porta inesorabilmente al colpo di mano minoritario nel 1917, quindi al terrore rosso ed infine allo stalinismo.
Questa questione rimanda alla scissione iniziale tra i bolscevichi ed i menscevichi, ma non possiamo qui entrare nei dettagli di questo episodio chiave. È sufficiente dire che, da allora, la concezione di Lenin sull’organizzazione rivoluzionaria è stata sempre descritta come giacobina, elitaria, militarista e persino terrorista. Eminenti marxisti, dalla rispettabilità di Rosa Luxemburg e Trostky, sono stati citati a supporto di questa visione. Da parte nostra non neghiamo che la visione di Lenin sulla questione dell’organizzazione, sia in quel periodo che in quelli seguenti, contenga molti errori (per esempio la sua adozione nel 1902 della tesi di Kautsky sulla coscienza di classe proveniente dall’esterno della classe operaia, benché rigettata in seguito da Lenin stesso; alcune sue concezioni sul regime interno al partito, sul rapporto tra il partito e lo Stato, ecc). Ma contrariamente ai menscevichi del tempo, ai numerosi anarchici, socialdemocratici e consiliaristi, noi non facciamo di questi errori il punto di partenza, così come non analizziamo la Comune di Parigi o la Rivoluzione russa insistendo sugli errori fatti– anche quelli fatali. Il vero punto di partenza è che la lotta di Lenin lungo tutta la sua vita per costruire l’organizzazione rivoluzionaria è un’acquisizione storica del movimento operaio che ha lasciato ai rivoluzionari di oggi un base indispensabile per comprendere sia come un’organizzazione rivoluzionaria deve funzionare al suo interno, sia quale deve essere il suo ruolo all’interno dell’insieme della classe.
Rispetto all’ultimo punto, e contro ogni analisi superficiale, la concezione “stretta” dei bolscevichi sull’organizzazione, che Lenin contrappose alla “più larga” concezione menscevica, non era semplicemente il riflesso delle condizioni imposte dalla repressione zarista. Così come gli scioperi di massa e i sollevamenti rivoluzionari del 1905 non erano le ultime eco delle rivoluzioni borghesi del 19° secolo, ma mostravano il prossimo futuro della lotta di classe nella nascente epoca della decadenza del capitalismo, così la concezione bolscevica di un partito formato da rivoluzionari determinati, avente un programma chiaro e che funzionasse in maniera centralizzata, era un’anticipazione del ruolo e della struttura richiesta al partito nelle condizioni della decadenza del capitalismo, epoca della rivoluzione proletaria. Come pretendono molti anti-bolscevichi, può darsi che i menscevichi guardassero all’occidente per il loro modello di organizzazione, ma essi guardavano anche indietro, al vecchio modello socialdemocratico del partito di massa che riunisce la classe e la rappresenta essenzialmente attraverso il processo elettorale. E contro tutte le affermazione secondo le quali i bolscevichi rimangono invischiati nelle condizioni della Russia arcaica, rifacendosi al modello delle associazione cospirative, in realtà essi sono gli unici a guardare avanti, verso un periodo di grande turbolenza rivoluzionaria di massa, che non poteva essere né organizzata, né pianificata, né inquadrata dal partito, ma che rendeva tuttavia ancora più essenziale il ruolo del partito. “In effetti, lasciamo da parte la pedante teoria di uno sciopero dimostrativo messo in scema artificialmente dal Partito ed i sindacati fatti da una minoranza organizzata e consideriamo il quadro di un vero movimento popolare nato dall’esasperazione dei conflitti di classe e dalla situazione politica (…) allora il compito della social democrazia consisterà nella preparazione della direzione tecnica dello sciopero, ma nella direzione politica dell’insieme del movimento” (Sciopero di massa, partito e sindacati). Così scriveva Rosa Luxemburg nella sua magistrale analisi dello sciopero generale e delle nuove condizioni della lotta di classe internazionale. Quindi la Luxemburg, la quale è stata la più feroce critica di Lenin ai tempi della scissione del 1903, converge con gli elementi fondamentali della concezione bolscevica del partito rivoluzionario.
Questi elementi sono esposti con la massima chiarezza nelle Tesi di Aprile che, come abbiamo già visto, rifiutano ogni nozione di “imposizione” della rivoluzione dall’alto: “Finché saremo in minoranza, faremo un lavoro di critica e di spiegazione degli errori, sostenendo in pari tempo la necessità del passaggio di tutto il potere statale ai Soviet dei deputati operai, affinché le masse, sulla base dell’esperienza, possano liberarsi dei loro errori”. Questo lavoro di “spiegazione paziente, sistematica, perseverante” significava precisamente fornire una guida politica in un periodo rivoluzionario. Non è possibile passare alla fase dell’insurrezione finché le posizioni rivoluzionarie dei bolscevichi non guadagnano i soviet. In effetti, prima che questo accada, le posizioni rivoluzionarie di Lenin devono guadagnare il partito bolscevico, e ciò richiede una lotta dura e senza compromessi sin dall’arrivo di Lenin in Russia.
“Non siamo ciarlatani, dobbiamo basarci solo sulla coscienza delle masse” (secondo discorso di Lenin al suo arrivo a Pietrogrado, citato in Trotsky). Nella fase iniziale della rivoluzione, la classe operaia ha consegnato il potere alla borghesia, e ciò non dovrebbe sorprendere alcun marxista “perché abbiamo sempre saputo, e molte volte detto, che la borghesia si mantiene il potere non solo con la violenza, ma anche grazie all’incoscienza, alla routine, all’abbrutimento, alla mancanza di organizzazione delle masse” (Lettere sulla Tattica). Quindi l’obbiettivo principale dei bolscevichi è contribuire alla coscienza di classe e all’organizzazione delle masse operaie.
Questo ruolo non soddisfa i “vecchi bolscevichi” che hanno piani più “pratici”. Vogliono prendere parte alla “rivoluzione borghese” in atto e vogliono che il partito bolscevico abbia una larga influenza nel movimento così com’è. Secondo le parole di Kamenev, sono terrorizzati al pensiero che il partito possa restare su di un basso profilo, fermo sulle sue posizioni “pure”, ridotto al ruolo di “gruppo di comunisti propagandisti”.
Lenin non ha difficoltà a smontare questo argomento: gli sciovinisti non hanno forse lanciato le stesse questioni agli internazionalisti all’inizio della guerra, secondo le quali loro restavano in contatto con la coscienza delle masse, mentre bolscevichi e spartachisti non erano niente altro che una setta marginale? Deve essere particolarmente irritante ascoltare le stesse cose da compagni bolscevichi. Ma questo non indebolisce la risposta di Lenin: “Il compagno Kamenev oppone il ‘partito di massa’ al ‘gruppo di propagandisti’. Ma proprio oggi le ‘masse’ sono intossicate dal difensismo ‘rivoluzionario’. Non sarebbe allora meglio per gli internazionalisti sapersi opporre in questo momento all’intossicazione ‘di massa’ invece di ‘voler restare’ con le masse, cedendo al contagio generale? Non abbiamo visto gli sciovinisti, in tutti i paesi belligeranti d’Europa, giustificarsi con il desiderio di ‘restare con le masse’? Non è nostro dovere saper rimanere per un certo tempo in minoranza contro l’intossicazione ‘di massa’? E il lavoro di propaganda non è proprio nel momento attuale il fattore più importante per depurare la linea proletaria dall’intossicazione difensivista e piccolo-borghese delle ‘masse’? Proprio la fusione delle masse proletarie e non proletarie, senza distinzione di classe nel loro seno, è stata una delle condizioni dell’epidemia del difensismo. Parlare con disprezzo del ‘gruppo di propagandisti’ della linea proletaria è, forse, poco opportuno”. (Lettere sulla tattica).
Questo approccio, questa volontà ad andare controcorrente ed essere in minoranza difendendo dei principi di classe chiari e precisi, non ha nulla a che fare col purismo e il settarismo. Sono basati invece sulla comprensione del movimento reale che si svolge nella classe, sulla capacità di dar voce e direzione agli elementi più radicali all’interno del proletariato.
Trotsky mostra come, guadagnando il partito alle sue posizioni ed in seguito difendendo la “linea proletaria” all’interno dell’insieme della classe, Lenin cerca l’appoggio di questi elementi: “contro i vecchi bolscevichi Lenin trovò appoggio in un altro strato del partito, già temperato, ma più fresco e più legato alle masse. Nell’insurrezione di febbraio gli operai bolscevichi, come sappiamo, avevano avuto una parte decisiva. Essi ritenevano che andasse da sé che il potere sarebbe stato conquistato dalla classe che aveva riportato la vittoria. Gli stessi operai protestavano con veemenza contro l’orientamento di Kamenev e di Stalin, e il quartiere di Vyborg minacciava persino di espellere i dirigenti dal partito. Nelle province si verificava la stessa cosa. C’erano quasi dovunque bolscevichi di sinistra che venivano accusati di massimalismo e persino di anarchismo. Agli operai rivoluzionari mancavano solo le risorse teoriche per sostenere le loro posizioni. Ma erano pronti a rispondere al primo chiaro appello. Lenin si orientava verso questo strato di operai, che si erano definitivamente imposti durante l’ascesa degli anni 1912-1914.” (Trotsky, Storia della Rivoluzione Russa, cap. 16°).
Anche questo è un’espressione della conoscenza di Lenin del metodo marxista che, andando al di là delle apparenze, può discernere la reale dinamica di un movimento sociale. Al contrario, negli anni venti, quando lo stesso Lenin torna sulla questione se “rimanere con le masse” in modo da giustificare il Fronte Unito e la fusione coi partiti centristi, si ha un sintomo del fatto che il partito sta perdendo la sua comprensione del metodo marxista e scivola nell’opportunismo. Ma questo a sua volta è il risultato dell’isolamento della rivoluzione e della fusione tra bolscevichi e Soviet. Nella grande ondata rivoluzionaria in Russia, il Lenin delle Tesi di Aprile non è né un profeta isolato né un demiurgo sovrapposto alle masse volgari, ma la chiara voce della tendenza più rivoluzionaria all’interno del proletariato; una voce che indica, con precisione e chiarezza, il cammino che porta alla rivoluzione di Ottobre.
Amos, primavera 1997
1. Lenin, Lettere sulla tattica, 8-13 aprile 1917. La citazione è di Mefistofele nel Faust di Goethe.
1917: la rivoluzione russa. Le “giornate di luglio”: il partito sventa una provocazione della borghesia
Le giornate del luglio 1917 costituiscono uno dei momenti più importanti non solo della rivoluzione russa ma di tutta la storia del movimento operaio. Essenzialmente nello spazio di tre giorni, dal 3 al 5 luglio, si sviluppa uno dei più importanti scontri fra borghesia e proletariato che, benché sia terminato con la sconfitta della classe operaia, aprirà la via alla presa del potere nell'ottobre ‘17. Il 3 luglio, gli operai e i soldati di Pietrogrado si sollevano massicciamente e spontaneamente esigendo che tutto il potere passi ai consigli operai, ai Soviet. Il 4 luglio, una manifestazione armata di mezzo milione di partecipanti stringe d'assedio la direzione del soviet di Pietrogrado chiamandolo a prendere il potere ma, rispondendo all'appello dei bolscevichi, la sera si disperde pacificamente. Il 5 luglio, le truppe controrivoluzionarie riprendono la capitale della Russia, dando la caccia ai bolscevichi e reprimendo gli operai più combattivi. Tuttavia, evitando una lotta prematura per il potere, l'insieme del proletariato manterrà le sue forze rivoluzionarie intatte. E' questo che permetterà alla classe operaia di trarre le elezioni essenziali da questi avvenimenti, in particolare la comprensione del carattere controrivoluzionario della democrazia borghese e della nuova sinistra capitalista: i mensceviche e i socialrivoluzionari che hanno tradito la causa dei lavoratori e dei contadini poveri e sono passati nel campo nemico. In nessun altro momento della rivoluzione russa è stato così acuto il pericolo di una disfatta decisiva del proletariato e della liquidazione del partito bolscevico come durante queste 72 drammatiche ore. In nessun altro momento è stata così importante la fiducia profonda dei battaglioni più avanzati del proletariato nel loro partito di classe, nell'avanguardia comunista.
80 anni più tardi, di fronte alle menzogne della borghesia sulla "morte del comunismo", in particolare di fronte alla denigrazione della rivoluzione russa e del bolscevismo, una delle principali responsabilità delle organizzazioni rivoluzionarie è quella di trarre le vere lezioni delle giornate di luglio e dell'insieme della rivoluzione proletaria. Secondo le menzogne della borghesia, la rivoluzione russa è stata una lotta "popolare" per una repubblica parlamentare borghese; la Russia era "il paese più libero del mondo" fino a che i bolscevichi "inventandosi" la parola d'ordine "demagogica" di "tutto il potere ai soviet", impongono con un putsch la loro "dittatura barbara sulla grande maggioranza della popolazione lavoratrice". Tuttavia, anche un breve colpo d'occhio obiettivo agli avvenimenti del luglio 1917 mostra chiaramente che i bolscevichi sono dalla parte della classe operaia e che la democrazia borghese è dalla parte della barbarie, del putschismo e della dittatura di una piccola minoranza sulla popolazione lavoratrice.
Una provocazione cinica della borghesia e una trappola per i bolscevichi
Le giornate di luglio 1917 sono anzitutto una provocazione della borghesia preparata allo scopo di decapitare il proletariato schiacciando la rivoluzione a Pietrogrado ed eliminando il partito bolscevico, e questo prima che il processo rivoluzionario nell'insieme della Russia fosse maturo per la presa del potere da parte dei lavoratori.
Il sollevamento rivoluzionario del febbraio 1917, che ha comportato la sostituzione dello zar con un governo provvisorio "democratico borghese" e, di fronte a quest’ultimo, la creazione di consigli operai (soviet), veri centri del potere proletario, è stato fin dall'inizio il prodotto della lotta degli operai contro la guerra imperialista iniziata nel 1914. Ma il governo provvisorio, così come i partiti maggioritari nei soviet, i menscevichi e i socialrivoluzionari (SR), si impegnano a continuare la guerra contro la volontà del proletariato, a proseguire il programma imperialista di brigantaggio del capitale russo. In questo modo viene conferita, non soltanto in Russia ma anche in tutti i paesi dell'Intesa (la coalizione contro la Germania), una nuova legittimità pseudorivoluzionaria alla guerra, cioè al più grande crimine della storia dell'umanità. Fra il febbraio e il luglio 1917 parecchi milioni di soldati - il fiore della classe operaia internazionale - sono stati uccisi e mutilati al fine di stabilire chi, fra i principali gangster imperialisti, avrebbe dovuto dominare il mondo. Sebbene molti operai russi avessero creduto, all'inizio, alle menzogne dei nuovi dirigenti secondo le quali era necessario continuare la guerra "per ottenere una volta per tutte una pace giusta senza annessioni", menzogna che veniva dalla bocca stessa di coloro che si pretendevano "democratici" e "socialisti", nel giugno del 1917 il proletariato rilancia la lotta rivoluzionaria contro la carneficina imperialista con energia raddoppiata. Durante l'enorme manifestazione del 18 giugno a Pietrogrado, le parole d'ordine internazionaliste dei bolscevichi per la prima volta sono maggioritarie. All'inizio di luglio la più grande e sanguinosa offensiva militare russa dopo il "trionfo della democrazia" termina con un fiasco, con l’esercito tedesco che sfonda in diversi punti. E' il momento più critico per il militarismo russo dall'inizio della "Grande Guerra". Mentre le notizie dell’insuccesso dell'offensiva raggiungevano la capitale, attizzando il fuoco rivoluzionario, non erano ancora giunte nel resto di questo paese gigantesco. Per fare fronte a questa situazione molto tesa, si fa strada l'idea di provocare una rivolta prematura a Pietrogrado, di schiacciarvi gli operai e i bolscevichi, quindi di addossare la responsabilità dell’insuccesso dell'offensiva militare al proletariato della capitale che avrebbe dato un "colpo di pugnale nella schiena" a coloro che erano al fronte.
La situazione obiettiva non è, tuttavia, ancora favorevole alla rivolta. Benché i principali settori operai di Pietrogrado siano avanti sugli orientamenti dei bolscevichi, i menscevichi e gli SR hanno ancora una posizione maggioritaria nei soviet e sono preponderanti nelle province. Nell'insieme della classe operaia, anche a Pietrogrado, esistono ancora forti illusioni sulla capacità dei menscevichi e degli SR di servire la causa della rivoluzione. Nonostante la radicalizzazione dei soldati, che sono in maggioranza contadini in uniforme, un gran numero di reggimenti importanti sono ancora leali al governo provvisorio. Le forze della controrivoluzione, dopo una fase di disorientamento e di disorganizzazione seguita alla "rivoluzione di febbraio", si sono completamente ricostituite. Inoltre la borghesia ha una carta nella manica: documenti e testimonianze false tendenti a provare che i bolscevichi sono agenti pagati dal Kaiser.
Questo piano rappresenta perciò anzitutto una trappola, un dilemma per il partito bolscevico. Se infatti il partito si mette alla testa di un'insurrezione prematura nella capitale, si discredita di fronte al proletariato russo apparendo come il responsabile di un’avventura politica irresponsabile e, agli occhi dei settori arretrati, come supporto dell'imperialismo tedesco. Ma se non solidarizza con il movimento di massa, si isola pericolosamente dalla classe abbandonando gli operai alla loro sorte. La borghesia spera che, qualsiasi cosa faccia il partito, la sua decisione lo porti allo scacco.
La cricca dei controrivoluzionari, Centoneri, antisemiti, organizzati dalle "democrazie" occidentali
A sentire la propaganda borghese attuale si direbbe che le forze antibolsceviche dell’epoca fossero dei gentili democratici difensori della “libertà dei popoli”. Queste forze erano dirette dai Cadetti, il partito della grande industria e dei grandi proprietari terrieri, dal Comitato degli ufficiali che rappresentavano circa 100.000 ufficiali che stavano preparando un putsch militare, dal preteso "soviet" delle truppe controrivoluzionarie cosacche, dalla polizia segreta, dalla mafia antisemita dei “Centoneri” ecc., "ecco l'ambiente dove si crea l'atmosfera dei pogrom, dove nascono i tentativi di pogrom, da cui partono i colpi d'arma da fuoco contro i manifestanti" come scrive Lenin (1).
La provocazione di luglio è un colpo portato alla rivoluzione mondiale in ascesa non soltanto dalla borghesia russa ma anche dalla borghesia mondiale attraverso l'azione dei governi alleati alla Russia. In questo tentativo che cerca di annegare nel sangue una rivoluzione non ancora matura, si può vedere la mano delle vecchie borghesie democratiche: quella francese con la sua vecchia tradizione sanguinaria caratteristica di queste provocazioni (1791, 1848, 1870) e quella inglese con la sua insuperabile esperienza e intelligenza politica. Di fronte alle difficoltà crescenti della borghesia russa a combattere in maniera efficace la rivoluzione e a mantenere lo sforzo di guerra, gli alleati occidentali della Russia costituiscono, dal primo momento, la principale forza non solo per finanziare il fronte militare russo ma anche per consigliare e rafforzare le forze controrivoluzionarie in Russia. Il Comitato Provvisorio della Duma di Stato (il parlamento) "copriva legalmente l'attività controrivoluzionaria finanziata largamente dalle banche e dalle ambasciate dell'Intesa", come ricorda Trotsky (2).
"Pietrogrado era un formicolio di organizzazioni segrete e semisegrete di ufficiali che godevano di un alto appannaggio e di generosi appoggi. In una informazione confidenziale che dava il menscevico Liber circa un mese prima delle Giornate di Luglio, era stato notato che ufficiali cospiratori avevano le loro aderenze presso Buchanan. E, in effetti, i diplomatici dell'Intesa non potevano proprio preoccuparsi di una instaurazione più rapida possibile di un potere forte.” (3)
Quindi non sono i bolscevichi, ma la borghesia che si è alleata ai governi stranieri contro il proletariato russo.
Le provocazioni politiche della borghesia assetata di sangue
All'inizio di luglio tre incidenti preparati dalla borghesia sono sufficienti a dare il via a una rivolta nella capitale.
Quattro ministri del partito Cadetto danno le dimissioni dal governo
Nella misura in cui i menscevichi e gli SR avevano giustificato fino a quel momento il loro rifiuto della parola d'ordine “tutto il potere ai soviet” con la necessità di collaborare con i rappresentanti della “borghesia democratica”, che sono i Cadetti, le dimissioni di questi ultimi dalla coalizione ha chiaramente il fine di provocare fra gli operai e i soldati un rilancio della rivendicazione del potere immediato ai soviet.
“Supporre che i Cadetti non potessero prevedere le ripercussioni del loro atto di sabotaggio dichiarato rispetto ai soviet, sarebbe sottovalutare risolutamente Miliukov. Il leader del liberalismo evidentemente si sforzava di spingere i conciliatori in una situazione critica che non avrebbe avuto via d'uscita se non con le baionette: in quei giorni credeva fermamente che, con un audace salasso, si poteva salvare la situazione.” (2)
La pressione dell'Intesa sul governo provvisorio
Questa pressione mira a obbligare quest'ultimo o ad affrontare la rivoluzione con le armi o ad essere abbandonato dagli alleati.
“I fili erano nelle mani delle ambasciate e dei governi dell'Intesa. Alla conferenza tra gli alleati che si aprì a Londra, gli amici dell'Occidente "dimenticarono" di invitare l'ambasciatore di Russia; (...) Questo insulto inflitto all'ambasciatore del governo provvisorio e le dimissioni dimostrative dei cadetti avvennero il 2 luglio: i due avvenimenti avevano un solo e identico fine: obbligare i conciliatori ad abbassare la bandiera.” (2)
I partiti menscevico e SR tendono a raggiungere il campo della borghesia. La loro mancanza di esperienza di governo, le loro esitazioni ed oscillazioni piccolo-borghesi, ma anche l'esistenza nei loro ranghi di certe posizioni internazionaliste proletarie, fanno sì che essi non siano implicati direttamente nel complotto controrivoluzionario. Essi, però, sono manipolati per giocare il ruolo che è stato loro assegnato dai loro padroni dirigenti borghesi.
La minaccia di inviare al fronte i reggimenti della capitale
Nei fatti, l'esplosione della lotta di classe in risposta a queste provocazioni è iniziata non dagli operai, ma dai soldati e sostenuta non dai bolscevichi ma dagli anarchici.
“I soldati erano in genere più impazienti degli operai; anzitutto perché erano sotto la minaccia diretta di invio al fronte, poi perché avevano molta più difficoltà ad assimilare i criteri della strategia politica. Inoltre, ciascuno di essi aveva un fucile in mano e, dopo il Febbraio, il soldato era incline a sovrastimare il potere specifico di quest’arma.” (2)
I soldati tentano immediatamente di guadagnare gli operai alla loro azione. Alle fabbriche Putilov, la più grande concentrazione di operai in Russia, ottengono un successo decisivo:
“Circa diecimila operai si raccolsero davanti ai locali dell'amministrazione. Acclamati, i mitraglieri raccontarono che avevano ricevuto l'ordine di partire il 4 luglio per il fronte, ma che avevano deciso “di 'marciare non verso il fronte tedesco, contro il proletariato tedesco, ma proprio contro i propri ministri capitalisti”. Gli animi si scaldarono. “Avanti! Avanti!” gridarono gli operai.” (2)
In alcune ore, il proletariato di tutta la città si solleva, si arma e si raccoglie attorno alla parola d'ordine “tutto il potere ai soviet”, la parola d'ordine delle masse stesse.
I bolscevichi evitano la trappola
Il pomeriggio del 3 luglio i delegati del reggimento dei mitraglieri arrivano a conquistare il sostegno della conferenza locale dei bolscevichi e sono shockati nell'apprendere che il partito si è pronunciato contro l'azione. Gli argomenti forniti dal partito - secondo i quali la borghesia vuole provocare il proletariato di Pietrogrado per addossargli la responsabilità di un fiasco al fronte, che la situazione non è matura per l'insurrezione armata e che il migliore momento per un'ampia azione arriverà quando lo sfondamento del fronte sarà conosciuto da tutti - mostra che i bolscevichi hanno immediatamente colto il significato e il pericolo degli avvenimenti. Fin dalla manifestazione del 18 giugno, i bolscevichi mettono pubblicamente in guardia gli operai contro un'azione prematura.
Gli storici borghesi riconoscono la notevole intelligenza politica del partito in quel momento. In effetti il partito bolscevico è convinto che è fondamentale studiare la natura, la strategia e la tattica della classe nemica per essere in grado di rispondere di intervenire correttamente in ciascun momento. Esso è impregnato della comprensione marxista che la presa del potere rivoluzionario è una sorta di arte o scienza, che un'insurrezione inopportuna è tanto fatale quanto l’insuccesso di una presa di potere assunta al momento buono.
Ma per quanto corretta potesse essere l'analisi del partito, restare a quel punto significava cadere nella trappola della borghesia. Il primo tornante decisivo durante le giornate di luglio arriva la notte stessa, quando il Comitato Centrale del partito e quello di Pietrogrado decidono di appoggiare il movimento e di porsi alla sua testa, ma con lo scopo di assicurarsene il “carattere pacifico e organizzato”. Contrariamente agli avvenimenti spontanei e caotici del giorno precedente, le manifestazioni gigantesche del 4 luglio mostrano "la mano organizzatrice del partito". I bolscevichi sanno che l'obiettivo che le masse si sono date, cioè obbligare la direzione menscevica e SR del soviet a prendere il potere in nome dei consigli operai, è una cosa impossibile. I menscevichi e gli SR, presentati oggi come dei veri difensori della democrazia sovietica, stanno già raggiungendo la controrivoluzione e attendono l'occasione di finirla con i consigli operai. La difficoltà di questa situazione, rappresentata da una coscienza ancora insufficiente delle masse proletarie, si concretizza attraverso il famoso aneddoto di quell'operaio inviperito che agita il pugno sotto il naso di un ministro "rivoluzionario" gridandogli: "Prendi il potere, figlio di puttana, perché te lo stiamo dando!". In realtà i ministri e i capi incapaci dei soviet fanno delle finte fino a che arriveranno i reggimenti leali al governo.
Al tempo stesso, gli operai capiscono le difficoltà che vi sono a trasferire tutto il potere ai soviet e questo fino a che i traditori e gli adepti del compromesso vi mantengono la loro influenza. Poiché la classe non ha ancora trovato il metodo per trasformare il soviet dall'interno, tenta invano di imporgli la sua volontà dall'esterno.
Il secondo tornante decisivo si produce quando Zinovev, a nome dei bolscevichi, si rivolge a diecine di migliaia di operai delle Putilov e di altre fabbriche la sera del 4 luglio, giorno di grandi manifestazioni; egli inizia il discorso con tono di pacatezza per distendere l'atmosfera e finisce invitando gli operai a tornare a casa pacificamente: cosa che gli operai fanno. L'ora della rivoluzione non è ancora arrivata, ma arriverà. La vecchia verità di Lenin non è mai stata così provata in maniera spettacolare: la pazienza e lo humour sono qualità indispensabili ai rivoluzionari. La capacità dei bolscevichi di evitare al proletariato di cadere nella trappola della borghesia non è dovuta solo alla loro intelligenza politica. Ciò che è decisivo è la profonda fiducia del partito nel proletariato e nel marxismo, che gli permette di basarsi sulla forza che questo rappresenta per il futuro dell'umanità e sul suo metodo, e di premunirsi così dall'impazienza piccolo-borghese. Ciò che è decisivo è la profonda fiducia che gli operai russi sviluppano nel loro partito di classe, cosa che permette a questo di intervenire e di assumere un ruolo di direzione benché sia chiaro per tutti che esso non condivide né le loro illusioni, né i loro scopi immediati. Così la borghesia fallisce nel suo tentativo di piazzare un cuneo fra il partito e la classe, un cuneo che avrebbe significato la disfatta certa della rivoluzione.
“Dovere assoluto del partito era quello di restare con le masse e di tentare di dare alle azioni di queste masse il massimo possibile di carattere pacifico ed organizzato e di non lavarsene le mani alla Ponzio Pilato per la ragione meschina che le masse non erano organizzate fino all'ultimo uomo e che vi erano degli eccessi nel suo movimento”. (4)
I pogrom e le calunnie della controrivoluzione
Dal mattino del 5 luglio le truppe governative cominciano ad arrivare nella capitale. Iniziano la caccia ai bolscevichi, privandoli dei loro pochi mezzi di propaganda, disarmano e terrorizzano gli operai e incitano ai pogrom contro gli ebrei. I “salvatori della civiltà” contro la “barbarie bolscevica” fanno ricorso a due provocazioni principali per mobilitare le truppe contro gli operai.
La campagna di menzogne secondo la quale i bolscevichi sarebbero stati agenti tedeschi
“I soldati restavano, mesti, chiusi nelle loro caserme in attesa. Soltanto nel pomeriggio del 4 luglio le autorità scoprirono, infine, un potente mezzo d'azione: mostrare agli uomini del reggimento Preobrazenskij dei documenti che provavano come due più due fanno quattro, cioè che Lenin era una spia della Germania. La cosa riuscì. La notizia si sparse nel reggimento (...) L'opinione dei battaglioni neutrali fu bruscamente modificata” (2) In particolare è un parassita politico di nome Alexinskij - un bolscevico rinnegato che, in passato, aveva tentato senza successo di formare una opposizione di “ultrasinistra” contro Lenin e che in seguito è diventato un nemico dichiarato dei partiti operai - che viene utilizzato in questa campagna. Ne risulta che Lenin ed altri dirigenti bolscevichi sono obbligati a nascondersi mentre Trockij e altri sono arrestati. “Ciò che serve al potere non è un processo, è la persecuzione degli internazionalisti. Catturarli e tenerli sotto chiave, ecco ciò che occorre al sig. Kerenski e consorti” (5).
Da allora la borghesia non è cambiata. 80 anni dopo, essa conduce una campagna simile, con la stessa logica, contro la Sinistra Comunista. Nel luglio ’17 essa tenta di far credere che i bolscevichi dovevano essere con i tedeschi poiché rifiutavano di sostenere l'Intesa! Oggi tenta di accreditare l'idea secondo cui se la Sinistra Comunista rifiuta di sostenere il campo imperialista antifascista nella II guerra mondiale è perché essa e i suoi attuali successori sono dalla parte dei nazisti. Queste campagne lanciate dagli stati "democratici" hanno lo scopo di preparare dei pogrom futuri.
Oggi i rivoluzionari che tendono a sottovalutare il significato di simili campagne contro di loro, devono imparare ancora molto dall'esperienza dei bolscevichi che, dopo le giornate di luglio, hanno mosso mari e monti per difendere la loro reputazione in seno alla classe operaia. Trockij definisce il luglio 1917 “il mese della più gigantesca calunnia della storia dell'umanità”; ma questa è ben poca cosa rispetto a quella di oggi secondo cui il comunismo e lo stalinismo sono la stessa cosa.
Un’altra maniera per attaccare la reputazione dei rivoluzionari, tanto vecchia quanto il metodo della denigrazione pubblica e utilizzata spesso assieme a questa, è l'utilizzazione da parte dello Stato di elementi non proletari e anche antiproletari che cercano di presentarsi come rivoluzionari.
“La provocazione gioca indubbiamente un certo ruolo negli avvenimenti del fronte come nelle strade di Pietrogrado. Dopo l’insurrezione di febbraio, il governo aveva gettato sulla linea di fuoco un gran numero di anziani gendarmi e di guardie cittadine. Nessuno di loro, beninteso, aveva voglia di combattere. Essi avevano più paura dei soldati russi che di quelli tedeschi. Per far dimenticare il loro passato, essi abbracciavano le opinioni più estremiste dell’esercito, istigavano di soppiatto i soldati contro gli ufficiali, inveivano contro la disciplina e l’offensiva e, frequentemente, si spacciavano per dei bolscevichi. Sviluppando tra di loro un naturale legame di complicità, essi costituivano una originale consorteria di riluttanza e di vigliaccheria. Grazie a loro penetravano e si diffondevano rapidamente nelle truppe le dicerie più fantastiche, nelle quali i termini ultrarivoluzionari si combinavano con lo spirito reazionario dei Centoneri. Nei momenti critici, questi individui erano i primi a dare i segni di panico. L'opera demoralizzatrice dei poliziotti e dei gendarmi fu, più di una volta, menzionata dalla stampa. Non meno sovente si trovano indicazioni di questo ordine nei documenti segreti dello stesso esercito. Ma l'alto comando manteneva il silenzio preferendo assimilare i provocatori Centoneri ai bolscevichi.” (6)
Tiratori isolati sparano sulle truppe che entrano in città e l’episodio viene attribuito ai bolscevichi
“La follia calcolata di queste fucilate sconvolse profondamente gli operai. Era chiaro che dei provocatori sperimentati accoglievano i battaglioni con il piombo al fine di vaccinarli contro il bolscevismo. Gli operai facevano tutti i loro sforzi per spiegarlo ai soldati in arrivo, ma non li si lasciava avvicinare; per la prima volta, dalle giornate di febbraio, fra il soldato e l'operaio si piazzava lo junker o l'ufficiale” (2).
Obbligati a lavorare in semilegalità dopo le giornate di luglio, i bolscevichi devono combattere anche contro le illusioni democratiche di coloro che, nei loro ranghi, vogliono che i loro dirigenti si presentino davanti ai tribunali borghesi al fine di rispondere dell'accusa di essere agenti tedeschi. Riconoscendovi un'altra trappola per il partito, Lenin scrive: “Si tratta di una dittatura militare. Sarebbe dunque ridicolo ad un certo punto parlare di 'giudizio'. Non si tratta di un “giudizio ma di un episodio di guerra civile” (5).
Ma se il partito sopravvive al periodo di repressione che segue le giornate di luglio, ciò è dovuto anche alla sua tradizione di vigilanza costante nella difesa dell'organizzazione contro tutti i tentativi dello Stato di distruggerla. Si può notare, per esempio, che l'agente dell'Ochrana, Malinovskij - che prima della guerra era arrivato ad essere un membro del Comitato Centrale del partito direttamente responsabile della sicurezza dell'organizzazione - avrebbe probabilmente avuto l'incarico di nascondere Lenin, Zinovev e gli altri dopo le giornate di luglio se non fosse stato smascherato prima (malgrado l'accecamento di Lenin stesso!). Senza una simile vigilanza, il risultato sarebbe stato probabilmente una liquidazione dei dirigenti più esperti del partito. Nel gennaio 1919, Luxemburg, Liebknecht, Jogisches e altri militanti del neonato KPD sono stati assassinati dalla borghesia tedesca e sembra che le autorità abbiano avuto informazioni da un agente di polizia di alto livello in seno al partito.
Bilancio delle "giornate di luglio"
Le giornate di luglio rivelano ancora una volta l'enorme energia rivoluzionaria del proletariato, la sua lotta contro la menzogna della democrazia borghese e il fatto che esso è il solo capace di agire contro la guerra imperialista nel periodo di decadenza del capitalismo. La scelta non è “democrazia o dittatura”, ma dittatura del proletariato o dittatura della borghesia, socialismo o barbarie; è l'alternativa alla quale è confrontata l’umanità e che si è posta durante le giornate di luglio. Ma ciò che le giornate di luglio illustrano soprattutto è il ruolo indispensabile del partito di classe del proletariato. Non è affatto strano che la borghesia “celebri” oggi l'80° anniversario della rivoluzione russa con una nuova campagna di calunnie contro l'attuale campo politico rivoluzionario. Luglio 1917 ha anche mostrato che superare le illusioni sui partiti ex-operai che hanno tradito e su quelli della sinistra del capitale è una cosa indispensabile se il proletariato vuole prendere il potere. E' l'illusione principale che ha avuto la classe operaia durante le giornate di luglio. Ma questa esperienza ha chiarito definitivamente, non soltanto per la classe operaia e i bolscevichi, ma anche per i menscevichi e gli SR, che queste ultime organizzazioni erano irrevocabilmente passate alla controrivoluzione. Come scrive Lenin all'inizio settembre: “(...) in quel momento Pietrogrado non aveva potuto prendere il potere, nemmeno materialmente, e se materialmente l'avesse preso, non avrebbe potuto mantenerlo politicamente, Tseretelli e consorti non essendo ancora arrivati, nel loro percorso, al punto di sostenere un governo di boia. E' per questo che la parola d'ordine della presa del potere sarebbe stata falsa in quel momento, il 3‑5 luglio 1917 a Pietrogrado. In quel momento i bolscevichi stessi non avevano e non potevano avere deciso scientemente di trattare Tseretelli e consorti come controrivoluzionari. In quel momento, né i soldati, né gli operai potevano avere l'esperienza fornita dal mese luglio.” (7)
Dalla metà di luglio Lenin tira chiaramente questa lezione: “Dopo il 4 luglio la borghesia controrivoluzionaria, marciando con i monarchici e i Centoneri, si è conquistata, in parte con l'intimidazione, i piccolo-borghesi socialisti-rivoluzionari e menscevichi e ha dato l'effettivo potere ai Cavaignac, alla cricca militare che fucila i recalcitranti sul fronte e massacra i bolscevichi a Pietrogrado. (8) Ma la lezione chiave del luglio 1917 è quella della direzione politica della classe da parte del partito. La borghesia impiega spesso la tattica di provocare degli scontri prematuri. Che sia nel 1848 e nel 1870 in Francia, nel 1919 e 1921 in Germania, in ogni caso il risultato è una repressione del proletariato nel sangue. Se la rivoluzione russa è il solo grande esempio in cui la classe operaia è stata capace di evitare una simile trappola e una sconfitta nel sangue nel sangue, è perché in buona parte il partito bolscevico è stato capace di svolgere il suo ruolo decisivo di avanguardia. Risparmiando alla classe una simile disfatta, i bolscevichi hanno messo in rilievo, contro l'interpretazione perversa degli opportunisti, le profonde lezioni rivoluzionarie tratte da Engels nella sua celebre introduzione del 1895 alle Lotte di classe in Francia di Marx, e particolarmente questa messa in guardia: “Non c'è che un mezzo che potrebbe contenere momentaneamente il continuo accrescimento delle forze combattenti socialiste in Germania e anche farle regredire per qualche tempo, è un grande urto con le truppe, un salasso come nel 1871 a Parigi.” (9)
Trockij riassume il bilancio dell'azione di partito come segue: “Se il partito bolscevico, mettendosi a giudicare dottrinariamente come 'inopportuno' il movimento di luglio, avesse girato le spalle alle masse, la semi-insurrezione sarebbe inevitabilmente caduta sotto la direzione dispersa e non concertata degli anarchici, di avventurieri, di interpreti occasionali dell'indignazione delle masse e avrebbe sparso tutto il suo sangue in sterili convulsioni. Ma anche se il partito, piazzandosi alla testa dei mitraglieri e degli operai delle Putilov, avesse rinunciato al suo giudizio sulla situazione d'insieme e fosse scivolato sulla via di combattimenti decisivi, l'insurrezione avrebbe preso indubbiamente un'ampiezza audace, gli operai e i soldati, sotto la direzione dei bolscevichi, si sarebbero impadroniti del potere, tuttavia solo per preparare l'affondamento della rivoluzione. La questione del potere su scala nazionale non sarebbe stata, come a febbraio, risolta dalla vittoria a Pietrogrado. La provincia non avrebbe seguito la capitale. Il fronte non avrebbe compreso e non avrebbe accettato il cambiamento di regime. Le ferrovie e il telegrafo sarebbero serviti ai conciliatori contro i bolscevichi. Kerenskij e il Grande Quartiere Generale avrebbero creato un potere per il fronte e la provincia. Pietrogrado sarebbe rimasta isolata. Al suo interno sarebbe cominciata una disintegrazione. Il governo avrebbe avuto la possibilità di lanciare su Pietrogrado masse considerevoli di soldati. L'insurrezione sarebbe finita, in queste condizioni, in una tragedia di una Comune di Pietrogrado. In luglio, alla biforcazione delle vie storiche, solo l'intervento del partito dei bolscevichi elimina le due varianti di un pericolo fatale: sia quello del genere delle giornate del giugno 1848, sia quello del genere della Comune di Parigi del 1871. E' prendendo coraggiosamente la testa del movimento che il partito ha ottenuto la possibilità di arrestare le masse nel momento in cui la manifestazione cominciava a trasformarsi in un intervento generale di forze armate. Il colpo portato in luglio alle masse e al partito fu molto grave. Ma questo colpo non fu decisivo. Si contarono le vittime a diecine, ma non a diecine di migliaia. La classe operaia uscì dalla prova non decapitata e non dissanguata. Essa conservò integralmente i suoi quadri di lotta, e questi quadri avevano appreso molto.” (2)
La storia dà ragione a Lenin quando scrive: “Una nuova fase inizia. La vittoria della controrivoluzione dà il via al chiarimento in seno alle masse sulla natura dei partiti socialista-rivoluzionario e menscevico e apre la via allo spostamento di queste alla politica che sostiene il proletariato rivoluzionario.” (10)
KR.
1. "Da che parte è il potere, da che parte la controrivoluzione?" Lenin, Opere Scelte, Edizioni di Mosca.
2. Trotsky, “Storia della rivoluzione russa”
3. Trotsky, ibid. Buchanan era un diplomatico britannico di posto a Pietrogrado.
4. Lenin, “Sulle illusioni costituzionali”, Opere Complete.
5. Lenin, “I dirigenti bolscevichi devono comparire dinanzi ai tribunali?”, Opere Scelte, Edizioni di Mosca.
6. Trotsky, ibid. Il ruolo molto simile giocato da ex poliziotti, elementi criminali e atri sottoproletari nei "soldati di Spartaco" e gli "invalidi rivoluzionari" durante la rivoluzione tedesca, particolarmente durante la tragica “Settimana di Spartaco” a Berlino nel gennaio 1919, è stata ancora più catastrofica.
7. Lenin, “Voci di complotto”, Opere Complete.
8. Lenin, “A proposito delle parole d'ordine”, Opere Complete.
9. Engels, “Introduzione” a Lotte di classe in Francia di Marx
10. Lenin, “Sulle illusioni costituzionali”, Opere Complete
Come reazione alla degenerazione incarnata dallo stalinismo e vittime delle menzogne sparse dalla borghesia, molti operai sono convinti che la rivoluzione russa fosse “marcia dall’interno” e che i bolscevichi avessero profittato dei lavoratori per impadronirsi del potere. (1) Questa visione della borghesia non fa che applicare alla rivoluzione russa ciò che è sempre stata la sua visione della politica: la menzogna e la manipolazione delle masse. Ma il corso degli avvenimenti successivi all’insurrezione d’Ottobre è disciplinato dalle “leggi storiche” delle rivoluzioni proletarie e non dal machiavellismo proprio della borghesia: “In ciò, la rivoluzione russa non ha fatto che confermare l’insegnamento fondamentale di qualsiasi grande rivoluzione, la cui legge vitale si formula così: occorre avanzare molto rapidamente e risolutamente, rovesciare con mano di ferro tutti gli ostacoli, porre gli obiettivi sempre più lontano, se non si vuole ben presto essere riportati al fragile punto di partenza né essere schiacciati dalla controrivoluzione.” (2)
Il formidabile tesoro di esperienze, fatte tra febbraio e ottobre 1917, mostra ai lavoratori che è possibile distruggere l’apparato dello Stato borghese. E la tragedia della degenerazione di questa rivoluzione contiene a sua volta un’altra lezione altrettanto importante: la rivoluzione proletaria può trionfare solo estendendosi all’insieme del pianeta.
1. Purtroppo, la delusione terribile che produsse il fallimento della rivoluzione ebbe come conseguenza lo sviluppo, da parte dei rivoluzionari, di teorie come il consiliarismo, che vede nella rivoluzione russa soltanto una rivoluzione borghese e che presenta il partito bolscevico come un partito borghese. Ma anche il bordighismo, che vede una doppia natura (allo stesso tempo borghese e proletaria) della rivoluzione russa, è un’espressione dello stesso fenomeno. Vedere le nostre critiche di queste concezioni nell’opuscolo.
2. Rosa Luxemburg, La Rivoluzione russa.
“Il destino della rivoluzione in Russia dipendeva completamente dagli eventi internazionali. Il fatto che i Bolscevichi avessero basato la loro politica interamente sulla rivoluzione proletaria mondiale è la prova più chiara della loro lungimiranza politica, della loro fermezza di principi e dell’audace scopo della loro linea politica” (1).
Fin dal 1914, quando la Prima Guerra Mondiale mise in chiaro che il periodo di decadenza del capitalismo era cominciato, i Bolscevichi erano all’avanguardia dei rivoluzionari, mostrando che come alternativa alla guerra mondiale c’era soltanto la rivoluzione mondiale del proletariato.
Con questo fermo orientamento internazionalista, Lenin e i Bolscevichi vedevano nella rivoluzione russa “…solo il primo passo della rivoluzione proletaria che sarebbe inevitabilmente sorta come conseguenza alla guerra”. Per il proletariato russo, la sorte della rivoluzione dipendeva in primo luogo dalle insurrezioni operaie negli altri paesi, e principalmente in Europa.
La Rivoluzione Russa lottò con tutte le sue forze per raggiungere gli altri paesi
Ma la Rivoluzione russa non lasciò passivamente al proprio destino lo sviluppo della rivoluzione proletaria negli altri paesi. Nonostante le difficoltà che incontrava in Russia, si prendevano continuamente iniziative per estendere la rivoluzione. Infatti lo Stato sorto dalla rivoluzione era visto come il primo passo verso la Repubblica Internazionale dei Soviet, non delineata dalle frontiere artificiali delle nazioni capitaliste, ma da frontiere di classe (2). Per esempio, fu condotta una propaganda sistematica verso i prigionieri di guerra, per incitarli ad unirsi alla rivoluzione internazionale, e quelli che lo volevano sarebbero potuti diventare cittadini sovietici.
Da questa propaganda nacque la “Organizzazione Social Democratica dei Prigionieri di Guerra in Russia” che chiamava gli operai di Germania, Austria, Turchia ecc. all’insurrezione per metter fine alla guerra e diffondere la rivoluzione.
La Germania rappresentava un punto cruciale per lo sviluppo della rivoluzione e fu proprio verso di essa che furono concentrate tutte le energie della Rivoluzione russa. Molto presto un’ambasciata si stabilì a Berlino (aprile 1918), e fu trasformata nel quartier generale della rivoluzione tedesca. L’ambasciatore russo Joffe comprò informazioni segrete da funzionari tedeschi per passarle ai rivoluzionari al fine di dimostrare gli intenti imperialisti del governo; fornì inoltre anche armi ai rivoluzionari; la maggior parte della propaganda rivoluzionaria fu stampata nell’ambasciata dove ogni notte i rivoluzionari tedeschi tenevano riunioni clandestine e preparavano insurrezioni.
Gli operai russi mostrarono le priorità della rivoluzione: nonostante stessero soffrendo la fame, si privarono di tre treni carichi di grano per aiutare gli operai tedeschi.
E’ importante conoscere come sono stati vissuti, in Russia, i primi tempi della rivoluzione in Germania. Quando questa ebbe inizio, in una dimostrazione degli operai di fronte al Cremlino, “decine di migliaia di operai irruppero con esultanza sfrenata. Mai avevo visto una cosa del genere prima d’ora. Fino a sera tardi si aggiungevano lavoratori e soldati dell’armata rossa. Aveva inizio la rivoluzione mondiale. La massa faceva sentire il suo passo di ferro. Il nostro isolamento era finito” (3).
Un altro contributo alla rivoluzione mondiale, anche se sfortunatamente in ritardo, fu il primo congresso dell’Internazionale Comunista, tenutosi in Mosca nel maggio del ’19. L’Internazionale capì che:
“Il nostro obbiettivo è di generalizzare l’esperienza rivoluzionaria della classe operaia, ripulire il movimento dalle influenze corrosive dell’opportunismo e del social-patriottismo e riorganizzare le forze di tutti gli autentici partiti rivoluzionari del mondo proletario. Così accelereremo e faciliteremo la vittoria della rivoluzione comunista nel mondo intero” (4).
Ciononostante, i proletari venivano massacrati a Berlino, Vienna, Budapest e Monaco, e l’Internazionale Comunista cominciava a fare concessioni al parlamentarismo, al sindacalismo e alla liberazione nazionale. Similmente, adesso la rivoluzione era affidata alla guerra rivoluzionaria, che i bolscevichi, come vedremo più avanti, avevano rifiutato firmando il trattato di Brest-Litovsk nel 1918 (5). Nel 1920 il Comitato Esecutivo dell’IC, gia sulla strada della degenerazione, promulgò il nefando slogan di “Fronte Unito” basato sulla convinzione che la rivoluzione europea stesse sfumando.
La logica fatalistica così comune alla filosofia borghese considera che “ogni cosa conduce … ad un'altra”. Perciò l’Internazionale Comunista così come tutti gli altri sforzi giganteschi della classe operaia e rivoluzionaria, vengono presentati a noi, sin dal loro inizio come il piano precostituito dei “machiavellici” bolscevichi, come lo strumento di difesa del capitalismo di Stato russo. Ma come abbiamo detto questa è la logica della borghesia. Per il proletariato invece, le degenerazione della rivoluzione russa e dell’Internazionale Comunista fu il risultato della disfatta della classe operaia dopo una furiosa lotta contro la reazione bestiale del capitalismo mondiale. Se, come dice oggi la borghesia, si trattava solo di “una questione di tempo” prima che la rivoluzione cocesse nel suo brodo, perché allora tutti i capitalisti del mondo si unirono insieme per strozzare la rivoluzione russa?
Il capitalismo prende d’assedio la rivoluzione russa
Tra il 1917 e il 1923, fino al fallimento degli sforzi rivoluzionari del proletariato mondiale, tutti i capitalisti si unirono in una crociata internazionale sotto lo slogan “abbasso il bolscevismo”. Dall’imperialismo tedesco ai generali zaristi alle democrazie occidentali dell’Intesa, che solo qualche mese prima erano infognati nella prima carneficina mondiale imperialista, sottoscrissero questa crociata. Questa è un’altra lezione basilare dell’Ottobre: quando una insurrezione operaia minaccia l’esistenza stessa del capitalismo, gli sfruttatori mettono al bando le differenze per arginare la rivoluzione.
L’imperialismo tedesco
Il primo ostacolo che la rivoluzione russa si trovò di fronte furono gli eserciti del Kaiser. Perciò è chiaro che la rivoluzione russa, con le ondate rivoluzionarie che sorsero come risposta alla Prima Guerra Mondiale, ebbe luogo, come affermava Rosa Luxemburg, nelle “condizioni più difficili e anormali” per lo sviluppo e la diffusione della rivoluzione, per esempio la guerra mondiale.
La pace rappresentava una necessità imperante e prese il primo posto nelle priorità della rivoluzione. E la pace arrivò presto, a Brest-litovsk il 19 novembre del 1917. Fu annunciata attraverso la radio nella notte, non solo per gli operai della Russia, ma anche per i prigionieri di guerra e gli operai di tutto il mondo. Comunque, questo non significa che i bolscevichi andarono a Brest-litovsk confidando nelle intenzioni “pacifiche” dell’imperialismo tedesco: “Non nascondiamo a nessuno che consideriamo il presente governo incapace di una pace democratica, solo la lotta rivoluzionaria delle masse operaie contro i governi può avvicinare l’Europa alla pace. Mentre la completa realizzazione di essa sarà assicurata solo da una rivoluzione proletaria vittoriosa in tutti i paesi capitalisti” (6).
All’inizio del 1918 cominciarono ad arrivare notizie di scioperi e ammutinamenti in Germania, Austria e Ungheria (7), che incoraggiarono i bolscevichi a prolungare i negoziati, ma alla fine queste rivolte furono schiacciate. Questo portò Lenin, ancora una volta in posizione minoritaria all’interno del partito Bolscevico, a difendere la necessità di firmare il trattato di pace il più presto possibile. La diffusione della rivoluzione, causa per cui essi lottavano coraggiosamente, non deve essere confusa con la “guerra rivoluzionaria” sostenuta dalla “comunisti di sinistra” (8). Questa dipendeva dalla maturità della rivoluzione in Germania: “E’ pienamente ammissibile che con queste premesse non solo sarebbe ‘conveniente’ (come dicono gli autori della risoluzione), ma anche assolutamente obbligatorio accettare la possibilità della sconfitta e della perdita del potere dei Soviet. Ma è chiaro che queste premesse non sussistono. La rivoluzione tedesca sta maturando, ma non è ancora scoppiata. È ovvio che se noi non aiutassimo, ma al contrario bloccassimo il processo di maturazione in Germania, allora noi accetteremmo “la possibilità della sconfitta e della perdita del potere dei Soviet”. Noi aiuteremmo la reazione in Germania, faremmo il suo gioco, provocheremmo delle difficoltà per i movimenti socialisti in Germania, distoglieremmo dal socialismo le grandi masse proletarie e semi-proletarie che non hanno ancora incorporato il socialismo e che potrebbero temere la sconfitta della Russia sovietica, allo stesso modo come la sconfitta della Comune di Parigi nel 1871 scoraggiò gli operai Inglesi.” (9).
Questo è il dilemma che esiste in una roccaforte dove il proletariato ha preso il potere, ma dov’è momentaneamente isolato, finché la rivoluzione non avrà raggiunto gli altri paesi con insurrezioni vittoriose. Abbandonare la testa di ponte o negoziare, e quindi indietreggiare momentaneamente di fronte ad una forza militare superiore, per guadagnare una tregua e difendere un bastione rivoluzionario per poter continuare a sostenere la rivoluzione mondiale? Rosa Luxemburg, che in un primo momento non era d’accordo con la negoziazione di Brest-Litovsk, definì con tremenda chiarezza come la lotta del proletariato tedesco fosse l’unica possibilità per uscire dalla contraddizione, in un modo favorevole alla rivoluzione: “Tutti i presupposti della battaglia per la pace portata avanti dai russi si basano sull’ipotesi tattica che la rivoluzione in Russia sarà il segnale per le rivolte rivoluzionarie del proletariato dell’Ovest… solo in questo caso la rivoluzione russa sarà stato il preludio per una pace generalizzata. Ma fino ad ora niente di tutto ciò è accaduto. La rivoluzione russa, a parte qualche valoroso sforzo del proletariato italiano (sciopero generale di Torino il 22 Agosto) fu abbandonata dai proletari di tutti i paesi, comunque la linea politica di classe del proletariato internazionale, per la sua natura ed essenza, può solo essere realizzata internazionalmente” (10).
Infine, il 19 febbraio, l’alto comando tedesco rinnovò improvvisamente le operazioni militari (“il balzo di una bestia selvatica è velocissimo” disse Lenin). In poche settimane le forze tedesche erano alle porte di Pietrogrado e il governo russo dovette finalmente accettare la pace senza condizioni: gli eserciti tedeschi occuparono le prime province baltiche nella primavera del ’18, gran parte della Bielorussia, tutta l’Ucraina e infine il nord del Caucaso, e, contro quanto concordato a Brest-Litovsk la Crimea e il Trans-Caucaso (eccetto Baku e il Turkestan).
In continuità con la Sinistra Comunista italiana (11), noi non pensiamo che la pace di Brest-Litovsk abbia rappresentato un passo indietro per la rivoluzione, ma che fu imposta dalla contraddizione tra il mantenimento delle conquiste proletarie e l’estensione della rivoluzione. La risoluzione a questo problema non era da ricercarsi al tavolo della negoziazione, né sul fronte militare, ma nella risposta del proletariato mondiale. Fu precisamente quando i capitalisti si organizzavano per annientare l’ondata rivoluzionaria che il governo russo accettò la convenzionale “politica estera” degli Stati capitalisti e firmava a Rapallo l’accordo dell’aprile del 1922, il quale né nella forma (di trattato segreto), né naturalmente nella sostanza (aiuto militare dell’esercito russo al governo tedesco), ha niente a che vedere con Brest-Litovsk o con la politica rivoluzionaria del proletariato. Quando la IC, ormai in piena degenerazione, chiamò gli operai tedeschi a compiere un azione disperata nel marzo del 1923, le armi usate dalle truppe governative tedesche per massacrare gli operai erano state vendute loro dal governo russo.
Il continuo tormento da parte delle democrazie occidentali
Gli alleati dell’Intesa, le democrazie avanzate del Ovest, facevano del loro meglio per soffocare la rivoluzione russa. In Ucraina, Finlandia, paesi Baltici, Bessarabia, Inghilterra e Francia si istaurarono regimi che supportavano l’esercito bianco controrivoluzionario.
Come se non bastasse, decisero di intervenire direttamente in Russia. Le truppe giapponesi sbarcarono a Vladivostok il 3 aprile. I distaccamenti americani, francesi e inglesi arrivarono dopo:
“Dall’inizio del novembre rivoluzionario (1917) le potenze dell’Intesa si schierarono con i partiti e il governo controrivoluzionari della Russia. Con l’aiuto della borghesia controrivoluzionaria annessero la Siberia, gli Urali, le coste europee della Russia, il Caucaso e parte del Turkestan. In questi territori saccheggiarono foreste, petrolio, manganese e altre materie prime. Con l’aiuto di bande di mercenari Cecoslovacchi rubarono le riserve auree dell’impero russo. Sotto la direzione del diplomatico britannico Lockhart, spie inglesi e francesi organizzarono bombardamenti di ponti e distruzioni di linee ferroviarie e provarono anche a tagliare i rifornimenti alimentari. L’Intesa erogava denaro, armi e aiuti militari ai generali reazionari Denikin, Kolchak e Krasnov, che avevano fucilato e impiccato migliaia di operai e contadini a Rostov, Yuzovka (Donetsk), Novorossiak, Omsk e altrove” (12).
All’inizio del 1919, quando scoppiò la rivoluzione in Germania, la Russia era completamente isolata dall’esterno e si trovava di fronte ad uno dei periodi di più intensa attività delle truppe delle democrazie occidentali, così come dell’Armata bianca. Di fronte alle truppe inviate dai capitalisti per arrestare la rivoluzione, i bolscevichi proclamavano la necessità dell’internazionalismo proletario: “Tu non lotterai contro i tuoi nemici (diceva un volantino diretto alla truppe Inglesi e Americane) contro persone della classe operaia, come te. Noi ti chiediamo – stai venendo per annientarci? …Sii solidale con la tua classe e rifiuta di fare lo sporco lavoro dei tuoi capi” (13).
E di nuovo l’appello dei bolscevichi (essi pubblicavano giornali come il The Call inglese o La Lanterne francese) ebbe un certo effetto sulle truppe mandate a combattere la rivoluzione: “Il primo marzo 1919 ci fu un ammutinamento tra le truppe francesi che avevano l’ordine di sfondare le linee. Qualche giorno prima, una compagnia di fanti inglesi ‘si rifiutò di andare al fronte’ e poco dopo una compagnia americana si rifiutò di adempiere agli ordini ricevuti al fronte” (14). Nell’aprile del 1919 le truppe e la flotta francesi reagirono con indignazione all’esecuzione di Jeanne Labour, un militante comunista che faceva propaganda a favore della fraternizzazione tra le truppe russe e francesi. Allo stesso modo anche le truppe inglesi dovettero essere rimpatriate perchè gli operai in Inghilterra e in Italia dimostravano contro l’invio di armi e truppe agli eserciti controrivoluzionari. Quindi, le democrazie occidentali furono costrette a cambiare tattica e ad usare intanto le truppe delle nazioni create dalle rovine stesse del vecchio impero russo come cordone sanitario contro la diffusione della rivoluzione.
Nell’aprile del ’19 truppe polacche occuparono parte della Bielorussia e della Lituania. Nell’aprile del ’20 occuparono Kiev in Ucraina e infine nel maggio/giugno dello stesso anno il governo polacco appoggiò il generale bianco Denikin occupando la maggior parte dell’Ucraina. Anche Enver Pasha, leader della rivoluzione anti-feudale della Gioventù Turca, fu coinvolto in una rivolta anti-sovietica in Turkestan nell’ottobre del 1921.
La reazione interna
Dopo la rivoluzione di Ottobre e la presa del potere da parte degli operai, i resti della borghesia, dell’esercito e della reazionaria casta di ufficiali (Cosacchi, Tekins, ecc.) iniziarono immediatamente a raggruppare le loro forze sotto la bandiera del governo provvisorio (curiosamente la stessa che Yeltsin sventolò poi dal Cremlino), formando così la prima armata Bianca sotto il comando di Kaledin, capo dei Cosacchi del Don.
L’immenso caos e la penuria che affliggevano la Russia isolata, la “auto-smobilitazione” dei resti dell’esercito ereditato dallo zarismo, la debolezza delle forze armate rivoluzionarie, ma soprattutto l’ azione dell’imperialismo tedesco e delle democrazie occidentali in favore dell’armata Bianca, rovesciò progressivamente il bilancio dei rapporti di forza, portando alla guerra civile. Alla metà del 1918 i territori controllati dai soviet si ridussero al principato feudale di Mosca, e la rivoluzione dovette affrontare anche la rivolta della “Legione Ceca” e il governo anti-bolscevico di Samara (15), che interruppe le comunicazioni vitali con la Siberia. A tutto ciò bisogna aggiungere anche la presenza dei Cosacchi di Krasnov (il generale sconfitto a Pulkvo nei primi giorni dell’insurrezione e successivamente rilasciato dai bolscevichi), l’esercito di Denikin a sud, di Kaledin sul Don, di Kolchak ad est e di Yudenitch nel nord: una sanguinosa orgia di terrore, massacri, omicidi e atrocità, applaudita con fragore dai “democratici” e benedetta dai “socialisti” che in Germania, Austria, Ungheria schiacciavano le rivolte operaie.
Gli storici borghesi presentano la bestialità della guerra civile “come qualcosa che accade in tutte le guerre”, come frutto della “ferocia” umana. Tuttavia la crudele guerra civile che infiammò per tre anni e causò, insieme alla pestilenze e alle carestie generate dal blocco economico, più di sette milioni di morti, fu imposta alla popolazione della Russia dal capitalismo mondiale.
Al fianco degli eserciti occidentali e dell’armata Bianca, vi furono sabotaggi e cospirazioni controrivoluzionarie da parte della borghesia e della piccola borghesia. Nel luglio del 1918 Savinkov (16) organizzò, con fondi erogati dall’ambasciatore francese Noulen, un ammutinamento a Yaroslav, dove per due settimane autentico terrore e vendette furono riversate contro tutti coloro che simpatizzavano per il bolscevismo proletario e rivoluzionario. Anche in luglio, pochi giorni dopo lo sbarco delle truppe franco-britanniche a Musmark, i socialisti rivoluzionari di sinistra organizzarono un tentativo di colpo di stato , assassinando il Conte Mirbach, ambasciatore tedesco, che provocò l’immediato rilancio delle ostilità con la Germania. Lenin disse a proposito: “un altro mostruoso colpo dalla piccola borghesia”. Alla rivoluzione non mancava altro che una guerra aperta contro la Germania!
La rivoluzione lottava tra la vita e la morte. La sopravvivenza, che dipendeva dalla rivoluzione in Europa, chiedeva sacrifici senza fine, non solo sul terreno economico come abbiamo visto, ma anche sul terreno politico. In questo articolo non vogliamo entrare nell’analisi della questione dell’apparato repressivo o dell’esercito regolare, (17) questioni sulle quali la rivoluzione russa fornisce un’importante lezione. Tuttavia, è importante sottolineare che l’evoluzione dalla violenza rivoluzionaria al terrore completo, così come la subordinazione delle milizie operaie all’esercito gerarchico o la crescente autonomia dello Stato dai consigli operai, fu in gran parte conseguenza dell’isolamento della rivoluzione, del rapporto di forze sempre più sfavorevole fra borghesia e proletariato internazionale, che è ciò che decise definitivamente il destino di una rivoluzione che aveva trionfato in un solo paese.
Non esiste una evoluzione logica tra la Ceca, che all’epoca in cui fu formata, nel novembre del 1917, contava a mala pena 120 uomini e non aveva neanche le automobili per eseguire gli arresti, e il mostruoso apparato politico della GPU – usata da Stalin contro i bolscevichi stessi. Questa evoluzione era speculare alla profonda degenerazione conseguenza della disfatta della rivoluzione. Allo stesso modo non si può parlare di continuità tra la Guardia Rossa, le unità militari mantenute e comandate dai soviet, e l’esercito regolare che ripristinò la leva obbligatoria nell’Aprile del 1919, insieme alla disciplina della caserma e al saluto militare: nell’agosto del 1920 l’Armata Rossa aveva già 315 mila militari “spetsy” (specialisti dell’esercito zarista). La connessione tra i due era lo schiacciante peso della lotta tra il bastione rivoluzionario, che necessitava dell’aria della rivoluzione internazionale, e una furiosa controrivoluzione mondiale, che diventava sempre più potente ad ogni sconfitta inflitta al corpo internazionale del proletariato.
Asfissia economica
In questa condizione di isolamento, di blocco permanente da parte dei capitalisti, di sabotaggio interno, e indipendentemente da ogni illusione che i bolscevichi potevano avere circa la possibilità di introdurre una logica differente nell’economia, la realtà fu che tra il 1918 e il 1921 l’economia in Russia, come Lenin notò, fu una fortezza assediata, un bastione proletario, che provava a resistere nelle peggiori condizioni possibili nella speranza dell’estensione della rivoluzione (18).
La terribile penuria che seguì alla rivoluzione in Russia non fu generata dal socialismo, essa non era dovuta che all’impossibilità di sconfiggere questa miseria finché la rivoluzione proletaria fosse rimasta isolata. La differenza è senza dubbio sostanziale: con la prima tesi i capitalisti speravano che i lavoratori imparassero la lezione che “è meglio non fare la rivoluzione e distruggere il capitalismo, perché in fin dei conti ti permette di sopravvivere”, mentre con la seconda rappresenta una fondamentale lezione per la lotta operaia, valida per ogni momento, dallo sciopero in una piccola fabbrica alla rivoluzione in un intero paese: “se le lotte non si diffondono, se si rimane isolati, non possiamo battere il capitalismo”.
La rivoluzione operaia in Russia sorse dalla Prima Guerra Mondiale, e ne ereditò il caos economico, il razionamento e l’assoggettamento della produzione alle necessità della guerra. Il suo isolamento aggiungeva poi altra sofferenza, causata dalla guerra civile e dagli interventi militari delle democrazie occidentali. Le stesse persone che a Versailles si nascondevano dietro una maschera umanitaria, con lo slogan “vivi e lascia vivere”, non esitarono ad imporre un draconiano blocco economico che durò dal marzo 1918 all’inizio del 1919 (qualche mese dopo la sconfitta definitiva dell’ultima armata Bianca, quella di Wrangel), e che includeva anche il blocco alle donazioni di solidarietà provenienti dai proletari degli altri paesi.
La popolazione soffriva quindi ogni tipo di privazione. Prendiamo l’esempio del combustibile. Il freddo in Russia seminò cadaveri. Il carbone dall’Ucraina fu inaccessibile fino al 1920 e il petrolio di Baku e del Caucaso fu nelle mani inglesi dall’estate del 1918 alla fine del 1919, risultato dell’assedio protratto dal capitalismo. L’ammontare di combustibile che raggiungeva la Russia in quel periodo non superava del 10% i normali rifornimenti dei prima della guerra.
Vi era una fame atroce in città. Pane e zucchero erano stati razionati dalla guerra imperialista. Con la guerra civile questo razionamento raggiunse livelli inumani a causa del blocco economico e del sabotaggio dei contadini che nascosero parte del loro raccolto al fine di rivenderlo sul mercato nero. Quando, nell’agosto del 1918, furono completamente esaurite le scorte dei negozi della città, fu deciso un razionamento diverso:
Nell’ottobre del 1919, col generale bianco Yudenitch alle porte di Pietrogrado, Trotsky descrisse i volontari che si erano impegnati a frenare l’avanzata delle guardie bianche come un esercito di fantasmi:
“I lavoratori di Pietrogrado sembravano ridotti male; le loro facce erano grigie per la denutrizione; i loro vestiti ridotti in stracci, le loro scarpe, alcuni non ne avevano affatto, piene di buchi” (19).
Nel gennaio del 1921, nonostante la guerra civile fosse finita, la razione di pane nero era di 800 grammi per i lavoratori delle fabbriche con produzione a ciclo continuo e 600 per gli altri, con una riduzione di 200 grammi per coloro che avevano la “carta B” (i disoccupati). Lo stesso si poteva dire per le aringhe, che in altri tempi potevano salvare una giornata, e che adesso erano introvabili. La maggior parte delle patate spesso arrivavano in città congelate, da quando le locomotive e la ferrovia erano in uno stato misero (il 20% del loro potenziale di prima della guerra). All’inizio dell’estate del ’21 si diffuse una atroce carestia nelle province più ad est, come nella regione del Volga. Durante questo periodo, secondo quanto afferma il Congresso dei Soviet, tra 22 e 27 milioni di persone erano in stato di indigenza, minacciati da fame, freddo ed epidemie di tifo (20), difterite e influenza…
A questa scarsità di scorte vi era poi da aggiungere la speculazione. Per ottenere qualcosa da aggiungere alle razioni ufficiali era necessario fare ricorso al mercato nero: la “sujarevka” (il nome deriva da Piazza Sujarevski a Mosca dove si svolgevano questo tipo di scambi semiclandestini). La metà del grano arrivava nelle città tramite il Commissariato dei Rifornimenti, l’altro dal mercato nero (venduto ad un prezzo maggiorato di dieci volte). Esisteva poi un’altra forma di mercato nero: il trasporto illegale di beni artigianali verso le campagne per scambiarli coi contadini in cambio di cibo. Presto la rivoluzione produsse un nuovo soggetto l’“uomo borsa”, che sui malandati treni merci trasportava sale, fiammiferi, a volte un paio di scarpe o un po’ di olio in una bottiglia, per scambiarli con qualche chilo di patate o un po’ di farina. Nel settembre del 1918 il governo diede il tacito riconoscimento al mercato nero, limitandolo a sole 1,5 libbre di grano (circa 25 chili). Da allora l’uomo borsa divenne l’uomo della libbra e mezza, ma continuò a guadagnarci. Quando le fabbriche cominciarono a comprare i beni coi prodotti da loro realizzati, questa pratica si diffuse anche ai lavoratori, che si trasformavano in “uomini borsa” per vendere nei villaggi cinghie, attrezzi, ecc.
Per quanto riguarda le condizioni di lavoro, si aggravarono brutalmente a causa della tremenda miseria, dell’isolamento della rivoluzione e della guerra civile, che rendevano vane le rivendicazioni dei lavoratori e le misure che il governo adottava al fine di soddisfarle:
“Quattro giorni dopo la rivoluzione fu emanato un decreto che fissava a 8 le ore lavorative giornaliere e a 48 quelle settimanali, ponendo inoltre un limite al lavoro delle donne e dei giovani e proibendo il lavoro ai ragazzi minori di 14 anni. Un anno dopo Narkimtrud (Commissario del Lavoro del Popolo) dovette ribadire la natura obbligatoria di questo decreto. Comunque queste proibizioni ebbero poco effetto in questo periodo di estrema scarsità di lavoro a causa della guerra civile (21).
Lo stesso Lenin che aveva denunciato il “Tailorismo”, ovvero la catena di montaggio, identificandola come la “schiavitù dell’uomo verso la macchina”, dovette infine sottostare alla richiesta di intensificare la produzione istituendo i “sabati comunisti”, per i quali i lavoratori ricevevano appena un pasto ed erano generalmente non pagati, in quanto visti come un supporto alla rivoluzione. Con la fiducia che la rivoluzione fosse ancora imminente in Europa, i settori più combattivi e coscienti della classe operaia russa tentavano di difendere con questa prospettiva il bastione proletario. Ma privati dei loro Soviet, delle loro assemblee di lavoratori e della loro lotta di classe contro lo sfruttamento capitalistico, furono progressivamente incatenati nella più brutale forma dello sfruttamento capitalista.
Malgrado questi sforzi e questo supersfruttamento, le fabbriche russe producevano sempre meno, per la perdita di competenza di un proletariato sottoalimentato e per il caos proprio dell’economia russa: nel 1923, tre anni dopo la fine della guerra civile, l’insieme dell’industria non superava il 30% della capacità produttiva del 1912. Nella piccola industria la produttività operaia non era che il 57% di quella del 1913. Questa piccola industria era in gran parte rurale (nei fatti si concentrava nella fabbricazione di utensili, vestiti, mobili) e gli operai vi lavoravano in condizioni molto simili all’agricoltura (in particolare come numero di ore di lavoro). Date le terribili condizioni di vita delle città, come abbiamo visto, la maggior parte dei lavoratori emigrò in campagna e si integrò nelle industrie di piccola scala. E quelli che rimasero ancora in città abbandonarono le grandi fabbriche per lavorare in piccole officine, dove potevano ottenere quel poco da rivendere ai contadini. Nel 1920 il numero totale dei lavoratori dell’industria era di 2,2 milioni, dei quali solo 1,4 milioni era impiegato in stabilimenti di più di 30 operai.
Con l’adozione della NEP (la Nuova Politica Economica) nel 1921 (22), le aziende statali si trovavano in competizione con i “privati” capitalisti russi e con gli investitori stranieri appena arrivati; quindi, come in economia capitalista, lo Stato-padrone doveva produrre di più e a prezzi più economici. Dopo la guerra civile e l’applicazione della NEP, sopravvenne un’ondata di licenziamenti, che, per esempio, colpì più della metà della forza lavoro impiegata nelle ferrovie. La disoccupazione crebbe rapidamente dal 1921. Nel 1923 in Russia la cifra ufficiale dei disoccupati era di un milione.
La questione contadina
I contadini rappresentavano l’80% della popolazione. Durante l’insurrezione il Congresso dei Soviet adottò il “Decreto sulla Terra”, con cui si cercava di rispondere alle necessità di decine di milioni di contadini: procurarsi un pezzo di terra con cui poter vivere, ed eliminare le grandi proprietà agricole, che non solo rappresentavano il flagello dei contadini, ma anche un punto a favore della controrivoluzione. Comunque, le misure adottate non contribuirono a formare grandi unità di lavoro, in cui gli operai agricoli potessero esercitare un minimo di controllo del lavoro. Al contrario, a dispetto di ogni iniziativa come i “comitati degli operai agricoli”, o i Kolkhozi (fattorie collettive), o i Sovjozi (“Soviet dei granai”, altrimenti chiamate “fabbriche socialiste del grano”, sin da quando la loro missione era quella di rifornire di cereali i proletari delle città), ciò che si diffuse fu la piccola unità contadina, di dimensioni ridicole e che difficilmente copriva il fabbisogno di una famiglia contadina. Nel 1917 le unità agricole di meno di 5 ettari rappresentavano il 58% del totale; nel 1920 queste raggiunsero l’86% della terra coltivabile. Naturalmente queste piccole unità, data la loro dimensione esigua, difficilmente avrebbero potuto alleviare la fame delle città. Le misure di “requisizione forzata” con la quale i bolscevichi all’inizio tentarono di ottenere il cibo per coprire le esigenze del proletariato e dell’Armata Rossa non solo si dimostrò uno spiacevole fiasco per le quantità ottenute, ma più che altro perché spingevano un gran numero di contadini nell’Armata Bianca, o in bande armate che molto spesso combattevano l’Armata Bianca e i Bolscevichi alla stesso tempo, come nel caso dell’anarchico Makhno in Ucraina.
Dall’estate del 1918 lo Stato provò ad appoggiarsi sui contadini medi per ottenere maggiori risultati: nel primo anno della rivoluzione il Commissariato dei Rifornimenti a stento raccoglieva 780 mila tonnellate di grano, tra l’agosto del 1918 e l’agosto del 1919 ne ottenne due milioni. Tuttavia, i proprietari di aziende di “medie” dimensioni non erano disposti a collaborare: “Il medio contadino produce più cibo di quanto abbia bisogno, ed ha quindi un surplus di grano, diventando così sfruttatore degli operai affamati. Questo è il loro obbiettivo fondamentale e la contraddizione fondamentale. Il contadino, il lavoratore, l’ uomo che vive del proprio lavoro, che ha conosciuto l’oppressione del capitalismo, questo tipo di contadino è dalla stessa parte dell’operaio. Ma il contadino proprietario, che ha il suo surplus di grano, è abituato a guardare questo ultimo come sua proprietà che può essere venduta liberamente (23).
Ancora una volta i bolscevichi non poterono adottare nessun altra politica se non quella imposta dal rapporto di forza sfavorevole tra la rivoluzione operaia e il dominio del capitalismo. La soluzione a questo mucchio di contraddizioni non era nelle mani della Russia, né risiedeva nelle relazioni tra proletariato e contadini in Russia. L’unica soluzione poteva venire dal proletariato internazionale:
“Al IX congresso del partito, nel marzo 1919, in cui si proclamava una politica di riconciliazione coi medi contadini, Lenin tocco il tasto dolente dell’agricoltura collettiva. Il contadino medio si convincerebbe della società comunista “solo… qualora aiutassimo e migliorassimo le sue condizioni di vita”. Ma qui sorge l’ostacolo:
“se domani dessi 100.000 trattori di prima classe, forniti di benzina, forniti di meccanici (sapete bene che oggi questa è una fantasia), il medio contadino direbbe: “io sono per la comune (cioè per il comunismo)”. Ma per fare questo è necessario prima vincere la borghesia internazionale, e costringere loro a darci quei trattori”.
Lenin non proseguì su questo sillogismo. Era impossibile costruire il socialismo in Russia senza una agricoltura socializzata; socializzare l’agricoltura era impossibile senza i trattori; ottenere i trattori era impossibile senza una rivoluzione proletaria internazionale” (24).
Come si può vedere, né durante il periodo del comunismo di guerra ne in quello della NEP, la Russia era improntata dal socialismo, ma dall’asfissiante condizione imposta dall’isolamento della rivoluzione:
“Abbiamo sempre più ragione di credere che se la classe operaia europea avesse conquistato il potere prima, noi avremmo rimodellato il nostro paese arretrato economicamente e culturalmente; lo avremmo fatto col supporto tecnico e organizzativo che ci avrebbe permesso di correggere e modificare, in parte o totalmente, i nostri metodi di comunismo di guerra, portandoci verso una vera economia socialista” (25).
La sconfitta dell’ondata rivoluzionaria del proletariato mondiale condusse alla morte del baluardo proletario russo. Con la fine della rivoluzione, una nuova borghesia in Russia potè essere ricostruita:
“La borghesia si ricostituì come se la rivoluzione fosse degenerata dall’interno, non dalla classe dominante zarista, che il proletariato aveva eliminato nel 1917, ma sulla base della burocrazia parassitaria dell’apparato statale, che sotto la leadership di Stalin fu sempre più identificata col partito Bolscevico. Alla fine degli anni ’20 questa burocrazia dello stato/partito eliminò tutti quei settori capaci di ricreare una borghesia privata, alla quale si era alleata (speculatori e latifondisti della NEP). Facendo questo prese il controllo dell’economia” (26).
L’esaurimento dei consigli operai.
Come conseguenza dell’isolamento della rivoluzione non si ebbe solo fame e guerra, ma anche la progressiva perdita del capitale più importante della rivoluzione: l’azione di massa e la coscienza della classe operaia, che tra il febbraio e l’ottobre del 1917 si era approfondita e allargata. (27). Alla fine del 1918 il numero dei lavoratori a Pietrogrado era il 50% rispetto al 1916 e, nell’autunno del 1920, alla fine della guerra civile, il luogo che vide nascere la rivoluzione aveva perso il 58% della sua popolazione. Mosca, la nuova capitale, si spopolò del 45% e tutte le province della capitale persero il 30% della popolazione.
Ma una gran parte di loro si arruolarono nell’Armata rossa o al servizio dello Stato: “Quando al fronte diventava difficile, noi ci rivolgevamo al comitato del Partito Comunista e al presidio del consiglio centrale dei sindacati; e tramite queste due fonti che proletari straordinari erano mandati al fronte, a formare l’Armata Rossa a loro immagine e modello” (28).
Ogni volta che l’Armata Rossa, composta soprattutto da contadini, indietreggiava sbandando, o che le diserzioni si moltiplicavano, brigate operaie, più determinate e coscienti, erano reclutate per mettersi all’avanguardia delle operazioni militari o per fare da “muro di contenimento” contro la diserzione contadina. Inoltre, molto spesso c’era bisogno di sventare sabotaggi, e combattere il caos dei rifornimenti, allora i bolscevichi ricorsero al famoso slogan di Lenin “l’energia proletaria è necessaria qui!”. Quindi questa energia rivoluzionari fu rimossa dai centri dove era nata e si era specializzata, i consigli operai e i Soviet, e fu sempre più integrata al servizio dello Stato. In altre parole andò a costituire sul lungo periodo la burocrazia parassitaria, l’organo che sarebbe diventato il motore della controrivoluzione (29). Si ebbe quindi come conseguenza un progressivo svilimento dei Soviet:
“Quando il principale problema del governo era la resistenza ai nemici e si doveva resistere ai loro attacchi, il controllo era esercitato esclusivamente attraverso gli ordini. Naturalmente la dittatura del proletariato prendeva la forma di una dittatura politica militare. Allora, gli organi collettivi dei Soviet, soprattutto le assemblee plenarie dei Soviet, sparivano e il controllo passava direttamente al comitato esecutivo, cioè un organo limitato, un comitato di tre o cinque persone. Spesso, soprattutto nelle regioni vicine al fronte, gli organi “regolari” del potere dei Soviet, cioè gli organi eletti dai lavoratori, erano rimpiazzati da “comitati rivoluzionari” locali che invece di affrontare i problemi con la discussione nelle assemblee di massa, li risolvevano di loro iniziativa” (30).
Questa perdita di riflessione collettiva e di discussione si diffuse non solo nelle assemblee e nei soviet locali, ma anche nei consigli operai di fabbrica. Dal 1918, il Congresso Supremo dei Soviet, che si supponeva dovesse incontrarsi ogni tre mesi, lo fece una volta all’anno. Stessa sorte per il Comitato Centrale dei Soviet, il quale non fu capace di fare discussione collettive e prendere decisioni. Quando al VII Congresso dei Soviet nel dicembre del 1919 la rappresentativa del “Bund” (il Partito Comunista Ebraico) chiese cosa stesse facendo il Comitato Esecutivo Centrale, Trotsky rispose “il CEC è in battaglie al fronte!”.
Infine, tutte le decisioni e la vita politica era concentrata nelle mani del partito Bolscevico. Fu Kamenev a renderlo chiaro al IX congresso del partito Bolscevico:
“Noi amministriamo la Russia e non potremmo farlo in altro modo se non attraverso i comunisti” (sottolineatura nostra).
Noi condividiamo le critiche che Rosa Luxemburg fece nella sua Rivoluzione Russa: “’Grazie alla lotta aperta e diretta per il potere governativo’ (scrive Trotsky) ‘le masse operaie accumulano in breve tempo un grande bagaglio di esperienza politica e avanzano velocemente da uno stadio all’altro del loro sviluppo’.
Qui Trotsky tradisce se stesso e i suoi compagni di partito. E proprio perché questo è vero, essi hanno, sopprimendo la vita pubblica, seccato la fonte dell’esperienza politica e arrestato la tendenza ascendente. (…).
I giganteschi compiti a cui i bolscevichi si erano dedicati con coraggio e decisione esigevano proprio che le masse ricevessero un’educazione politica molto intensa e accumulassero esperienza”.
La Sinistra Comunista italiana arriva allo stesso punto quando fa un bilancio delle cause che hanno portato alla sconfitta della rivoluzione in Russia: “Sebbene Marx, Engels e soprattutto Lenin, sottolinearono più volte la necessità di opporre allo Stato il suo antidoto proletario, capace di impedire questa degenerazione, la rivoluzione russa, lungi dall’ assicurare il mantenimento e la vitalità delle organizzazioni di classe proletarie, le incorporava nell’apparato statale, e ciò sgretolava la loro stessa sostanza” (Bilan, n.28).
Aver preservato il peso politico della classe operaia nello Stato sovrarappresentandola (1 delegato per 25.000 operai, contro 1 per 125.000contadini) non ha risolto niente, giacchè il problema era appunto quello dell’integrazione di questa classe operaia nell’apparato reazionario di Stato. E quando si concluse la sconfitta della rivoluzione proletaria in Europa niente, nemmeno il controllo feroce del partito bolscevico, poteva evitare che il capitalismo dominante a livello mondiale e quindi anche in Russia prendesse il controllo dello Stato per orientarlo in direzione opposta a quella dei comunisti: “Non vogliamo negarlo: lo Stato non ha funzionato come noi avremmo voluto. E come ha funzionato? La macchina non obbedisce: un uomo è seduto al volante e sembra guidarla, ma la macchina non va nella direzione voluta, essa va dove la spinge un’altra forza illegale, forza illecita, forza proveniente da non si sa dove – dove la spingono gli speculatori o forse i capitalisti privati, o forse gli uni e gli altri – ma la macchina non marcia per niente e, spesso, non come vorrebbe colui che è al volante” (31).
“I bolscevichi temevano che la controrivoluzione venisse dalle armate bianche e da altre espressioni dirette della borghesia, e hanno difeso la rivoluzione contro questi pericoli. Essi temevano il ritorno della proprietà privata, attraverso la persistenza della piccola produzione, e in particolare dei contadini. Ma il peggior pericolo della controrivoluzione non è venuto né dai ‘kulaki’, né dagli operai massacrati a Kronstadt, né dai complotti dei “bianchi” che i bolscevichi avevano visto dietro questa rivolta. E’ sui cadaveri degli operai tedeschi massacrati nel 1919 che la controrivoluzione ha vinto, ed è attraverso l’apparato burocratico di quello che era supposto essere il “semi-Stato” proletario che essa si è più fortemente imposta” (32).
L’esito della situazione creata dall’insurrezione dell’ottobre 17 non si trovava in Russia. Come già aveva detto Rosa Luxemburg, “In Russia il problema poteva solo essere posto. Esso non poteva essere risolto in Russia.” La chiave dell’evoluzione della situazione si trovava nelle mani del proletariato internazionale. Nel momento in cui l’ondata rivoluzionaria che aveva messo fine alla prima guerra mondiale fu sconfitta, il corso degli avvenimenti in Russia fu marcato da un’accumulazione di contraddizioni, di ricerche disperate di soluzioni, senza essere in grado di tagliare il nodo gordiano del problema: l’estensione della rivoluzione.
“Tuttavia, la fatale situazione in cui si trovano oggi i bolscevichi, così come la maggior parte dei loro errori sono essi stessi la conseguenza del carattere fondamentalmente insolubile del problema a cui li ha messi di fronte il proletariato internazionale e in particolare quello tedesco. Stabilire una dittatura proletaria e compiere un rovesciamento socialista in un solo paese, accerchiato dall’egemonia della reazione imperialista e assillato da una guerra mondiale, la più sanguinosa della storia umana, è come cercare la quadratura del cerchio. Ogni partito socialista sarebbe condannato al fallimento di fronte a questo compito e a soccombere, che esso sia guidato, nella sua politica, dalla volontà di vincere e dalla fede nel socialismo internazionale, o da un atteggiamento rinunciatario” (33).
La rivoluzione russa costituisce l’esperienza più importante, la più ricca di insegnamenti della storia del movimento operaio. Le future lotte rivoluzionarie proletarie non potranno fare a meno dello sforzo di riappropriarsi delle sue molteplici lezioni. Ma, certamente, la prima tra queste è la conferma che il vecchio grido di guerra marxista. “Proletari di tutti i paesi unitevi!” non è una “bella idea”, ma la condizione prima, vitale del trionfo della rivoluzione comunista. L’isolamento internazionale è la morte della rivoluzione.
(Da Révue Internationale n° 75)
1. Rosa Luxemburg, La Rivoluzione Russa.
2. La prima Costituzione sovietica del 1918 riconosceva la cittadinanza “a tutti gli stranieri che risiedevano sul territorio della federazione sovietica a condizione che appartenessero alla classe operaia o ai contadini che non avevano mano d’opera alle loro dipendenze”.
3. Raked, citato in E. H. Carr, La rivoluzione bolscevica.
4. Manifesto dell’Internazionale Comunista ai lavoratori di tutto il mondo.
5. Durante l’estate del 1920 le sessioni del 2° Congresso dell’Internazionale Comunista si tennero davanti a un rapporto dello stato maggiore che indicava i progressi dell’Armata Rossa nel suo contrattacco contro la Polonia. Come è noto, questa incursione militare non fece che legare i proletari polacchi alla loro borghesia, e si concluse con una sconfitta alle porte di Varsavia.
6. Trotsky, in E.H. Carr, La rivoluzione bolscevica.
7. Nell’estate 1918 scoppiò a Berlino uno sciopero che mobilitò un milione e mezzo di operai e che si estese ad Amburgo, Kiel, alla Ruhr, Lipsia,… e che diede luogo ai primi consigli operai. Nello stesso tempo scoppiarono rivolte operaie a Vienna e Budapest, ed anche la maggioranza dei giornalisti borghesi riconoscevano che esse erano legate alla Rivoluzione russa, in particolare ai negoziati che si tenevano a Brest-Litovsk (Vedi E.H. Carr, La rivoluzione bolscevica).
8. Vedere la Révue internationale n° 8 e 9, “La Sinistra comunista in Russia”.
9. Lenin, Opere scelte.
10. Rosa Luxemburg, La rivoluzione russa, “La responsabilità storica”.
11. Vedi “La Sinistra comunista in Russia 1918-1930” nella Rivista Internazionale n° 2 nonché, in lingua francese e, in lingua inglese o francese, la brochure Il periodo di transizione dal capitalismo al comunismo, in cui esaminiamo il problema dei negoziati fra il bastione proletario e i governi capitalisti alla luce dell’esperienza russa.
12. Tesi del 1° Congresso dell’Internazionale Comunista sulla situazione internazionale e la politica dell’Intesa, I quattro primi congressi dell’Internazionale Comunista.
13. E. H. Carr, op.cit.
14. E. H. Carr, op.cit.
15. Questo governo arrivò a controllare il medio e il basso Volga. Nell’ottobre 1918 ebbe luogo un sollevamento di 400.000 “tedeschi del Volga” che proclamarono in questo territorio una Comune operaia. La cosiddetta “legione ceca” era costituita da prigionieri di guerra cechi che furono autorizzati dal governo russo a lasciare la Russia per Vladivostock. Durante il viaggio, 60.000 dei 200.000 soldati di questa “legione” si ammutinarono e formarono delle bande armate che si dedicarono al saccheggio e al terrore (bisogna aggiungere che quasi 12.000 soldati di questa “legione” furono integrati nei ranghi dell’Armata rossa.
16. Questo vecchio social-rivoluzionario servì da intermediario clandestino nel settembre 1917 tra Kerensky e Kornilov. Egli organizzò, nel gennaio 1918, un attentato contro Lenin, fu in seguito nominato rappresentante dei “russi bianchi” a Parigi, dove frequentava non solo i servizi segreti degli “alleati”, ma anche dei generali, ministri, ecc.; infine gli fu dato come ringraziamento del suo lavoro “democratico” la direzione dei commando di sabotatori.
17. Rinviamo il lettore ai seguenti articoli: “La degenerazione della Rivoluzione russa”, Rivista Internazionale n° 2; “La Sinistra comunista in Russia 1918-1938” in Rivista Internazionale n° 2; “Ottobre 17: inizio della rivoluzione proletaria” in Révue Internazionale n° 12 e 13.
18. Di fatto, il socialismo non è mai esistito in Russia poiché questo esige la vittoria del proletariato sulla borghesia a livello internazionale. La politica economica ingaggiata da un bastione proletario isolato non può essere dettata che dal capitalismo dominante a livello mondiale. Il “socialismo in un solo paese” non è altro che una foglia di fico della controrivoluzione staliniana, come hanno sempre denunciato i rivoluzionari. Il lettore potrà trovare degli sviluppi su questa questione nell’articolo “La degenerazione della rivoluzione russa” della Rivista Internazionale n° 2 e nel capitolo “La rivoluzione russa e la corrente consiliarista” della nostra brochure “Russia 1917: la più grande esperienza rivoluzionaria della classe operaia”.
19. Trotsky, La mia vita.
20. Le epidemie di tifo erano così forti e frequenti che Lenin dichiarò che o la rivoluzione avrebbe prevalso sui pidocchi o i pidocchi avrebbero prevalso sulla rivoluzione.
21. E. H. Carr., op.cit.
22. Nonostante quello che pensavano gran parte dei membri della Sinistra comunista di Russia, la NEP non era un ritorno al capitalismo poiché la Russia non aveva mai conosciuto un’economia socialista. Riguardo alle questioni relative alla NEP, vedi Révue internationale n° 2, “Réponse à Workers Voice” e l’articolo “La Sinistra comunista in Russia 1918-1938”, in Rivista Internazionale n° 2.
23. Lenin, citato in E.H. Carr, La rivoluzione bolscevica.
24. E.H. Carr, op.cit.
25. Lenin, “NEP e rivoluzione”, in “Teoria comunista e politica economica nella costruzione del socialismo”.
26. Dal nostro supplemento “Il proletariato mondiale di fronte al crollo del blocco dell’est e al fallimento dello stalinismo”.
27. Vedi la Révue Internazionale n° 71.
28. Trotsky, citato in E.H. Carr, La rivoluzione bolscevica.
29. La nostra posizione sul ruolo dello Stato nel periodo di transizione e i rapporti fra i Consigli e lo Stato, che si basa sulle lezioni tirate dalla Rivoluzione russa, è sviluppata nella nostra brochure: Il periodo di transizione dal capitalismo al comunismo e nelle Révue Internationale n° 8, 11, 15, 18. Sull’idea che il partito possa prendere il potere in nome della classe operaia, vedi la nostra critica nella Révue internationale n° 23, 34 e 35.
30. Trotsky, La teoria della rivoluzione permanente.
31. Lenin, Rapporto politico del Comitato Centrale al Partito, 1922.
32. Vedi la nostra brochure, Il periodo di transizione dal capitalismo al comunismo, Introduzione.
33. Rosa Luxemburg, La tragedia russa.
Links
[1] https://it.internationalism.org/en/tag/1/172/opuscoli
[2] https://it.internationalism.org/en/tag/storia-del-movimento-operaio/1917-rivoluzione-russa
[3] https://it.internationalism.org/en/tag/2/26/rivoluzione-proletaria
[4] https://it.internationalism.org/en/tag/2/37/ondata-rivoluzionaria-1917-1923
[5] https://it.internationalism.org/en/tag/2/40/coscienza-di-classe
[6] https://it.internationalism.org/en/tag/3/51/partito-e-frazione