Dalla Turchia: “Se i sindacati sono dalla nostra parte, perché ci sono 15.000 poliziotti antisommossa fra noi e loro?”

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Pubblichiamo qui di seguito la traduzione di un articolo scritto da un operaio turco che ha partecipato alle lotte della Tekel e che si è avvicinato alla sezione della CCI in questo paese. Cogliamo l’occasione per ringraziare calorosamente questo lavoratore.

Gli scioperi della Tekel sono scarsamente conosciuti a livello internazionale in seguito al black-out mediatico promosso dalla borghesia. La classe dominante preferisce ovviamente puntare i proiettori su tutte le espressioni di nazionalismo (che in genere alimenta essa stessa) e passare sotto silenzio le manifestazioni di solidarietà operaia tra lavoratori di diverse origini etniche, culturali, religiose … Chiediamo perciò a tutti i nostri lettori di far circolare tra di loro tutte le informazioni disponibili su questa lotta.

Il 2 marzo, malgrado tutte le nostre obiezioni, i capi del sindacato ci hanno fatto smontare le tende e la strada di fronte al quartier generale della Turk-Is[1] è stata sgombrata mentre a noi veniva detto di tornare a casa. 70-80 di noi sono rimasti ad Ankara per valutare assieme cosa si poteva fare nei tre giorni seguenti. Dopo questi tre giorni, 60 di noi sono tornati nelle loro città d’origine, mentre gli altri 20, tra cui io stesso, sono rimasti ancora per due giorni. Così, benché la lotta di Ankara sia durata 78 giorni, noi siamo rimasti 83 giorni. Abbiamo convenuto che avremmo dovuto lavorare duro per far progredire la lotta, ed anch’io alla fine sono tornato ad Adiyaman. Fin dal mio ritorno da Ankara, 40 di noi sono andati a far visita ai nostri fratelli e sorelle di classe implicati nello sciopero di Cemen Tekstil a Gaziantep. La lotta della Tekel era un esempio per la classe. Come lavoratore della Tekel ero fiero e pensavo anche che avremmo potuto fare di più per la nostra classe e che dovevo contribuire a questa lotta. Benché la mia situazione economica non me lo permettesse e nonostante l’esaurimento prodotto dagli 83 giorni di lotta e da altri problemi, dovevo fare l’impossibile per spingere il processo il più avanti possibile. Quello che dovevamo fare era costituire un comitato ufficiale e prendere la lotta nelle nostre mani. Anche se non avessimo potuto formalizzarlo, dovevamo comunque crearlo prendendo contatto con i lavoratori di tutte le città poiché dovevamo tornare ad Ankara il 1° aprile.

Dobbiamo andare dovunque possibile per raccontare alla gente la lotta della Tekel nei minimi particolari. Per questo dobbiamo formare un comitato ed unirci alla classe. Il nostro compito è più difficile di quello che sembra! Da una parte abbiamo a che fare con il capitale, dall’altra sia con il governo che con i leader sindacali. Dobbiamo lottare tutti nel miglior modo possibile. Anche se la nostra situazione economica non è buona, anche se siamo fisicamente affaticati, se vogliamo la vittoria, dobbiamo lottare, lottare, lottare!!!

Benché fossi stato lontano dalla mia famiglia per 83 giorni, sono rimasto a casa soltanto per una settimana. Sono andato ad Istanbul per parlare con la gente della resistenza della Tekel, senza neanche poter vedere mia moglie ed i miei figli. Abbiamo fatto parecchie riunioni del comitato informale dei lavoratori della Tekel, specialmente a Diyarbakir, Izmir, Hatay, ed io ho partecipato a numerose riunioni con compagni della commissione informale ad Istanbul. Abbiamo avuto riunioni all’Università Mimar Sinan, una nella scuola alberghiera di Sirinevler, una nell’edificio del sindacato dell’Industria, abbiamo avuto discussioni con dei piloti ed altri lavoratori dell’aeronautica del movimento dissidente Rainbow dell’Hava-Is (un sindacato), ed abbiamo incontrato dei salariati del tribunale. Abbiamo anche incontrato il presidente del Partito della pace e della democrazia (PDP) di Istanbul e gli abbiamo chiesto che i lavoratori della Tekel potessero prendere la parola in occasione della festa di Newroz. Le riunioni sono state tutte molto calorose. La nostra richiesta al PDP è stata accettata e mi hanno chiesto di partecipare alle manifestazioni di Newroz come oratore. Poiché dovevo ritornare ad Adiyaman, ho suggerito che un compagno operaio di Istambul parlasse al posto mio. Mentre ero ad Istanbul ho fatto visita ai vigili del fuoco in lotta, agli operai della Sinter Metal, ai lavoratori comunali d’Esenyurt, agli scioperanti del giornale Sabah e dell’ATV, l’ultimo giorno, ai lavoratori in lotta del Servizio delle Acque e delle Fogne di Istanbul (ISKI). Con questi operai abbiamo discusso per una mezza giornata su come potevamo far crescere la lotta ed abbiamo anche fornito loro informazioni sulla lotta alla Tekel. Gli operai della ISKI mi hanno detto che hanno cominciato la lotta grazie al coraggio dato loro dai lavoratori della Tekel. Durante la settimana che ho trascorso ad Istanbul, ovunque andassi, alle manifestazioni o a visitare i posti dove si lottava, sentivo dire sempre: “Abbiamo preso coraggio grazie alla Tekel”, cosa che mi rendeva molto felice. Il tempo trascorso ad Istanbul ha arricchito molto anche me stesso. Ci sono state purtroppo anche delle cose negative: uno dei miei parenti è purtroppo morto, ma ho deciso di non partire e di restare tutta la settimana come previsto.

Per parlare delle cose più nere di questo periodo, 24 studenti, fratelli e sorelle di classe, sono stati espulsi dalla loro università (Mehemetcik High School) per avere sostenuto la lotta della Tekel. Inoltre ad Ankara, una delle nostre sorelle di classe del Consiglio della Ricerca Scientifica e Tecnologica della Turchia (TUBITAK), Aynur Camalan, è stata uccisa. Quando il capitale ci attacca in questo modo, noi, operai, senza alcuna pietà, ci dobbiamo unire contro di lui. Così, abbiamo fatto due comunicati sulla stampa ad Adiyaman mostrando che i nostri amici non erano soli. Ci siamo anche preparati per la manifestazione del 1° aprile. I capi sindacali volevano andare ad Ankara con 50 persone da ogni città, per un totale di un migliaio di persone. Come comitato informale abbiamo aumentato questo numero da 50 a 180 soltanto a Adiyaman ed io stesso sono arrivato ad Ankara con altri dieci operai il 31 marzo. Nonostante tutte le dichiarazioni dei sindacati per limitare il numero a 50, siamo riusciti a permettere che venissero 180 lavoratori (siamo stati noi e non i sindacati a coprire le spese), perché sapevamo come i sindacati volevano manipolare, come avevano già fatto prima. Abbiamo avuto riunioni con molte organizzazioni di massa, associazioni e sindacati. Siamo andati a trovare Aynur Camalan, l’operaia di TUBITAK, che aveva perso il lavoro.

Il 1° aprile ci siamo riuniti a Kizilay (il centro di Ankara, la capitale della Turchia, NDT), ma abbiamo dovuto fare molti sforzi per arrivare fino alla strada di fronte alla Turk-Is, perché 15.000 poliziotti stavano in difesa dell’edificio. Cosa facevano tutti questi poliziotti tra noi e il sindacato? Ora, dobbiamo chiedere a quelli che si ergono contro di noi anche quando parliamo dei dirigenti sindacali, anche quando diciamo che i sindacati dovrebbero essere messi in discussione: se c’è un potente sbarramento di 15.000 poliziotti tra noi ed il sindacato, perché esistono i sindacati? Se voi pensate che sia del tutto naturale che la polizia protegga il sindacato ed i dirigenti sindacali, questo non significa forse che il sindacato ed i sindacalisti proteggono il governo ed il capitale? I sindacati non esistono forse solo per mantenere sotto controllo i lavoratori per conto del capitale?

Il 1° aprile, malgrado tutto, 35-40 di noi sono riusciti a superare la sbarramento, uno dopo l’atro, per ritrovarsi nella via di fronte alla Turk-Is. Il nostro scopo era avere una certa maggioranza e fare in modo che nostri altri amici ci raggiungessero, ma purtroppo abbiamo fallito: la nostra maggioranza non poteva negoziare con 15.000 poliziotti. Il sindacato aveva precedentemente dichiarato che soltanto 1.000 di noi dovevano venire ad Ankara. Con il comitato informale siamo riusciti ad aumentarne il numero a 2.300. 15.000 poliziotti bloccavano la strada a 2.300 persone! Ci siamo riuniti in via Sakarya. Eravamo pronti a passarvi almeno la notte, con tutti coloro che erano venuti ad incoraggiarci. Durante la giornata, siamo stati attaccati due volte dalla polizia con gas irritanti e manganelli. Il nostro obiettivo era trascorrere la notte per strada di fronte al quartier generale della Turk-Is, ma quando ci siamo scontrati con la polizia siamo rimasti in via Sakarya. Ma durante la notte i sindacalisti hanno silenziosamente e sornionamente invitato i nostri compagni operai a lasciare la regione. Ci siamo ritrovati in una minoranza. I sindacalisti ci hanno chiesto due volte di lasciare la zona, ma non abbiamo ascoltato l’appello dei dirigenti sindacali ed una minoranza di noi è restata. Quando i simpatizzanti sono andati via verso le 23.00, anche noi siamo dovuti andar via.

Ci doveva essere un comunicato stampa il 2 aprile. Quando siamo stati sul punto di entrare in via Sakarya, verso le 9 di mattina, siamo stati attaccati dalla polizia che ha di nuovo utilizzato gas al pepe e manganelli. Un’ora dopo un centinaio di noi è riuscito a superare la sbarramento e fare un sit-in. La polizia non la smetteva di minacciarci. Noi abbiamo continuato a resistere. La polizia ha dovuto alla fine aprire lo sbarramento e siamo riusciti ad unirci all’altro gruppo che era restato fuori. Abbiamo iniziato ad andare verso la Turk-Is, ma i dirigenti sindacali hanno fatto il loro comunicato alla stampa a 100 metri dal quartier generale della Turk-Is. Senza tener conto della nostra insistenza i dirigenti sindacali non sono scesi in strada davanti alla Turk-Is. Il sindacato e la polizia si sono trovati mano nella mano e così alcuni di noi non hanno potuto alla fine andare dove volevano andare. C’era un punto interessante tra le cose dette dai sindacalisti. Avevano detto che saremmo ritornati il 3 giugno e saremmo rimasti di fronte alla Turk-Is per tre notti. Sarebbe interessante sapere come saremmo riusciti a restarvi 3 notti, quando noi non eravamo riusciti a restarci neanche una sola notte. La polizia doveva prima di tutto proteggere i sindacalisti da noi ed aiutarli a scappare ed allora noi ci siamo ritrovati da soli con la polizia. Nonostante le minacce e le pressioni della polizia non ci siamo dispersi e siamo stati nuovamente attaccati con gas al pepe e manganelli ed alla fine abbiamo dovuto disperderci. Nel pomeriggio abbiamo ricevuto una corona funebre, fatta da alcuni fiorai per condannare la Turk-Is ed il governo, che abbiamo lasciato sulla facciata della Turk-Is.

Cari fratelli e sorelle di classe, la questione che abbiamo di fronte è: se ci sono 15.000 poliziotti che formano uno sbarramento tra il sindacato e gli operai, perché esistono i sindacati? Dichiaro a tutti i miei fratelli e sorelle di classe che se vogliamo la vittoria dobbiamo lottare insieme. Noi operai della Tekel abbiamo acceso una scintilla e tutti insieme ne faremo un’enorme palla di fuoco. In questo senso, per esprimere il mio rispetto per tutti voi, ci tengo a finire il mio testo con una poesia[2]:

Il vapore del the s’invola mentre le nostre vite sono ancora fresche

Gli abiti formano una catena lunga come strade, e non c’è che il dispiacere che ritorna

Una ciotola di riso, dicono che il nostro cibo è atterrato sulle nostre case

I desideri diventano strade, strade, da dove viene il lavoro

La fame è per noi, il freddo è per noi, la povertà è per noi

Hanno invocato il destino, vivere con lui è per noi

Noi che produciamo, noi che abbiamo fame, noi che siamo nudi di nuovo

Non abbiamo scritto noi questo destino, siamo noi che lo spezzeremo di nuovo

Noi, lavoratori della Tekel diciamo che, anche se la nostra testa tocca il suolo, lasceremo sempre un futuro onorevole per i nostri figli.

Un lavoratore della Tekel di Adiyaman



[1] Confederazione dei sindacati Turchi

[2] E’ sempre difficile tradurre una poesia. Speriamo di non averne alternato troppo il senso né la musicalità (ndr)

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