La preoccupazione della borghesia per gli autoferrotranvieri comincia il primo dicembre scorso, quando a Milano i lavoratori hanno deciso che gli scioperi simbolici del sindacato non servivano a niente e hanno scioperato senza rispettare le cosiddette “fasce protette”. La stessa cosa è successa il 15 dicembre, quando a non rispettare le consegne sindacali sono stati i lavoratori di diverse città, che hanno sfidato anche le minacce di precettazione, pur di cercare di dare efficacia alla loro lotta. Ed ancora il 20 dicembre e nei giorni immediatamente successivi, quando i lavoratori sono scesi spontaneamente in sciopero contro l’accordo bidone che i sindacati avevano siglato con il governo, che prevedeva un aumento di 80 euro, contro i 106 della piattaforma contrattuale (corrispondente alla perdita di potere d’acquisto calcolato con l’inflazione programmata, cioè un aumento ridicolo, visto che l’inflazione reale è di gran lunga più alta), e 600 euro di arretrati, contro i 2000 e passa dovuti per i mesi di vacanza contrattuale.
Questo accordo è stato proprio l’inizio della controffensiva della borghesia contro questo scoppio di combattività operaia. Una controffensiva affidata a quelli che sono i migliori difensori dell’ordine borghese, i sindacati (ed infatti a niente erano servite le minacce di denuncia per interruzione di pubblico servizio, o di sanzioni per il mancato rispetto della legge che “regolamenta” - ovvero, limita - gli scioperi nel settore dei pubblici servizi). Firmando un accordo con una cifra superiore a quella offerta dalle aziende fino a poche settimane prima, i sindacati volevano dare ai lavoratori l’impressione di aver conseguito una vittoria, e allo stesso tempo volevano metterli di fronte al fatto compiuto: non accettando l’accordo i lavoratori avrebbero dovuto scioperare senza l’avallo dei sindacati. Ed è proprio quello che è successo in diverse città nei giorni successivi all’accordo, per cui i sindacati hanno dovuto continuare il loro sporco lavoro per convincere i lavoratori ad arrendersi. Così si è passati alla firma dell’accordo integrativo con l’ATM di Milano, che concedeva i famosi 25 euro mancanti (ma in cambio di una maggiore flessibilità del lavoro), per cercare di dividere il fronte degli scioperanti, proprio a partire dalla città che aveva dato il via al movimento. Contemporaneamente la CGIL teneva le assemblee con i propri iscritti, per convincerli della bontà dell’accordo, e allo stesso tempo per cercare di intimidirli, mettendo avanti tutti i rischi di scioperi fatti contro le regole stabilite (da loro).
Ma il lavoro più efficace è toccato ai sindacati che meno avevano responsabilità nella lunghezza della vacanza contrattuale e nella sequela di scioperi (sette) senza risultati: i sindacati di base, che erano stati gli unici a non condannare gli scioperi spontanei delle settimane precedenti. In questa maniera essi avevano conservato una certa fiducia presso i lavoratori, per cui si sono potuti presentare come quelli che avrebbero continuato la lotta. Però i sindacati hanno tutti la stessa natura: quelli di sabotatori delle lotte proletarie. Ed infatti anche i Cobas hanno fatto di tutto (riuscendovi questa volta) per spingere i lavoratori a rientrare nei ranghi. Prima hanno proclamato uno sciopero per il 9 gennaio (nel sacrosanto rispetto della tregua natalizia, cioè allo scopo di far allentare la tensione), con tutti i crismi del rispetto della legge di regolamentazione (e per questo si sono presi il plauso anche del giornale di Rifondazione Comunista, Liberazione, che il 10 gennaio presentava lo sciopero in questa maniera: “piena responsabilità dei lavoratori che hanno garantito senza alcuna eccezione le fasce orarie garantite”). Recuperato tempo in questa maniera, i Cobas hanno subito proclamato un altro sciopero per il 26 gennaio, spostato poi al 30 gennaio, preoccupandosi però di continuare a dividere i lavoratori, spostando lo sciopero dei tranvieri milanesi a data da destinarsi con la scusa del concomitante sciopero dei tassisti il 30, venendo ancora una volta meno alla banale considerazione che uno sciopero debba dare un qualche risultato. Naturalmente questo sciopero ha avuto una minore partecipazione, a testimonianza della riuscita dell’opera di pompieraggio fatta dal sindacalismo di base, al punto che possiamo ben pensare che il movimento dei tranvieri è, almeno per il momento, terminato. Terminato con pochi o nessun risultato per i lavoratori, ma comunque con tutta una serie di lezioni che possono tornare utili per le prossime lotte.
Innanzitutto l’importanza di questo movimento sta da un lato nella combattività che si è espressa, una combattività che mostra che la classe operaia sta uscendo da quel periodo di riflusso della combattività che aveva seguito il crollo dello stalinismo, e la conseguente campagna sulla fine del comunismo, che aveva lo scopo di iniettare sfiducia nella classe. E’ stata questa volontà di battersi veramente che ha fatto sì che i lavoratori fossero spinti ad andare al di là delle consegne sindacali e a sfidare anche tutte le minacce di denunce e sanzioni. Un altro aspetto importante è stata la solidarietà e la compattezza che i lavoratori del settore hanno saputo dimostrare, lottando uniti in tutto il paese, giovani e vecchi. Questa compattezza nel settore ha mostrato però anche il più forte limite del movimento, quello di essere rimasto isolato all’interno del singolo settore, cosa che indebolisce l’impatto di qualsiasi movimento.
Allo stesso tempo questo movimento ha mostrato la vera natura dei sindacati, quella di sabotatori della lotta operaia, alla faccia di tutti quelli che pensano che per poter lottare ci vuole un sindacato, questo movimento ha dimostrato che quando c’è una vera volontà di battersi, i lavoratori sono in grado di organizzare la propria lotta cercando i mezzi migliori per darle efficacia. Viceversa quando essi si affidano ai sindacati (siano essi quelli tradizionali, o i nuovi) non solo non riescono a dare nessuna efficacia alla loro lotta, ma subiscono anche tutto il lavoro di pompieraggio che questi fanno. Queste lezioni dovranno tornare preziose ed utili per le prossime lotte, perché i motivi della lotta degli autoferrotranvieri, cioè la necessità di aumentare un salario che non basta più a campare, accomunano tutti i lavoratori, perché l’impoverimento di questi ultimi anni, e il peggioramento delle condizioni di lavoro, ha colpito tutti i lavoratori indistintamente.
9 feb '04 Helios
Il marchio Parmalat è conosciuto in tutto il mondo, non solo per i prodotti venduti ma anche per le sponsorizzazioni miliardarie sulle maglie dei calciatori e sulle auto da corsa. I suoi prodotti ancora oggi sono richiesti, le sue fabbriche continuano a funzionare, in breve non è in discussione la credibilità del marchio dal lato produttivo. Così come non era in discussione la credibilità dei pelati Cirio, altro marchio conosciuto a livello mondiale. L’importanza del caso Parmalat, che apre da più di un mese i telegiornali e le prime pagine dei giornali non solo in Italia, è data dalla scoperta di un buco contabile dalle dimensioni gigantesche, 14 miliardi di euro, vale a dire circa 28.000 miliardi delle vecchie lire, somma che in teoria dovrebbero riavere i vari creditori, banche, sottoscrittori di bond, etc.. Ma che non vedranno più.
La storia della Parmalat inizia a Collecchio, vicino a Parma nel 1962. La famiglia Tanzi passa da una piccola produzione locale di salumi alla vendita del latte prima in zona poi a scala planetaria. Una McDonald’s italiana. Gli affari vanno bene, ci sono appoggi da parte della ex Democrazia Cristiana. Il valore del gruppo procede lentamente per 30 anni fino alla fine degli anni ’80. Negli anni ’90 il valore segue una curva esponenziale passando da circa 500 milioni di euro a circa 7.800 milioni nel 2002! Questi salti erano possibili nell’800 quando il capitalismo in piena espansione poteva contare su un saggio di profitto elevato e su un mercato in piena espansione, che permetteva di ripagare in poco tempo i debiti emessi. Nell’epoca attuale, quando anche i prodotti innovativi ad alto valore tecnologico hanno una breve durata causa il restringimento del mercato, non è possibile che prodotti come latte e merendine diano la possibilità di questa espansione. A meno che…. , a meno che non si faccia ricorso a tante operazioni che noi comprendiamo solo in parte ma che alla fine hanno a che vedere con imbrogli, trucchi, false informazioni, spostamenti di capitali, ricorso a prestiti, i cosiddetti bond, che servono a coprire i debiti in scadenza, e questo se all’inizio è fatto da piccole cifre alla fine diventa un buco colossale di 13-14 miliardi di euro, almeno finora.
Il desiderio e il destino di ogni capitalista è diventare il leader mondiale del suo settore. E magari di altri. Desiderio perché il piccolo imprenditore che ha successo nei suoi affari investe i profitti nell’allargamento della sua impresa, e finché segue le regole questo allargamento va lentamente. Destino perché ogni capitalista per poter sopravvivere deve continuamente lottare contro la concorrenza, una volta a livello locale oggi a livello planetario, in quanto sono in molti a produrre le stesse cose. In questa lotta o si va indietro e si scompare o si avanti e si diventa leader. Lotta senza esclusione di colpi: spionaggio, tangenti, crimini vari. Lo dice persino il magistrato Borrelli in una intervista “Si è passati a un desiderio di ricchezza planetaria, del tutto sganciata dalla produzione. Qui si gioca sul denaro per produrre altro denaro, fino a cifre che danno il capogiro. Capisco la valigetta con 500 milioni di lire portata ad un partito per favorire i propri interessi, ma che vuol dire un buco di miliardi di euro? È una cifra che dà un senso di infinito, che ti fa pensare qualsiasi cosa. Che abbiano finanziato delle guerre, delle rivoluzioni.. Non invidio i magistrati che se ne stanno occupando” (L’espresso 29/2/04). A parte il fatto che i capitalisti non finanziano le rivoluzioni, semmai i colpi di stato, le cose dette dal magistrato sono pane di tutti i giorni per tutti i capitalisti in tutto il mondo.
La ricchezza sganciata dalla produzione è la ricchezza che deriva dall’uso dei cosiddetti strumenti finanziari, che ha come punti di riferimento non tanto la fabbrica o gli allevamenti quanto il casinò dove si deve sperare solo nella buona fortuna. E a questo gioco non partecipano solo i capitalisti alla Tanzi ma tutti i capitalisti degni di questo nome, e più di tutti gli Stati, grandi o piccoli, dall’enclave palestinese di Arafat agli Stati Uniti, che con il loro debito fanno impallidire qualsiasi Tanzi. I casi Parmalat, Cirio in Italia, Enron negli Usa, Vivendi in Francia e tanti altri, sono solo la punta dell’iceberg, quelli che esplodono, ma nella sostanza è tutto il capitalismo che sopravvive su una montagna di debiti statali, industriali e privati. Lo Stato italiano riesce a tirare avanti con il suo debito che è superiore al Prodotto Interno Lordo di un intero anno perché è ancora relativamente forte, per cui riesce a farsi rifinanziare il debito ma altrettanto non è accaduto per Messico e Corea, per i paesi del sud-est asiatico e tanti altri, per finire all’Argentina, che è crollata trascinando con sé tutta la popolazione, non solo i famosi “piccoli risparmiatori” di tutto il mondo. Queste crisi saranno sempre più numerose perché alla base non c’è l’avidità del singolo capitalista ma il funzionamento del sistema capitalista che non riesce più a valorizzare il capitale investito attraverso la vendita dell’intera produzione. Tutti quelli che criticano la mancanza di controllo da parte delle banche, le società di revisione, etc,. mentono perché sanno bene che è tutto il sistema che funziona così. Sanno bene che nel prossimo futuro aumenteranno i casi Parmalat e i casi Argentina, e le conseguenze saranno peggiori. La Cina, per esempio, ha un altissimo tasso di crescita economica e viene lodata per questo ma sarà l’Argentina moltiplicata per mille quando i suoi debiti arriveranno alla scadenza. Il magistrato Borrelli si metterà pure le mani nei capelli per la grandezza della cifra “scomparsa” ma non riuscirà mai a dire che è il sistema capitalista che non funziona e che quindi è necessario abbatterlo per costruire una società senza capitali e senza capitalisti, una società comunista.
31/1/04 Oblomov
Non ci sono speranze nelle false spiegazioni
Di fronte a un mondo che sprofonda rapidamente nel caos, milioni di persone si sono rivolte alla religione – all’islamismo, al cristianesimo, ai numerosi culti New Age – per recuperare qualche speranza. Molti vedono lo stato catastrofico del mondo come il realizzarsi di vecchie profezie. Ma questo volo all’interno di arcaiche mitologie è esso stesso l’espressione di un sistema sociale decadente. E tutte le ideologie apocalittiche hanno un aspetto in comune: ridurre il genere umano in un passivo giocattolo nelle mani delle forze divine, opponendosi così ad ogni comprensione razionale del disordine attuale e di conseguenza a ogni soluzione basata sull’azione umana cosciente.
Molti attribuiscono la responsabilità dei problemi del mondo a singoli capi. Le dimostrazioni di massa contro la visita di Bush in Gran Bretagna sono state largamente animate dalla forte ostilità verso i singoli governanti della Casa Bianca e di Downing Street oltre che alle cricche intorno a loro, come se dei leader diversi o delle compagini governative diverse avessero potuto seguire una strategia sostanzialmente diversa per gli imperialismi USA e inglese. Questa in realtà non è che l’immagine speculare dell’incolpare Bin Laden o Saddam di tutto il terrorismo e dell’insicurezza nel mondo.
Ma forse la più falsa di tutte le false spiegazioni è la moda attuale per l’«anti-capitalismo», l’«anti-globalizzazione» e la «mondializzazione alternativa», rappresentata dallo smisurato Social Forum Europeo recentemente tenuto a Parigi. Uno strano «anticapitalismo» questo, che accetta fondi enormi dallo Stato (per esempio, oltre due milioni di euro sono stati dati al Forum dalle amministrazioni locali di Parigi e delle regioni circostanti); che predica non la fine del mercato ma un «mercato onesto»; che non vuole che gli stati nazionali vengano aboliti ma che siano rafforzati contro il «potere globalizzante delle multinazionali»; che dichiara che il «mondo alternativo» verrà fuori non da quello che Marx chiamò il becchino del capitalismo, cioè la classe operaia internazionale, ma dalla massa amorfa di «cittadini» che reclamano i loro «diritti democratici».
Ognuna di queste spiegazioni serve gli interessi dell’attuale sistema sociale, perché ognuna di esse distoglie e blocca ogni ricerca genuina delle cause che sono alla base del degrado della civiltà attuale. La classe che governa questo sistema, la borghesia, farà tutto quello che è in suo potere per nascondere questa verità: che la forma attuale di organizzazione sociale, l’ordine capitalista che domina l’intero pianeta, è divenuto non solo un ostacolo per l’ulteriore sviluppo sociale, economico e culturale, ma anche una minaccia per la sopravvivenza dell’umanità.
Per la rivoluzione dei lavoratori
Queste false ideologie non solo bloccano ogni comprensione della causa, ma ostacolano anche la soluzione dei problemi: la rivoluzione della classe operaia, una classe che ha la capacità di distruggere questo capitalismo produttore di morte e stabilire una nuova società basata su relazioni di solidarietà. Il capitalismo è diviso in un disordine caotico di unità nazionali che difendono i loro interessi particolari con ogni mezzo militare – la rivoluzione della classe operaia internazionale fornisce la base per un’unica comunità umana. Il capitalismo è un’economia inevitabilmente attraversata da crisi votata alla produzione per il profitto della borghesia, laddove la classe operaia può stabilire un’organizzazione della produzione impostata per rispondere ai bisogni umani. Il capitalismo dedica le sue energie al raffinamento e al rafforzamento della sua macchina repressiva statale, mentre il rovesciamento del capitalismo apre la possibilità per l’uomo “di organizzare le sue forze politiche e sociali”, come Marx affermò.
Poiché l’attuale organizzazione della società è del tutto contro i reali interessi della gran parte dell’umanità e va a beneficio solo di una infima minoranza di sfruttatori che la governano, essa non può essere riformata. Può essere solo rimpiazzata da una rivoluzione che porta avanti lo stesso programma in tutti i paesi: la distruzione dello stato capitalista; l’affermazione del potere politico dei consigli operai; l’abolizione della proprietà privata e della produzione finalizzata alla vendita e al profitto.
Il passaggio difficile è rompere con tutte le abitudini, l’etica e le ideologie che sono quotidianamente pompate nel nostro cervello dall’ordine esistente. Ed ancora avere la chiarezza teorica per vedere la bancarotta degli attuali rapporti sociali e la fiducia politica di centinaia di milioni di anonimi lavoratori di assumere il completo controllo della gestione della società.
Quelli che si oppongono alla rivoluzione, da destra a sinistra, denunciano questa prospettiva, al meglio, come un’idea utopica e irrealistica, al peggio, come l’apportatrice di nuove e anche più terribili forme di caos e tirannia.
Ma non è un’utopia – ovvero uno schema astratto proveniente dal nulla, il semplice sogno di intellettuali isolati. E’ invece la logica conclusione della lotta di una forza sociale molto concreta – la classe operaia – contro lo sfruttamento. E a dispetto di tutte le proclamazioni del contrario, a dispetto di tutte le sue difficoltà reali, quella lotta oggi sta sempre più alzando la testa.
La ripresa della lotta di classe, avvenuta alla fine degli anni ’60, ha prodotto venti anni di ondate di lotte operaie. Poi, dalla fine degli anni ’80, vi è stata una offensiva della propaganda borghese tendente a demoralizzare i lavoratori con la propaganda sulla “fine della lotta di classe” basata sul crollo del regime sovietico identificato falsamente come un regime comunista. Ma la recente rottura di movimenti a grande scala contro gli attacchi allo stato sociale in Europa, il ritorno di scioperi spontanei in Gran Bretagna, in Italia e in altri paesi, confermano ancora una volta che la classe operaia continua a reagire alla crisi del sistema, di cui è la principale vittima. Per quanto limitati possano sembrare, le lotte difensive di oggi contengono il potenziale per lo sviluppo di lotte più di massa, più coscienti e più politiche in cui la prospettiva della rivoluzione non è più vista come un’utopia, ma come l’unica risposta realistica della classe operaia alla deriva del capitalismo verso la guerra e la barbarie.Nei primi dieci mesi del 2003 ci sono state lotte a grande scala cui hanno partecipato operai di vari settori che hanno lottato con una determinazione sconosciuta fin dagli anni 80. A maggio e giugno milioni di operai in Francia hanno dimostrato contro gli attacchi alle pensioni. In Austria ci sono state una serie di dimostrazioni, anche contro gli attacchi alle pensioni, culminanti il 3 giugno con la più grande dimostrazione vista dalla seconda guerra mondiale quando milioni di persone sono scese in strada (questo è un paese con una popolazione inferiore a 10 milioni).
Ci sono inoltre state lotte significative, ufficiose, isolate, spontanee: lo sciopero a sorpresa degli operai della British Airways a Heathrow, lo sciopero spontaneo fatto da 1000 operai all’Alcatel-Espace a Tolosa a giugno e ad agosto da 2000 operai precari di una raffineria di petrolio di Puertollano (Spagna) dopo un incidente che ha ucciso 7 operai. A settembre circa 2.000 operai del cantiere navale di Humberside, di tre ditte differenti, hanno fatto uno sciopero selvaggio a sostegno di 98 operai in subappalto che erano stati licenziati per aver richiesto un aumento di 1.95 sterline all’ora (€ 3 circa). C’è anche in questi giorni lo sciopero dei lavoratori delle poste in Gran Bretagna, cui partecipano almeno 20.000 operai.
C’è stato un numero crescente di lotte nella maggior parte dei paesi europei e negli Stati Uniti. Per esempio, in California ci sono stati scioperi nel sistema dei trasporti pubblici a Los Angeles che con azioni di solidarietà hanno chiuso le linee di bus, il metro ed il trasporto ferroviario leggero. Uno sciopero di 70.000 operai dei supermercati in California ha interessato per la prima volta da 25 anni quasi 900 negozi. In Grecia c’è stata un'ondata di scioperi nel settore pubblico che ha visto la partecipazione di migliaia di operai compresi gli insegnanti, il personale medico, i pompieri e le guardie costiere. Inoltre sono scesi in sciopero ed hanno dimostrato altri strati quali 15.000 tassisti ateniesi.
Dopo 14 anni senza mobilizzazioni su grande scala, i bassi livelli degli scioperi registrati nei principali paesi capitalisti ed i proclami della classe dominante sulla fine della lotta di classe, queste lotte recenti sono l'espressione di un cambiamento nella situazione sociale.
Che cosa significano queste lotte
Per capire completamente il significato e l'implicazione di queste lotte è necessario metterle nel loro contesto storico. A livello immediato le lotte di questo anno non sono differenti da quelle di altri periodi di lotta dal 1989. Nel 1993 ci sono state enormi dimostrazioni in Italia contro gli attacchi alle pensioni, nel 1995 c’è stato un movimento di classe di grande importanza in risposta ad attacchi simili in Francia. Tuttavia, questo anno abbiamo visto movimenti simultanei, lotte che si susseguivano e lo sviluppo di piccole ma significative lotte non dichiarate. Soprattutto, queste lotte sono state inserite in un contesto di crescente disagio nella classe operaia riguardo al futuro che il capitalismo le riserva.
Ai tempi delle lotte in Francia i confronti sono stati fatti con il maggio 68. Non abbiamo visto questo anno come se fosse un nuovo 68, ma il paragone evidenzia l'importanza del fattore del nascente interrogarsi dei lavoratori sul capitalismo.
“Nel 1968 uno dei fattori principali nel risorgere della classe operaia e delle sue lotte sulla scena della storia a livello internazionale era la conclusione brutale delle illusioni incoraggiate dal periodo della ricostruzione, che per una intera generazione aveva permesso una situazione euforica di pieno impiego durante la quale le condizioni di vita della classe operaia avevano conosciuto un netto miglioramento, dopo la disoccupazione degli anni ’30, il razionamento e le carestie durante la guerra e nell’immediato dopoguerra. Con le prime manifestazioni della crisi aperta, la classe operaia si è sentita sotto attacco non soltanto nelle condizioni di vita e di lavoro, ma anche in termini di mancanza di prospettive per il futuro, di un nuovo crescente periodo di ristagno economico e sociale come conseguenza della crisi mondiale. L’ampiezza delle lotte operaie a partire da maggio 68 ed il riapparire della prospettiva rivoluzionaria hanno indicato chiaramente che le mistificazioni borghesi sulla ‘società dei consumi’ e ‘l’imborghesimento del proletariato’ stavano crollando. Mantenendo le proporzioni, ci sono analogie fra gli attacchi attuali e la situazione a quel tempo. Ovviamente non si tratta di identificare i due periodi. Il I968 è stato un avvenimento storico importante che ha segnato l’uscita da più di quattro decenni di controrivoluzione; ha avuto un effetto sul proletariato internazionale incomparabilmente più grande della situazione attuale.
Ciò nonostante oggi stiamo testimoniando il crollo di ciò che appariva in qualche modo come una consolazione dopo anni di prigione del lavoro salariato e che ha costituito una delle colonne che hanno permesso al sistema di ‘tenere’ per 20 anni: pensione all'età di 60 anni, con la possibilità a quell'età di godere una vita tranquilla libera da numerosi vincoli materiali. Oggi, i proletari si vedono costretti ad abbandonare l'illusione di potere scappare durante gli ultimi anni della loro vita da ciò che è visto sempre di più come un calvario: il degradamento delle condizioni di lavoro in una situazione in cui c’è sempre mancanza di personale e la quantità di lavoro ed il ritmo aumentano costantemente. Sia essi dovranno lavorare per più tempo e questo significa una riduzione della lunghezza del periodo in cui avrebbero potuto infine scappare alla schiavitù salariale, oppure perché non hanno contribuito abbastanza a lungo saranno ridotti ad una miseria nera dove la privazione sostituirà i ritmi infernali. Questa nuova situazione pone, per tutti gli operai, la questione del futuro." ('Di fronte agli attacchi massicci del capitale, il bisogno d’una risposta massiccia della classe operaia’ Rivista Internazionale n°114).
Questa questione è rafforzata dall'esperienza del proletariato negli ultimi 14 anni. Con il crollo del blocco orientale il proletariato è stato spinto in una ritirata profonda. Il crollo ha lasciato gli operai con un sentimento di impotenza mentre l’intera situazione internazionale è cambiata, con il mondo ingolfato nel caos. Nello stesso tempo la classe dominante ha usato il crollo e il crescente ‘boom’ economico degli anni 90 per spingere l'idea che la lotta di classe era morta e che gli operai avrebbero dovuto vedere se stessi come cittadini con una parte nella società. Queste campagne si sono scontrate con la realtà della recessione dall'inizio del nuovo secolo e con lo scoppio successivo della bolla di internet e con la marea di licenziamenti che sta spazzando gli Stati Uniti, l’Europa ed il resto del mondo. Nello stesso tempo, in tutta l’Europa, gli Stati Uniti e altrove, gli stati capitalisti stanno attaccando lo stato assistenziale; tagli ai sussidi e al diritto alla disoccupazione, tagli alle pensioni, attacchi alla salute, allo studio ecc. Tutto questo dimostra alla classe operaia che cosa il capitalismo ha da offrire e genera una determinazione tra gli operai nel rispondere agli attacchi sulle pensioni e altre parti del salario sociale.
Le più piccole, isolate e ufficiose lotte esprimono un crescente scontento nel proletariato contro l’accettazione degli attacchi imposti da chi comanda e dai sindacati. Il personale addetto al controllo a Heathrow, non famoso per la sua militanza, semplicemente non aveva più stomaco per subire un altro attacco o la complicità del sindacato, e così lo hanno buttato fuori. Il fatto che un così piccolo numero di operai abbia potuto causare tali preoccupazioni a capi, sindacati e mezzi di comunicazione era un esempio lampante del fatto che la classe dominante sa che qualcosa sta cambiando nella situazione sociale
La prospettiva
Il potenziale contenuto nella situazione attuale è di importanza storica. Oggi non è come nel 1968, la classe non sta emergendo da un periodo di decenni di sconfitta storica, ma da un decennio e più di ritirata. E prima del 1989 c’erano stati 20 anni di ondate di lotta. Quindi, le attuali generazioni operaie hanno potenzialmente 30 anni di esperienza di confronto con gli attacchi e le manovre della classe dominante cui attingere. Ciò, unito all’interrogativo che si sta facendo avanti sulla natura sempre più globale degli attacchi, potrebbe fornire le condizioni per importanti sviluppi verso gli eventuali decisivi scontri di classe tra il proletariato e la borghesia, che determineranno la capacità del proletariato di passare all'offensiva rivoluzionaria.
Identità di classe, la questione chiave per la classe operaia.
Punto centrale di questa prospettiva sarà la capacità del proletariato di riguadagnare e rinforzare la sua identità di classe. Per ‘identità di classe’ esprimiamo la comprensione di far parte di una classe, con interessi comuni da difendere. Questo senso di classe sarà la base per condurre eventuali lotte su un altro livello attraverso la loro estensione ed auto-organizzazione.
La natura degli attacchi sta dando la possibilità a questo di accadere. Lo smantellamento 'dei tamponi sociali’ dello stato assistenziale, con l'intensificazione dello sfruttamento nelle fabbriche, negli uffici, negli ospedali etc e lo sviluppo della disoccupazione di massa (oltre 5 milioni in Germania, 10% della popolazione attiva, posti persi negli Stati Uniti a un livello sconosciuto per decenni, 800.000 posti persi nel Regno Unito dal 1997, etc) confrontano gli operai con la brusca realtà del capitalismo: o lavori con le budella di fuori per produrre plusvalore o marcisci in povertà. Per decenni la classe dominante ha cercato di usare lo stato assistenziale per ammorbidire l'effetto del capitalismo sulla classe operaia, ma ora la verità di ciò che Marx dice nel capitale sta diventando più chiara: "la produzione capitalista della merce è così la prima formazione economica nella storia dell’umanità in cui la disoccupazione ed la miseria di un grande e crescente strato della popolazione, e la diretta indifesa povertà di un altro strato anch’esso crescente, non sono soltanto il risultato, ma anche una necessità, una condizione per l'esistenza di questa economia. L'insicurezza dell'esistenza dell’intera popolazione lavoratrice e la cronica mancanza.. per la prima volta sono diventati fenomeni sociali normali "(Il Capitale vol.1).
Il contrattacco della borghesia
La classe dominante è completamente informata della minaccia posta dalla classe operaia. Lo stato capitalista ha un intero apparato per occuparsi delle azioni degli operai: i sindacati, la democrazia, l’estrema sinistra, i tribunali, la polizia ecc. Ciò nonostante, il suo più grande timore è che gli operai sviluppino la loro identità di classe e sulla base di questa comincino a porre gli interrogativi politici sulla natura del capitalismo e l'esigenza di un'alternativa.
Quindi, quando la borghesia francese ha dovuto effettuare un attacco frontale contro la classe operaia ha fatto tutto ciò che poteva per fermare lo sviluppo di un senso d'identità di classe. I sindacati e la sinistra hanno presentato questo come una lotta contro 'la linea dura' dell’ala destra governativa, piuttosto che il capitalismo è la causa. Tutti i settori della popolazione sono stati mobilitati. Ed inoltre hanno portato ad esempio gli insegnanti, la cui lotta ha sofferto una brutale sconfitta. In Austria i sindacati sono stati così abili nel contenere la rabbia all'interno di dimostrazioni e di scioperi limitati. In Germania, la classe dominante ha potuto usare le lotte in Francia e Austria mescolandole con una lotta degli operai delle costruzioni nell'est, che, con la richiesta di parità salariale con gli operai nell'ovest, ha alimentato le divisioni. Sono stati abili a utilizzare la rabbia dei lavoratori contro altri lavoratori che non hanno partecipato allo sciopero.
Quest’ultimo attacco è stato un'espressione del problema più largo della decomposizione che il proletariato affronterà nelle lotte future. Il deperimento crescente del tessuto sociale funziona contro lo sviluppo dell'identità di classe perché genera l'idea di ciascuno contro tutti. Ogni individuo o settore operaio è incoraggiato a preoccuparsi della sua sopravvivenza di ogni giorno, anche se questo porta ad attaccare i compagni di lavoro. Durante le lotte degli insegnanti in Francia, i sindacati radicali hanno incoraggiato l'idea di diversi militanti operai di provare ad imporre la lotta ad altri operai bloccando le scuole, le strade etc, conducendo all'ostilità fra gli operai e ad una profonda demoralizzazione. In Spagna (Puertollano) i sindacati hanno mantenuto la lotta degli operai in subappalto separata dagli operai stabili, conducendo ancora all'ostilità ed alla demoralizzazione.
La classe dominante è molto sofisticata ed ha molta esperienza da utilizzare nelle sue lotte contro il proletariato. È essenziale capire questo, perché sottovalutare la capacità del nemico di classe significa disarmare la classe operaia. Le odierne lotte sono soltanto i primi insicuri passi nell'apertura di un periodo di sviluppo potenziale della lotta di classe. La borghesia sta facendo tutto il possibile per minare, deviare e corrompere la combattività della classe operaia e il suo approfondimento della coscienza.
La classe operaia è di fronte ad una sfida enorme. Sta andando per uno sviluppo lungo e tortuoso delle lotte contrassegnate da sconfitte e battute d'arresto. Gli operai dovranno far fronte agli effetti devastanti dell’approfondimento della crisi: disoccupazione di massa e povertà. Prendere parte alla lotta è un processo molto difficile, ma la riflessione seria che deve accompagnare lo sviluppo delle lotte dà loro più significato politico. Lo sviluppo della lotta inoltre permetterà al proletariato di cominciare a tirare fuori gli insegnamenti che già aveva cominciato ad afferrare negli anni 80, in particolare sul ruolo dei sindacati e sulla necessità di allargare le lotte ad altri settori. Questo intero processo sarà alimentato e stimolato da un interrogativo più largo sul sistema capitalista. Il cambiamento della situazione sociale è una sfida storica grande, ma non c’è alcuna garanzia che la classe e le sue minoranze rivoluzionarie saranno capaci di affrontarla. Ciò dipenderà dalla determinazione e dalla volontà della classe e delle sue minoranze.
1/11/03 Phil
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