Già qualche mese fa, abbiamo ricevuto sul nostro sito Internet due messaggi su Che Guevara da un compagno firmatosi E.K. Pubblichiamo la lettera che gli abbiamo mandato all’inizio d’aprile cogliendo l’occasione per completare ed allargare la nostra risposta alle domande restate allora in sospeso. Rendiamo pubblica questa corrispondenza perché, come lo stesso EK dice, si è "nelle celebrazioni dei 40 anni della sua morte di combattente" e si tratta per noi, CCI, non di aggiungerci alle cerimonie celebrative ma, al contrario, di provare a comprendere se Che Guevara è stato realmente un rivoluzionario e se la classe operaia e le giovani generazioni devono o non rivendicarsi alla sua azione.
Alcuni brani del messaggio di EK
Per il compagno EK, Che Guevara è un autentico combattente per la causa dei popoli oppressi. Infatti, per lui, "l'internazionalismo del Che è fuori discussione. È il modello del combattente internazionale e della solidarietà tra i popoli". Sarebbe così uno dei rari rivoluzionari ad avere osato criticare il regime dell'URSS: "all'epoca del secondo seminario di solidarietà afro-asiatica, il Che critica senza mezzi termini le posizioni conservatrici e sfruttatrici dell'URSS". Infine, EK espone in questa prima lettera la sua visione del proletariato e del ruolo dei rivoluzionario: "in quanto all'agente storico della trasformazione sociale, non c'è, mi sembra, ragione di ridurre il concetto di proletariato ai soli operai, negazione assoluta della condizione umana. (...) Il compito degli intellettuali è di introdurre nel proletariato la coscienza della sua situazione attraverso mezzi eminentemente politici".
In seguito alla nostra risposta, il compagno E.K ci ha mandato velocemente un secondo messaggio in cui tiene a smarcarsi innanzitutto da tutti quelli che trasformano il Che in icona, moltiplicando le T-shirts ed altri poster alla sua effige: "Rendere Che un mito attraverso la duplicazione della sua immagine tende ad occultare la sua vita e la sua opera". Ma soprattutto afferma che "perseguendo obiettivi distinti, il Che è stato portato con forza a sganciarsi logicamente dal modello social-imperialistico dell'URSS. La CIA ed il KGB hanno anche cooperato per sbarazzarsi di lui all'epoca del suo tentativo rivoluzionario in Bolivia". Ed il compagno conclude: "Ernesto Che Guevara ha pagato la probità intellettuale della sua vita. Rendergli omaggio significa leggere i suoi testi; perpetuare la sua memoria, continuare la lotta; rendergli giustizia, sostenere i suoi valori. All'alba delle celebrazioni dei 40 anni della sua morte di combattente, è tempo di restituire più vigore al suo pensiero e vita alle sue idee".
Ti ringraziamo per il tuo messaggio d’inizio aprile. Scusaci per il ritardo di questo supplemento di risposta. Vogliamo fare qui una critica su ciò che ci scrivi. Questa critica non significa per noi una "fine della nostra corrispondenza", ma proprio il contrario. Siamo sempre pronti a rispondere alle tue domande ed ai tuoi punti di vista. Vorremmo rispondere su ciò che dici a proposito di Che Guevara studiando quanto più sinceramente e seriamente possibile ciò che furono realmente, come tu chiedi, "i suoi valori", "le sue idee" e "la sua lotta".
Che Guevara è un esempio per la gioventù rivoluzionaria di oggi?
In questo mese di ottobre, si celebra il 40mo anniversario della morte di Che Guevara, ucciso dall'esercito boliviano, diretto dalla CIA americana.
Dal 1967, "il Che" è diventato il simbolo dell'eterna "gioventù rivoluzionaria romantica" : morto giovane, armi alla mano, lottando contro l'imperialismo americano, grande "difensore delle masse povere dell'America latina". Tutti hanno in testa l’immagine del Che col suo basco stellato, sguardo triste e lontano.
I suoi famosi Appunti di viaggio hanno contribuito notevolmente a divulgare la storia di questo ribelle, proveniente da una buona famiglia argentina, un poco bohémien, che si lancia in un avventuroso viaggio in moto sulle strade del Sud America, utilizzando le sue conoscenze mediche per aiutare i poveri... Vive in Guatemala in un momento (1956) in cui gli Stati Uniti fomentano un ennesimo colpo di Stato contro un governo che non è di loro gradimento. Questo dominio permanente sui paesi dell'America latina da parte degli Stati Uniti nutre tutta la sua vita di un odio implacabile contro questi ultimi. In seguito, raggiunge in Messico il gruppo cubano di Castro, rifugiatosi in questo paese dopo un tentativo abortito di capovolgere il dittatore cubano, Batista, da tempo sostenuto dagli Stati-Uniti[1]. Dopo una serie di avventure, questo gruppo si installa nelle montagne di Cuba fino alla sconfitta di Batista, inizio gennaio 1959. Il nocciolo ideologico di questo gruppo è il nazionalismo, il "marxismo" è solamente una coperta di circostanza ad un’aspra "resistenza" anti-yankee, anche se alcuni elementi tra cui lo stesso Guevara, si considerano "marxisti". Il Partito comunista cubano, che del resto a suo tempo aveva sostenuto Batista, manda uno dei suoi dirigenti, Carlos Rafael Rodríguez, da Castro nel 1958, solamente alcuni mesi prima della vittoria di quest’ultimo.
Questa guerriglia non è affatto l'espressione di una qualsiasi rivolta contadina, ancora meno della classe operaia. È l'espressione militare di una frazione della borghesia cubana che vuole rovesciare un'altra frazione per prendere il suo posto. Non c'è nessuno "sollevamento popolare" nella presa di potere da parte della guerriglia castrista. Questa si presenta, come spesso accade in America latina, sotto forma della sostituzione di una cricca militare attraverso un'altra formazione armata nella quale gli strati sfruttati e miseri della popolazione dell'isola, arruolati o non dai combattenti golpisti della guerriglia, non giocano un ruolo importante, se non quello di acclamare i nuovi padroni del potere. Di fronte alla resistenza piuttosto debole della soldatesca di Batista, Guevara appare come un intrepido guerrigliero la cui determinazione ed il carisma crescente appaiono velocemente suscettibili di fare ombra al suo maestro Fidel. Dopo la vittoria su Batista, Fidel Castro incarica il Che di formare i "tribunali rivoluzionari", una sanguinosa mascherata nella migliore tradizione del regolamento dei conti tra frazioni delle differenti borghesie nazionali, in particolare in America latina. Che Guevara prende veramente il suo ruolo a cuore, per convinzione e con zelo, adottando una giustizia "popolare" dove, a guisa di sfogo collettivo, si giudicano i vecchi torturatori di Batista, ma viene preso "chiunque capiti" su semplice denuncia. Del resto, Guevara rivendicherà più tardi all'ONU, in risposta ai rappresentanti latino-americani, buone anime "democratiche" che si ritengono indignati da questi metodi, dicendo: "abbiamo fucilato, fuciliamo e continueremo a fucilare finché sarà necessario". Queste pratiche non hanno niente a che vedere con la difesa maldestra di una qualsiasi giustizia rivoluzionaria. Lo ripetiamo, sono proprio questi i metodi tipici di una frazione della borghesia che ha preso il sopravvento su un'altra con la forza delle armi.
Possiamo allora identificarci all’ideale de "l’eroe" austero della Sierra Maestra, al "guerrigliero eroico" che morrà alcuni anni più tardi nella montagna boliviana ma che, nel mondo reale, non ha tenuto in effetti che un ruolo di esecutore di basse opere nell’aiutare l’insediamento di un regime che di comunista ha solo il nome?Tu dici: "l'internazionalismo del Che è fuori discussione" e "all'epoca del secondo seminario di solidarietà afro-asiatica, il Che critica senza mezzi termini le posizioni conservatrici e sfruttatrici dell'URSS" per affermare infine "il Che sarà portato con forza e logicamente a sganciarsi dal modello social-imperialistico dell'URSS".
Il regime nazionalista di Castro si è rivestito rapidamente dell'epiteto "comunista", in altre parole, questo regime si è unito… al campo imperialista retto dall'URSS. Essendo Cuba localizzata ad alcune miglia dalle coste americane, ciò non poteva evidentemente che inquietare il capofila del blocco dell'Ovest. Il processo di stalinizzazione dell'isola, con una presenza importante di personale civile, militare e servizi segreti dei paesi del blocco dell'Est, troverà il suo coronamento nel 1962 al momento della “crisi dei missili”.
In questo processo, Che Guevara, ora ministro dell'industria (1960-61), per saldare la nuova alleanza col "campo socialista", è inviato da Castro nei paesi di questo campo, dove si esibisce in un discorso elogiativo dell'URSS: "Questo paese che ama così profondamente la pace", "dove regna la libertà di pensiero", "la madre della libertà". Egli celebra molto anche "la straordinaria" Corea del Nord o la Cina di Mao dove "tutti sono pieni di entusiasmo, tutti fanno delle ore di straordinario" e così via per l'insieme dei paesi dell'Est: "le realizzazioni dei paesi socialisti sono straordinarie. Non c'è paragone possibile tra i loro sistemi di vita, i loro sistemi di sviluppo e quelli dei paesi capitalisti". Un vero appassionato del modello stalinista! Ritorneremo dopo sul "disamore" di Guevara con l'URSS. Contrariamente a ciò che affermi, il Che non ha emesso mai il benché minimo dubbio di principio sul sistema stalinista. Per lui, l'URSS ed il suo blocco erano il campo "socialista, progressista" e la sua lotta si integrava pienamente in quella del blocco russo contro il blocco occidentale. La parola d’ordine lanciata da Guevara "Creare uno, due, mille Vietnam", non è una parola d’ordine "internazionalista" ma molto nazionalista e favorevole al blocco russo! Il suo criterio reale non è il cambiamento sociale, ma l'odio verso il capofila dell’altro blocco, gli Stati Uniti. In effetti, dopo la Seconda Guerra mondiale, il mondo si è trovato diviso in due blocchi antagonisti, uno sotto la potenza americana, l'altro dell'URSS. La "liberazione nazionale" si rivelò allora una perfetta mistificazione ideologica per giustificare il regolare reclutamento militare delle popolazioni. In queste guerre, né la classe operaia né le altre classi sfruttate avevano niente da guadagnare, servendo da massa di manovra per le differenti frazioni della classe dominante e dei loro padrini imperialisti. La divisione del mondo in due blocchi imperialisti dopo gli accordi di Yalta ha significato che qualsiasi uscita da un blocco significava la caduta nel blocco avverso. E, proprio, non c'è migliore esempio di quello di Cuba: questo paese è passato dalla dittatura corrotta di Batista, sotto il controllo diretto di Washington, dei suoi servizi segreti e di ogni tipo di mafie, al dominio del blocco stalinista. La storia di Cuba è un concentrato della storia tragica delle "lotte di liberazione nazionale" per circa mezzo secolo!
Allora, prima di dire quando e come Guevara si è falsamente più o meno "sganciato" dall'URSS, bisogna essere ben chiari sulla natura dell'URSS e del suo blocco. Dietro la difesa di un Che Guevara rivoluzionario, c'è l'idea che l'URSS, più o meno, che lo si voglia o no, malgrado i suoi difetti… era il "blocco socialista, progressista". E questa è la più grande menzogna del ventesimo secolo. Una rivoluzione proletaria in Russia c'è ben stata, ma è stata sconfitta. La forma stalinista della controrivoluzione si è data una parola d’ordine: la "costruzione del socialismo in un solo paese", parola d’ordine che si trova all'esatto opposto della base naturale e fondamentale del marxismo. Per il marxismo "i proletari non hanno patria"[2]! È questo internazionalismo, molto reale che è servito da bussola all'ondata rivoluzionaria mondiale che si è sviluppata nel 1917 ed a tutti i rivoluzionari dell'epoca, da Lenin e i bolscevichi a Rosa Luxemburg e gli Spartakisti[3]. L'adozione aberrante di questa "teoria" di una "patria socialista" da difendere ha avuto per corollario il ricorso sistematico ad un metodo borghese: il terrore ed il capitalismo di Stato, questo tallone di ferro, l’espressione più totalitaria e più feroce dello sfruttamento capitalista!Il Che “si è sganciato dal modello social-imperialistico dell'URSS”?
All'origine delle critiche del Che nei confronti dell'URSS, c'è "la crisi dei missili", nel 1962. Per l'URSS, il suo dominio sulla Cuba fu una fortuna. Finalmente, avrebbe potuto eguagliare gli Stati Uniti che minacciavano direttamente l'URSS dai paesi vicini a quest’ultima, come la Turchia. L'URSS cominciò ad installare rampe di lancio di missili a testata nucleare ad alcune miglia dalle coste americane. Gli Stati Uniti risposero mettendo in opera un embargo totale dell'isola, costringendo le navi russe a fare marcia indietro. Krusciov, il padrone del Cremlino dell'epoca, fu obbligato infine a ritirare i suoi missili. Per alcuni giorni dell’ottobre 1962, gli scontri imperialisti tra quelli che si presentavano come "il mondo libero" e quelli che si presentavano come il "mondo socialista progressista" hanno rischiato di mettere tutta l'umanità sul bordo dell'abisso. Krusciov fu considerato allora dai dirigenti castristi come uno "smidollato", uno che non aveva i "coglioni" per attaccare gli Stati Uniti. In un eccesso di isteria patriottica, dove lo slogan castrista "Patria o morte" prende il suo senso più sinistro, essi sono preparati a sacrificare il popolo (diranno che è il popolo che è preparato a sacrificarsi) sull'altare della guerra atomica. In questo delirio perverso, Guevara non può essere che all'avanguardia. Scrive: "hanno ragione [i paesi dell'OEA[4] ad avere paura della “sovversione cubana”], è l'esempio spaventoso di un popolo che è preparato ad immolarsi attraverso le armi atomiche affinché le sue ceneri servano a cementare le nuove società, e che, quando si è concluso un accordo sul ritiro dei razzi atomici senza che lo si sia consultato, non emette un sospiro di sollievo, non accoglie la tregua con riconoscenza. Si getta nell'arena per […] affermare [...] la sua decisione di lottare, anche da solo, contro tutti i pericoli e contro la stessa minaccia atomica dell'imperialismo yankee"[5]. Questo "eroe" ha deciso che il popolo cubano fosse preparato ad immolarsi per la patria. Così, la base della "delusione", della critica nei confronti l'URSS non è la perdita di fede nelle virtù del "comunismo sovietico" (in termini veri capitalismo stalinista) ma al contrario, il fatto che questo sistema non spingeva fino in fondo la sua logica guerriera di scontro, il parossismo del periodo della "guerra fredda". Ed il discorso di Algeri di Che Guevara a cui tu fai riferimento per affermare che il Che "si è sganciato del modello social-imperialistico dell'URSS" non cambia realmente niente a quest’attaccamento di Guevara alle posizioni staliniste. Al contrario! Durante questo famoso discorso, certamente mise in causa il "mercantilismo" nei rapporti tra i paesi del blocco dell'URSS ma li chiamò sempre socialisti e "popoli amici": "I paesi socialisti sono, in una certa misura, i complici dello sfruttamento imperialista […]. [Essi] hanno il dovere morale di liquidare la loro complicità tacita coi paesi sfruttatori dell'Ovest". Al di là della sua apparenza radicale, una tale critica è dunque proprio quella di qualcuno integrato al sistema stalinista. Peggio, essa è espressione di un responsabile che ha partecipato con tutte le sue forze alla realizzazione di un tale sistema di capitalismo di Stato a Cuba! Del resto, Guevara, in seguito, non farà mai più ufficialmente la minima critica all'URSS.
In effetti, Che Guevara, assassinato dalla CIA e dall'esercito boliviano nel 1967, non fu la vittima solo dell'imperialismo americano, ma anche del nuovo orientamento politico del Cremlino detto di "coesistenza pacifica" col blocco occidentale. Non tratteremo qui le ragioni che hanno spinto la direzione dell'URSS ed il suo blocco a prendere questa "svolta". Ma questa "svolta" non ha niente a che vedere con un qualsiasi "tradimento" verso i popoli che volevano "liberarsi" dall'imperialismo, e verso il proletariato. La politica della classe dominante stalinista ha cambiato spesso rotta in funzione dei suoi interessi come classe dominante e, proprio, l'affare dei missili ha mostrato ai dirigenti dell'imperialismo stalinista la loro impotenza a sfidare il capofila dell'altro blocco alle sue porte e che quindi avrebbero dovuto essere prudenti in America latina. È questo che non hanno compreso Guevara ed una frazione dei dirigenti cubani, al punto di diventare non solo imbarazzanti per l'URSS, ma anche per i loro amici cubani. Da quel momento, il destino di Che Guevara era segnato: dopo la disastrosa avventura nel Congo[6], finirà per ritrovarsi solo in Bolivia, con un pugno di commilitoni, abbandonato dal PC boliviano che, alla fine, si ritrovò sulla linea di Mosca. Per le fazioni più "moscovite", i sostenitori della tattica del "fuoco" (fuoco di guerriglia) erano dei piccoli-borghesi in cerca di avventure, "estranei alle masse". Per le fazioni dei PC favorevoli alla lotta armata, con i loro sostegni critici di ogni tipo, i "capi" dei PC erano dei "rivoluzionari da salotto", dei burocrati imborghesiti… anch’essi "estranei alle masse". Per noi che ci rifacciamo alla Sinistra Comunista, consideriamo queste due forme della stessa controrivoluzione, due varianti della stessa grande menzogna del secolo, quella di avere fatto passare la controrivoluzione stalinista per la continuatrice della rivoluzione di ottobre e l'URSS come comunista.
Quale visione aveva Che Guevara della classe operaia?
Per te, il compito degli intellettuali sarebbe "di introdurre nel proletariato la coscienza della sua situazione...". Sembri riprendere la visione di Che Guevara su "l'élite rivoluzionaria". Ma queste posizioni del Che non nascondono in realtà un profondo disprezzo per la classe operaia? Che cosa rivelano realmente i sui voli da poeta lirico su “l'uomo nuovo nella rivoluzione cubana?”
L'unità proletaria rivoluzionaria ha una base pratica molto concreta: la solidarietà di classe. È questa solidarietà spontanea nell'organizzazione della lotta, fatta di reciproco aiuto e di fraternità, a nutrire le qualità di abnegazione del proletariato rivoluzionario. Ma questa "abnegazione" nelle parole di Guevara, suona, nel migliore dei casi, come un appello quasi mistico al martirio supremo (bisogna riconoscergli come sia stato sempre pronto al sacrificio, e probabilmente era preparato a diventare un "martire" della causa imperialista che difendeva con tutto il popolo cubano "volontario" al momento della crisi dei missili)... Al di là del suo comportamento "esemplare", resta la sua visione del "sacrificio" o de "l'eroismo" (della stessa specie dell'idealismo patriottico esaltato e diffuso dagli stalinisti nella "Resistenza" durante la Seconda Guerra mondiale) che dovrebbe essere imposto dall'alto, per i bisogni dello Stato e sotto la ferula di un "lider maximo". Questa visione si basa sul disprezzo dell'intellettuale piccolo-borghese nei confronti della "massa proletaria" guardata dall’alto, il quale pretende "educarla" affinché comprenda i "benefici della rivoluzione". "La massa, ha dichiarato con condiscendenza Guevara, non agisce come un dolce gregge. È vero che segue senza esitare i suoi dirigenti, soprattutto Fidel Castro…". "Se guardiamo le cose superficialmente, potremmo pensare che quelli che parlano di sottomissione dell'individuo allo Stato hanno ragione, ma le masse realizzano, con entusiasmo e disciplina senza uguale, i compiti che il governo stabilisce, che siano economici, culturali, di difesa o sportivi... L'iniziativa viene in generale da Fidel o dall'alto comando della Rivoluzione ed è spiegata al popolo che la fa sua" (Il socialismo e l'uomo a Cuba, 1965).
In effetti, quando dici "che non c'è ragione di ridurre il concetto di proletariato ai soli operai", il tuo ragionamento attinge certamente ed involontariamente le sue radici in questa visione sprezzante della classe operaia[7]. Infatti, una delle caratteristiche comuni dei trasformismi dello stalinismo (dal maoismo al castrismo) sta nella loro diffidenza ed il loro disprezzo nei confronti della classe operaia, facendo di una mitica classe contadina povera “l'agente della rivoluzione” diretta dagli intellettuali che, in quanto tali, possiedono la coscienza e "l'introducono" nei cervelli delle masse. Nel migliore dei casi, la classe operaia era, per questi neo-stalinisti, una massa di manovra che serviva loro da riferimento storico, una comparsa della loro rivoluzione. Non troviamo mai negli scritti di questi pseudo-rivoluzionari il minimo riferimento ad una classe operaia organizzata come tale ed alle organizzazioni del potere di classe, i soviet. Questi cloni dello stalinismo non hanno più bisogno di camuffare la loro ideologia capitalista di Stato e di parlare dei consigli operai o di altre espressioni della vita proletaria nella rivoluzione russa. Non c'è niente di più dello Stato diretto da persone "illuminate" ed in basso la massa, a cui talvolta si lascia dare prova "d’iniziativa", inquadrata nei "comitati di difesa della rivoluzione" ed altri organismi di sorveglianza sociale.
Ed a Cuba, uno dei primi organi di inquadramento e di direzione della classe operaia sono stati ancora una volta e senza sorpresa i sindacati. I sindacati cubani (CTC) erano già dei sindacati alla maniera americana, perfettamente integrati al "capitalismo liberale" ed alla sua corruzione. Vanno così ad essere velocemente trasformati dalla direzione cubana, nel 1960, in sindacati in salsa stalinista, su un modello burocratico e statale. Le prime decisioni del regime castrista incaricheranno questi ultimi ad impegnarsi a livellare verso il basso i salari e a fare rispettare l'interdizione dello sciopero nelle imprese, da buoni sbirri patentati! E quest’attacco contro la classe operaia sarà giustificato ancora una volta, dall'ideologia anti-americana e dalla "difesa del popolo cubano". Durante uno sciopero contro gli abbassamenti dei salari di operai di imprese appartenenti ai capitali americani, i dirigenti castristi stigmatizzarono questo sciopero come uno sciopero di "benestanti" e ne approfittarono per dichiarare "sciopero allo sciopero" per bocca del nuovo dirigente castrista del CTC.
Nelle scorse settimane sono state servite opere in controversia sulla vita e l'opera del Che. Da un lato, nella scia degli apostoli della "morte del comunismo", le frazioni di destra della borghesia hanno riscaldato questo piatto con l'aiuto servile di alcuni storici, sempre pronti a mettere in evidenza il ruolo "anti-democratico" del Che, il suo ruolo di comandante in capo in quanto responsabile dei tribunali "rivoluzionari" dell’inizio dell'era castrista, blaterando gli uni e gli altri per porsi il problema se queste esecuzioni sono state "eccessive", se c'è stato o non "un bagno di sangue", se c’è stata una giustizia "moderata" o "arbitraria". Per noi, come dicevamo sopra, Guevara ha sostenuto semplicemente bene il suo ruolo necessario per la realizzazione di un nuovo regime tanto borghese e repressivo quanto il precedente. Dall’altro lato, hanno prodotto delle menzogne e delle mezze-verità alla sua gloria. Basta vedere come la Ligue Communiste Révolutionnaire che, con la sua volontà di sostituire il Partito Comunista francese e diventare il primo partito "anticapitalista" della Francia, porta oggi alle stelle "Il Che" e sfrutta la sua immagine "giovane e ribelle”[8].
Caro compagno EK, la realtà è questa: in tutti questi giovani che portano un T-shirt con l'effige del Che, c'è certamente un cuore generoso e sincero, che vuole combattere le ingiustizie e gli orrori di questo mondo. Del resto, se si pubblicizza il Che, è proprio per sterilizzare l'entusiasmo che nutre la passione rivoluzionaria. Ma lo stesso Che è solamente una delle figure della lunga coorte dei dirigenti nazionalisti e stalinisti, forse più affabile degli altri, ma rappresentativa di questa versione tropicale della controrivoluzione stalinista qual è il castrismo.
Malgrado tutte le nostre divergenze, compagno EK, la discussione resta evidentemente aperta… ben oltre questo; ti incoraggiamo calorosamente a continuarla.
Corrente Comunista Internazionale
(Da Révolution Internationale, ottobre 2007)
[1] In effetti, l'impresa coronata da successo del capovolgimento di Batista da parte di Castro e Guevara ha beneficiato dell'appoggio degli Stati Uniti e della benevolenza di una parte della destra che denunciava la corruzione del regime. L'embargo sulle armi deciso dal governo americano contro Cuba ha privato in modo decisivo Batista dei mezzi di lottare contro la guerriglia. È solamente alla fine di alcuni mesi di esercizio del nuovo potere che le relazioni con gli Stati Uniti si sono deteriorate ed è di fronte alla minaccia dell’intervento di questi ultimi che Castro si è affidato al blocco russo.
[2] Celebre citazione del Manifesto comunista del 1848, scritto da Marx ed Engels.
[3] Leggere i nostri articoli su "Ottobre 1917", particolarmente: "Le masse operaie prendono il loro destino in mano", Révue Internationale n. 131, e "Lo stalinismo è il becchino della Rivoluzione russa" Révolution Internationale n. 383.
[4] Organizzazione degli Stati americani, istanza continentale al servizio degli interessi dello "zio Sam" per esercitare il suo controllo sugli altri Stati d’America latina, da cui la Cuba castrista è stata esclusa.
[5] Scritti al momento de "la crisi dei missili", sarà pubblicato solamente nel 1968 da una rivista dell'esercito cubano. Riprodotto nella biografia del Che di Pierre Kalfon.
[6] Nel 1965, forse per mettere in pratica lo slogan "Due, tre, mille Vietnam…", alcune decine di cubani puntano all'Est della Repubblica del Congo (ex-Zaire) per organizzare un "fuoco anti-imperialistico", il tutto patrocinato dai servizi segreti cubani in accordo con l'URSS (forse anche per sbarazzarsi del Che…). Dopo l'inizio, un disastro annunciato: Guevara si ritrova sotto gli ordini politici di una banda di dirigenti congolesi (tra cui Kabila, futuro presidente-dittatore sanguinario dello Zaire negli anni 1990), avventurieri che conducono un elevato tenore di vita grazie ai sussidi sovietici e cinesi. In quanto alla popolazione, supposta ricevere i suoi liberatori a braccia aperte, resta piuttosto sconcertata alla vista di queste persone che venivano da non si sa dove. Era un anticipo di ciò che sarebbe accaduto in Bolivia l’anno seguente. Bisogna notare anche che, sempre per conto dell'imperialismo russo, migliaia di cubani hanno continuato a servire "da istruttori militari" in numerose "guerre di liberazione nazionale" sul suolo africano (Guinea-Bissau, Mozambico, Angola.) fino al crollo dell'URSS e del suo blocco all'inizio degli anni 1990.
[7] Non svilupperemo qui ciò che è il proletariato o la classe operaia, per noi due espressioni equivalenti. Diciamo, tuttavia, che la nostra visione della classe operaia non ha niente a che vedere con la sociologia né con le immagini folcloristiche dell'operaio in tuta blu.
[8] Il leader della LCR, Olivier Besancenot, ha affermato che oggi il suo partito si identifica più al Che che a Trotsky, mentre dalla sua nascita, quest’organizzazione legittimava fraudolentemente la sua appartenenza alla classe operaia rifacendosi innanzitutto a questo grande militante bolscevico.
Marx amava sottolineare le ironie della storia. E una delle più pungenti è constatare che questa nuova propaganda della LCR, che, volendo a ogni costo agire in modo giovanile ed essere alla moda per attirarsi le nuove generazioni della classe operaia, sta rivendicandosi ad un erede dichiarato della cricca stalinista e della sua ideologia, questa stessa cricca che assassinò più di sessant'anni fa un rivoluzionario, veramente autentico, un certo … Leon Trotsky!
Dopo l’apertura dei siti in lingua giapponese [2], coreana [3], portoghese [4] e filippina [5], annunciamo ai nostri lettori l’apertura dei nuovi siti in lingua cinese [6], turca [7] e ungherese [8].
Invitiamo i nostri lettori in Cina o di lingua cinese a visitare il nuovo sito in questa lingua [6]. Data l’importanza della Cina per il movimento operaio mondiale, l'apertura di questo sito è un momento importante per tutta la CCI, anche se il momento non abbiamo potuto pubblicare che le nostre posizioni di base. Ci auguriamo di poter pubblicare altri testi ulteriormente.
Ringraziamo il compagno responsabile della traduzione per il suo lavoro.
I siti web in lingua turca e ungherese contengono per il momento la nostra Piattaforma e le nostre Posizioni di Base. Noi desideriamo ringraziare i compagni dei gruppi Enternasyonalist Komünist Sol [9] e di Barikád Kollektíva per le traduzioni che ci hanno permesso di rendere più accessibili le posizioni della sinistra comunista ai nostri lettori in queste lingue.
Vogliamo ugualmente ringraziare i compagni del gruppo Internasyonalismo per aver reso disponibile la traduzione in Filippino della brochure della CCI sulla decadenza del capitalismo (Pagbulusok-pababa ng kapitalismo [10]).
A fine settembre, negli Stati Uniti, il sindacato UAW (United Auto Workers) ha chiamato i 73.000 salariati della General Motors allo sciopero. Un tale movimento non si vedeva in Canada ed in Messico 1988, e, dal 1970 a livello nazionale americano. I media, specializzati nel blackout dei conflitti sociali, questa volta si sono presi la briga di sottolineare questa spettacolare iniziativa sindacale, presentandola come uno dei momenti più illuminanti di difesa dei lavoratori. Qual'è invece la realtà?
Tutto ci mostra che questo sciopero, sfruttando un autentico sentimento di malcontento e di collera, è stato scatenato per essere strumentalizzato dal sindacato UAW e dalla direzione della General Motors, al fine di portare nuovi attacchi contro gli operai. Mentre il precedente accordo salariale era da poco scaduto, si doveva arrivare alla chiusura di un giro di negoziati, iniziato da mesi, per un nuovo accordo valido per tutto il settore automobilistico, che prevedeva di abbassare i costi della forza lavoro: licenziamenti, riduzione delle pensioni di anzianità ed abbassamento drastico dei salari, forte deterioramento della copertura sanitaria... Alcune misure del nuovo accordo fatte passare con molta discrezione, rivelano le vere intenzioni del sindacato e della direzione della General Motors: "Greg Shotwell, un membro dissidente dell'UAW, ha diffuso sul sito Internet Soldiers of Solidarity, dei brani del progetto dell'accordo UAW-GM contro cui si batte. Così si scopre che l'UAW si è accordata per la chiusura di due fabbriche situate ad Indianapolis ed a Livonia, vicino a Detroit[1]".
Questa pugnalata alla schiena degli operai non ha niente di sorprendente e corrisponde proprio alla pratica dei sindacati. Dal 2005, i "big three", cioè le tre più grandi imprese automobilistiche, Generale Motors, Ford e Chrysler, sono in rosso e registrano perdite che attualmente arrivano a 26 miliardi di dollari. Di fronte ad una crisi economica più acuta, all'aggressività ed alla penetrazione nel mercato di concorrenti asiatici, in particolare la giapponese Toyota, diventa più che urgente per il padronato americano abbassare ulteriormente i costi della forza lavoro in nome della sacrosanta competitività. Tanto più che si profila una nuova recessione all'orizzonte avente per corollario un ulteriore indebolimento di tutto l'edificio industriale. Il momento era dunque cruciale per "rimettere le cose a posto", per mettere sul tavolo un dossier particolarmente "spinoso" con la complicità dei sindacati! È questa necessità impellente che spiega perché in questa industria è stata scatenata una manovra di tale ampiezza sotto la copertura sindacale.
Lo sciopero scatenato a fine settembre alla General Motors doveva servire da test, da pallone sonda, per far passare misure di austerità nelle altre due grandi industrie: la Ford e la Chrysler. Test riuscito!Tutto è cominciato con una sorte di "ultimatum" dove un comunicato sindacale si è fatto carico di polarizzare l'attenzione su "la sicurezza dell'impiego". L'ultimatum pretendeva di "fare pressione" su questa sola questione per "accelerare il processo dei negoziati", mentre tutto il resto dell'attacco (il finanziamento delle pensioni, la coperta sanitaria ed i salari) veniva messo accuratamente in secondo piano. Da questo momento la direzione sindacale poteva dare le sue direttive per lanciare lo sciopero ed organizzarne le modalità. La "pressione" sindacale è stata tale che la direzione della General Motors ... ha minacciato di chiudere una decina di stabilimenti e di "decentrarli" in Asia!A questo punto, i media, hanno potuto sottolineare la "posizione delicata del sindacato" che consigliava di "non correre il rischio del decentramento". In nome del "male minore", il sindacato ha potuto quindi sostenere comodamente la posizione de "l'accordo accettato" dai lavoratori (le cui modalità erano previste ed organizzate già da tempo).Approfittando del malcontento degli operai, direzione e sindacato hanno puntato sulla questa questione del decentramento per incastrare i salariati costringendoli ad accettare i sacrifici sulle pensioni, sulla sanità ed un abbassamento del salario orario, in "cambio" di un premio e della creazione di un fondo gestito dal sindacato UAW. Fondo destinato ad assicurare una coperta delle spese di malattia e delle pensioni, che si pretende essere "a basso costo". Avete letto bene: d'ora in poi saranno direttamente i sindacati a gestire l'accesso alle cure mediche e le pensioni dei lavoratori! In altre parole, essi avranno la responsabilità diretta di ridurre il costo delle spese per la sanità e quello delle pensioni d'anzianità!Per l'impresa questo inizio di trasferimento di gestione di fondi (chiamati VEBA) al sindacato UAW, mediante il versamento di una somma iniziale, le permette di ridurre i suoi costi annui di 3 miliardi di dollari. Invece, per i salariati, ciò implica da una parte una maggiore incertezza, essendo già fallita altrove l'esperienza dei VEBA[2], dall'altra, un rialzo delle quote di assicurazione contro le malattie. Allo stesso tempo, questa misura ha permesso di accelerare l'allontanamento anticipato dal lavoro e di reclutare dei giovani a costi ancora minori, con il vero obiettivo di un abbassamento effettivo degli stipendi per tutti. La tariffa oraria della forza lavoro passa così da 25 a 6 dollari. Quale esempio di avanzamento! Ecco la realtà di questo nuovo "accordo collettivo!".Forte della clamorosa vittoria e di una così abile manovra, la borghesia americana non poteva fermarsi un volta trovato una strada così propizia. Una volta collaudata all'inizio d'ottobre, l'operazione è stata riprodotta alla Chrysler dove, grazie ad uno "sciopero lampo di 7 ore", è stato possibile "stappare un accordo" dello stesso tipo.In questo affare gli operai hanno perso tutto. Lungi dall'essere una sinecura, la nuova gestione sindacale coi VEBA sarà sottomessa inesorabilmente agli imperativi del capitalismo in crisi. Ciò che hanno guadagnato gli operai col sindacato, è che bisognerà pagare di più per avere meno garanzie! Nei fatti l'accordo ratifica la politica di ristrutturazione iniziata con le soppressioni di posti di lavoro: Chrysler ha già annunciato che sta per sopprimere 1.500 posti in più del previsto. E non è tutto! L'attacco avrà necessariamente delle ripercussioni sull'insieme degli operai, particolarmente su quelli delle imprese in subappalto. Si tratta quindi di un incoraggiamento per tutta la borghesia a portare attacchi sempre più pesanti, pur sapendo che ci sono dei pericoli, in particolare il pericolo che, oltre alla loro rabbia, si sviluppi tra gli operai una riflessione.Il sindacato UAW è stato lo strumento privilegiato per far passare un attacco violento. Ha saputo creare una cortina di fumo sulle vere intenzioni della borghesia e delle aziende automobilistiche, e si è servito del forte e legittimo malcontento dei salariati per renderlo inoffensivo spingendo quest'ultimi nella trappola di un accordo bidone.WH (11 ottobre 2007)
[1] Le Figaro
[2] Si è visto quanto valevano questi VEBA con il loro crollo nel 2005 nell'impresa Caterpillar.
Il largo seguito avuto dal “Vaffa Day” promosso da Beppe Grillo è un’espressione significativa del forte malcontento e della sfiducia crescente verso il mondo della politica che esprime una parte significativa della popolazione ed in particolare quella giovanile, la cui prospettiva appare sempre più nera. Riflettere quindi su cosa esprime questo movimento e quali sono i suoi obiettivi è importante per comprendere se la direzione che questo propone ci permette di incamminarci verso una prospettiva diversa da quella che ci impone questa società oppure no.
Qui di seguito pubblichiamo estratti di un testo inviatoci da un nostro lettore - di cui condividiamo l’impostazione di fondo - che cerca di sviluppare due aspetti centrali del problema: la natura di questo movimento ed i suoi obiettivi di lotta.
Segue un nostro testo dove, ritornando su questi aspetti, cercheremo di sviluppare ulteriormente perché il Vaffa Day non può essere una risposta all’indignazione, alla rabbia ed alla necessità di cambiare questo sistema.
Il testo del compagno
I partiti e i (nuovi) arrivati ed arrivisti
(…) Certo, anch’io avverto un moto istintivo e irrefrenabile di avversione, repulsione, rabbia e disprezzo nei confronti di un sistema pseudopolitico sempre più laido, corrotto ed affarista, nel quale i (presunti) furbetti, impostori e ciarlatani, i peggiori carrieristi e gli arrivisti più cinici e spregiudicati la fanno da padroni assoluti e incontrastati. Per non dire cose peggiori... Comprendo (…) l’ondata di rigetto, di protesta e sdegno popolare, che si è manifestata in modo dilagante in occasione del V-Day (…).
In passato, abbiamo già conosciuto altre manifestazioni e movimenti (ben più vasti e potenti) di rigetto antipartitocratico-antiburocratico (…). Abbiamo assistito ad altri “fenomeni” del genere, quali: (…) il Fronte dell’Uomo Qualunque, fondato a Roma nel 1944 dal commediografo, giornalista e (guarda caso) uomo di spettacolo Guglielmo Giannini; successivamente si affacciarono i Radicali liberi(sti) di Marco Pannella ed Emma Bonino, veri cani da guardia dell’ultraliberismo (…) di stampo anglosassone; molti anni dopo (in)sorse la Lega Nord (…) (di) Umberto Bossi, dei vari Castelli (…), dei Maroni (…).
Insomma, l’elenco è ben nutrito. Tutti i suddetti movimenti, (in)sorti con premesse più o meno analoghe, mossi da ispirazioni e motivazioni abbastanza affini, sono infine approdati al medesimo sbocco finale: inserirsi nell’alveo della (…) Casta partitocratica. Infine, rammento che lo stesso Cavaliere (rossonero) Silvio Berlusconi (…) si presentò in illo tempore con le fattezze del “nuovo che avanza”, quale monumento simbolico dell’Antipolitica. Egli seppe interpretare ed incarnare in modo magistrale il diffuso malcontento popolare diretto contro i partiti, cavalcando abilmente l’onda (…) sentimentale dell’Antipolitica, ergendosi ad emblema e paladino dell’Antisistema e della battaglia antipartitocratica, per poi diventare l’esponente negativo per eccellenza del potere (bi)partitico-istituzionale, (…).
Tuttavia, mi chiedo se tali accostamenti storici possano davvero servire ad inquadrare e comprendere fino in fondo un movimento che per certi versi risulta “inedito”, quantomeno perché generatosi attraverso la rete web (…). Un fenomeno storicamente determinato (e su questo non possono esserci dubbi) dalla grave crisi di consensi e credibilità in cui versa da tempo l’apparato del potere politico (ri)costituitosi in Italia dopo la “bufera” politico-giudiziaria di Tangentopoli che investì i partiti della Prima Repubblica durante la prima metà degli anni '90 (…) il parallelismo che mi pare più logico e scontato (…), indubbiamente corretto dal punto di vista storico-politico, è quello con il “leghismo”, di cui il “grillismo” si configura come il più degno erede, ancorché in una versione inedita di “sinistra”, vale a dire come un revival delle istanze forcaiole e leghiste sorte negli anni ‘80 e ‘90, spostate e proiettate a “sinistra” in quanto adottate da una piazza popolare che è orientata prevalentemente a “sinistra”, vale a dire collocata nell’area della “sinistra scontenta e delusa” dal governo in carica. In tal senso, (…) il “grillismo” si rappresenta come una sorta di “leghismo di sinistra”, ovvero un “leghismo di marca girotondista”. Ma qui vorrei soffermarmi per invitarvi a riflettere meglio su un punto.
Il massiccio movimento di protesta che Grillo è riuscito a radunare e catalizzare attorno a sé, benché possa pretendere di aver ragione, accampando una serie di giuste rivendicazioni e motivazioni contro un (a)ceto politico assolutamente inadempiente, inetto, corrotto, inadeguato ed inefficiente (…) non riesce ad occultare e camuffare la sua vera natura moralista-inquisitoria-poliziesca. Mi spiego meglio facendo un esplicito richiamo a quell’ipotesi di riforma che è diventata il principale cavallo di battaglia del movimento “grillista”. Mi riferisco esattamente al disegno di legge popolare articolato in tre punti per un “Parlamento Pulito”.
I tre punti della proposta sono:
- No ai parlamentari condannati. No ai 25 parlamentari condannati in Parlamento -Nessun cittadino italiano può candidarsi in Parlamento se condannato in via definitiva, o in primo e secondo grado e in attesa di giudizio finale.
- Due legislature. No ai parlamentari di professione da 20 e 30 anni in Parlamento - Nessun cittadino italiano può essere eletto in parlamento per più di due legislature. La regola è valida retroattivamente.
- Elezione diretta. No ai parlamentari scelti dai segretari di partito - I candidati al parlamento devono essere votati dai cittadini con la preferenza diretta.
Ebbene, soffermiamoci a ragionare un po’ sulla condizione (sine qua non) che per fare parte delle liste civiche occorre (oltre a non avere tessere di partito) essere “incensurati”. Questo piccolo, all’apparenza insignificante dettaglio è estremamente rivelatore, è una spia che denuncia la reale natura (reazionaria e poliziesca) del movimento "grillista". Questo è senza dubbio un elemento essenziale che conta molto più del folclore, delle manifestazioni di protesta, delle boutade, delle battute ad effetto e dei "vaffanculo" urlati contro la Casta partitocratica. Nel postulare una norma tanto rigida, il progetto "grillista" esprime e denota non solo un eccessivo timore reverenziale, un deferente e servile ossequio nei confronti dell’azione classista e repressiva della magistratura, bensì tradisce un rigoroso e farisaico perbenismo piccolo-borghese, un legalitarismo e un giustizialismo "giacobino-girotondino” a dir poco inquietante.
Nelle società classiste, la Legge, la Giustizia e il Diritto non sono mai imparziali. La Legge non è affatto "uguale per tutti", anzi. In un ordinamento giuridico-politico ed economico-materiale strutturato sulla divisione sociale del lavoro, incentrato sullo sfruttamento delle mansioni produttive ridotte e costrette in un regime salariale, costruito sull'esistenza e sulla tutela della proprietà privata, le leggi dello Stato non sono mai asettiche e neutrali, ma sono viziate e pregiudicate, dunque corrotte e compromesse, schierate ed applicate a beneficio del più forte, del ricco e del potente di turno, sono il prodotto storicamente determinato dai rapporti di forza e di potere insiti in una data formazione sociale in un dato momento storico. Oggi si può incappare facilmente ed ingiustamente nelle maglie della (in)Giustizia repressiva borghese, per cui si può essere "censurati" per molteplici e diverse ragioni, tra cui i "reati d'opinione", i "delitti" contro la proprietà privata e contro l’ordine costituito. La conseguenza immediata e drammaticamente concreta del disegno di legge proposto dal movimento "grillista" è proprio quella di bollare come "colpevoli", "rei" o "delinquenti", tutte le vittime del sistema carcerario e repressivo della (in)Giustizia di classe, negandogli ogni diritto politico, espellendoli e segregandoli dalla "comunità politica", ossia escludendoli dall'alveo della cittadinanza.
(…) Io credo che il tema della corruzione non appartenga solo e semplicemente alla vita politica italiana, non investa solo la classe politica "digerente" (…) del nostro paese, ma costituisce una questione più ampia e complessa (direi globale) della politica così come viene concepita e praticata negli attuali ordinamenti (…)capitalistici. La corruzione è ormai un tratto costituzionale complessivo e distintivo di tutti gli Stati borghesi, un aspetto organico ed insito negli assetti politico-statali contemporanei. Ridotti ormai a veri e propri comitati d’affari. La corruzione non è una prerogativa esclusiva dei partiti politici italiani, ossia del Parlamento italiano pieno zeppo di inquisiti, di gente spregiudicata e senza scrupoli (…).
Del resto, lo stesso Lenin scrisse quasi un secolo fa "Stato e rivoluzione", (…) in cui Lenin si propose di indagare e conoscere la reale natura dello Stato, partendo da un'analisi scientifica delle forme e dei meccanismi che regolano la "democrazia capitalistico-borghese", intesa e definita come "dittatura di classe della borghesia". (…) una critica radicale volta a spezzare ed abbattere la macchina statale della borghesia imperialista, non solo nella veste della "Repubblica democratico-parlamentare", ma dello Stato capitalistico tout-court. Un apparato statale criticato e rifiutato integralmente, nella sua totalità, quindi da capovolgere e rovesciare, se necessario, anche con metodi violenti. Che non sono certo quelli del "grillismo".
L.G.
Il nostro articolo
Di cosa è espressione il V Day?
Nel testo del compagno si ricorda come nei tempi recenti abbiamo assistito allo sviluppo di vari movimenti che hanno cercato di sopperire alle carenze dell’apparato politico istituzionale attraverso un appello ai “cittadini” a farsi essi stessi interpreti della vita politica italiana. Dal movimento referendario di Mario Segni ai girotondini di Nanni Moretti, passando per le varie liste civiche create intorno a nomi di persone stimate sul piano personale piuttosto che per il loro colore politico, questa sequenza di fenomeni è stata la risposta di volta in volta trovata al “fallimento della politica”, al “disgusto crescente nella gente comune per il mondo della politica”. E, come giustamente sottolinea il compagno, non sono mancate le espressioni di destra dello stesso fenomeno (quello di Berlusconi) o addirittura di avventurieri (come Bossi). Il fenomeno Grillo quindi è solo l’ultima espressione, in ordine di tempo, di un processo in cui, alla decomposizione del quadro politico della borghesia subentra una tendenza “spontanea”, “popolare”, a farsi partito, a mostrare che una maniera alternativa di governare il paese c’è. Ma con Grillo le cose sembrano aver toccato dei livelli particolarmente aspri: è riuscito niente di meno ad organizzare un Vaffa Day con un milione di persone in piazza e 300.000 firme, in cui ha mandato a quel paese tutto e tutti, ricevendo un’audience incredibilmente mediatizzata.
Come è potuto succedere? In effetti neanche l’ampiezza che può assumere un tale fenomeno deve sorprenderci, né dobbiamo pensare che si tratti di una peculiarità tutta nostrana. Nel 1981 il comico Coluche in Francia, svolse un ruolo analogo. Con il suo atteggiamento irriverente verso la politica e la sua contrapposizione a tutti i partiti, ottenne una grande popolarità arrivando a concorrere alle elezioni presidenziali francesi (alle quali secondo i sondaggi dell’epoca sarebbe stato votato da 2 francesi su 10), da cui però finì per ritirarsi a causa delle forti tensioni scatenatesi nell’apparato politico francese, nonché delle minacce personali ricevute. Ma forse ancora più importante, per capire la natura del fenomeno, è il confronto con il movimento dell’“uomo qualunque”, che a ragione viene ricordato dal compagno nel suo testo. Il Fronte dell’Uomo Qualunque acquistò un prestigio e una popolarità inattese, il suo giornale in soli sei mesi raggiunse una tiratura di 850.000 copie e nelle votazioni per l’Assemblea Costituente del 2 giugno 1946 ottenne più di 1.200.000 voti, piazzandosi come quinto partito a livello nazionale. La popolarità di questo finì quando il suo fondatore, Giannini, non poté negare, nel 1947, di dare una mano per la costituzione del terzo governo De Gasperi e per estromettere da questo sia i “socialisti” che i “comunisti”.
Qual è dunque la vera natura di questi fenomeni? I movimenti antipartito, di quelli che insorgono contro la politica dei profittatori e dei corrotti, sono tipici delle fasi di crisi politica della borghesia. Non è un caso che in Italia questi fenomeni si siano presentati, sotto spoglie diverse, soprattutto a partire dalla fase di Tangentopoli, ovvero da quando metà del quadro politico della borghesia, quello che aveva dominato per circa mezzo secolo, era stato praticamente azzerato dalle lotte interne alla borghesia. Non è ugualmente un caso che un fenomeno simile si sia presentato all’indomani della II guerra mondiale con l’Uomo Qualunque, quando le distruzioni della guerra, la caduta del fascismo e l’orgia omicida del partigianesimo, con la coscrizione forzata nel sud Italia e le faide incrociate al nord, avevano disseminato una profonda prostrazione nella popolazione ed una sensibile mancanza di fiducia nella classe politica italiana.
Anche oggi esiste un profondo malessere per delle condizioni di vita sempre più difficili su tutti i piani (quello economico, quello sociale, quello ambientale); anche oggi c’è un processo importante di sfiducia nelle istanze istituzionali che sempre più difficilmente riescono a mascherare la loro ipocrisia ed il loro marciume, essendo costrette a colpire duramente la stragrande maggioranza della popolazione per mantenere in piedi il loro sistema economico.
Ma oggi ci sono due elementi nuovi rispetto agli anni precedenti che caratterizzano il quadro internazionale del rapporto di forza tra la classe che detiene il potere e il proletariato che subisce questo potere:
- oggi ci sono meno illusioni. Inizia ad emergere tra i lavoratori, i proletari ed i giovani la consapevolezza che il futuro può essere ancora peggiore. Non è un caso se al Vaffa Day, la maggioranza erano giovani. Erano quelli che Grillo chiama la V Generation, che avverte con sempre maggiore chiarezza che questa società non le offre niente, non le dà alcuna prospettiva;
- questa consapevolezza inizia a tradursi in momenti di reazione aperta in varie parti del mondo: dal movimento degli studenti in Francia contro il CPE, allo sciopero nelle poste in Gran Bretagna, alle lotte in Perù, Cile, Africa del sud, ecc. (1). Ed anche se in Italia fino ad ora non ci sono ancora stati grossi episodi di lotta, la disillusione, il senso di insicurezza per il futuro, la rabbia e la volontà di non restare inerti di fronte ai continui attacchi, si toccano con mano.
Non è un caso se la borghesia italiana (comprese le sue frange più “radicali”, da Rifondazione agli ex-leader del movimento no-global come Caruso), mentre si vede costretta dalla crisi economica a tartassare ulteriormente i lavoratori e a non offrire niente di sostanziale alla massa crescente di precari e futuri precari, da una parte, getta fumo negli occhi con illusori guadagni di 100-150 euro annui per 18.000 famiglie e - di fronte al Vaffa Day - riconosce la necessità di “moralizzare” la politica. Esemplare la presa di posizione del “destro” Fini “Non voglio enfatizzare il fenomeno Grillo, ma il suo successo è lo specchio di un diffuso sentimento di rifiuto verso il sistema”, di fronte al quale bisogna “agire in anticipo: aggredire la cattiva politica dei privilegi e degli sprechi con una risposta netta, senza eccessive prudenze. Dobbiamo incarnare la buona politica” (La Repubblica on line 12/9/07).
In questo contesto è abbastanza facile attirare grandi folle puntando il dito contro le espressioni più sfacciate dei privilegi e dei soprusi di una casta politica. Come ha detto lo stesso Grillo, lui non ha fatto altro che convogliare e dar sfogo al malcontento esistente puntando in una certa direzione.
Ma la questione è proprio questa: in quale direzione?
Dove portano i movimenti come il V Day?
Come chiaramente mostrato nel testo del compagno LG, il disegno di legge popolare promosso da Grillo non solo si inscrive perfettamente nel quadro della legge capitalista (cioè di quello strumento attraverso il quale la classe dominante controlla e giustifica il suo potere sulla società), ma per certi versi ne rivendica addirittura un rafforzamento.
Ma più che entrare nel merito del disegno di legge, cerchiamo di capire che cosa veramente rivendica il movimento del V Day, al di là di Grillo, al di là della spinta sicuramente combattiva e genuina di una parte consistente di chi era in piazza l’8 settembre.
Probabilmente molti tra il milione di persone che hanno aderito al V Day e molti tra quelli che seguono il blog di Grillo non si fanno molte illusioni sul fatto che questo disegno di legge possa cambiare chissà cosa e potranno obiettare: va bene, il V Day non cambia le nostre condizioni economiche, né il degrado di questa società, ma almeno può smascherare il malcostume e l’ipocrisia di chi ci governa e fa leggi che applica solo agli altri, può eliminare parte dei privilegi, può toglierci finalmente dai piedi dei veri e propri farabutti che campano sulle nostre spalle. Come dice Grillo rispetto al suo blog, può permetterci di incontrarci, scambiarci le idee, sentirci parte di un qualcosa che cerca di cambiare le cose. Perché quindi starne fuori? Male non può fare.
In effetti questo “movimento”, come quelli che l’hanno preceduto nel passato, ed il suo blog possono fare e fanno molto di più. Portano avanti una politica ben precisa. Oggettivamente ci ingabbiano nella difesa di questo sistema sociale ed in particolare dello Stato italiano e delle sue istituzioni.
“Il milione di persone che è sceso in piazza, in modo composto, senza bandiere, senza il più piccolo incidente dovrebbe essere ringraziato. E’ la valvola di sfogo di una pentola a pressione che potrebbe scoppiare. Un momento di tregua per riflettere sul futuro di questo Paese. La V-generation è aria pura, condivisione, futuro. Gaber direbbe: ‘la libertà è partecipazione’ ” (Blog di Grillo).
E, l’altro uomo del momento, il giornalista Travaglio, alla trasmissione Primo Piano dopo il V Day alla domanda se questo sia un movimento apolitico o meno, risponde “quello della gente che stava sotto il palco è superpolitico… è un movimento non contro il parlamento, ma a favore del parlamento, per difendere l’onore del parlamento infangato dai pregiudicati e dagli imputati … per assicurare alla politica il ricambio generazionale... per restituire ai cittadini il diritto a scegliere i suoi rappresentanti”.
Ed è estremamente significativo quello che Travaglio dice rispetto al ruolo di Grillo: “Grillo fa il politico senza farlo… il fatto che lui dica sul blog non votate questi qui o votate quello è infinitamente più efficace di Grillo che entra con una pattuglia di due tre grillini in un’aula del parlamento” (video della trasmissione Primo Piano su YouTube)
Beppe Grillo ha pienamente ragione, la borghesia dovrebbe ringraziare il V Day, perché non è altro che un appello a difendere il parlamento dello Stato italiano, quello stesso Stato che sta gettando milioni di proletari nella miseria, che getta milioni di giovani in una esistenza precaria senza via d’uscita, che partecipa pienamente ai massacri della guerra imperialista in Iraq, in Afghanistan, ed altrove, che sta contribuendo a distruggere l’ecosistema del pianeta per le sue esigenze di Stato capitalista.
Un appello rivolto soprattutto alla nuova generazione che invece di sviluppare una comprensione della barbarie di questa società e trovare la via per combatterla, è chiamata a soccorrerla partecipando alla sua gestione, spacciando la partecipazione per libertà. E’ chiamata a difendere la democrazia, cioè l’arma di mistificazione più potente che ha in mano la borghesia, rivendicando la libertà di scegliere i propri rappresentanti alla farsa parlamentare borghese, quando l’unica possibilità per cambiare veramente le cose è la lotta autonoma e gestita in prima persona dai proletari di oggi e di domani.
Certo i vari politici possono essere infastiditi da un Grillo, ma quello che fa veramente paura alla borghesia è, come ha detto Fini, l’emergere “di un diffuso sentimento di rifiuto verso il sistema”. Quello che può far retrocedere i suoi attacchi è un movimento come quello dei giovani in Francia dello scorso anno contro il CPE (2), non certo i vaffanculo gridati da un palco.
Eva, 14-10-07
1. Vedi “I proletari rispondono agli attacchi della crisi” sul sito in italiano e altri articoli sulle lotte nei vari paesi alle pagine in altre lingue.
2. Vedi “Tesi sul movimento degli studenti in Francia”, sul nostro sito.
Recentemente abbiamo tenuto due conferenze sul tema Socialismo e decadenza del capitalismo in due università del paese: Santiago de los Caballeros (seconda città del paese) e Santo Domingo (la capitale). Questi dibattiti sono stati possibili grazie alla volontà ed allo sforzo organizzativo di un nucleo di discussione internazionalista che ringraziamo calorosamente per il lavoro realizzato. Queste riunioni non hanno avuto niente di accademico. Come in occasione di una simile esperienza in una università del Brasile [1], sono state espresse delle inquietudini e delle preoccupazioni sul futuro che ci offre il capitalismo, sul modo di lottare per una nuova società che superi le contraddizioni in cui si trova immerso il sistema attuale, sulle forze sociali capaci di realizzare questo cambiamento...
Questi dibattiti sono un momento dello sforzo di presa di coscienza da parte di minoranze del proletariato. La dimensione internazionale di questo sforzo è indiscutibile. Pubblicare una sintesi delle discussioni condotte nella Repubblica dominicana risponde ad un doppio obiettivo: partecipare allo sviluppo di un dibattito internazionale e contribuire a che i dibattiti e le discussioni che si sviluppano in un paese si inseriscano nel solo quadro che può farlo fruttare: il quadro internazionale ed internazionalista [2].
Dopo la presentazione [3], molte domande sono state poste; alcune delle quali hanno suscitato la discussione nella sala. Nella sintesi che proponiamo qui, le abbiamo organizzate tematicamente e presentate sotto forma di questionario con relative risposte.
Ci sono state molte rivoluzioni nel XX secolo. Tuttavia voi le condannate tutte, tranne la Rivoluzione russa di cui dite che fu un insuccesso. Siete ingiusti verso gli sforzi dei popoli che lottano per la loro liberazione.
Non si tratta di denigrare le lotte delle classi sfruttate ed oppresse, ma di comprendere qual è realmente la rivoluzione all’ordine del giorno a partire dal XX secolo. Da questo punto di vista si è avuto un cambiamento fondamentale con l’esplosione della Prima Guerra mondiale. Questa guerra, che raggiunse dei record incredibili di barbarie, mostrò al mondo che il capitalismo era diventato un sistema sociale decadente e che non poteva offrire più all’umanità che guerre, carestie, distruzioni e miseria. Essa mise fine al periodo delle rivoluzioni borghesi, le rivoluzioni popolari democratiche, riformistiche e nazionali. Da allora, questi movimenti sono diventati semplici restauri di facciata dello Stato. A partire da questa guerra, la sola rivoluzione capace di portare un progresso per l’umanità è la rivoluzione proletaria il cui obiettivo è instaurare il comunismo nel mondo intero. La Rivoluzione russa del 1917 e tutta l’ondata rivoluzionaria che la seguì hanno espresso questo stato di fatto. Del resto, il Primo congresso dell’Internazionale Comunista, nel marzo 1919, affermava: “Un nuovo periodo comincia. Periodo di decomposizione del capitalismo, del suo crollo. Periodo di rivoluzione comunista proletaria” [4].
Perché vi ostinate a restare nel dogma di una rivoluzione mondiale e rigettate gli avanzamenti graduali attraverso le rivoluzioni nazionali?
Le rivoluzioni borghesi avevano un carattere nazionale e potevano sopravvivere a lungo all’interno delle loro frontiere. E’ così che la rivoluzione inglese trionfò nel 1640 e poté sopravvivere in un mondo ancora feudale fino alle rivoluzioni borghesi della fine del XVIII secolo. La rivoluzione proletaria, invece, o sarà mondiale o fallirà. Innanzitutto perché la produzione è oggi mondiale. La classe operaia è mondiale. Ma anche perché il capitalismo ha creato un mercato mondiale e le leggi di questo mercato sono uniche in tutto il mondo. I problemi dovuti al capitalismo hanno un carattere mondiale e possono essere risolti solo dalla lotta unificata di tutto il proletariato mondiale.
Quale è la vostra posizione su Trotsky ed il trotskismo?
Trotsky fu per tutta la sua vita un militante rivoluzionario. Ebbe un ruolo molto importante durante la Rivoluzione russa del 1917. Ma lottò anche contro la degenerazione della Rivoluzione russa difendendo posizioni internazionaliste. Fu il principale animatore dell’Opposizione di sinistra, che condusse una lotta eroica di opposizione alla controrivoluzione stalinista sia in Russia che all’interno dei differenti partiti comunisti nel mondo. Tuttavia, Trotsky e l’Opposizione di sinistra non compresero mai la natura dell’URSS, considerandola come uno “Stato operaio con delle deformazioni burocratiche” che di conseguenza occorreva, malgrado tutto, difendere. Le conseguenze di questo errore furono tragiche. Dopo il suo vile assassinio da parte di Ramon Mercader, sicario al soldo di Stalin, quelli che pretendevano essere gli eredi di Trotsky lanciarono un appello a partecipare alla Seconda Guerra mondiale e, da allora, sono diventati una corrente politica che difende, certo in modo “critico” e con un linguaggio “radicale”, gli stessi postulati dei partiti stalinisti e socialdemocratici [5].
Siete ingiusti con Chavez, ma c'è di peggio: non considerate il processo rivoluzionario che Chavez ha innescato e che si sta sviluppando in tutta l'America latina, dando luogo ad una effervescenza rivoluzionaria.
Il dilemma chavismo-antichavismo è una trappola, come hanno dimostrato recentemente le mobilitazioni degli studenti in Venezuela che cercano di liberarsi da questa polarizzazione sterile e distruttiva tra chavismo ed Opposizione [6].
Chavez sostiene sia il rafforzamento dell’intervento dello Stato nell’economia che la concentrazione dei poteri nelle mani di una sola persona (la Riforma costituzionale per favorire la sua rielezione permanente). Lancia dei programmi “sociali” che, se migliorano momentaneamente la situazione di alcuni strati emarginati, si iscrivono in realtà in un programma di rafforzamento dello sfruttamento dei lavoratori e di impoverimento della grande maggioranza della popolazione. Questo tipo di programmi serve solo a fare accettare alla popolazione la miseria più degradante. Si tratta di formule che si sono spesso ripetute per tutto il XX secolo e che si sono rivelate delle cocenti sconfitte. Non hanno cambiato per niente il capitalismo, hanno contribuito semplicemente a mantenerlo in vita e di conseguenza a mantenere le sofferenze dell’immensa maggioranza [7].
Chavez pretende di essere “antimperialista” perché si oppone vigorosamente al “diavolo Bush”. Il sedicente “antimperialismo” di Chavez non è altro che un camuffamento per portare avanti i propri disegni imperialisti. I lavoratori e gli oppressi non possono basare la loro lotta su un sentimento di odio o di rivincita contro un impero onnipotente come gli Stati Uniti, perché questo sentimento è manipolato dalle borghesie latino-americane - sia dalle frazioni al governo che da quelle all’opposizione - per fare in modo che la popolazione si sacrifichi per i loro interessi.
Non c’è sbocco nazionale ad una crisi del capitalismo che è mondiale. La soluzione non può che essere internazionale e si deve basare sulla solidarietà internazionale del proletariato, nello sviluppo delle sue lotte autonome.
Perché parlate solo degli operai e non dei contadini o di altri strati popolari?
Qualunque sia la sua importanza numerica in ogni paese, la classe operaia è l’unica classe mondiale i cui interessi sono mondiali. La sua lotta di classe rappresenta gli interessi e l’avvenire per tutta l’umanità oppressa e sfruttata. La classe operaia cerca di guadagnare i contadini e gli strati emarginati delle grandi città alla sua lotta. Non si tratta per niente di formare un “fronte di movimenti sociali” perché l’interesse profondo, la liberazione autentica degli operai, dei contadini, degli emarginati delle città non è una somma di rivendicazioni corporative ma la distruzione comune del giogo dello sfruttamento salariale e mercantile.
Non pensate di usare ricette e formule superate? La classe operaia non esiste più e qui, in America, non ci sono quasi più fabbriche.
La classe operaia non è mai stata limitata ai lavoratori industriali. Ciò che caratterizza la classe operaia è il rapporto sociale basato sullo sfruttamento del lavoro salariato. La classe operaia non è una categoria sociologica. I lavoratori dell’industria, i lavoratori dei campi, gli impiegati pubblici e molti lavoratori “intellettuali”, fanno parte del proletariato. Bisogna contare anche su tutti i lavoratori che restano senza un posto di lavoro e che, per sopravvivere, sono costretti ad esempio a fare i venditori ambulanti non autorizzati agli incroci stradali.
Non è necessario un cambiamento di mentalità perché le masse operaie facciano la rivoluzione?
Certamente! La rivoluzione proletaria non è il semplice risultato di fattori obiettivi ineluttabili, ma si basa essenzialmente sull’azione cosciente, collettiva e solidale delle grandi masse di lavoratori. Nell’Ideologia Tedesca, Marx ed Engels sostengono che la rivoluzione non è necessaria solamente per distruggere lo Stato che opprime la maggioranza, ma anche perché questa maggioranza si emancipi liberandosi dagli orpelli ideologici del passato che le sono incollati addosso. La rivoluzione proletaria si prepara attraverso una trasformazione gigantesca della mentalità delle masse. Sarà il prodotto dello sforzo autonomo delle masse che passa non solo attraverso le lotte, ma anche dei dibattiti appassionati.
CCI
Presentazione su Socialismo e decadenza del capitalismo
Cari compagni, noi siamo venuti non per imporre le nostre posizioni e per dirvi “ecco la verità, inginocchiatevi”. La nostra intenzione è invece quella di animare un dibattito, che si sviluppi non solo qui ma che prosegua animato da tutti quelli che sono interessati. Come avete potuto vedere dalla convocazione, il soggetto proposto è: socialismo e decadenza del capitalismo. Questa questione è attualmente dibattuta nei circoli di giovani, operai, studenti, elementi interessati, in numerosi paesi. Qui nella Repubblica Dominicana ma anche in altri paesi dell’America latina, nelle Filippine, in Germania, in Corea, …
Perché un tale interesse per questo tema? La sensazione che il futuro che ci prepara la società capitalista è sempre più inquietante si estende ogni giorno di più. Dovunque si guardi, gli elementi che provocano la preoccupazione verso l’avvenire così come l’indignazione contro il sistema sociale si accumulano. I giovani si vedono condannati ad una precarietà senza fine, alla disoccupazione, all’impossibilità di trovare un alloggio; i più grandi tra loro sono condannati alla disoccupazione o a una pensione da fame; masse gigantesche fuggono disperati dalla campagna per raggiungere le bidonville delle grandi città senza trovare alcuna soluzione; le guerre imperialiste come quella in Iraq si radicalizzano, mettendo in evidenza un’ulteriore impasse; è sempre più evidente che un disastro ecologico minaccia il pianeta; i disastri, le catastrofi si moltiplicano dappertutto, mettendo in evidenza la totale incapacità degli Stati; la decomposizione della società e la perdita di ogni etica diventano ogni giorno più evidenti…
Queste condizioni rendono necessario il dibattito, la riflessione su ciò che dovrebbe essere una nuova società, come raggiungerla, quali sono le forze che possono edificarla, sulle lezioni da tirare dalle esperienze storiche delle rivoluzioni o dai tentativi rivoluzionari del passato.
Cos’è il socialismo
Noi proponiamo una risposta storica e dinamica: il socialismo è la società che supera e risolve le contraddizioni che provocano il caos e il disastro all’interno della vecchia società capitalista. Due grandi contraddizioni conducono il capitalismo alla rovina e provocano le sofferenze estreme della gran parte dell’umanità. Da una parte, il capitalismo è un sistema in cui la produzione non è destinata a soddisfare i bisogni umani ma a realizzare del plus-valore che si traduce in danaro sonante. Dall’altra, la produzione sotto il capitalismo raggiunge un carattere sempre più sociale e mondiale mentre l’organizzazione e il sistema di produzione hanno un carattere privato e nazionale. Queste due contraddizioni provocano sia la tendenza inesorabile alla sovrapproduzione (per la prima volta nella storia gli uomini muoiono di fame non a causa della penuria di alimenti ma a causa della loro abbondanza) che la guerra a morte, l’imperialismo, tra i diversi capitali nazionali per la divisione dei mercati, cioè del mondo.
Perché il socialismo risolve queste contraddizioni?
Il socialismo è l’organizzazione della produzione non in funzione del mercato o del lavoro salariato, ma in funzione del pieno e consapevole soddisfacimento dei bisogni umani. Il socialismo non può che essere una società mondiale, una comunità umana mondiale che lavora collettivamente e fraternamente per sé stessa.
E’ possibile il socialismo in un solo paese?
NO! E’ la risposta categorica che ha sempre dato il movimento operaio. Il socialismo o sarà mondiale o non si farà. Questa affermazione ci permette di chiarire quello che noi pensiamo del regime dell’URSS, che pretendeva di essere la continuatrice della grande rivoluzione proletaria dell’Ottobre 1917: non si trattava di socialismo, non era una “via al socialismo”, era invece una forma particolare di capitalismo di stato. Regimi come quelli della Cina, di Cuba, della Corea del Nord, in cui regna una dittatura feroce e militarizzata sulla classe operaia e sulla popolazione in generale, non possono essere né “socialisti” né “comunisti”.
Noi dobbiamo essere molto chiari su questo punto: bisogna stare attenti a non confondere socialismo con capitalismo di stato. Quest’ultimo è una tendenza generale che riguarda l’insieme del capitalismo mondiale lungo tutto il XX secolo. Questa tendenza si è concretizzata in due maniere: nella forma detta “liberale”, in cui lo Stato controlla e interviene nell’economia in maniera indiretta e rispettando la proprietà privata; e quella che viene presentata demagogicamente come “socialista”, in cui lo Stato controlla l’economia attraverso delle nazionalizzazioni e la statalizzazione diretta. La grande menzogna del XX secolo è stata quella di presentare come “socialismo” dei regimi in cui l’economia era statizzata più o meno completamente e dove regnava un sistema di partito unico, auodenominatosi cinicamente “dittatura del proletariato”, che viceversa non era altro che la dittatura dello Stato sul proletariato.
Ciò detto, cos’è il socialismo? Per rispondere, dobbiamo riprendere le idee che sono state sviluppate dal movimento operaio. Non si tratta di ripetere semplicemente delle vecchie formule, ma di analizzarle in maniera critica integrandole alla situazione attuale e alla prospettiva del futuro. Dunque, il socialismo…
1) è un sistema mondiale. Il socialismo è impossibile in un solo paese. Sta qui a nostro avviso la causa fondamentale del fallimento della Rivoluzione del 1917;
2) implica la partecipazione attiva e cosciente delle masse operaie e sfruttate organizzate in Consigli operai. Il socialismo non può essere imposto per decreto per via amministrativa, ma è il frutto della forza collettiva del proletariato;
3) non si costruisce attraverso il rafforzamento dello Stato ma attraverso la sua estinzione progressiva. E’ certo che uno Stato di transizione esisterà ancora dopo la distruzione politica del capitalismo, ma questo dovrà essere progressivamente smantellato. E’ dunque uno Stato destinato ad estinguersi.
Questa breve sintesi dei principi del socialismo ci conduce a mettere l’accento sul fatto che il socialismo non può che essere il prodotto dell’azione collettiva, organizzata e cosciente del proletariato mondiale, rafforzata e sostenuta da tutti gli oppressi e sfruttati del pianeta. Il “socialismo” realizzato dallo Stato, basato sul partito unico, è una immonda mistificazione che non ha niente a che fare con il socialismo ma che è solo una delle forme di capitalismo di Stato.
Il socialismo sorge dalla lotta mondiale del proletariato. Ma oggi, dove è questa lotta?
La Rivoluzione russa era stata il frutto di numerose lotte che si erano prodotte non solo in Russia, ma anche in Germania, Austria e in numerosi paesi d’Europa, d’Asia, d’America… Essa fu la punta di lancia di grandi movimenti mondiali delle masse operaie. Noi non siamo degli idealisti, non pretendiamo di vendere delle illusioni. Noi sappiamo perfettamente che siamo ancora lontano da una situazione in cui la presenza generalizzata di lotte di massa del proletariato dominerà la scena mondiale. Noi pensiamo tuttavia che la situazione attuale si caratterizzi per una maturazione delle condizioni che può condurre ad una situazione rivoluzionaria come quella del 1917.
Su cosa basiamo questa prospettiva? Essenzialmente su due fattori: da una parte, le lotte attuali (malgrado il loro carattere ancora molto limitato) tendono a moltiplicarsi in numerosi paesi d’Europa, dell’Asia, dell’America. Noi facciamo riferimento a dei movimenti significativi in diversi paesi: Francia 2006, Gran Bretagna 2005, Spagna 2006, Dubai 2006, Bangladesh 2006, Egitto 2007, Perù 2007, Germania 2007… Noi non descriviamo qui in dettaglio questi movimenti ma un’analisi seria mostra un potenziale importante. D’altra parte, comincia ad apparire un reale processo di presa di coscienza. Minoranze di proletari in molti paesi si pongono una serie di questioni, cercano con energia ed entusiasmo delle posizioni teoriche rivoluzionarie e – cosa che va di pari passo – un’attività rivoluzionaria. Inoltre appaiono dei gruppi internazionalisti che tendono a difendere delle posizioni rivoluzionarie, ampliando e approfondendo così l’azione delle organizzazioni rivoluzionarie internazionaliste come la CCI: nelle Filippine, in Corea, in Brasile, in Turchia, in Argentina, in Cecoslovacchia, in Germania, ecc.
Noi non possiamo considerare in maniera isolata ognuno di queste espressioni della classe. Noi pensiamo che nel loro insieme questi sforzi annuncino e preparino un cambiamento formidabile nella mentalità delle masse dei lavoratori. Concentriamoci sulla riflessione e sull’azione di queste minoranze. Essendo alla ricerca di posizioni rivoluzionarie, esse incrociano inevitabilmente innumerevoli partiti, organizzazioni e movimenti che rivendicano di portare avanti il comunismo e il socialismo, di essere espressione della classe operaia, della rivoluzione, ecc. Come orientarsi? Come distinguere tra queste correnti di origine comunista o che si pretendono tali quelli che non sono che un inganno e una mistificazione? Rispondere a questa questione condurrebbe ad un dibattito dettagliato nel quale non possiamo entrare qui. Vogliamo tuttavia apportare un inizio di risposta che deriva dall’insieme delle cose che abbiamo detto sul socialismo e sul suo processo di costruzione.
Tutte queste organizzazioni che pretendono che il socialismo in un solo paese sia possibile e che difendono la nazione, che pretendono di essere antimperialisti e che difendono un’azione nazionale imperialista, che presentano come socialista la statalizzazione e la nazionalizzazione dell’economia, che difendono il rafforzamento dello stato capitalista sotto la forma democratica o totalitaria che sia, tutte queste organizzazioni non hanno niente di socialista né di comunista ma difendono, al contrario, in fin dei conti, proprio il capitalismo.
Questa è la realtà, nonostante tutta la buona volontà o la sincerità di tanti militanti di queste organizzazioni, rispetto ai quali noi auspichiamo un dibattito sincero e profondo per comprendere se è possibile lottare per il socialismo all’interno di queste organizzazioni o se al contrario queste non siano un ostacolo a questa lotta.
Cari compagni, la nostra presentazione, come avevamo annunciato, non pretendeva di dare una risposta esauriente e sistematica, ma solo di aprire il dibattito. E’ perciò che concludiamo invitandovi a porre senza esitazioni le questioni, i problemi, gli argomenti, gli accordi e i disaccordi, in modo che noi possiamo chiudere questa riunione arricchiti dall’idea che avremo, assieme, lanciato una dinamica verso la chiarificazione sui problemi che assillano l’umanità.
1. Consultare es.internationalism.org/cci-online/200602/434/cuatro-intervenciones-publicas-de-la-cci-en-brasil-un-reforzamiento-de-las-pos [15].
2. Naturalmente, se dei compagni sono interessati ad organizzare dibattiti di questo tipo nella loro città o nel loro paese, siamo disposti a collaborare alla loro organizzazione. Ogni iniziativa in questo senso è vitale.
3. Questa presentazione è presente sotto forma di allegato dopo questo articolo.
4. Vedi sul nostro sito la brochure su la Rivoluzione russa [16].
5. Vedi sul nostro sito la brochure su Trotsky e lo stalinismo [17].
6. Vedi, tra gli altri testi, il più recente [18].
7. Vedi es.internationalism.org/cci-online/200706/1928/chavez-explota-a-favor-del-capital-los-suenos-de-las-capas-mas-necesitadas [19] e es.internationalism.org/cci-online/200706/1934/acentuacion-de-la-precariedad-en-nombre-del-socialismo [20].
Lo sciopero dei minatori in Perù è una realtà. Iniziata dai lavoratori della compagnia cinese Shougang tre settimane fa la lotta si è estesa a tutti i centri minerari del paese. Inevitabilmente, per il momento, i sindacati hanno svolto il loro ruolo reazionario, in particolare il sindacato della miniera più grande del paese: Yanacocha (miniera d’oro del nord del Perù, nella Cajamarca, con un fatturato di 800-1000 milioni di dollari all’anno). Questo sindacato ha intavolato delle discussioni isolate con la compagnia e non ha chiamato allo sciopero. A Oroya i sindacati sono stati denunciati dalla stampa per il fatto che sono andati al lavoro. Chiaramente si voleva rompere un minimo di unità dato che la Federazione dei Minatori aveva detto che 33 basi sindacali avevano scioperato.
A Chimbote, dove c’era stata una lotta di contadini e disoccupati durata alcune settimane, la compagnia Sider Perù è stata completamente paralizzata. Le mogli sono scese a manifestare con i minatori insieme a gran parte della popolazione di questa città. Le strade della città di Ilo sono state bloccate, a Cerro de Pasco sono stati arrestati 15 minatori accusati di aver tirato sassi contro i locali del governo regionale.
La stampa ha svolto il suo ruolo reazionario dicendo che lo sciopero era stato un fallimento. Agendo da portavoce dello Stato, i mezzi di disinformazione hanno detto, in accordo col Ministro delle Miniere (Pinilla), che solo 5.700 minatori su un totale di 120.000 erano in sciopero. La Federazione delle Miniere dichiara che i minatori in sciopero sono 22.000.
Nella miniera di Casapalca, sulla Sierra de Lima, i minatori hanno resistito agli ingegneri della miniera che li minacciavano di licenziamento se avessero abbandonato il loro posto di lavoro. Il ministro Pinilla ha dichiarato illegale lo sciopero, perché annunciato con quattro giorni di anticipo invece dei cinque previsti dalla legge. Le miniere assumono un certo numero di lavoratori temporanei e il ministro minaccia il licenziamento se i minatori non ritornano al lavoro entro il giovedì successivo.
Un altro aspetto di questa lotta è stato il coinvolgimento nello sciopero dei minatori assunti dalle compagnie in sub-appalto. Un minatore assunto direttamente dalla compagnia mineraria guadagna 23 dollari al giorno, mentre un minatore assunto in sub-appalto, da una di queste compagnie, guadagna 9 dollari al giorno. La protesta della moglie di un minatore ricordava che il presidente Alan Garcia aveva promesso nei suoi discorsi elettorali di eliminare queste imprese intermediarie.
In un telegiornale è stato mostrato un minatore demoralizzato dell’impresa Shougang che diceva che erano passate già tre settimane e che non aveva più da mangiare. Le lacrime di questo minatore che raccontava la povertà sua e della sua famiglia diffuse per la provincia avevano lo scopo di demoralizzare gli altri minatori in sciopero. Alcuni studenti dell’Università di San Marcos a Lima hanno espresso la loro solidarietà con i minatori ed hanno portato del cibo per la “cucina della comunità”, una pratica questa comune in tutti gli scioperi (insegnanti, infermiere, operai, ecc.). Il cibo viene condiviso tra le famiglie, mentre ci si scambiano esperienze e valutazioni sulla lotta del giorno.
Il governo da parte sua aggiungere un altro demoralizzante colpo annunciando la privatizzazione della miniera Michiquillay di Cajamarca, partita con il prezzo di 47 milioni di dollari e conclusa con più di 400 milioni di dollari.
Questo sciopero nazionale a tempo indeterminato, il primo dopo 20 anni che non paralizzava questo settore.
Un compagno di Lima, 30/4/07
Tre morti al Technocentre di Renault di Guyancourt in quattro mesi, quattro nella centrale di Chinon dell’EDF-GDF in tre anni, una presso il ristorante Sodexho all'inizio aprile, ancora una in una fabbrica PSA del Nord della Francia nello stesso mese. Questo è il bilancio di quell'ondata di suicidi che recentemente hanno conosciuto alcune imprese. Per ognuno di essi sono stati invocati la pressione e l'assillo dei capi, la paura della disoccupazione ed il ricatto al licenziamento sistematico, il sovraccarico di lavoro crescente. Non c’è da meravigliarsi. Accanto ai licenziamenti massicci degli anni ‘80 e ‘90, in tutte le fabbriche e nei servizi, i ritmi sono stati moltiplicati per due o per tre, e, con questa "grande vittoria" della sinistra rappresentata dalla legge sulle 35 ore, si è avuto solo un peggioramento. Perché quest'ultima ha permesso di giustificare un'accelerazione terribile dello sfruttamento ed un aggravamento senza precedenti delle condizioni di lavoro. I centri di produzione capitalista sono sempre stati delle carceri, oggi chiaramente sono degli inferni dove gli operai sono più che mai condannati ad arrostire per poi essere gettati nella spazzatura. "Marcia o crepa"!, ecco l'immutabile motto di questa società di sfruttamento e di miseria.
Al Technocentre di Renault-Billancourt per esempio, il "contratto 2009" deciso dall'impresa esige dai salariati, quadri, tecnici, operai alla catena, ritmi di lavoro infernali, con la minaccia di licenziamenti secchi se gli "obiettivi" non sono rispettati. Tutto è buono per ridurre i costi di produzione. Così, un progetto battezzato "nuovi ambienti naturali di lavoro", adottato all'unisono dai sindacati CFDT, CGC, CFTC e FO, ha ideato il telelavoro legato ad una nuova classificazione di compiti, da cui dipende lo stipendio, che raddoppia in funzione dei risultati di ogni salariato e del "modo" con cui li ha ottenuti. Si tratta in effetti di una vera militarizzazione la cui pressione su ciascuno è enorme e per certi portatrice di disastri psicologici.
All’EDF-GDF, è la concorrenza tra i CDD e gli impiegati in CDI che è la regola, con la direzione che chiede agli impiegati "fissi" di allinearsi sul ritmo di lavoro richiesto a quelli che sperano di essere assunti e che "danno dunque il meglio di sé stessi".
Ma al di là di queste imprese particolari, gli esempi dell’aggravamento delle condizioni di sfruttamento dovunque, in tutti i settori, sono innumerevoli. Le pressioni delle direzioni e dei piccoli capi per costringere gli operai ad accettare di rendersi disponibili si trasformano in vero assillo, con l’utilizzazione sempre più generalizzata di metodi disprezzabili come la minaccia aperta della disoccupazione o “la messa a riposo” per fare pressione sui ricalcitranti. È il regno della paura, la regola è ancora dividere per regnare meglio, che mette certi impiegati all’indice ed in quarantena, a costo di spingerli al suicidio, per spaventare meglio gli altri e renderli più docili. In certe imprese, l’insulto quotidiano, quasi la minaccia fisica, sono arrivati ad essere la pratica corrente dell’inquadramento.
Secondo l’Inserm, 12.000 persone si suicidano ogni anno in Francia, sui 160.000 tentativi nell’insieme della popolazione. Tra questi, da 300 a 400 lo fanno sul loro posto di lavoro, senza escludere che numerosi altri suicidi “fuori dal lavoro” sono legati direttamente alle condizioni di lavoro e più generalmente alla loro ripercussione immediata sulle condizioni di vita. Fino a poco fa, gli studi effettuati dagli specialisti dei rischi suicidi si rivolgevano essenzialmente verso le “popolazioni a rischio”, principalmente i tossicodipendenti, gli omosessuali, i disoccupati o ancora gli adolescenti. Il fenomeno di sfinimento professionale descritto da uno psicanalista americano, o “burn out” (1), apparso alla fine degli anni 1970 ed all’inizio degli anni 1980, non è più una curiosità di ricercatore, è una realtà endemica.
Mentre, grazie alle reti di circoli medico-sociali che permettono una individuazione del rischio più precoce nella popolazione, non c'è aumento globale del suicidio, il numero di suicidi al lavoro e di quelli legati direttamente alle condizioni di lavoro è in costante aumento. Così, l’undicesima giornata nazionale per la prevenzione del suicidio, che ha avuto luogo all’inizio di febbraio 2007, si è interessata particolarmente a questo “fenomeno nuovo” apparso ufficialmente circa una ventina di anni fa, e “in aumento da dieci anni ed in crescita regolare da quattro a cinque anni”, secondo il vicepresidente del Consiglio economico e sociale, Christian Larose.
Altro fatto “nuovo”: mentre fino a dieci anni fa, solo certe professioni erano particolarmente toccate, come gli agricoltori ed i salariati agricoli che capitolavano sotto i debiti, oggi tutte le categorie professionali sono coinvolte, con un’esposizione più frequente per i quadri, gli insegnanti, il personale della sanità, le guardie carcerarie, i poliziotti, o ancora i pompieri, ed i salariati del settore privato, cioè la maggior parte dei salariati di Francia.
Questa ondata di suicidi legati al lavoro non è una specificità francese, lungi da ciò. Se è difficile potere ottenere delle stime precise, si sa per esempio che in Europa, il 28% delle persone confessano che il loro lavoro è fonte di grave stress. In Cina, il numero di suicidi è esploso letteralmente con l’industrializzazione selvaggia e le condizioni di vita disumane degli operai. Così, 250.000 persone tra i 18 ed i 35 anni si sono suicidate nel 2006, e cioè una parte rappresentativa delle forze vive in seno alla classe operaia cinese.
La borghesia prova certamente a servirsi di questo “malessere sociale” per demoralizzare la classe operaia: vuole farci credere che la disperazione e la concorrenza fanno parte della “natura umana” e che la classe operaia non può accettare questa situazione che come una fatalità. I rivoluzionari, invece, devono sostenere che è la barbarie del capitalismo ad essere la responsabile dei suicidi. Il fatto che i proletari siano oggi costretti a darsi la morte a causa delle condizioni di lavoro è una protesta esasperata contro la ferocia delle loro condizioni di sfruttamento. Tuttavia, non dobbiamo vedere nella miseria solo miseria: le condizioni di sfruttamento e la concorrenza che il proletariato conosce oggi nel mondo non hanno come sola prospettiva la disperazione individuale, i suicidi o le depressioni. Perché il degrado vertiginoso delle condizioni di vita dei proletari porta con sé la rivolta collettiva e lo sviluppo della solidarietà in seno alla classe sfruttata. L’avvenire non è nella concorrenza tra i lavoratori ma nella loro unione crescente contro la miseria e lo sfruttamento. L’avvenire è nelle lotte operaie sempre più aperte, massicce e solidali.
Così, nel Manifesto Comunista del 1848, Marx ed Engels scrivevano: “Talvolta gli operai trionfano; ma è un trionfo effimero. Il risultato vero delle loro lotte più che il successo immediato è l’unione crescente dei lavoratori. (...) Questa unione crescente del proletariato in classe (…) è distrutta di nuovo continuamente dalla concorrenza che gli operai si fanno tra loro. Così essa rinasce sempre ogni giorno più forte, più ferma, più potente".
Mulan, 28 aprile, (da Révolution Internationale n.379)
1. Fenomeno depressivo grave: “incendio interiore”, in riferimento ad un fuoco nato dall’interno e che non lascia che il vuoto.
Quest’anno la borghesia ha pensato bene di “festeggiare” il 1° Maggio con la parola d’ordine “contro le morti bianche”. Già nei giorni precedenti, ed anche successivi, abbiamo visto tanto di titoloni sulle pagine dei giornali su operai morti sul posto di lavoro (a Napoli, a Genova, a Sorrento…), con la consueta profusione di “indignazione” da parte di uomini di governo, partiti e sindacati e, naturalmente, con tanto di buoni propositi di fare qualcosa per la sicurezza dei lavoratori.
Veramente la faccia tosta e l’ipocrisia di questa gente non ha limiti. Scoprono adesso che ogni giorno in Italia si muore sul lavoro? Basta cliccare “morti bianche” su internet per avere tutta una lista di posti dove è morto un operaio. E’ da anni che il numero delle vittime del lavoro aumenta costantemente, e del resto come potrebbe essere diversamente se il lavoro precario, saltuario, a nero è diventato ormai la norma di utilizzo della forza lavoro? E le cifre ufficiali uscite in questi giorni sui giornali non sono che una parte della realtà. Quante sono le vittime sul lavoro, soprattutto tra gli extracomunitari e gli immigrati in genere, che vengono abbandonati per strada lontano dal cantiere o portati davanti agli ospedali dai datori di lavoro1, per evitare che si sappia dove e come si sono feriti o sono morti?
Ma al 1° Maggio abbiamo dovuto subire i bei discorsi di sindaci, sindacalisti, preti e gente di spettacolo, come il premio Nobel Dario Fo, o il “compagno” Bertinotti che ci hanno detto che queste morti sono “ingiuste”, segno di “inciviltà”, di “degrado” e cose simili.
In effetti tutto questo gran parlare, adesso, delle morti bianche serve a distogliere l’attenzione dei proletari dal fatto che è questo governo di sinistra, al pari di tutti i governi che lo hanno preceduto, che sta degradando ulteriormente la nostra esistenza. Non a caso tutta l’attenzione nei comizi del 1° Maggio, nelle dichiarazioni di Prodi, nei commenti dei mass media, sono sul fatto che le leggi per la sicurezza sui posti di lavoro ci sono, ma non vengono rispettate, la responsabilità dunque non è del governo ma del datore di lavoro che non rispetta le leggi. In altri termini, e nulla togliendo alle responsabilità degli stessi datori di lavoro, l’idea che si vuol fare passare è che la responsabilità non è dello Stato capitalista, del suo governo e dei suoi sindacati se per sopravvivere in una città come Napoli o diventi un malvivente o accetti di lavorare per quattro soldi sulle impalcature dei palazzi senza la minima protezione e magari fino all’età di 74 anni. Non è responsabilità di questo sistema capitalista, dove la concorrenza sfrenata porta ogni azienda a tagliare sui costi della manodopera e sulle norme di sicurezza, se nel porto di Genova sei costretto a lavorare ben sapendo che da un momento all’altro puoi rimanere schiacciato da quintali di carta. E neanche se sei costretto a condurre un treno con la preoccupazione che un tuo momento di stanchezza, per i ritmi a cui sei sottoposto, potrebbe provocare la tua morte e quella di decine o centinaia di altre persone.
In realtà la borghesia lo sa che questa consapevolezza si fa strada tra i proletari ed allora, prima che sfoci in lotta aperta e rischi di diventare un potente fattore di unità e di solidarietà nella classe operaia, prende le sue precauzioni cogliendo l’occasione delle ultime disgrazie per puntare il dito sul singolo “padrone senza coscienza”. E quale momento migliore di giocarsi questa carta se non la “festa dei lavoratori”.
Eva 4/5/2007
1. “Di lavoro si muore. In continuazione: La velocità di costruzioni, la necessità di risparmiare su ogni tipo di sicurezza e su ogni rispetto d’orario. Turni disumani nove-dodici ore al giorno compreso sabato e domenica. Cento euro a settimana la paga con lo straordinario notturno e domenicale di cinquanta euro ogni dieci ore. I più giovani se ne fanno anche quindici. Magari tirando coca. Quando si muore nei cantieri, si avvia un meccanismo collaudato. Il corpo senza vita viene portato via e viene simulato un incidente stradale. Lo mettono in un’auto che poi fanno cadere in scarpate o dirupi, non dimenticando di incendiarla prima. (…) Quando il mastro è assente spesso il panico attanaglia gli operai. E allora si prende il ferito grave, il quasi cadavere e lo si lascia quasi sempre vicino a una strada che porta all’ospedale. (…) Chiunque prende parte alla scomparsa o all’abbandono del corpo quasi cadavere sa che lo stesso faranno i colleghi qualora dovesse accadere al suo corpo di sfracellarsi o infilzarsi. Sai per certo che chi ti è a fianco in caso di pericolo ti soccorrerà nell’immediato per sbarazzarsi di te, ti darà il colpo di grazia. E così si ha una specie di diffidenza nei cantieri. Chi ti è a fianco potrebbe essere il tuo boia, o tu il suo. Non ti farà soffrire, ma sarà colui che ti lascerà crepare da solo su un marciapiede o ti darà fuoco in un’auto.” (da Roberto Saviano, Gomorra, viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio della camorra, Mondatori, pag. 237-238).
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[16] https://it.internationalism.org/Opuscoli/Ottobre17
[17] https://es.internationalism.org/cci/200605/911/el-trotskismo-contra-la-clase-obrera
[18] https://es.internationalism.org/cci-online/200708/2006/estudiantes-en-venezuela-la-perspectiva-de-lucha-proletaria-el-camino-para-su
[19] https://es.internationalism.org/cci-online/200706/1928/chavez-explota-a-favor-del-capital-los-suenos-de-las-capas-mas-necesitadas
[20] https://es.internationalism.org/cci-online/200706/1934/acentuacion-de-la-precariedad-en-nombre-del-socialismo
[21] https://it.internationalism.org/en/tag/vita-della-cci/riunioni-pubbliche
[22] https://it.internationalism.org/en/tag/2/25/decadenza-del-capitalismo
[23] https://it.internationalism.org/en/tag/3/43/comunismo
[24] https://it.internationalism.org/en/tag/2/29/lotta-proletaria
[25] https://it.internationalism.org/en/tag/3/41/alienazione