In Cina esplosioni e crolli di gallerie si succedono ad un ritmo spaventoso. Nello scorso mese di agosto, nella provincia di Guangdong, 101 minatori sono rimasti bloccati in una miniera allagata da milioni di metri cubi di acqua. Nello stesso momento una esplosione in una miniera della provincia di Guizhou uccideva 14 operai. Recentemente, una nuova esplosione in una miniera a nord della Cina nella provincia di Dong fend è costata la vita, di nuovo, a 134 minatori. Questo autunno, gli incidenti hanno colpito questo settore in pratica quotidianamente. Questi incidenti a ripetizione fanno delle miniere cinesi le più pericolose del mondo, ufficialmente 6000 morti all' anno, probabilmente vicino a 20.000 secondo fonti indipendenti. 45 volte più di quelle dell'Africa meridionale, e cento volte di più di quelle degli Stati Uniti. L'esempio delle miniere di carbone dimostra drammaticamente la realtà barbara che si nasconde dietro i famosi tassi di crescita del capitalismo cinese. Nelle province di Stianxi, di Hebei, del Heilongjiang ed in Mongolia interna, le risorse carbonifere sono abbondanti. Da 10 anni, il governo, per aumentare ad ogni prezzo la produzione, ha privatizzato massicciamente le miniere. Risultato, la licenza si acquista a buon prezzo da funzionari sensibili alle tangenti. In queste miniere, vi si entra e si lavora bocconi, senza attrezzatura di sicurezza. In queste condizioni di sfruttamento feroce, le catastrofi possono solamente moltiplicarsi. "Nel 2005, il numero di morti supera quello del 2004: 717 morti per i primi 6 mesi dell'anno, contro 347 dello stesso periodo l'anno scorso (Secondo il Bollettino di informazione della commissione di sicurezza di stato)" (1). I minatori in Cina conoscono molto bene tutti i rischi, ma per essi non c'è scelta. O accettare questo rischio o vedere la propria famiglia morire di fame. E per uno stipendio da fame di 1 dollaro per giorno, 7 giorni su 7, in condizioni disumane. Le condizioni di sfruttamento e di lavoro non sono migliori nelle miniere pubbliche, dove tutto è sacrificato alla redditività. I funzionari, responsabili provinciali e governativi, marci dalla corruzione, nascondono la realtà con tutti i mezzi possibili ed immaginabili. In Francia c’è la buona politica di tentare di trascinare gli operai nella difesa del servizio pubblico. La Cina dimostra che quando la possibilità lo permette il capitalismo non fa nessuna differenza tra settore pubblico e settori privati. Così, nei grandi siti carboniferi pubblici: "Bu Guishing conferma che certi funzionari locali si affrettano a chiudere gli sfruttamenti pericolosi appena hanno sentore di una visita di ispezione delle autorità provinciali. Queste ultime trovano delle macchine ancora calde, ma la miniera è svuotata del suo personale, ciò che rende ogni ispezione impossibile". (2) In Cina, si può valutare la classe operaia a 100 milioni di abitanti, senza contare "gli operai contadini", con una precarizzazione che non smette di accelerarsi ed un tasso di disoccupazione di più del 50%. Gli operai licenziati vengono chiamati i xiapangs (scesi dal posto). Le condizioni di vita spaventose, in cui ogni giorno la classe operaia deve rischiare la sua vita per non morire di fame, provocano, malgrado la repressione, esplosioni di collera spesso violente. "Quasi ogni giorno, proteste, scioperi operai o agitazioni contadine di ampiezza più o meno grande, hanno luogo in Cina. Ween Tiejun, uno specialista delle questioni sociali, le valuta in 60.000 all'anno". (1)
Il disprezzo della borghesia per la vita dei proletari"Avviso alla popolazione di Harbin: in risposta ai timori dell'inquinamento del fiume Song in seguito ad un'esplosione verificatasi in una fabbrica chimica della città di Jilin, l'ufficio dell'ambiente naturale di Jilin ha dichiarato che nessuna traccia di inquinamento era ancora stata scoperta". (2). Come tutte le borghesie del mondo, la borghesia cinese pratica la menzogna sfrontata in materia di informazione, nel disprezzo totale della vita umana. La catastrofe è stata riconosciuta solamente il 22 novembre, mentre questa ha avuto luogo effettivamente il 13 novembre. Le prime dichiarazioni delle autorità per giustificare i tagli all’erogazione di acqua, parlano di "manovre di manutenzione”. Harbin è un'agglomerazione di 9 milioni di abitanti, situata sul corso inferiore del Song hua, da cui questa importante città attinge da centinaia di anni l'acqua necessaria alla popolazione. L'inquinamento di benzene, prodotto estremamente pericoloso per la vita umana, ha colpito tutto il corso superiore del fiume, la strato di inquinamento si estende su più di 80 km. Ma peggio ancora, l'inquinamento del corso superiore del Song hua va a causare obbligatoriamente un disastro umano in tutte le città e distretti situati a valle, come Harbin, ma anche Mulan, Tonghe e Jiamusi.
A fine novembre, una nuova esplosione chimica colpiva il sud-ovest del paese, senza che fino ad oggi nessuna notizia affidabile sia uscita dalla Cina. E' così che possiamo leggere su Libération del 28 novembre: "Le vittime delle miniere di Dong feng, come i danni ambientali, ancora difficili da valutare nell'opacità generale della catastrofe di Jalin, si aggiungono ad un elenco che si allunga quotidianamente".
La necessaria solidarietà di classe con gli operai in CinaQuesta successione di catastrofi in Cina rivela agli occhi del proletariato del mondo intero la realtà del "miracolo economico cinese". I tassi di crescita vicini al 10% nascondono lo sfruttamento feroce degli operai in questo paese, così come il disprezzo totale per la vita umana da parte della borghesia cinese, ad immagine della borghesia di tutti i paesi del mondo. La Cina è un mastodonte economico costruito su della sabbia che si sviluppa succhiando per il momento, come un vampiro, il sangue del proletariato e distruggendo in modo accelerato le risorse e l'ambiente naturale. Di fronte alla miseria ed ai pericoli ai quali espone il suo proletariato, le esplosioni di collera, spesso represse molto violentemente, possono solo moltiplicarsi in futuro. "Proprio il 26 giugno 2005, 10.000 persone che sfilano nelle vie di Cizhou, provincia di Anhui, danno fuoco alle automobili della polizia e al commissariato. Il fatto è stato provocato da un semplice scontro con uno di questi nuovi ricchi che conta la Cina di oggi che ha investito un liceale. L'incidente si è trasformato in sommossa quando la polizia si è schierata dalla parte del conducente". (1).
Gli operai di tutti i paesi, anche loro sfruttati dalla propria borghesia, devono sentirsi solidali con i loro fratelli di classe in Cina. La borghesia dei paesi più evoluti versa continuamente lacrime di coccodrillo sulla sorte degli operai cinesi. In realtà quest'ultima utilizza al massimo il fatto che gli operai in questo paese sono costretti, per sopravvivere, a lavorare in condizioni particolarmente dure, permettendo uno sfruttamento feroce per installare delle imprese a redditività massima. Inoltre si serve di questo sfruttamento feroce per giustificare in paesi come la Francia o l’Italia la necessità di accettare abbassamenti di stipendio crescenti per evitare le delocalizzazioni, tentando così di aizzare ipocritamente una parte del proletariato contro un'altra. In verità sola la classe operaia, in quanto classe internazionale, difendendo dovunque i suoi stessi interessi, può sentire nella sua carne le condizioni di vita degradata che subiscono gli operai in Cina. In questo paese, malgrado tutta la volontà di battersi, la classe operaia è immersa in una marea umana di popolazione senza lavoro che subisce la repressione violenta dell'apparato di Stato cinese. Tocca agli operai dall'Europa attraverso lo sviluppo della loro lotta di classe di offrire una prospettiva al proletariato in Cina; è la sola via di fronte a questo avvenire capitalista fatto di catastrofi e di barbarie.
Tony
1." Cina, il rovescio della potenza", di Cai Chongguo.
2. Courrier International : La fortuna è fuori dai pozzi
I moti in Francia nella lettura dei gruppi politici proletari
Con questo articolo torniamo ancora una volta sui moti in Francia che si sono sviluppati tra la fine di ottobre e il mese di novembre 2005 perché, oltre a esprimere il nostro punto di vista sugli avvenimenti (1), ci preme intervenire criticamente nei confronti di alcune analisi sbagliate che, seppure espresse in buona fede, finiscono per seminare confusione tra le giovani generazioni alla ricerca di una chiarezza politica. A tale proposito siamo già intervenuti nei confronti del BIPR per mettere in evidenza la doppiezza del suo intervento, che si è espressa con il fatto che tale organizzazione ha presentato due analisi del tutto diverse nei due paesi principali in cui è presente, l’Italia e l’Inghilterra (2). Con il presente articolo torniamo dunque sull’argomento per mostrare le debolezze che si sono mostrate nell’analisi di questi moti, debolezze che si sono propagate fin dentro lo stesso campo politico proletario. Come abbiamo detto durante gli scontri, “gli atti di violenza ed i saccheggi che vengono commessi, notte dopo notte, nei quartieri poveri, non hanno niente a che vedere, né da vicino né da lontano con una lotta della classe operaia (…) Quello che sta avvenendo in questo momento in Francia non ha niente a che vedere con la violenza proletaria contro la classe sfruttatrice: le principali vittime delle violenze attuali sono gli operai. E, al di là di quelli che subiscono direttamente le conseguenze dei danni provocati, è l’insieme della classe operaia del paese che è toccata: la campagna mediatica intorno agli avvenimenti attuali maschera di fatto tutti gli attacchi che la borghesia scatena in questo momento anche contro i proletari, così come le lotte che questi cercano di condurre per farvi fronte.”
La stragrande maggioranza dei gruppi proletari (3), nonostante la pretesa di richiamarsi alla tradizione del marxismo, hanno teso a salutare queste lotte arrivando talvolta a riconoscerle come autentiche espressioni della lotta di classe:
“Il giovane proletariato delle banlieue (…) ha reagito d’impulso con una potente scarica di violenza che da anni tiene in corpo e che è diventata incontenibile. (…) Viva il proletariato delle periferie che si rivolta contro la disperazione e la degenerazione in cui lo costringe a vivere questa società opulenta!” (Il Comunista n° 97-98, novembre 2005).
“Per noi, dunque, quei moti erano (…) una prima, importante rottura della pace sociale in un’Europa da lungo tempo immersa in un sonno interclassista e riformista. (…) I comunisti devono affermare con forza che i ribelli delle banlieue sono proletari, contro tutte le manovre in atto volte a presentarli semplicemente come "immigrati" o come appartenenti a questo o quel gruppo etnico o nazionale o religioso.” (Programma Comunista n. 1, gennaio-febbraio 2006) (4).
“Storcano pure il naso i benpensanti di destra e sinistra, ma questo è il "nuovo" proletariato senza riserve, precario, sottopagato, schiavizzato, che sa di non poter "rivendicare" un lavoro che non c'è. (n+1 newsletter n° 85, 20 novembre 2005).
“Siamo dinnanzi ad un fatto epocale. (…) Questa è la nostra classe che sta reagendo alle sue spaventose condizioni di esistenza e lo fa con gli strumenti che ha a disposizione... benzina, bande giovanili, scontri notturni.” (militante di BC sul forum).
Bisogna pur dire che un po’ tutti quanti questi gruppi, chi più chi meno, hanno messo avanti i limiti soggettivi del movimento. Ma quello che certamente costituisce il minimo comune denominatore di tutte le prese di posizione è l’affermazione del bisogno del partito inteso come strumento taumaturgico capace di trasformare le rivolte in rivoluzione, come ad esempio fa Programma Comunista nel suo ultimo numero: “Manca in tutto ciò – ed è la mancanza più drammatica – il partito rivoluzionario: vale a dire ‘quell’organo e strumento che solo è in grado (…) di recepire la spinta che viene dal basso, di raccogliere l’energia rabbiosa che si sprigiona dal profondo di una società marcia e putrescente, e di dirigerla contro la vera cittadella del potere capitalistico, lo Stato(…)”.
In effetti, come abbiamo già riportato nel nostro precedente articolo di polemica con il BIPR (v. nota 2), Lenin si guardava bene dal terminare ognuno dei suoi articoli con la frase “ci vuole il partito”. Questo mettere avanti a ogni spron battuto la questione del partito non solo è, da parte di chi lo fa, uno sterile esercizio retorico, ma per di più risulta essere del tutto controproducente ai fini della presa di coscienza da parte della classe operaia. C’è infatti da interrogarsi sull’effetto che ciò può avere su degli operai che cominciano a porsi delle questioni e che a un certo punto si trovano tra le mani un volantino o un articolo in cui si dice “ci vuole il partito, noi siamo il partito”, allorché il presunto partito brilla per la sua inconsistenza (per non dire per le sue contraddittorie prese di posizione). Anche per degli operai che potrebbero avvicinarsi alle posizioni della Sinistra comunista, questa insistenza esclusiva su “ci vuole il partito” - senza spiegare chiaramente che IL PARTITO non cadrà dal cielo ma che è esso stesso prodotto e fattore attivo della ripresa della lotta di classe e che, anche prima dell’apparizione del PARTITO con la P maiuscola, la classe operaia deve sviluppare le sue lotte, la sua coscienza, tentando di evitare le trappole che le tende la borghesia - non può che avere un ruolo demoralizzante e sviluppare tra di loro un sentimento di paralisi.
Di fatto questo ricorso ossessivo alla frase “ci vuole il partito” esprime la megalomania di tutti questi gruppi ognuno dei quali, ritenendosi solo al mondo, si sente il messia che salverà l’umanità. Fondamentalmente questa megalomania è il risultato della loro impotenza che, secondo un famoso detto, porta a parlare di vodka quando la vodka non c’è. E questa megalomania, (alla pari del loro settarismo) - che molti lavoratori che cominciano a svegliarsi alla politica non possono non constatare - costituisce un potente fattore non certo d’incitazione di questi operai ad andare più avanti nello studio delle posizioni della Sinistra comunista, ma di scetticismo verso queste posizioni.
Purtroppo, in aggiunta a quanto abbiamo già detto, c’è stato chi, facendo leva sullo scenario di disoccupazione che grava oggigiorno sulla classe operaia, è arrivato a ipotizzare non solo una mutazione della composizione della classe operaia, ma finanche una “conseguente” mutazione dei suoi metodi di lotta, identificando proprio nelle violenze dei rivoltosi delle banlieue francesi una possibile forma dell’attuale nuovo modo di lottare della classe operaia:
“La crisi del capitalismo e le risposte date dalla borghesia in questi ultimi decenni hanno prodotto un cambiamento significativo nella composizione del proletariato.” (Battaglia Comunista)
“Perciò oggi cade completamente la separazione netta tra l'operaio e il diseredato precario, il proletariato s'è diffuso, è aumentata la massa dei senza-riserve nella quale è precipitato anche l'ex salariato con posto fisso garantito. Chi voleva il movimento reale, eclatante, incendiario, è servito. (…) I “teppisti" di Francia e del mondo stanno impartendo lezioni di "marxismo oggettivo", senza rivendicazioni e senza interlocutori” (n+1 newsletter n° 84, 7 novembre 2005).
“Il cambiamento nella composizione del proletariato si riflette inevitabilmente nelle modalità in cui si manifesta lo scontro di classe. Chi si aspetta che il conflitto sociale debba avvenire sempre e solo negli stessi termini di trenta o cinquanta anni fa non ha compreso fino in fondo le modificazioni intervenute all’interno del proletariato. (…) Lo schema classico in base al quale lo scontro sociale parte da una base economico-sindacale per crescere sul piano politico, per le nuove generazioni di proletari precari ed esclusi dal mondo del lavoro non è più del tutto vero, poiché il conflitto sociale si manifesta potenzialmente su un terreno immediatamente politico, ma affinché ciò accada, e l’esperienza francese sta lì proprio a rimarcarlo, occorre la presenza del partito rivoluzionario.” (Battaglia Comunista)
Per capire i moti in Francia bisogna tornare al marxismo
Questi passaggi ci mostrano che ci troviamo di fronte ad un allontanamento significativo dal marxismo in materia di classe operaia e di lotta di classe. Perciò non possiamo che ritornare al marxismo e al suo metodo scientifico per rimettere il problema sui suoi piedi e cercare di risolverlo. Ciò è tanto più importante nella misura in cui, con l’approfondirsi della crisi, strati non sfruttatori ma anche non proletari saranno sempre più ridotti alla miseria assieme alla classe operaia e la loro rivolta, se non integrata all’interno dell’azione della classe operaia, potrà presentarsi come una falsa alternativa al sistema, come è accaduto per le banlieue francesi o le lotte in Argentina del 2001, e costituire una trappola per le lotte future.
La natura rivoluzionaria della classe operaia non è dovuta semplicemente alle sue condizioni di indigenza, al fatto di essere povera né al fatto di essere sfruttata. Di poveri e di sfruttati nella storia dell’umanità ce ne sono stati parecchi, come gli schiavi dell’epoca romana e greca, i servitori della gleba dell’epoca feudale, e questi poveri e sfruttati della storia, al di là del carattere eroico di rivolte a cui a volte hanno dato luogo, come quella di Spartaco contro l’impero romano decadente o quella dei contadini contro il feudalesimo nel 1381 in Inghilterra, non hanno mai spostato di un centimetro il corso della storia. Il carattere rivoluzionario della classe operaia dipende invece dalla collocazione che questa ha all’interno del sistema capitalista, di cui è il motore. Infatti la classe operaia è la principale produttrice di ricchezza in una società che non è più una società di penuria ma una società di sovrabbondanza. E’ dunque dal ruolo obiettivo che ha all’interno di questa società e dalla consapevolezza del fallimento dell’attuale modo di produzione che il proletariato può derivare non solo la sua forza contrattuale nei confronti della borghesia per le sue lotte rivendicative, ma soprattutto maturare la consapevolezza della possibilità e della necessità del rovesciamento rivoluzionario di questa società.
“La classe operaia è rivoluzionaria nel vero senso del termine perché i suoi interessi corrispondono a un modo di produzione sociale completamente nuovo. Essa ha un interesse oggettivo a riorientare la produzione senza sfruttamento del suo lavoro e per la soddisfazione dei bisogni dell’umanità in una società comunista. Essa ha inoltre tra le mani, anche se non dal punto di vista legale, i mezzi di produzione di massa che possono permettere la realizzazione di questa società. L’interdipendenza già completa di questi mezzi di produzione a livello mondiale significa che la classe operaia è già una classe veramente internazionale, senza alcun interesse in conflitto o in concorrenza, laddove tutti gli altri strati e classi della società, che soffrono nel capitalismo, sono inesorabilmente divisi.” (5)
Questo legame stretto tra il carattere rivoluzionario della classe e la sua collocazione specifica all’interno della società capitalista significa ancora che, se settori di classe vengono sradicati dal loro contesto sociale, questi possono smarrire il loro carattere rivoluzionario. Il che significa che i giovani delle periferie, benché figli di proletari più o meno inseriti nella produzione, nella misura in cui sono collocati in una situazione sociale degradata e non essendo mai entrati nel ciclo produttivo, possono finire per avvertire, piuttosto che la loro identità di classe, le spinte irrazionali di una società allo sfascio.
Per cui se è vero che questi giovani rivoltosi francesi sono anche figli di proletari, dobbiamo riconoscere che il loro è solo uno sfogo di rabbia con un metodo di lotta che non ha niente a che vedere con quello del proletariato perché c’è un uso della violenza in sé, senza alcun obiettivo da raggiungere, mentre la lotta proletaria si pone sempre un obiettivo.
La classe infatti non è una moltitudine amorfa davanti alla quale basta mettere il condottiero capace di guidarla per fare la rivoluzione. Esaltare questi avvenimenti come lotta di classe dimostra solo una grande sfiducia nella classe operaia, proprio perché si presuppone che questa possa solo arrivare ad esprimere episodi di intolleranza violenta che poi il partito miracolosamente sarebbe in grado di trasformare in processo rivoluzionario.
Eppure in altri posti, ivi compresa la stessa Francia (Marsiglia), proprio in questi ultimi mesi la classe operaia sta dimostrando di essere capace di riprendere la via della lotta, di riannodarsi alle sue esperienze precedenti, come la comprensione che non è la propria fabbrica o il proprio settore che subisce la crisi ma tutta l’economia, o ancora di esprimere atti concreti di solidarietà, come è accaduto in:
- Argentina, dove c’è stata una ricerca attiva tra vari settori di proletari per lottare assieme;
- Inghilterra, con lo sciopero degli addetti all’aeroporto di Heatrow, sviluppatosi dopo solo qualche settimana dagli attentati di Londra del 7 luglio e quando la borghesia tentava di rilanciare l’unione nazionale attraverso la campagna antiterrorista, dove un migliaio di lavoratori dell’aeroporto si sono messi in sciopero spontaneamente per solidarietà con i 670 operai dell’impresa americana di ristorazione Gate Gourmet, la gran parte dei quale di origine indo-pakistana;
- Spagna, dove il 23 dicembre, negli stabilimenti automobilistici della SEAT di Barcellona, gli operai del turno di mattina e del pomeriggio si sono spontaneamente messi in sciopero in solidarietà con 660 compagni di lavoro a cui la direzione aveva spedito quel giorno stesso una lettera di licenziamento;
- USA, dove lo sciopero dei 33700 lavoratori del metrò ha paralizzato la città di New York per tre giorni durante la settimana di Natale, esprimendo così la lotta operaia più significativa degli ultimi 15 anni negli Stati Uniti nella misura in cui i lavoratori si sono messi in lotta in solidarietà per le nuove generazioni di lavoratori, per quelli che addirittura devono ancora essere assunti. (6)
La prospettiva della lotta di classe
La gran parte dei gruppi che pretende di appartenere alla sinistra comunista, lungi dal fare riferimento al comune patrimonio storico, si perde dietro le chimere che la borghesia si incarica di gonfiare a dismisura, come le lotte disperate delle periferie francesi o le lotte interclassiste di Val di Susa o contro l’inceneritore ad Acerra. In realtà, come abbiamo già detto, “i rivoluzionari attribuiscono una grandissima attenzione ad ogni forma di rivolta sociale, qualunque ne siano i protagonisti o le prospettive. Allo stesso modo il proletariato, e noi al suo interno, non siamo «indifferenti» alle condizioni di vita abominevoli (fame, oppressione, repressione, ecc.) di cui sono vittime dei settori considerevoli della società non appartenenti al proletariato. Ma accordare un’attenzione non vuole dire considerare tutte queste manifestazioni di violenza sociale come lotte del proletariato o che queste manifestazioni abbiano una qualunque potenzialità di mettere in discussione lo sfruttamento capitalista.” (vedi nota 2).
Non è partendo dai moti di strati disperati che si può rimettere in piedi una dinamica di classe. E’ viceversa a partire dalle lotte autentiche della classe operaia, come quelle che abbiamo citato sopra, che strati marginali del proletariato, settori sottoproletari, strati genericamente non proletari e non sfruttatori, piuttosto che lasciarsi andare ad una violenza senza domani, possono essere gradualmente integrati nelle lotte del proletariato. E in questo, il ruolo dell’avanguardia rivoluzionaria è assolutamente insostituibile nell’indicare e difendere senza cedimenti i metodi di lotta propri dell’unica classe sociale che può distruggere il capitalismo e costruire una società comunista.
2 febbraio 2006 Ezechiele
1. Vedi il nostro volantino pubblicato sul sito web dal titolo “Tumulti nelle periferie francesi: Di fronte alla disperazione, solo la lotta di classe porta all’avvenire” e l’articolo pubblicato sul giornale n. 143 “La borghesia utilizza gli scontri nelle periferie contro la classe operaia”.
2. Vedi l’articolo pubblicato sul nostro sito web: “Gli avvenimenti delle periferie francesi mettono a dura prova la vocazione del BIPR ad essere ‘partito’”.
3. Qualche eccezione per fortuna c’è: “Certo spontanea, ma è una manodopera a disposizione di qualunque partito. (…) I giovani declassati delle banlieue, quando anche la morte diventa un gioco, vogliono distruggere tutto e tutti. Se stessi per primi. Non hanno nulla da perdere. Ma neppure nulla da guadagnare. Al contrario la disciplinata rivolta della classe operaia, che dovrà scoppiare, illuminata dal partito di classe, che saprà dove davvero colpire e cosa è necessario distruggere, ha un mondo intero da conquistare, e sa di averlo.” (Il Partito, n.°314, ott-nov 2005). Il fatto che dei bordighisti siano capaci di fare delle analisi giuste, malgrado la presenza di posizioni completamente errate, come quella sul sindacato, dimostra che si può ancora sperare che questi compagni possano un giorno aprire gli occhi e spiega perché noi ci rivolgiamo a loro come dei militanti della nostra classe.
4. Da notare che Programma Comunista, in questo stesso articolo, oltre a fare una denuncia dell’“opportunismo” dei vari Lutte Ouvriere, Scalzone, Negri, ecc., ha la pretesa di criticare anche i vari gruppi di sinistra comunista tra cui la CCI. Peccato però che, a questo punto, Programma si limiti a citare dei brevi passaggi di articoli senza neanche dire il nome del gruppo e senza sviluppare alcun commento, a parte la battuta di chiusura: “parole tutte in libertà”. Per quanto ci riguarda possiamo dire che se Programma avrà la capacità politica di esprimere una critica alle nostre posizioni politiche, saremo ben lieti di prenderla in considerazione.
5. “Moti sociali: Argentina 2001, Francia 2005, solo la lotta di classe del proletariato prospetta un avvenire.” Rivista Internazionale (versione in inglese, francese, spagnolo) n. 124.
6. Scarica gli articoli relativi alle varie lotte dal nostro sito.
Le reazioni al nostro primo articolo
In seguito alla pubblicazione, nel numero scorso del giornale, del primo articolo di questa serie, abbiamo ricevuto delle lettere di simpatizzanti di Lotta Comunista (LC). Questi compagni hanno espresso il loro disaccordo con le critiche da noi sviluppate a proposito della mancanza di una visione internazionale nella concezione di Cervetto sulla costruzione del partito. Queste lettere ci hanno fatto molto piacere perché il nostro interesse non è tanto la critica in sé a Cervetto o a Lotta Comunista, ma piuttosto suscitare una riflessione ed un dibattito su una questione di estrema importanza, come quella di come lavorare per la costruzione del futuro partito mondiale. Ci soffermeremo quindi sulle questioni poste da questi lettori prima di affrontare, in un prossimo articolo, la questione della presa di coscienza, del rapporto partito/classe e dei sindacati.
Le questioni poste dai compagni sono le seguenti:
- “Le critiche rispetto al ‘nazionalismo’ presunto di LC nel rimanere in Italia mi sembrano fuori luogo: LC ha sedi in Francia e pubblica i suoi libri in tutte le lingue occidentali; i libri quindi vengono diffusi in tutti i paesi europei”;
- “A me non pare che Cervetto abbia posto limiti alla “sola” Italia. Cervetto parla dell’Italia, certo, ma perché è il paese in cui vive. Non mi pare usi un tono esclusivista nel suo ragionamento. Al contrario, mi sembra ponga un modello da cui partire (in quegli anni) per arrivare ad una dimensione mondiale. Non era quello in fondo che si proponeva il vecchio partito bolscevico russo con la fondazione della III Internazionale?”
Diciamo subito che sappiamo bene che LC ha pubblicato dei libri in altre lingue così come abbiamo incrociato suoi militanti o simpatizzanti in altri paesi d’Europa come la Francia, la Germania, la Gran Bretagna ed anche alle conferenze organizzate in Russia e intitolate a Trotsky. Ma può forse questo essere sufficiente per dare una patente di internazionalismo a LC? Qualunque partito borghese tende ad avere una risonanza e dei partner a livello internazionale; d’altra parte esiste ancora addirittura una Internazionale Socialista dei vari partiti socialdemocratici del mondo. Vogliamo forse dire che questi sono partiti internazionalisti? Questo per dire che non è l’essere presenti a livello internazionale che dà ad un gruppo politico il carattere di internazionalista. Rispetto poi all’idea che “Cervetto parla dell’Italia perché è il paese in cui vive”, questo è piuttosto il retaggio acritico di una visione secondinternazionalista secondo cui in ogni paese occorre costruire un partito che risponda alle esigenze specifiche di quel paese, cosa che, come abbiamo detto nel precedente articolo, è valsa nella fase ascendente del capitalismo, anche se corroborata da una visione e da un quadro internazionale (vedi appunto la II Internazionale). Per quanto riguarda il cenno al partito bolscevico bisogna ricordare che questo nasce e si sviluppa in un periodo storico che fa da cerniera tra la fase ascendente e quella decadente del capitalismo ed è grande merito di questo partito e dello stesso Lenin aver percepito il cambiamento di fase storica che si stava operando, di capire la necessità di acquisire una nuova concezione del partito: non più partito di massa, ma partito mondiale di minoranze rivoluzionarie (III Internazionale) (1).
Ciò detto, dobbiamo riconoscere che la debolezza secondinternazionalista segnalata è importante, ma non costituisce in sé un elemento decisivo per un’organizzazione proletaria. Possiamo fare presente, tra l’altro, che lo stesso BIPR ha un’organizzazione sostanzialmente federalista nei vari paesi e predica espressamente, in completa contraddizione con l’esperienza storica, che le singole organizzazioni nazionali debbano avere il tempo di svilupparsi sui problemi locali prima di poter convergere nel partito a livello mondiale. (2)
Se dunque abbiamo concluso l’articolo precedente dicendo che quella di Cervetto è una visione borghese del partito, non è perché LC non ha militanti in altri paesi, o ne ha pochi, o perché ha iniziato la sua attività politica in Italia ma perché, al di là di un richiamo formale all’internazionalismo, il metodo utilizzato e la strada percorsa da Cervetto corrispondono ad una logica propria di un partito borghese sia a livello teorico che a livello di azione pratica sul piano organizzativo e di intervento nella classe.
Quale metodo sul piano teorico? Cervetto nei suoi scritti ha ribadito più volte che costruire il partito significa operare su due piani: elaborazione teorica ed intervento nella lotta della classe. Pienamente d’accordo. Ma cosa significa? Rispetto alla elaborazione teorica, tutta la storia del movimento operaio mostra come le differenti avanguardie abbiamo sempre teso a confrontarsi con le espressioni politiche proletarie del passato o con quelle che emergevano negli altri paesi sulle questioni centrali che si ponevano alla lotta di classe, nella consapevolezza che non si era gli unici al mondo e che queste minoranze erano l’espressione dell’eterogeneità del processo di presa di coscienza del proletariato internazionale. Da Marx a Lenin, dalla Luxemburg a Bordiga, ed anche nel peggior periodo di controrivoluzione, da Bilan ad Internationalisme (3), il metodo utilizzato è stato sempre quello di sottoporre le proprie convinzioni alla verifica dei fatti ed al confronto con le espressioni del movimento operaio internazionale e con le sue differenti esperienze, operando se necessario un’autocritica. Questo è l’unico metodo possibile per poter lavorare al raggruppamento delle forze rivoluzionarie per la costruzione del partito mondiale.
La comprensione di questo processo nella visione di Cervetto - e dunque di LC - manca totalmente. L’ottica di Cervetto (e di LC) - chiaramente espressa in “Lotte di classe e partito rivoluzionario” e nei successivi testi – non è solo un’ottica localista e chiusa nel quadro nazionale, ma anche un’ottica che, non facendo riferimento al mondo reale, alle lezioni delle sconfitte storiche del movimento rivoluzionario, finisce per essere il parto di una mente ingegnosa quanto si vuole ma pur sempre completamente soggettiva. Il risultato è che, partendo dalla presunzione di essere gli unici eredi al mondo di Marx e di Lenin, si stravolge completamente il prezioso lavoro politico di questi, deformandone i contenuti. D’altra parte, proprio per non avere alcuna conoscenza della storia del movimento operaio se non quella di un parzialissimo Lenin e per non conoscere neanche l’esistenza dei gruppi del campo proletario, molti simpatizzanti di LC tendono ad attribuire come meriti di Cervetto delle cose che lui ha mutuato malamente da altri. Un esempio per tutti: LC ha sempre sostenuto che uno dei grandi meriti di Cervetto è di aver elaborato, alla fine degli anni ’50, la teoria dell’ “imperialismo unitario” (cioè la natura imperialista della Russia) e individuato la tendenza al capitalismo di Stato. Ora, a parte il fatto che già il PCInt (4) era su queste posizioni, andando a ritroso si vede che Bilan negli anni ’30 ed Internationalisme negli anni ‘40 erano giunte ad una posizione molto chiara su queste questioni, tanto da permettere già nel ’36 a Bilan di denunciare la guerra di Spagna come una carneficina imperialista, mentre Cervetto faceva il partigiano antifascista nel secondo dopoguerra.
Quale metodo nell’attività politica? A partire da questa impostazione non è strano capire come si sia arrivati all’idea di partito teorizzata da Cervetto. Avendo la verità, o meglio la scienza in tasca e dovendo semplicemente trasmettere questa scienza agli operai, lo strumento partito inventato da Cervetto è un’organizzazione che tende a radicarsi con tutti i mezzi possibili in Italia, anche con la forza se necessario, puntando ad avere quanti più militanti è possibile, conquistando posizioni di potere nei punti nevralgici del sistema per poi diffondersi ad altri paesi per andare a illuminare della propria scienza i proletari di tutto il mondo. E per raggiungere questo obiettivo tutti i mezzi “tattici” sono buoni, l’importante è scegliere il momento giusto nel posto giusto.
Stiamo banalizzando la posizione di Cervetto? Non ci pare.
Qual è nella pratica l’attività di LC? Vediamo.
L’attività essenziale di LC è il lavoro nei sindacati e nei testi di Cervetto viene più volte indicata come priorità assoluta la propaganda specificamente indirizzata verso la base del PCI (5). L’idea è reclutare nuovi militanti all’interno di una platea che si ritiene più recettiva (nel sindacato ci sono gli operai, nel PCI gli elementi politicizzati a sinistra). Per mettere in pratica questa indicazione, LC mandava i nuovi militanti reclutati nel movimento studentesco della fine degli anni sessanta a lavorare in fabbrica, a diventare operai, con l’idea che se sei un comunista “operaio” non solo vieni ascoltato di più dai proletari, ma puoi farti eleggere rappresentante sindacale, entrare negli organi di questo e dunque acquisire una platea di ascolto più vasta. Questa politica di radicamento forzato ha spinto LC in certi momenti a concentrare il suo campo di azione a quei luoghi che le davano l’impressione di presentare condizioni più favorevoli per il reclutamento, come ad esempio nel ’66 a Genova che diventa, come proclama G. Poggi (uno dei fondatori di LC insieme a Cervetto) in un suo articolo, la “punta avanzata della ripresa del leninismo in Italia”. Quando la situazione non è più favorevole a Genova, il centro di azione diventa il movimento studentesco: dato che “Il partito rivoluzionario deve svilupparsi, …, organizzativamente utilizzando le possibilità che gli sono date”, ecco che “La crisi della scuola deve essere utilizzata leninisticamente e deve essere utilizzata ai fini della classe operaia e della sua lotta contro il sistema capitalistico ed imperialistico mondiale” e allora “le masse studentesche” diventano “per la loro natura un settore di incubazione di nuovi quadri politici, sensibili, più di altri strati, a queste crisi di transizione (ristrutturazione del settore scolastico, ndr) e suscettibili a fornire gruppi e base a nuovi movimenti politici espressi dalle nuove condizioni”. Chiaramente “I quadri provenienti dalle agitazioni studentesche ed i quadri provenienti dalle agitazioni di fabbrica si salderanno nella lotta e nel partito leninista. Se invece le agitazioni studentesche finiranno col fornire nuovi gruppi alle lotte imperialistiche, all'opportunismo riformato o ai giovani capitalismi, la lotta di costruzione del partito leninista avrà, come tante volte nella storia, ostacoli addizionali da superare. Questo è in fondo il problema dello sviluppo del partito leninista”. (le citazioni sono prese da “Tesi sulla tattica leninista nella crisi della scuola”, Cervetto, maggio 1968, nostra sottolineatura). Dunque gli studenti centro nevralgico per la lotta operaia, quando al tempo stesso i professori di scuola ed in genere i lavoratori statali e dei servizi venivano considerati parassiti vivendo del plus valore estorto alla classe operaia industriale. Qual è il metodo di lavoro di LC? Sulla ormai famosa pratica della vendita porta a porta non vale proprio la pena di soffermarsi. Quello che invece è indicativo della concezione tipicamente borghese di questo gruppo è l’atteggiamento intimidatorio e gangsteristico che LC ha sempre adottato nei confronti di chi ritiene essere un rivale sul campo. Chi ha vissuto il ’68 non può dimenticare i violenti scontri fisici tra i militanti di LC e quelli di Avanguardia Operaia o del Movimento Studentesco di Capanna (6) per il controllo del territorio, in particolare della casa dello studente a Milano. Atteggiamento che non è affatto cambiato nel tempo: basti citare che il 25 gennaio del 2004 a Genova, ad una riunione indetta dalla casa editrice Graphos e dal Circolo di Studi Politici Labriola sulla guerra in Iraq, una dozzina di militanti di LC ha impedito la tenuta della riunione con minacce, insulti ed aggressioni alle persone presenti dicendo espressamente di essere il servizio d’ordine di LC, “operai dell’Ilva”, mandati dalla direzione con l’ordine di impedire la riunione perché tra i partecipanti c’erano ex militanti di LC usciti con posizioni dissidenti (7). Gli insulti di “sporco fascista” e “neonazista” si riferivano poi al fatto che la Graphos aveva pubblicato libri di autori negazionisti (8). Queste pratiche sono tipiche dei partiti borghesi e piccolo borghesi, di destra o di sinistra che siano. Così come è insito nella natura dei partiti borghesi enunciare grandi principi e mettere poi sotto i piedi questi stessi principi quando serve per farsi spazio. L’unica differenza è che LC lo fa in nome della “tattica”: - LC dice che il parlamento, le elezioni non sono più strumenti da utilizzare per la lotta di classe, ma intanto sul referendum per l’abrogazione del divorzio nel ’74 dice alla classe che bisogna andare a votare per il NO; - dice che è contro tutti i partiti parlamentari, quelli stalinisti in testa, contro lo Stato e la democrazia e poi, negli anni ‘80, firma un comunicato stampa di condanna del terrorismo assieme al PCI, alla Democrazia Cristiana, al Partito Socialista ed altri partiti borghesi invitando “tutti i lavoratori a respingere il grave attacco portato avanti da quelle forze economiche e politiche che tendono a destabilizzare la democrazia del nostro paese”; - dice che democrazia e fascismo sono due facce del capitalismo e poi negli anni ‘70, quando l’antifascismo era il cavallo di battaglia di tutta la sinistra del capitale, pratica l’antifascismo militante, facendosi tra l’altro promotrice di una raccolta di firme per mettere fuori legge l’MSI (il vecchio partito di destra da cui ha avuto origine l’attuale AN di Fini). E ancora oggi rivendica pienamente tutto il trascorso antifascista ed il ruolo svolto nella Resistenza come partigiano dello stesso Cervetto all’interno dei GAAP (Gruppi Anarchici di Azione Proletaria). Rivendica cioè quella che è stata l’arma antioperaia più potente usata dalla borghesia e soprattutto dai partiti stalinisti, quali il PCI, nel dopoguerra per sconfiggere il proletariato trascinandolo nella difesa della faccia “democratica” del capitale contro quella “reazionaria”, come era già avvenuto nella Spagna del ’36. Dire “Viva la Resistenza operaia” (così è titolato un opuscolo di LC del ’75) significa avallare l’operato delle stesse formazioni partigiane che eliminavano - armi alla mano - i proletari che rifiutavano di schierarsi con la propria borghesia nazionale per andare a sparare contro altri proletari con una divisa diversa e le avanguardie rivoluzionarie che denunciavano la vera natura della lotta antifascista (9); significa nei fatti avallare la mistificazione democratica e perciò contribuire ad ostacolare il processo di presa di coscienza da parte della classe operaia sul fatto che non ci sono Stati, patrie da difendere; significa quindi nel concreto mettersi sotto i piedi l’internazionalismo proletario; - ultimo, ma non per importanza, Cervetto si è presentato come l’unico vero marxista e leninista, almeno da Lenin in poi, e LC rivendica pienamente questo ruolo così come tutta la traiettoria politica di Cervetto e sua. Bene! Qual è l’origine di LC? Nel 1951 Cervetto, Masini e Parodi, tutti ex partigiani provenienti dal movimento anarchico, costituiscono i GAAP come tendenza “classista” in seno al movimento anarchico, con l’idea di combattere il “nullismo” di questo sulla base di un ritorno allo studio di Marx. Nell’autunno del ’56 i GAAP costituiscono un Movimento per la Sinistra Comunista insieme ad un gruppo trotskista (Il GCR), Azione Comunista (gruppo formatosi come tendenza del PCI da Seniga, Raimondi e Fortichiari (10)) e da Battaglia Comunista (PCInternazionalista, unico gruppo veramente rivoluzionario che fortunatamente se ne distacca presto). Ben presto restano solo i GAAP e Azione Comunista, con la testata comune “Azione Comunista”, fino al ’65 quando si opera la scissione definitiva tra la frazione di Raimondi filo maoista da una parte e Lotta Comunista dall’altra. Come si vede, mentre si studiano Marx e Lenin, non si trova niente di strano a raggrupparsi con una tendenza del PCI o con un gruppo trotskista, cioè con un gruppo di una corrente politica che sostiene e difende l’imperialismo russo. Così come occorrono ben dieci anni per rompere con chi sostiene l’imperialismo cinese. E questo quando già da tempo i gruppi della Sinistra Comunista avevano chiaramente denunciato la natura imperialista di questi Stati. Rispetto poi all’anarchismo, già ampiamente criticato da Marx, e dallo stesso Lenin, e che ha dimostrato chiaramente la sua estraneità al movimento operaio nel momento in cui ha sostenuto il massacro dei proletari e la loro sconfitta nella guerra di Spagna nel ’36, l’unica critica “scientifica” che ne fa Cervetto è che esso è ormai superato: “Se l’anarchismo è rimasto tagliato fuori dalla realtà è perché è stato superato dalla storia. È inutile recriminare, studiare tutti gli aspetti del superamento” (“Strategia e tattica per un partito rivoluzionario” in L’Agitazione n.7, ottobre 1956). È quindi normale che ancora nel 2001 Lorenzo Parodi (dirigente di LC), rivendichi il fatto che nel ’49 si era “disposti a chiamarci ancora anarchici anche quando non eravamo più tali, perché dovevamo recuperare i gruppi di giovani disposti a rigettare il nullismo anarchico” (“Genova Pontedecimo 1951”, Lotta Comunista n.367, marzo 2001). Bella coerenza marxista, bel rigore leninista! Come abbiamo visto, tutta l’azione politica di LC è ispirata da una logica che mette al centro l’acquisizione di posizioni di potere sul territorio, indipendentemente dal processo di maturazione della classe operaia, anzi esattamente in contrapposizione a qualunque processo di chiarificazione. Nel prossimo articolo vedremo come questo sia legato alla maniera deformata con cui Cervetto (e LC) ha recepito il “Che fare?” di Lenin. Eva 1. Per un approfondimento su le fasi storiche del capitalismo e la relativa formazione del partito vedi l’opuscolo “La decadenza del capitalismo” e l’articolo “Sur le parti et ses rapports avec la classe” (Revue Internazionale n. 35, 4° trimestre 1983). 2. Vedi a tale proposito l’articolo: La costituzione del BIPR : un bluff opportunista, nella Rivista Internazionale n. 40 e 41 (edizione in lingua inglese, francese o spagnola). 3. Bilan, Frazione di Sinistra del PCI emigrata in Francia negli anni ’30 e Internationalisme, Sinistra Comunista Francese che negli anni ’40 continuò il lavoro di bilancio iniziato da Bilan. 4. Partito Comunista Internazionalista. 5. PCI: il vecchio partito stalinista italiano. 6. Si tratta di due formazioni politiche extraparlamentari che si svilupparono a partire dal movimento degli studenti a Milano. 7. Dal comunicato della Graphos (graphos@graphosedizioni.it [5]) del 27/01/2004 a cui, a quanto ne sappiamo, non c’è mai stata replica da parte di LC. 8. Negazionismo, o revisionismo storico è stato denominata quella corrente di pensiero, rappresentata per lo più da storici di destra, che tende a negare l’esistenza dell’olocausto degli ebrei da parte dei nazisti. 9. Vedi tra l’altro l’eliminazione fisica degli internazionalisti Atti e Acquaviva. 10. Va ricordato a tale proposito che Seniga è l’uomo di fiducia dello stalinista di ferro Secchia che, grazie a tale fiducia, se ne scappa con le casse del partito comunista italiano facendo perdere le proprie tracce… salvo poi riprendere la propria attività politica con Cervetto e compagni. Vedi a tale proposito M. Mafai, L’uomo che sognava la lotta armata.
Ripresa economica? La richiesta di Luca Cordero di Montezemolo, presidente di Confindustria, che venga inserita nelle prossime finanziarie una “ulteriore riduzione del costo del lavoro” rispetto a quella che gli industriali italiani hanno già ottenuto non è senza senso. «Dobbiamo riprendere il dialogo con il sindacato - ha detto Montezemolo - per affrontare i temi della flessibilità e della produttività. Togliamo tabù storici del nostro paese. Il Centro-sinistra o chi governerà deve dirci con chiarezza che tipo, che modello di relazioni industriali e di mercato del lavoro vuole» (1). Sul versante della produttività, ha aggiunto Montezemolo, tra il 2000 e il 2004, si è registrata in Italia una riduzione del 2,8 per cento, mentre l'Europa e gran parte dei paesi più industrializzati si sono mossi in netta controtendenza rispetto al nostro Paese. Stesso discorso anche per il costo del lavoro: tra il 2000 e il 2004 «è aumentato del 15,8%» a fronte di una dinamica opposta in altri paesi industrializzati e nelle economie emergenti. Come dice Montezemolo, negli altri paesi industrializzati c’è stato un grande aumento della produttività e una diminuzione del costo del lavoro. E lui non vuole essere da meno. Leggiamo sui giornali che la Ford taglia per circa 30.000 posti di lavoro, Deutsche Telekom altri 30.000 e sicuramente potremmo riempire la pagina di questo giornale con le varie richieste di tagli della forza lavoro. Il quadro dell’economia mondiale che abbiamo davanti non è quello di una ripresa dello sviluppo, cioè della possibilità di espandersi per tutti, ma di una lotta senza quartiere a chi riesce a togliere il terreno sotto ai piedi dell’avversario. Infatti la Ford, come la General Motors, deve far fronte alla concorrenza dei costruttori asiatici nel Nord America. In questo quadro dove si lotta per sopravvivere ci si può chiedere: La locomotiva Usa continua a correre?
E' vero che gli Stati Uniti “continuano a correre”, a differenza dell’Europa dove la domanda interna rimane piuttosto fiacca, e non sembrano neanche marginalmente toccati dai segni di indebolimento della congiuntura internazionale, mantenendo un passo di crescita decisamente vivace. La dinamica media annua del Pil è stimata intorno al 3,6% nel 2005, a fronte del brillante 4,2% realizzato nel 2004, con probabilità di una modesta frenata nel corso del 2006. I consumi delle famiglie continuano a fornire il principale contributo al processo di “ripresa.” Già! I consumi delle famiglie fanno correre gli Usa! E da dove prendono i soldi le famiglie? Dai loro conti in banca, dai loro risparmi, oppure dai prestiti, dai mutui che le banche offrono a tassi agevolati? La pubblicità degli ipermercati, delle catene commerciali e delle stesse banche non fa che spingere all’acquisto di ogni tipo di merce, dall’elettronica alla casa dove tutto è rateizzato, altro che “qui si fa credito solo ai novantenni accompagnati dai genitori” come era scritto sui cartelli dei negozi tempo fa. Non c’è alternativa al sistema che deve smerciare il più possibile i suoi prodotti e può farlo solo ricorrendo al finanziamento del debito sperando nel rimborso futuro. Ma “osservatori più o meno blasonati e qualificati quasi quotidianamente si pronunciano sulla crescita del mercato immobiliare e sul fatto che sia inevitabilmente destinato a crollare. Secondo alcuni, il crollo dei prezzi delle case, a livello mondiale, potrebbe essere già cominciato. Nell'ultimo rapporto dell'International Monetary Fund di Washington, preparato dall'economista Marco Terrones, è scritto che nel 2006 potrebbe verificarsi un collasso dell'economia mondiale scatenato dall'aumento dei tassi di interesse e segnalato dal crollo dei prezzi delle case in tutto il mondo, dagli Stati Uniti all'Europa al Canada».(3) Quindi la locomotiva americana, oltre che avere come principale base di sostegno il consumo delle proprie famiglie e non l’esportazione, corre con la prospettiva di un collasso dell’economia mondiale, altro che nuovo sviluppo dovuto alle economie emergenti asiatiche che prima o poi faranno la fine delle tigri, dei dragoni, della Russia e dell’Argentina. “Sul fronte dei conti con l'estero, lo squilibrio della bilancia dei pagamenti, attualmente intorno al 6% del Pil, non dà segni di rientro e tende anzi a peggiorare. I flussi in uscita di dollari per l'acquisto di beni prodotti all'estero sono, infatti, molto superiori a quelli in entrata per la vendita dei beni esportati (con un rapporto quasi di 2 a 1).” Le prospettive dell’Italia Il fabbisogno statale e delle amministrazioni pubbliche è in sensibile crescita, il debito pubblico è in aumento, per la prima volta dopo la fase di ininterrotta discesa in atto dalla metà degli anni 90; ciò si verifica mentre i tassi d'interesse riprendono a salire. Questo significa una inversione di tendenza difficilmente controllabile. Gli obiettivi programmatici di contenimento del deficit pubblico, far scendere il rapporto con il Pil dal 4,3% al 3,8% entro il prossimo anno, si scontrano con i dati tendenziali dell'indebitamento netto in forte crescita. Cala l'avanzo primario, sale il debito: il saldo primario di bilancio, che si ottiene sottraendo al deficit la spesa per interessi sul debito, si è pressoché azzerato nel corso del 2005, dopo un decennio di valori positivi. Questo avanzo netto, oggi esauritosi, è l'indicatore della capacità dell'Italia di ripagare nel lungo termine l'ingente debito pubblico accumulato, riducendone in primo luogo il rapporto nei confronti del Pil, stimato oggi vicino al 110% dal 106-107%, il livello minimo toccato negli scorsi due anni. Con un saldo primario negativo, in altre parole, riparte il circolo vizioso del debito, in crescita rispetto al Pil e rimborsato a scadenza con il ricorso a nuovi debiti. Al palo anche le produzioni “made in Italy”. I settori punte di diamante della produzione italiana (industria delle calzature, apparecchi elettrici e di precisione, mezzi di trasporto, industria tessile) hanno accusato pesanti flessioni. Quali alternative? In un quadro talmente degradato dell’economia mondiale, le possibilità del capitalismo di continuare ad accumulare profitti si possono trovare solo in settori che non hanno nulla a che fare con lo sviluppo economico ma che procedono di pari passo con le economie “illegali”, cioè con settori che lo stesso capitalismo deve far finta di combattere: droga, prostituzione, schiavitù e lavoro nero, tratta degli immigrati, frodi alimentari, furti. E parlando di furti non si fa riferimento a bande di periferia che scippano o a rapinatori che assaltano banche; si fa riferimento ai banchieri, cioè ai proprietari o dirigenti delle stesse banche, ai borghesi delle multinazionali che non sapendo più come sopravvivere, cioè vedere crescere le proprie ricchezze, si danno al racket organizzato, a togliere le monetine dai conti correnti dei propri clienti, un poco al mese per non dare nell’occhio, a tresche finanziarie di spostamenti di capitali da una banca ad una finanziaria o viceversa, dall’Italia alla Svizzera o a Singapore. Non è stato solo il caso della Parmalat o della Cirio dell’anno scorso o dell’Endosa americana, non è solo il caso della Banca Popolare Italiana i cui dirigenti sono stati arrestati, è invece la norma del sistema oggi. È tutto il sistema capitalista che è marcio, chi più chi meno. Non c’è settore che non venga toccato, c’è chi acquista il grano contaminato da sostanze cancerogene dal Canada, chi fa truffe telefoniche modificando il collegamento a internet, chi si prepara all’assalto del TFR e dei fondi pensione e chi più ne ha ne metta. Tornando agli arresti eccellenti di un mese fa, dei dirigenti della Banca Popolare Italiana, ex Banca Popolare di Lodi: “sotto la guida di Fiorani la banca lodigiana ha rappresentato per anni l’epicentro di evidentissimi affari illeciti (..). Fiorani è accusato di aver diretto una stabile, radicata e articolata organizzazione in Italia e all’estero dedita alla spoliazione di Bpl e di Bpi e all’occultamento dei proventi del riciclaggio”. Tra l’altro “rubavano soldi ai correntisti morti”, e davano “soldi ai politici di livello nazionale”. (La Repubblica, 14 dicembre 2005). Siamo di fronte ad una nuova tangentopoli? Nient’affatto. Il dare soldi ai politici è il modo di esistere fisiologico della borghesia, i politici non sono altro che i rappresentanti legali degli interessi globali della borghesia. Se negli Usa è la legge che consente il finanziamento dei politici mentre in Italia è vietato, questo non esprime che un diverso senso del pudore da parte delle diverse borghesie. In questo contesto, Tangentopoli non è stata il tentativo di superare questa caratteristica della vita della borghesia quanto piuttosto l’espressione di una lotta interna alla borghesia italiana che ha usato il divieto di dare mazzette ai politici per eliminare dalla scena politica dei partiti legati agli interessi degli Usa, la Democrazia Cristiana e il Partito Socialista Italiano, quando questi non erano più utili dopo la caduta del blocco sovietico. Ciò che è accaduto negli ultimi mesi, l’inchiesta sui “bad boys” cresciuti all’ombra di Fazio, fa parte invece del tentativo della borghesia di reagire alla decomposizione del suo sistema, decomposizione che porta allo sfacelo dell’organizzazione esistente, alla scomparsa di ogni forma di legalità. Questo gruppo definito da La Repubblica “bad boys” viene accusato di preparare un golpe finanziario! (14 dic. ’05 pag. 3). Infatti oltre alla scorretta scalata di Antonveneta ha tentato anche la scalata alla Bnl e alla Rcs che detiene il controllo del Corriere della Sera. L’intervento della magistratura è servito a fermare la discesa agli inferi per una estate, sicuramente arriveranno altri “boys” a cercare lo stesso bottino, perché in tempo di crisi storica del capitalismo questo è l’unico modo per accumulare capitali: non serve produrre merci, l’importante è saper rubare.
23 gennaio ’06
Oblomov
1. Tutti i riferimenti presenti nell’articolo, se non diversamente descritto, sono presi da “Il sole 24 ore” attraverso il sito web www.nordestimpresa.com [9].
2. Montezemolo, stranamente, dà la colpa non ai lavoratori ma al settore pubblico che chiede prezzi troppo alti e fa concorrenza ai privati.
3. Riportato su www.corriere.com [10], Corriere canadese on-line. Vedi anche Rivista Internazionale n°27.
L’8marzo studenti della Sorbona hanno occupato le loro facoltà per tenere assemblee generali e discutere della loro partecipazione al movimento di protesta contro il CPE (contratto di prima occupazione) e gli ignobili attacchi portati contro i giovani lavoratori dal governo Villepin. Il rettorato di Parigi ha preteso lo sgombero dei locali considerati “monumenti storici”. Gli studenti rifiutano e sono accerchiati dalle forze dell’ordine che trasformano l’Università in una vera trappola per sorci . Gli studenti vengono trattati come topi, privati di cibo e di ogni contatto con i loro compagni delle altre università in lotta nel cuore della capitale (in particolare Censier, Jussieu, Tolbiac). Venerdì 10 marzo gli studenti delle altre facoltà decidono di recarsi in massa e PACIFICAMENTE alla Sorbona per portare la loro solidarietà e del cibo ai loro compagni affamati e presi in ostaggio su ordine del rettore dell’Accademia di Parigi e del ministero degli Interni. Una parte di loro, accompagnati dai lavoratori precari dello spettacolo in lotta, riescono ad entrare nei locali e decidono di prestare man forte ai loro compagni presenti sul posto da più di due giorni. Nella notte tra il 10 e l’11 le forze dell’”ordine”, a colpi di manganelli e di gas lacrimogeni , invadono la Sorbona. Cacciano gli studenti in lotta e ne arrestano diverse decine.
“L’ordine” dei manganelli e delle bombe lacrimogene
Gli studenti e i giovani in lotta non si fanno nessuna illusione sul ruolo delle pretese “forze dell’ordine”. Esse sono le “milizie del capitale” (come gridavano gli studenti) che difendono non gli interessi della “popolazione” ma i privilegi della classe borghese. “L’ordine repubblicano” è il “disordine” di una società che condanna alla disoccupazione, alla precarietà e alla disperazione delle masse crescenti di giovani che si arrabattano per cercare di avere una vita decente. Ciononostante alcuni di quelli che erano venuti a dare man forte ai loro compagni chiusi nella Sorbona hanno cercato di discutere con i celerini: essi non erano venuti per saccheggiare i locali, non erano venuti per “fare la pelle ai poliziotti” né per divertirsi e far festa come sostenevano i mezzi di informazione borghesi. Essi erano venuti per portare dei viveri ai loro compagni che avevano fame e portar loro un po’ di solidarietà!
Quelli che hanno cercato di discutere con i celerini non sono degli ingenui. Al contrario, essi hanno fatto prova di maturità e di coscienza. Essi sapevano che dietro i loro scudi e i loro manganelli questi uomini armati fino ai denti sono anche degli esseri umani, dei padri di famiglia i cui figli saranno essi stessi colpiti dal CPE. Ed è questo che questi studenti hanno detto ai celerini, alcuni dei quali hanno risposto che non avevano altra scelta che quella di obbedire agli ordini.
Oggi “l’ordine regna alla Sorbona” e il suo presidente, Jean Robert Pitte, ha dichiarato che questo avrebbe permesso agli studenti di “lavorare in normali condizioni da lunedì”. Gli sbarramenti di uomini armati e la prospettiva di una precarietà sempre più grande: ecco le condizioni “normali” dell’”ordine” capitalista. A quelli che vengono attaccati con misure ignobili come il CPE e che vogliono utilizzare le facoltà come luoghi di discussione e di dibattito per organizzare la loro risposta viene inviata la repressione, le bombe lacrimogene e i manganelli. Ecco il vero volto della nostra bella “democrazia repubblicana”. Ecco il vero volto del famoso “Libertà, uguaglianza, fratellanza” uscito dalla rivoluzione borghese del 1789!
Gli studenti in lotta non sono dei sovversivi!
Sulle reti televisive e sui giornali si cerca continuamente di presentare il movimento degli studenti come dei semplici scontri con la polizia, come dei tumulti.
I mezzi di informazione sono al servizio della classe dominante. Noi denunciamo la propaganda fraudolenta e menzognera delle loro manipolazioni ed intossicazioni ideologiche. Noi denunciamo il “Times” che, nella sua edizione dell’8 marzo, anche prima degli scontri alla Sorbona, titolava in prima pagina: “RIOTS…” E’ falso! Gli studenti non sono dei sovversivi (“riots”, in inglese, significa sommossa). Questa falsificazione del giornale al servizio di Tony Blair (che viene in soccorso del governo francese) non ha che un solo scopo: fare una amalgama tra la violenza cieca e disperata che ha incendiato le periferie nello scorso novembre e la LOTTA DI CLASSE dei figli della classe operaia e dei lavoratori (in particolare gli insegnanti e il personale IATOS) che si sono uniti al loro movimento. E non è un caso se al momento della manifestazione degli studenti, che si è pacificamente svolta giovedì 9 marzo sugli Champs Elysées, circolava un volantino molto losco di un “comitato per l’estensione della sommossa”. Chi ha fatto circolare questo foglio per far credere che le manifestazioni degli studenti erano teleguidate da un preteso “comitato di estensione della SOMMOSSA”? Elementi del sottoproletariato manipolati dal governo e dal suo Ministero dell’Interno, dei farabutti e altri provocatori o dei partiti politici che vogliono spingere gli studenti, pezzo dopo pezzo, a gettarsi mani e piedi legati sotto i colpi della repressione, allo scopo di salvare la sorte di Villepin e del suo CPE?
Non cediamo all’impazienza e alla demoralizzazione !
Oggi la Sorbona è di nuovo sotto il controllo delle “autorità”. Gli studenti in lotta non potranno riunirsi in questo luogo simbolo del Maggio ’68. Ma noi non siamo feticisti. Noi non abbiamo bisogno di “simboli” nella lotta, perché la nostra lotta non è “simbolica”. Essa è reale e viva! Se essi vogliono recuperare il loro “monumento storico”, che se lo tengano. Si può andare a costruire altrove un vero “monumento” che lascerà tracce nella Storia! Ci si può riunire in altre facoltà meno “chic” e piene di amianto. E se ci cacciano, si troveranno altri posti!
E se bisogna durare fino al tempo delle ciliegie, andremo a fare le nostre Assemblee generali nei giardini pubblici, all’ombra degli alberi e in mezzo ai fiori! In mezzo alle madri che verranno a portare i loro bebè a passeggio e che potranno partecipare ai dibattiti!
Come diceva un professore in sciopero in una Assemblea Generale della facoltà di Parigi - Censier: gli studenti di oggi hanno inventato qualcosa di nuovo e di molto importante. L’immaginazione creatrice che è caratteristica della classe operaia in lotta è già al potere in certe università! E’ il caso di quella di Censier dove l’assemblea studentesca del 9 marzo ha deciso di tenere Assemblee Generali comuni con il personale della Facoltà in sciopero e di aprire la Facoltà il sabato e la domenica per permettere ai lavoratori della regione parigina di venire a discutere con gli studenti le prospettive della lotta, di una lotta che è quella di tutta la classe operaia, perché è tutta la classe operaia che è attaccata. E anche se alcuni sognano di fare del 18 marzo una manifestazione di chiusura, se essi arrivano di qui ad una settimana a sabotare il movimento e a portarci alla sconfitta, noi avremo (forse) perso una battaglia, ma non avremo perso la guerra!
Ritorneremo alla carica appena le nostre forze saranno ricostituite. Perché la più grande vittoria della lotta è la lotta stessa! E’ l’esperienza dell’unità, della solidarietà. Sono le lezioni che avremo tirato che ci permetteranno di ripartire in lotta ancora più forti e più uniti!
I futuri disoccupati e i futuri precari in lotta della primavera del 2006 sono già andati più lontani dei loro predecessori, quegli “arrabbiati” che avevano costruito le barricate nel Maggio 1968 e che pensavano di partecipare ad un “conflitto contro le vecchie generazioni”, a una “rivolta contro l’autorità”. Gli anni ’60 erano ancora degli anni di illusione. Oggi, con la crisi mondiale dell’economia capitalista, con gli attacchi incessanti contro le condizioni di vita dei lavoratori, siamo entrati nell’era dei veri “anni della verità”! E come diceva il vecchio Karl, è nella pratica che l’uomo fa la prova della verità, della profondità e della potenza del pensiero!
Solidarietà con gli studenti futuri disoccupati e precari in lotta!
Abbasso la repressione contro i figli della classe operaia!
No alla dispersione delle nostre forze!
Per vincere, costruiamo un fronte compatto e unito di tutta la classe operaia!
Corrente Comunista Internazionale (11 marzo 2006)
Tutto ciò che racconta il governo del presidente argentino Kirschner sulla "fantastica ripresa " dell'economia argentina dopo il crollo del 2001, è solamente una frottola. La realtà subita quotidianamente dai lavoratori e dall'immensa maggioranza della popolazione è sempre più opprimente. Alcune cifre possono dimostrarla: la popolazione che vive sotto la soglia di povertà è passata dal 5% nel 1976 al 50% nel 2004. La carestia, limitata fin là alle province del Nord, Tucumán o Salta, dove l' 80% dei bambini soffrono di malnutrizione cronica, invade oramai le zone povere della spaventosa cintura di bidonville del sud di Buenos Aires.
È contro una tale situazione, insopportabile, che gli operai si sono rivoltati. Tra giugno ed agosto, si è assistito alla più grande ondata di scioperi da 15 anni (1). Le lotte hanno toccato ospedali come quelli di Quilmes e Moreno, imprese come Supermercados Coto, Parmalat, Tango Meat o Lapsa, la metropolitana di Buenos Aires, i lavoratori comunali di Avellaneda, Rosario e di città più importanti della provincia meridionale di Santa Cruz, i marittimi ed i pescatori a livello nazionale, gli impiegati della giustizia ovunque nel paese, gli insegnanti di cinque province, i medici del comune di Buenos Aires, gli insegnanti delle università di Buenos Aires e Cordoba... Tra queste lotte, la più notevole è quella dell'ospedale di pediatria Garrahan (Buenos Aires) per la combattività e lo spirito di solidarietà che sono state espresse.
Le lotte hanno ottenuto qua e là alcuni miglioramenti salariali effimeri, ma di fronte ad un capitalismo che sprofonda sempre più in una crisi senza uscita, la conquista principale delle lotte non si trova sul campo economico, ma sul campo politico. Le lezioni tratte da queste lotte serviranno alla preparazione di nuove che saranno inevitabili. Ne va così dell'importanza della solidarietà, dello spirito di unità che maturano presso gli operai, la comprensione di chi sono i loro veri nemici, ecc.
Il proletariato si afferma come classe in lotta
Nel 2001, c'è stata in Argentina una rivolta sociale spettacolare che fu salutata dal campo altermondialista come una situazione "rivoluzionaria." Ma questa mobilitazione si è posta chiaramente su un campo inter-classista, con spinte nazionaliste e "riforme" della società argentina che potevano solo determinare il rafforzamento del potere capitalista. In un articolo che abbiamo pubblicato nella Rivista Internazionale n. 25, abbiamo messo in rilievo il fatto che "Il proletariato in Argentina si è trovato immerso e diluito in un movimento di rivolta inter-classista. Questo movimento di protesta popolare in cui la classe operaia è stata annegata, non ha espresso la forza del proletariato ma la sua debolezza. Perciò la classe non è stata in grado di affermare né la sua autonomia politica, né la sua auto-organizzazione". (2)
Affermavamo anche che: "Il proletariato non ha bisogno di consolarsi né di aggrapparsi a illusorie chimere. Quello di cui ha bisogno, è ritrovare la strada della sua propria prospettiva rivoluzionaria, di affermarsi sulla scena sociale come la sola ed unica classe capace di offrire un avvenire all'umanità, e, sulla base di questa posizione, di trascinarsi dietro gli altri strati sociali non sfruttatori". Dicevamo che le capacità di lotta del proletariato argentino non si sono esaurite, lungi da ciò, e che queste dovevano di nuovo svilupparsi, ma che era fondamentale che "venga tratta una lezione chiara dagli avvenimenti del 2001: la rivolta inter-classista non indebolisce il potere della borghesia, ma principalmente, quello del proletariato". (2)
Oggi, quattro anni più tardi, l'ondata di scioperi in Argentina ha mostrato un proletariato combattivo che si presenta sul suo proprio terreno di classe e comincia a riconoscersi come tale, anche se ciò avviene ancora timidamente. Del resto, la stessa sinistra del capitale non cerca di negare l'evidenza. Così, la pubblicazione Lucha di Clases: Revista Marxista di Teoría y Política di luglio 2005, riconosce che "uno dei fatti più notevoli di quest'anno, è stato il ritorno attivo dei lavoratori al centro della scena politica argentina, dopo anni di indietreggiamento. Siamo davanti ad un lungo ciclo di lotte rivendicative, dove i lavoratori lottano per il miglioramento del loro stipendio e contro le condizioni degradate del lavoro, cercando di riappropriarsi delle conquiste perse nei decenni passati", aggiungendo che "nel momento in cui i lavoratori dell'industria e dei servizi cominciavano a fare sentire la loro voce altre voci osservavano il silenzio: quelle che avevano decretato la ‘fine del proletariato’".
Questa apparizione combattiva del proletariato non è un fenomeno locale dovuto alle particolarità argentine. Senza per questo negare l'influenza di fattori specifici, in particolare l'abbassamento veloce e violento del livello di vita delle grandi masse della popolazione, conseguenza di un degrado economico che si è accelerato con il crollo del 2001, questa ondata di scioperi fa parte del movimento internazionale di ripresa della lotta di classe che abbiamo segnalato dal 2003. Essa ne fa pienamente parte per le sue caratteristiche e le sue tendenze di fondo.
In un testo pubblicato recentemente (3), abbiamo messo in evidenza le caratteristiche generali di questa ripresa: lenta e difficile, non ancora concretizzatasi in lotte spettacolari, che avanza non tanto grazie ad una successione di lotte vittoriose, ma attraverso sconfitte da cui gli operai traggono le lezioni che faranno vivere delle lotte future ben più forti. Il filo conduttore che le accompagna e che contribuisce alla loro lenta maturazione è "il sentimento, ancora molto confuso ma che non può che svilupparsi nel periodo che è davanti a noi, che oggi non esiste soluzione alle contraddizioni che assillano il capitalismo sia sul piano della sua economia, sia per altre manifestazioni della sua crisi storica, come la permanenza degli scontri guerrieri, l'ascesa del caos e della barbarie di cui ogni giorno che passa dimostra un poco più chiaramente il carattere inarrestabile". All'epoca di questa ondata di scioperi, è apparso, come in altre lotte altrove nel mondo (Heathrow in Gran Bretagna, Mercedes in Germania) un'arma fondamentale per fare avanzare la lotta proletaria: l'espressione della solidarietà proletaria.
Nel Subte (metropolitana di Buenos Aires), tutto il personale si è fermato spontaneamente dopo la morte di due operai della manutenzione, causata dalla mancanza totale di misure di protezione contro gli incidenti del lavoro. I lavoratori degli ospedali della capitale federale hanno prodotto parecchie azioni di solidarietà con i loro compagni del Garrahan. Nel Sud (provincia di Santa Cruz), lo sciopero degli impiegati municipali nelle città principali ha suscitato una forte simpatia da parte di larghi strati della popolazione. A Caleta Olivia, lavoratori del petrolio, impiegati della giustizia, insegnanti, disoccupati, si sono uniti alle manifestazioni dei loro compagni impiegati municipali. A Neuquen, gli operai della salute si sono uniti spontaneamente alla manifestazione degli insegnanti in sciopero che marciavano verso la sede del governo provinciale. Repressi violentemente dalla polizia, i manifestanti sono riusciti a raggrupparsi e hanno potuto vedere come dei passanti si univano alla manifestazione criticando duramente la polizia che si ritirava ad una distanza prudente.
È anche da segnalare il modo unitario con cui è stata posta la rivendicazione salariale dai salariati dell'ospedale pediatrico Garrahan: al posto di esigere degli aumenti proporzionali che non fanno che approfondire le differenze tra le differenti categorie e spingono alla divisione ed alla concorrenza tra lavoratori, hanno lottato per un aumento uguale per tutti favorendo così i settori meno remunerati.
La risposta della borghesia
Sarebbe tuttavia stupido credere che la classe dominante sarebbe rimasta con le braccia incrociate di fronte agli sforzi del suo nemico mortale per riappropriarsi della sua identità di classe e della sua prospettiva rivoluzionaria. Essa risponde, inevitabilmente, impiegando l'arma della repressione, ma anche attaccando ampiamente la coscienza di classe degli operai.
Ecco ciò che abbiamo visto concretamente in Argentina. Il governo federale ed i governi provinciali hanno adoperato la forza poliziesca contro gli scioperanti: arresti, processi, sanzioni amministrative sono cadute numerose su molti lavoratori. Ma il grosso della risposta della borghesia si è concentrato in una manovra politica destinata ad isolare i settori più combattivi, calunniare gli operai in lotta, condurre i differenti focolai di combattimento verso il vicolo cieco e la demoralizzazione e scrivere bene nelle teste che "la lotta non paga", che la mobilitazione non porta a niente.
Perciò, lo Stato ha preso la lotta dell'ospedale Garrahan - che, come abbiamo detto, ha avuto un ruolo di primo piano nell'ondata di scioperi - come bersaglio per le sue manovre. In primo luogo, ha scatenato una campagna assordante trattando gli operai da "terroristi", presentandoli come scellerati che metterebbero avanti i loro "interessi particolari" contro la salute dei bambini curati all'ospedale. Con un’ipocrisia da vomitare, questi governanti che lasciano morire di fame migliaia di bambini, manifestano improvvisamente una "preoccupazione" per i bambini "minacciati" da questi "abominevoli" scioperanti.
Tutto ciò è stata un'evidente provocazione per isolare i lavoratori di Garrahan, completata dall'accusa assurda secondo la quale essi sarebbero manipolati da una pretesa cospirazione politica "anti-progressista" ispirata da Menem e Duhalde (4).
Ma ciò che ha indebolito di più la lotta dei lavoratori di Garrahan è stato "l'aiuto" prestato dalle organizzazioni di piqueteros (5). Queste si sono appiccicate come sanguisughe alla lotta di Garrahan (e hanno fatto la stessa cosa con gli operai di Tango Meat) nel nome della "solidarietà". E' così che gli operai di Garrahan si sono visti associati - ed il governo ed i suoi media non hanno mancato l'opportunità di farne la più grande pubblicità - ai metodi di blitz delle organizzazioni di piqueteros che, al posto di colpire la classe dominante, mirano solo a dividere gli operai e porre un freno allo sviluppo della loro solidarietà. Le organizzazioni di piqueteros, per esempio, hanno bloccato il ponte Pueyrredón, punto nevralgico della capitale, alle ore di punta, provocando degli ingorghi enormi che hanno colpito soprattutto numerosi lavoratori della periferia sud di Buenos Aires. O come è accaduto a Cañadón Seco, nel Sud, dove una quarantina di persone ha tagliato gli accessi della raffineria di Repsol-YPF senza la minima consultazione preliminare con i lavoratori della fabbrica.
La vera solidarietà non può svilupparsi che al di fuori e contro le gabbie sindacali, è una lotta comune dove si integrano nuovi settori di lavoratori, dove ci sono invii di delegazioni, manifestazioni ed assemblee generali, dove gli operai, direttamente, vivono, lottano, riflettono e comprendono insieme, ed è così che di altri oppressi e sfruttati potranno unirsi ad essi. In un tale movimento, le divisioni che dividono gli operai cominciano a sparire perché essi possono verificare concretamente che appartengono alla stessa classe, perché prendono coscienza della loro forza e della loro unità.
Questa solidarietà diretta, attiva, di massa, l'unica che dà la forza e fa avanzare la lotta proletaria, è stata sostituita da una "solidarietà" di intermediari, le organizzazioni "sociali" con i loro dirigenti in testa, passiva e minoritaria che produce l'euforia di credere che si "è sostenuti dalle masse che sono dietro queste organizzazioni". Si finisce per rendersi conto con amarezza che si è ancora più isolati e divisi di prima.
CCI, 16 settembre 2005
1. "Il mese di giugno ultimo ha conosciuto il livello più elevato dei conflitti dell'ultimo anno: 127 movimenti che hanno toccato il 80% del settore pubblico, il 13% nei servizi ed il 7% restante nei differenti rami dell'industria. Questo mese ha superato in conflitti quelli registrati in tutti gli altri mesi di giugno dal 1980. L'analisi dei conflitti del lavoro dei mesi di giugno dei ultimi 26 anni, 1980 inclusi, mostra che il mese di giugno del 2005 è più elevato". (Colectivo Nuevo Proyecto Histórico, gruppo sorto in Argentina, nel suo testo "Sindicato y necesidades radicales").
2. “Rivolte popolari in Argentina: Solo l'attestarsi del proletariato sul suo terreno può fare indietreggiare la borghesia” (Rivista Internazionale n. 25).
3. Révue Internationale n. 119: “Risoluzione sulla lotta di classe".
4. Ex presidenti argentini particolarmente impopolari.
5. Sui piqueteros, leggere "Rivolte popolari in America Latina: l'indispensabile autonomia di classe del proletariato" (Révue Internationale n. 117 e “Argentina: la mistificazione dei piqueteros”, (Révue Internationale n. 119).
L’anno 2005 era cominciato già sotto i peggiori auspici: col sentimento di orrore provocato dalle devastazioni dello tsunami nel Sud-est asiatico che aveva provocato più di 300.000 morti. Esso si conclude con una doppia minaccia ancora più pesante di conseguenze: l’inquinamento delle acque in seguito all’esplosione di una fabbrica chimica che mette a repentaglio la vita di più di 5 milioni di persone in Cina ed in Russia ed il rischio di propagazione di un nuovo flagello, l’influenza aviaria, su qualsiasi angolo del pianeta, col flusso migratorio degli uccelli nella primavera prossima.
Nel frattempo, è con lo stesso sentimento di impotenza che abbiamo assistito alle devastazioni del ciclone Katrina che ha cancellato dalla carta geografica la città di Nuova Orleans ed i suoi dintorni, poi ad un’ondata senza precedenti di uragani devastatori nel golfo del Messico, al terremoto nel Cashemir pakistano ed ad altri cataclismi similari. Queste immagini di apocalisse non sono il prodotto di una fatalità, semplici catastrofi naturali. Sono le leggi del capitalismo che le hanno trasformate in spaventose e drammatiche catastrofi sociali: è l’incuria di questo sistema che è in causa, nella sua incapacità di avvertire e di premunire dagli effetti di queste catastrofi, nella sua incapacità di proteggere le popolazioni e di soccorrerle efficacemente.
Peraltro, la concorrenza commerciale ad oltranza, la ricerca dello sfruttamento massimo e della redditività immediata, la trasgressione permanente delle norme di sicurezza più elementare, il disprezzo più totale della vita umana, provocano catastrofi sempre più omicide, come quelle aeree a ripetizione.
Ma la follia e la barbarie del capitalismo si manifestano ancora più chiaramente attraverso il carattere sempre più irrazionale delle guerre e dei conflitti sanguinosi che devastano il pianeta, per gli appetiti imperialisti di tutti gli Stati, generando sempre più caos e distruzione. Oltre all’incitamento di odi interetnici e di guerre di clan endemiche come in Africa, i focolai quotidiani di massacri in Iraq, in Libano, nel Medio Oriente, nel Caucaso, trovano un prolungamento al ricorso sistematico di attentati kamikaze e nella loro moltiplicazione come arma della guerra imperialista. Dall’11 settembre 2001, le crociate anti-terroristiche non hanno fatto che esacerbare e dar loro un’altra dimensione, suscettibile di colpire ciecamente qualsiasi angolo del globo: lo si è visto con la serie di attentati di Londra l’estate scorsa, ma anche in Indonesia, in Egitto ed in India.
Questa dominazione della barbarie su una larga parte del pianeta converge in un’accelerazione senza precedenti di attacchi contro la classe operaia nei paesi centrali del capitalismo. Questa si ritrova colpita in pieno dall’aggravamento della crisi economica. E sono le stesse misure ad essere messe in atto da tutti i governi, sia di destra che di sinistra. I proletari sono sottomessi a condizioni di sfruttamento sempre più insopportabili che si manifestano in un elevato deterioramento delle loro condizioni di vita ed un impoverimento crescente dovunque. L’aggravamento della disoccupazione, l’intensificazione dei piani di licenziamento in tutti i settori e la precarizzazione del lavoro vanno ad aggiungersi al deterioramento delle loro condizioni di lavoro, allo smantellamento della protezione sociale, all’abbassamento del loro potere di acquisto, al degrado delle loro condizioni abitative. Non solo il capitalismo getta sulla strada sempre più larghe frazioni della classe operaia ma si rivela sempre più incapace di assicurar loro i mezzi di sopravvivenza più elementare. L’ampiezza e la profondità degli attacchi della borghesia contro la classe operaia rivelano lo sprofondamento inesorabile del capitalismo nelle convulsioni della sua crisi mondiale. In quanto alla borghesia, essa dimostra che non ha più i mezzi per spostare nel tempo i suoi attacchi contro le più vitali condizioni di esistenza di quelli che sfrutta.
Il capitalismo è costretto a svelare più apertamente il suo fallimento. L’accelerazione drammatica di questa situazione sull’intero pianeta dimostra chiaramente che non solo questo sistema di sfruttamento è incapace di assicurare una migliore sorte per l’umanità ma minaccia al contrario, in modo permanente, di risucchiare il pianeta in un baratro di miseria e di barbarie. Di fronte alla gravità di una tale posta esiste una sola via d’uscita: il capovolgimento di questo sistema mediante l’unica classe che ha da perdere solo le catene del suo sfruttamento, il proletariato. La classe operaia detiene la chiave dell’avvenire. Lei sola, attraverso lo sviluppo delle sue lotte, ha i mezzi per trarre fuori l’umanità da questo vicolo cieco. È l’unica classe capace di opporsi alla perpetuazione di questo sistema di sfruttamento. È l’unica classe della storia portatrice di un’altra società il cui motore non sarebbe più il profitto e lo sfruttamento ma la soddisfazione dei bisogni umani.
W (16 dicembre 2005)
Il 23 dicembre, gli operai della SEAT, sia del turno di mattina che del pomeriggio, sono scesi spontaneamente in sciopero per solidarietà con 660 dei loro compagni a cui la compagnia aveva, quella mattina stessa, consegnato la lettera di licenziamento.
E’ stato l’inizio di una risposta ad un attentato criminale alle loro condizioni di vita. Un attentato perpetrato con premeditazione e perfidia dal Triangolo Infernale costituito dal padronato, dalla Generalidad (governo della Catalogna) e dai sindacati. Un attentato che va ben al di là dei 660 licenziamenti, perché ad essi si aggiungono i licenziamenti per motivi disciplinari dei lavoratori che parteciparono alle azioni di lotta dell’inizio di dicembre, i 296 licenziamenti mascherati da “dimissioni volontarie”, i piani di intensificazione dello sfruttamento con l’aumento della produzione, estorta ai lavoratori con le loro ore di permesso,… In definitiva, un attacco brutale che apre la porta a nuovi attacchi. Non a caso il presidente della compagnia ha annunciato con cinismo e provocatoriamente che “i provvedimenti contemplati nell’accordo non assorbono tutta l’eccedenza di personale”.
I compagni della SEAT e tutti i lavoratori DEVONO LOTTARE, ma per poter lottare con forza dobbiamo acquisire il più rapidamente possibile le lezioni della strategia di manipolazione e di smobilitazione che PADRONATO, GOVERNANTI E SINDACATI hanno perpetrato ai danni dei lavoratori.
Una strategia calcolata per la smobilitazione dei lavoratori
Da quando, a metà di agosto, l’azienda annunciò la “necessità” di procedere ad una riduzione del personale, “scambiabile” con una riduzione salariale del 10%, gli imprenditori, insieme a quelli che si dicono nostri “rappresentanti”, cioè i sindacati e il governo di “sinistra” della Generalidad, si sono divisi i compiti per impedire che una vera lotta operaia potesse impedire la realizzazione di questo piano.
Per più di tre mesi, a partire da agosto fino all’inizio di novembre, i rappresentanti sindacali si sono prodigati per addormentare l’inquietudine che serpeggiava tra i lavoratori di fronte alla minaccia dei licenziamenti, sostenendo che questi non erano giustificati, poiché “l’impresa fa profitti”, che la crisi della SEAT sarebbe “congiunturale” o dovuta a una “cattiva politica commerciale”. Con queste falsità cercavano di far abbassare la guardia dei lavoratori, facendo credere loro che si trattava di una bravata di un insaziabile padronato che gli studi economici dei sindacati o la pressione del governo “progressista” e di “sinistra” della Generalidad sarebbero riusciti a parare. Lo stesso padronato contribuì a rendere efficace l’inganno, nascondendosi per settimane, fino a che, il 7 novembre, annunciò il suo Piano di Regolazione degli Impieghi per 1346 lavoratori. Lo stesso giorno i sindacati avevano proclamato uno sciopero parziale, che i lavoratori debordarono con manifestazioni che andarono a bloccare le strade nella Zona Franca e a Martorell. Di fronte a tale situazione la Piattaforma Unitaria (a cui partecipavano UGT, CCOO, e CGT, principali sindacati del paese) convoca uno sciopero di un giorno per il 10 novembre, e una manifestazione per “esigere” che la Generalidad “ si implichi nel conflitto a favore dei lavoratori”. Con questa azione in pratica i tre sindacati chiedono di affidare la nostra sorte a quelli che sono i nostri carnefici, ai maestri della bella chiacchiera e della pugnalata traditrice. Lo Stato non è il rappresentante del popolo ma il difensore incondizionato degli interessi del capitale nazionale. Tutte le autorità – dal presidente del governo fino all’ultimo sindaco – stanno lì per vegliare alla sua difesa. Dopo questa sciocchezza i 3 sindacati si fermarono e non vollero convocare niente fino all’1 dicembre, cioè 3 settimane in cui i lavoratori furono mantenuti nella passività e in attesa, bloccati da interminabili “negoziati” e poi dalla “mediazione” del Signor Rané, consigliere al Lavoro. Una tattica con la quale tra “pressione” e “petizione”, gli operai sono presi in giro ed ingannati.
La Piattaforma Unitaria dei 3 sindacati promise di tornare alla carica dopo la settimana del “ponte” (dal 5 al 10 dicembre). Ma era un’altra menzogna! Adducendo i limiti legali che imponeva il Piano di Regolazione degli Impieghi, le pressioni della Generalidad … “dimenticarono” le mobilitazioni e il 15 dicembre le CCOO e la UGT firmarono i 660 licenziamenti (la CGT si era separata il 13).
Ma il peggio doveva ancora venire: per una intera settimana fu mantenuto il silenzio sul nome delle vittime, lasciando per l’ultimo giorno prima delle vacanze il “regalo” delle lettere di licenziamento che, al colmo del cinismo e della umiliazione, trattavano i destinatari più o meno come “fannulloni e delinquenti”. E’ stata una manovra vile (mentre ci avevano detto che avevano firmato il “migliore accordo possibile”), ma che dimostra anche che i sindacati CI TEMONO, perché se si fossero sentiti sicuri lo avrebbero annunciato prima e non avrebbero moltiplicato i vigilantes privati che presidiavano le sedi della UGT e delle CCOO.
La CGT tende ora a presentarsi come il “sindacato buono”, che sta a fianco dei lavoratori. Certo è che 145 dei licenziati sono suoi iscritti. Ma la sofferenza di questi compagni e la solidarietà con essi non può nascondere che essa non ha costituito nessuna alternativa a CCOO-UGT e, al contrario, è stata loro dietro. Perché partecipò alla farsa della “negoziazione” e “lotta” della Piattaforma Unitaria da cui si è staccata nella tardiva data del 13 dicembre? Perché quando le CCOO e l’UGT firmarono, l’unica mobilitazione che la CGT convocò fu una concentrazione fuori dalla fabbrica di cui ben pochi lavoratori si resero conto e a cui parteciparono solo 200 persone? Perché la mattina del 23 di fronte agli scioperi spontanei “la CGT decise di limitare la protesta ad un’ora” ? (Riassunto di Kaosenlared del 24/12/05) Quando era il momento di porre tutte la carne sul fuoco e c’erano le forze, come si verificò con il turno pomeridiano che, riunito in assemblea, decise di scioperare per tutto il turno? Perché tutta la sua alternativa si riduce a “considerare caso per caso ognuno dei licenziamenti e vedere se ricorrere al tribunale”?
La lotta deve essere condotta dall’ASSEMBLEA DEI LAVORATORI
Fino al 23 dicembre i lavoratori sono stati vittime di una SMOBILITAZIONE, di una STRATEGIA PER IMPEDIRE UNA RISPOSTA. I Sindacati non ci giocano solo quando firmano i licenziamenti, ci giocano preventivamente quando organizzano i loro “Piani di lotta”. La loro azione contro gli operai si concretizza in tre aspetti intimamente legati:
- i loro patti ed accordi con padronato e Governo
- i loro piani di “lotta” che sono in realtà strategie contro la lotta
- la loro difesa incondizionata dell’interesse dell’impresa e della economia nazionale che pretendono di far coincidere con quelli dei lavoratori quando in realtà essi sono diametralmente opposti.
Per questo la principale lezione della lotta alla SEAT, che comincia ad essere compresa nella pratica stessa degli operai con gli scioperi spontanei e le assemblee del 23, è che NON SI PUO’ AFFIDARE LA LOTTA AI SINDACATI.
Il 23 i licenziati, invece di tornarsene a casa a rimuginare in solitudine sulla angosciante prospettiva conseguente alla disoccupazione, si sono diretti verso i loro compagni e questi, invece di farsi prendere dal falso sollievo del “non è toccata a me” o dalla risposta individualista “se la cavi chi può”, hanno mostrato la loro solidarietà con la LOTTA. Questo terreno della solidarietà, della risposta comune dei licenziati e di quelli che hanno conservato il posto di lavoro, dei disoccupati e dei lavoratori in attività, dei lavoratori precari e di quelli stabili… è la base di una risposta efficace agli inumani piani dei capitalisti.
L’anno2006 comincia con il dramma dei 660 licenziati della SEAT, ma qualcuno può credere che questi saranno gli ultimi? Tutti sappiamo che non è così. Che la pugnalata dei licenziamenti, che il crimine degli incidenti sul lavoro, che l’angoscia del non potersi permettere una vita decente, che la minaccia alle pensioni, che la “riforma” del lavoro che sta preparando l’infernale trio Governo – Padronato – Sindacati, saranno la fonte di nuove sofferenze. Che nel settore dell’automobile, che in tutti i paesi continueranno gli attacchi alle condizioni di vita degli operai, che i mali della guerra, della fame, della barbarie che accompagnano il capitalismo, come la falce accompagna la morte, continueranno.
Per questo non si può che mettersi in lotta. Ma perché la lotta sia efficace e forte è necessario che si sviluppi LA SOLIDARIETA’ DI CLASSE e che essa sia ORGANIZZATA E CONTROLLATA DAGLI OPERAI STESSI.
Solidarietà di classe
Il problema della SEAT non si limita ai 660 licenziamenti, ma è un problema di tutto il personale. Ed il problema non è solo degli operai della SEAT, ma di TUTTI I LAVORATORI, siano essi impiegati pubblici con il “posto sicuro” (ma fino a quando?), che delle imprese private, siano essi senza documenti o con documenti, siano di aziende con profitti o di quelle in perdita. Tutti siamo o saremo nella stessa condizione dei nostri compagni della SEAT!
La nostra forza è la SOLIDARIETÀ DI CLASSE, lottare uniti. Una lotta limitata alla SEAT e chiusa nella SEAT sarebbe una lotta destinata alla sconfitta.
Ma in che consiste la solidarietà? Consiste nel boicottaggio delle auto del marchio SEAT (perché, per caso le altre marche non licenziano?). Consiste nell’accamparsi fuori alle porte della fabbrica da parte dei licenziati? Consiste in “dichiarazioni di appoggio” del settore “critico” delle CCOO o dell’EUA – che appoggia indirettamente il Tripartito, complice della canagliata della SEAT? Consiste en “azioni popolari” nei quartieri?
Questa “solidarietà” è altrettanto falsa quanto lo sono stati i “piani di lotta” della Piattaforma Unitaria della SEAT! L’unica solidarietà effettiva è UNIRSI ALLA LOTTA! Fondere operai dei differenti settori, dei differenti quartieri, in una STESSA LOTTA, rompendo queste barriere che tanto ci indeboliscono: l’impresa, il settore, la nazionalità, la razza, mediante la forza diretta delle delegazioni, delle assemblee e delle manifestazioni congiunte.
Assemblee sovrane
L’esperienza della SEAT è chiara: ormai sappiamo che succede quando lasciamo che sindacati, comitati di fabbrica o “piattaforme unitarie” giochino con i nostri destini. La direzione della lotta deve restare fin dall’inizio nelle mani dei lavoratori. Sono loro che devono valutare le forze su cui possono contare, le rivendicazioni da portare avanti, le possibilità di estendere la lotta. Le risposte non devono seguire le provocazioni dell’impresa o i “piani di lotta” dei suoi complici sindacali, ma la decisione collettiva dei lavoratori organizzati in Assemblee e Comitati eletti e revocabili. I negoziati con il Padronato o con il Governo devono svolgersi davanti a tutti, come avvenne nel 1976 a Vitoria in Spagna o in Polonia nel 1980. Sono le Assemblee che devono assumersi il compito di cercare la solidarietà, organizzando delegazioni e manifestazioni.
I tempi della rassegnazione, della passività e del disorientamento devono finire. Il margine di manovra che il Capitale ha avuto per gli anni in cui è durata questa situazione comincia a diminuire. E’ l’ora della lotta. La voce della classe operaia deve farsi sentire ogni volta con più forza.
Corrente Comunista Internazionale , 27/12/05
Studenti, liceali, futuri disoccupati o futuri precari, operai al lavoro o senza lavoro
Stessa lotta contro il capitalismo!
Dall’inizio di febbraio, e malgrado la dispersione del periodo delle vacanze scolastiche, gli studenti, liceali della maggior parte delle grandi città del paese si sono mobilitati per esprimere la loro collera contro gli attacchi economici del governo e del padronato, contro il CPE (Contratto Prima Accesso al lavoro). E tutto ciò malgrado il black out dei media borghesi ed in particolare della televisione che, giorno dopo giorno, ha preferito focalizzare i suoi proiettori sulle sinistre “prodezze” della “gang dei barbari”. La collera degli studenti è legittima!
Le istituzioni dell’educazione nazionale (collegi, licei, università…) sono diventate fabbriche di disoccupati, serbatoi di mano d’opera a buon mercato. È proprio perché l’hanno compreso, che le assemblee di studenti, come a Caen, hanno mandato delle delegazioni presso i lavoratori delle imprese vicine e presso i giovani disoccupati delle città per chiamarli ad unirsi alla lotta. Il CPE è la precarietà organizzata. Ma la precarietà non colpisce unicamente i giovani. Tutte le generazioni di proletari sono toccate da disoccupazione, precarietà e miseria.
È anche per questo che, in certe università come quella di Parigi III Censier, gli stessi insegnanti ed il personale ATOS si sono messi in sciopero in solidarietà con gli studenti.
Il CPE è un’espressione del fallimento del capitalismo!
Di fronte alle sommosse che hanno arroventato le periferie nel mese di novembre, la borghesia, il suo governo, i suoi partiti politici, hanno riportato l’ordine imponendo il coprifuoco, espellendo fuori dalle frontiere nazionali i giovani immigrati che non rispettano la loro “terra di accoglienza”. Oggi, quelli che ci governano vogliono continuare a “far piazza pulita” dei figli della classe operaia con un cinismo senza limite: è in nome del “l’eguaglianza dell’opportunità” che ci promettono, col CPE, la precarietà e la miseria. Con il CPE, i giovani che avranno la “chance” di trovare un impiego alla fine dei loro studi saranno alla mercé dei padroni. Nessuna possibilità di trovare un alloggio, di fondare una famiglia, di nutrire i loro figli. Ciò vuole dire che ogni giorno dovranno andare al lavoro con la paura in corpo, con l’angoscia di ricevere la famosa “lettera raccomandata” con la sua sinistra sentenza: LICENZIATO! Ecco cosa è la schiavitù salariale! Ecco cosa è il capitalismo!
La sola “eguaglianza” contenuta nel CPE è l’uguaglianza della miseria: accatastamento nelle città ghetto, piccoli lavori precari, disoccupazione, RMI, sopravvivenza giorno per giorno. Ecco l’“avvenire radioso” che la classe dominante, la borghesia ed il suo Stato “democratico” promettono a colpo sicuro ai figli della classe operaia!
Questi figli i cui genitori si erano mobilitati nel 2003 contro la riforma del sistema pensionistico ed a cui il predecessore di Villepin, il Signore Raffarin, aveva avuto la sfrontatezza di dire: “Non è la strada che governa!”
Dopo la mazzata portata contro i “vecchi” e futuri pensionati, ora i colpi sono assestati contro i “giovani” e futuri disoccupati! Con il CPE il capitalismo mostra apertamente il suo vero volto: quello di un sistema decadente che non ha più nessun avvenire da offrire alle nuove generazioni. Un sistema corrotto da una crisi economica insolubile. Un sistema che, dalla fine della seconda guerra mondiale, ha speso somme strabilianti nella produzione di armamenti sempre più sofisticati ed omicidi. Un sistema che, dalla guerra del Golfo nel 1991 non ha smesso di spargere sangue su tutto il pianeta. È lo stesso sistema in fallimento, è la stessa classe capitalista agli sgoccioli che getta milioni di esseri umani nella miseria, la disoccupazione, e che semina morte in Iraq, nel Medio Oriente, in Costa d’Avorio!
Giorno dopo giorno, il sistema capitalista che domina il mondo ci dimostra che deve essere rovesciato. Ed è proprio perché ciò si comincia a comprende che all’università di Parigi Tolbiac, in un’AG (assemblea generale), gli studenti si ritrovano dietro una mozione che afferma “bisogna farla finita con il capitalismo!” È anche per questo che a Parigi Censier, venerdì 3 marzo, gli studenti hanno invitato una compagnia di teatro a venire a cantare dei canti rivoluzionari. La bandiera rossa sventola e parecchie centinaia di studenti, insegnanti, personale ATOS cantano l’INTERNAZIONALE. Il “Manifesto comunista” di Karl Marx è distribuito. All’interno dell’università la parola Rivoluzione è pronunciata, ripetuta. Intorno allo spettacolo si discute della lotta di classe, si rievoca la rivoluzione russa del 1917 e le grandi figure del movimento operaio, come Rosa Luxemburg assassinata vilmente, col suo compagno Karl Liebknecht nel 1919 durante la rivoluzione tedesca, dagli assassini agli ordini del partito socialista che dirigeva il governo.
Per affrontare la “gang dei barbari” in giacca e cravatta che ci governa, le giovani generazioni devono ricordarsi dell’esperienza dei loro genitori. In particolare devono ricordarsi di quello che è accaduto nel Maggio 1968.
Lo sciopero massiccio del Maggio 68 ci mostra il cammino
Sullo slancio dei movimenti che avevano toccato precedentemente le università della maggior parte dei grandi paesi sviluppati, in particolare gli Stati Uniti e la Germania, gli studenti delle università francesi si mobilitarono massicciamente nel maggio 68. Ma questa mobilitazione prese tutta un’altra dimensione quando tutti i settori della classe operaia scesero in lotta: 9 milioni di lavoratori in sciopero! Allora gli studenti più coscienti e combattivi andarono al di là delle loro rivendicazioni specifiche per proclamare che la loro lotta era la stessa di quella della classe operaia. Invitarono gli operai a venire nelle università occupate per discutere della situazione e delle prospettive. Dovunque si discuteva della rivoluzione, della necessità di rovesciare il capitalismo.
Il Maggio 68 non è sfociato nella rivoluzione, non era ancora possibile perché il capitalismo era solamente all’inizio della sua crisi. Ma i borghesi hanno avuto la più grande fifa della loro vita. E se il governo è riuscito a riprendere il controllo della situazione, è perché i sindacati hanno fatto di tutto affinché gli operai tornassero al lavoro; è perché i partiti di sinistra, quelli che si presentano come i difensori dei lavoratori, hanno chiamato a partecipare alle elezioni organizzate dal regime di De Gaulle. Il Maggio 68 ha dimostrato che la rivoluzione non è un vecchio pezzo da museo polveroso, che non appartiene ad un passato ormai compiuto, ma rappresenta il solo futuro possibile per la società. Inoltre, questo grande movimento della classe operaia a cui hanno fatto seguito numerose lotte operaie in molti altri paesi, ha dimostrato alla classe dominante che non poteva reclutare gli sfruttati dietro le bandiere nazionali, che non aveva le mani libere per scatenare una terza guerra mondiale, come aveva fatto nel 1914 e nel 1939. Così, contrariamente a quella degli anni 1930, la crisi economica non è sfociata in un massacro generalizzato proprio grazie alle lotte della classe operaia.
Il movimento dei giovani contro il CPE mostra che i germi di una nuova società stanno emergendo dalle viscere della vecchia società capitalista agonizzante. L’avvenire è le mani di questa nuova generazione. I liceali e studenti universitari stanno prendendo coscienza che, in quanto futuri disoccupati e futuri precari, appartengono, nella loro grande maggioranza, alla classe operaia. Una classe sfruttata che il capitalismo tende ad escludere sempre più dalla produzione. Una classe che non avrà altra scelta che sviluppare le sue lotte per difendere le proprie condizioni di vita e l’avvenire dei suoi figli. Una classe che non avrà altra alternativa che rovesciare il capitalismo per porre fine allo sfruttamento, la miseria, la disoccupazione e la barbarie. Una classe che è l’unica a poter costruire un mondo nuovo, basato non sulla concorrenza, lo sfruttamento, la ricerca del profitto ma sulla soddisfazione di tutti i bisogni della specie umana.
Nel 1914, i figli della classe operaia la cui grande maggioranza era ancora adolescente, furono mandati nelle trincee per servire da carne a cannone. La iena capitalista, rotolandosi nel sangue degli sfruttati, falciò queste giovani generazioni che Rosa Luxemburg chiamava il “fior fiore del proletariato”.
Il “fior fiore del proletariato” del ventunesimo secolo avrà la responsabilità di distruggere questo sistema capitalista decadente che ha mutilato e massacrato i figli della classe operaia inviati al fronte nel 1914, e poi nel 1939, sviluppando la lotta affianco a tutta la classe operaia, di tutte le generazioni.
Recentemente in Brasile, all’università di Vitoria da Conquista, gli studenti hanno manifestato la volontà di discutere della storia del movimento operaio. Hanno compreso che è proprio immergendosi nell’esperienza delle generazioni del passato che le nuove generazioni potranno riprendere la fiaccola dello scontro condotto dai loro genitori, dai nonni e prima ancora. Questi studenti hanno voluto ascoltare quelli che potevano trasmettere loro questo passato, un passato di cui devono appropriarsi e grazie al quale le giovani generazioni potranno costruire l’avvenire. Hanno scoperto che la storia della lotta di classe, la storia vivente non si apprende solamente nei libri ma anche nell’azione. Hanno osato parlare, porre delle domande, esprimere dei disaccordi, confrontare gli argomenti. Nelle università della Francia, come in quelle del Brasile, bisogna aprire le aule e le AG a tutti quelli, operai, disoccupati, rivoluzionari che vogliono farla finita con il capitalismo.
Una sola prospettiva: unità e solidarietà di tutta la classe sfruttata!
Da parecchi mesi, in tutti i paesi, il mondo del lavoro è scosso da scioperi nel settore pubblico e privato: in Germania, in Spagna, negli Stati Uniti, in India, in America latina. Contro la disoccupazione ed i licenziamenti, ovunque gli scioperanti hanno portato avanti la necessità della solidarietà tra le generazioni, tra i disoccupati e gli “attivi”.
Studenti, la vostra collera contro il CPE può essere solamente un colpo di spada nell’acqua se restate isolati, chiusi nei muri dell’università o del liceo! Esclusi dai luoghi di produzione, non avete nessun mezzo per fare pressione sulla borghesia paralizzando l’economia capitalista.Lavoratori salariati, disoccupati o pensionati, bisogna mobilitarsi, sono i vostri figli ad essere attaccati adesso! Siete voi che avete prodotto e producete ancora tutte le ricchezze della società. Siete voi che siete il motore della lotta contro il capitalismo!
Giovani disoccupati delle periferie, non siete i soli ad essere “esclusi!” Oggi siete trattati da “teppaglia”. Non è la prima volta: nel 1968 i vostri genitori che si rivoltarono contro lo sfruttamento capitalista furono trattati da “facinorosi”. L’unica prospettiva, il solo avvenire non sono le violenze cieche, gli incendi di automobili. Il solo avvenire è la lotta solidale ed unita di tutta la classe operaia, di tutte le generazioni! È negli scioperi, nelle assemblee generali, nelle discussioni sui posti di lavoro e di studio, nelle manifestazioni di strada che bisogna esprimere Tutti Uniti la nostra collera contro la disoccupazione, l’impiego precario e la miseria!
Abbasso il CPE! Abbasso il capitalismo!
La classe operaia non ha più niente da perdere se non le proprie catene. Ha invece un mondo da guadagnare.
Corrente Comunista Internazionale (6 marzo 2006)
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