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La classe operaia in Italia, come nel resto del mondo, non ha minori motivi per essere arrabbiata. E ci sono segnali che indicano che questa rabbia sta prendendo una forma visibile, come ad esempio:
- i precari della scuola, di fronte ad un vero e proprio licenziamento di massa, si sono organizzati da soli, promuovendo manifestazioni di piazza con presidii, occupazione, manifestazioni di strada;
- gli operai della Fincantieri, che hanno dato luogo a manifestazioni locali e nazionali, scontrandosi pure con la polizia;
- le lotte degli studenti (e del mondo dell’istruzione più in generale) contro il decreto Gelmini, alimentate nel profondo dalla ricerca di un futuro che è stato negato a tutta l’attuale generazione di giovani;
- la ricerca attiva della solidarietà attraverso la creazione di coordinamenti cittadini – tra cui i più interessanti sono a Milano, Roma e Torino - dei vari comitati di operai attivi nei vari posti di lavoro per cercare di dare una risposta unitaria agli attacchi che continuano a piovere da tutte le parti;
- una moltitudine di lotte di piccola dimensione un po’ in tutti i settori (sanità, industria, costruzioni, ecc.).
Il problema che devono affrontare i proletari è che queste ed altre lotte sono rimaste isolate. In Francia, la richiesta di abbandonare la riforma delle pensioni è stata ripresa da tutto il movimento, creando la possibilità di manifestazioni di massa non solo contro questo attacco, ma anche contro tutti gli altri che i padroni e lo Stato sono costretti ad imporre per la crisi economica. Questo non significa che i francesi siano all’alba della rivoluzione: anche lì lo Stato può contare sul suo apparato politico e sindacale per impedire una reale unificazione e di auto-organizzazione della lotta, nonostante i piccoli passi in quella direzione.
Nonostante la frammentazione delle lotte e il loro isolamento, non c’è dubbio tuttavia che l’attacco della borghesia sia rivolto a tutta la classe operaia, occupati, disoccupati, studenti, pensionati, lavoratori part time. C’è un disperato bisogno di mobilitazione in cui tutti possano identificarsi e partecipare.
In passato, i sindacati erano una forza che rappresentava gli interessi dei lavoratori nei confronti del capitale. Ma ormai a partire dall’inizio del secolo scorso i sindacati sono diventati parte delle forze dell’ordine, si sono fatti i difensori della sostenibilità delle rivendicazioni salariali e hanno finito per integrarsi nello Stato. La conseguenza è che oggi, per mantenere una credibilità nei confronti dei lavoratori, sono costretti a rispondere al loro malcontento chiamando a delle giornate di sciopero e di manifestazioni, ma facendo il possibile per mantenere gli scioperi divisi e senza risultati.
Se ci deve essere una risposta concreta al violento attacco dello Stato alle condizioni di vita dei lavoratori, sarà prima o poi necessario uscire dai canali ufficiali: i lavoratori dovranno farsi carico in prima persona delle proprie lotte, dovranno combattere insieme e manifestare insieme, raccogliendo le istanze comuni che possono portare le diverse parti della classe operaia nello stesso movimento.
Una tale risposta di massa non verrà fuori dal nulla: può essere preparata solo prendendo parte alle lotte esistenti, per quanto ostacolate dai sindacati possano essere. E’ fondamentale che coloro che vedono la necessità di un movimento veramente indipendente della classe lavoratrice comincino a mettere assieme le loro forze e le loro idee.
CCI, 14 dicembre 2010