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L'opuscolo di Pannekoek mostra che il libro di Darwin, La filiazione dell'uomo, costituisce una netta smentita all'ideologia reazionaria del "darwinismo sociale" sostenuto particolarmente da Herbert Spencer, che si basava sul meccanismo della selezione naturale, descritto ne L'origine delle specie, per dare una cauzione pseudo scientifica alla logica del capitalismo basato sulla concorrenza, la legge del più forte e l'eliminazione dei meno "adattati". A tutti i "darwinisti sociali" di ieri e di oggi (da lui designati col nome di "darwinisti borghesi"), Pannekoek risponde con molta chiarezza, basandosi su Darwin: "Quest’ultimo getta una luce nuova sul punto di vista dei darwinisti borghesi. Questi proclamano che solo l'eliminazione dei deboli è naturale e che è necessaria per impedire la corruzione della razza. D’altra parte, la protezione portata ai deboli è contro natura e contribuisce al decadimento della razza. Ma cosa vediamo? Nella stessa natura, nel mondo animale, constatiamo che i deboli sono protetti, che non si mantengono grazie alla loro propria forza personale, e che non sono scartati a causa della loro debolezza individuale. Queste disposizioni non indeboliscono il gruppo, ma gli conferiscono una forza nuova. Il gruppo animale nel quale l'aiuto reciproco è meglio sviluppato, è il meglio adatto per preservarsi nei conflitti. Ciò che, secondo la concezione stretta di questi darwinisti, appariva come fattore di debolezza, diventa esattamente l'inverso, un fattore di forza rispetto a cui gli individui forti che conducono la lotta individualmente non reggono il paragone".
In questa seconda parte del suo opuscolo, Pannekoek esamina anche, con grande rigore dialettico, come l'evoluzione dell'uomo ha permesso a quest’ultimo di liberarsi della sua animalità e da certe contingenze della natura, grazie allo sviluppo congiunto del linguaggio, del pensiero e degli attrezzi. Tuttavia, riprendendo l'analisi sviluppata da Engels nel suo articolo incompiuto "Il ruolo del lavoro nella trasformazione della scimmia in uomo" (pubblicato ne La dialettica della natura), tende a sottovalutare il ruolo fondamentale del linguaggio nello sviluppo della vita sociale della nostra specie.
Quest’articolo di Pannekoek è stato redatto un secolo fa e non poteva dunque integrare le ultime scoperte scientifiche, in particolare in primatologia. Gli studi recenti sul comportamento sociale delle scimmie antropoidi ci permettono di affermare che il linguaggio umano non è stato selezionato in primo luogo per la fabbricazione degli attrezzi (come sembrava pensare Pannekoek, al seguito di Engels), ma fin dall’inizio per il consolidamento dei legami sociali (senza i quali i primi uomini non avrebbero potuto comunicare per costruire dei ripari, proteggersi dai predatori e dalle forze ostili della natura, e trasmettere soprattutto le loro conoscenze da una generazione all'altra).
Sebbene il testo di Pannekoek abbia dato un quadro molto argomentato sul processo dello sviluppo delle forze produttive derivante dalla fabbricazione dei primi utensili, esso, tuttavia, tende a ridurre queste ultime alla sola soddisfazione dei bisogni biologici dell'uomo, in particolare la soddisfazione della fame, ed a perdere così di vista che la nascita dell'arte che è apparsa presto nella storia dell'umanità, ha costituito anche una tappa fondamentale nella differenziazione della specie umana dal regno animale.
D’altra parte se, come già visto, Pannekoek spiega, in modo molto sintetico ma con chiarezza e notevole semplicità, la teoria darwinista dell'evoluzione dell'uomo, non va sufficientemente lontano, a nostro avviso, nella comprensione dell'antropologia di Darwin. In particolare, non mette in evidenza che con la selezione naturale degli istinti sociali, la lotta per l'esistenza ha selezionato dei comportamenti anti-eliminatori che hanno dato nascita alla morale[1]. Operando una rottura tra morale naturale e morale sociale, tra natura e cultura, Pannekoek non aveva sufficientemente compreso la continuità evolutiva che esiste tra la selezione degli istinti sociali, la protezione dei deboli attraverso l’aiuto reciproco, e ciò che ha permesso all'uomo di immettersi sulla strada della civiltà. È proprio questo allargamento della solidarietà e della coscienza di appartenere alla stessa specie che ha permesso all'umanità, ad un certo stadio del suo sviluppo, di enunciare, sotto l'impero romano, come del resto sottolinea lo stesso testo di Pannekoek, questa formula del cristianesimo:"Tutti gli uomini sono fratelli".
Opuscolo di Anton Pannekoek (seguito)
VI - Legge naturale e teoria sociale
Le false conclusioni tratte da Haeckel e Spencer sul socialismo non sono per niente sorprendenti. Il darwinismo ed il marxismo sono due teorie distinte, una che si applica al mondo animale, l'altra alla società. Si completano nel senso in cui il mondo animale si sviluppa secondo le leggi della teoria darwiniana fino alla tappa dell'uomo e, a partire dal momento in cui quest’ultimo si è staccato dal mondo animale, è il marxismo che rende conto della legge dello sviluppo. Quando si vuole fare passare una teoria da un campo all'altro, all’interno dei quali si applicano leggi differenti, si possono solo trarre deduzioni erronee.
E’ questo il caso quando vogliamo scoprire, a partire dalle leggi della natura, quale forma sociale è naturale ed è la più conforme con la natura; ed è esattamente questo che i darwinisti borghesi hanno fatto. Hanno dedotto dalle leggi che governano il mondo animale, dove viene applicata la teoria darwiniana, che l'ordine sociale capitalista è in conformità con questa teoria, ed è questo l’ordine naturale che deve sempre durare. D’altra parte, ci sono anche stati dei socialisti che volevano provare allo stesso modo che il sistema socialista è il sistema naturale. Questi socialisti dicevano:
“Sotto il capitalismo, gli uomini non conducono la lotta per l'esistenza ad armi pari, ma con armi artificialmente impari. La superiorità naturale di coloro che sono più sani, più forti, più intelligenti o moralmente migliori, non può predominare in nessun modo finché sono la nascita, la classe sociale o soprattutto il possesso del denaro a determinare questa lotta. Il socialismo, sopprimendo tutte queste disuguaglianze artificiali, rende le condizioni favorevoli per tutti, ed è allora solamente che la vera lotta per l'esistenza prevarrà ed in cui l'eccellenza personale costituirà il fattore decisivo. Secondo i principi darwinisti, il modo di produzione socialista costituirebbe dunque quello che sarebbe veramente naturale e logico”.
In quel momento, in quanto critica alle concezioni dei darwinisti borghesi, quest’argomentazione non è male, tuttavia è sbagliata quanto queste ultime. Le due opposte dimostrazioni sono false perché tutte e due partono dalla premessa, da tempo superata, secondo la quale esisterebbe un solo sistema sociale naturale o logico.
Il marxismo ci ha insegnato che non esiste il sistema sociale naturale e che non potrebbe essere possibile o, detto in un altro modo, che ogni sistema sociale è naturale, perché ogni sistema sociale è necessario e naturale nelle condizioni date. Non c'è un solo sistema sociale definito che possa definirsi naturale; i differenti sistemi sociali si succedono l’uno all’altro a causa dello sviluppo delle forze produttive. Ogni sistema dunque è il sistema naturale per la sua particolare epoca, come il successivo lo sarà per un'epoca ulteriore. Il capitalismo non è il solo ordine naturale, come crede la borghesia, e nemmeno il sistema socialista mondiale è l’unico ordine naturale, come certi socialisti hanno tentato di provare. Il capitalismo è stato naturale nelle condizioni del diciannovesimo secolo, proprio come il feudalismo lo era nel Medio evo, e come lo sarà il socialismo allo stadio di sviluppo futuro delle forze produttive. Il tentativo di promuovere un sistema dato come il solo sistema naturale è proprio tanto futile come il volere designare un animale e dire che esso è il più perfetto di tutti gli animali. Il darwinismo ci insegna che ogni animale è egualmente adatto ed anche perfetto nella sua forma per adattarsi al suo particolare ambiente naturale. Allo stesso modo, il marxismo ci insegna che ogni sistema sociale è adatto particolarmente alle sue condizioni e che, in questo senso, può essere qualificato buono e perfetto.
E’ questa la ragione principale per cui i tentativi dei darwinisti borghesi per difendere il sistema capitalista decadente sono destinato all'insuccesso. Gli argomenti basati sulla scienza della natura, quando sono applicati alle questioni sociali, conducono quasi sempre a conclusioni erronee. Infatti, mentre la natura non cambia nelle sue grandi linee durante la storia dell'umanità, la società umana, al contrario, subisce dei cambiamenti rapidi e continui. Per comprendere la forza motrice e la causa dello sviluppo sociale, dobbiamo studiare la società come tale. Il marxismo ed il darwinismo devono ciascuno restare nel loro proprio campo; sono indipendenti l’uno dall'altro e non esiste nessuno legame diretto tra loro.
Qui nasce una domanda molto importante. Possiamo fermarci alla conclusione secondo cui il marxismo si applica unicamente alla società ed il darwinismo unicamente al mondo organico, e che né l’una né l'altra di queste teorie è applicabile all'altro campo? Da un punto di vista pratico, è molto comodo avere un principio per il mondo umano ed un altro per il mondo animale. Tuttavia, adottando questo punto di vista, dimentichiamo che l'uomo è anche un animale. L'uomo si è sviluppato a partire dall'animale, e le leggi che si applicano al mondo animale non possono, improvvisamente, perdere la loro applicabilità all'essere umano. È vero che l'uomo è un animale molto particolare, ma proprio per questo è necessario scoprire, a partire da queste stesse particolarità, perché i principi applicabili a tutti gli animali non si applicano agli uomini, o perché prendono una forma differente.
Qui, tocchiamo un altro problema. I darwinisti borghesi non hanno questo problema; dichiarano semplicemente che l'uomo è un animale e si lanciano senza riserva nell'applicazione dei principi darwiniani agli uomini. Abbiamo visto a quali conclusioni erronee arrivano. Per noi, questa domanda non è così semplice; per prima cosa abbiamo il dovere di avere una visione chiara delle differenze che esistono tra gli uomini e gli animali, poi, a partire da queste differenze, deve conseguire la ragione per la quale, nel mondo umano, i principi darwiniani si trasformano in principi totalmente differenti, e cioè in quelli del marxismo.
VII - Il carattere sociale dell’uomo
La prima particolarità che osserviamo nell'uomo è che esso è un essere sociale. In ciò, non differisce da tutti gli animali perchè anche tra questi ultimi ci sono molte specie che vivono in modo sociale. Ma l'uomo differisce da tutti gli animali che abbiamo osservato fino qui parlando della teoria darwiniana, da quelli che vivono separatamente, ciascuno per sé e che lottano contro tutti gli altri per provvedere ai loro bisogni. Non è ai predatori che vivono in modo separato, e che sono gli animali modello dei Darwinisti borghesi, che l'uomo deve essere paragonato, ma a quelli che vivono socialmente. La socievolezza è una forza nuova di cui fino ad ora non abbiamo tenuto ancora conto; una forza che richiede nuovi rapporti e nuove qualità agli animali.
È un errore considerare la lotta per l'esistenza come la sola onnipotente forza che dà forma al mondo organico. La lotta per l'esistenza è la principale forza che è all'origine delle nuove specie, ma lo stesso Darwin sapeva bene che altre forze cooperano e determinano le forme, le abitudini e le particolarità del mondo organico. Nel suo libro pubblicato più tardi, La Filiazione dell'uomo, Darwin ha trattato minuziosamente la selezione sessuale e ha mostrato che la concorrenza dei maschi per le femmine ha dato nascita ai vari colori variopinti degli uccelli e delle farfalle e, anche, ai melodiosi canti degli uccelli. Ha anche dedicato tutto un capitolo alla vita sociale. Si possono trovare così molti esempi su questa questione nel libro di Kropotkin, L’aiuto reciproco, un fattore di evoluzione. La migliore esposizione degli effetti della socialità si trova ne L'etica e la concezione materialista della storia di Kautsky.
Quando un certo numero di animali vive in gruppo, in mandria o in branco, questi conducono in comune la lotta per l'esistenza contro il mondo esterno; all’interno di un tale gruppo la lotta per l'esistenza cessa. Gli animali che vivono socialmente non si impegnano più gli uni contro gli altri in combattimenti dove i deboli soccombono; è esattamente l'inverso, i deboli godono degli stessi vantaggi dei forti. Quando alcuni animali hanno il vantaggio di un odorato più fine, una maggiore forza, o l'esperienza che permette loro di trovare il pascolo migliore o evitare il nemico, questo vantaggio non beneficia solamente loro stessi, ma anche l’intero gruppo, compresi gli individui meno abili. Il fatto che gli individui meno abili sono uniti ai più abili permette ai primi di superare, fino ad un certo punto, le conseguenze delle loro proprietà meno favorevoli.
L’uso in comune delle differenti forze favorisce l'insieme dei membri. Esso conferisce al gruppo un nuovo potere che è molto più importante di quello di un solo individuo, anche se più forte. È grazie a questa forza unita che gli erbivori senza difesa possono tener testa ai predatori. È solamente per mezzo di questa unità che certi animali sono capaci di proteggere i loro piccoli. La vita sociale favorisce dunque enormemente l'insieme dei membri del gruppo.
Un secondo vantaggio della socialità viene dal fatto che, quando gli animali vivono socialmente, c'è una possibilità di divisione del lavoro. Questi animali utilizzano dei giovani esploratori o pongono delle sentinelle il cui compito è assicurare la sicurezza di tutti, mentre gli altri tranquillamente mangiano o raccolgono, contando sulle loro guardie per essere avvertiti del pericolo.
Una tale società animale diventa, sotto certi punti di vista, un'unità, un solo organismo. I rapporti restano naturalmente, molto più larghi rispetto a quelli che regnano tra le cellule di un solo corpo animale; infatti i membri restano uguali tra loro – è solamente nelle formiche, nelle api ed in altri insetti che si sviluppa una distinzione organica - ed essi sono capaci, in condizioni certo più sfavorevoli, di vivere isolatamente. Tuttavia, il gruppo diventa un corpo coerente, e deve esserci una certa forza che lega tra loro i differenti membri.
Questa forza non è altro che la motivazione sociale, l'istinto che mantiene gli animali riuniti e che permette così la sopravvivenza del gruppo. Ogni animale deve porre i suoi interessi al di sotto dell'interesse dell'insieme del gruppo; deve sempre agire istintivamente per il beneficio del gruppo senza considerazione per sé. Se ciascuno dei deboli erbivori pensa solamente a sé e fugge quando è attaccato da una fiera, il gregge riunito si sparpaglia di nuovo. E’ solamente quando il motivo forte dell'istinto di conservazione è contrastato da un motivo ancora più forte di unione, e che ogni animale rischia la sua vita per la protezione di tutti, è solamente allora che il gruppo si mantiene ed approfitta dei vantaggi di rimanere raggruppato. Il sacrificio di sé, il coraggio, la devozione, la disciplina e la fedeltà devono sorgere in questo modo, perché là dove queste qualità non esistono, la coesione si dissolve; la società può esistere solamente là dove esistono tali qualità.
Questi istinti, pure avendo la loro origine nell'abitudine e nella necessità, sono rafforzati dalla lotta per l'esistenza. Ogni gruppo animale si trova sempre in una lotta di concorrenza con gli stessi animali di un gruppo differente; i gruppi che sono più abili a resistere al nemico sopravvivranno, mentre quelli che sono meno attrezzati spariranno. I gruppi in cui l'istinto sociale è più sviluppato potranno meglio sostenersi, mentre il gruppo in cui l'istinto sociale è poco sviluppato, o diventa una facile preda per i suoi nemici, o non sarà in grado di trovare i pascoli più favorevoli alla sua esistenza. Questi istinti sociali diventano dunque i fattori più importanti e più decisivi nel determinare chi sopravvivrà nella lotta per l'esistenza. È a causa di ciò che gli istinti sociali sono stati elevati alla posizione di fattori predominanti nella lotta per la sopravvivenza.
Tutto ciò getta una luce interamente nuova sul punto di vista dei darwinisti borghesi. Questi ultimi proclamano che solo l'eliminazione dei deboli è naturale e che è necessaria per impedire la corruzione della razza. D’altronde (dicono) la protezione portata ai deboli è contro natura e contribuisce al decadimento della razza. Ma che cosa vediamo? Nella stessa natura, nel mondo animale, constatiamo che i deboli sono protetti, che non si mantengono grazie alla loro forza personale, e che non sono esclusi a causa della loro debolezza individuale. Queste disposizioni non indeboliscono il gruppo, ma gli conferiscono una forza nuova. Il gruppo animale in cui l'aiuto reciproco è meglio sviluppato, è meglio adattato per preservarsi nei conflitti. Quello che, secondo la concezione stretta di questi darwinisti, appariva come fattore di debolezza, diventa esattamente l'inverso, un fattore di forza contro cui gli individui forti che conducono individualmente la lotta non contano. La razza, che si pretende degenerata e corrotta, ottiene la vittoria e si rivela nella pratica la più abile e la migliore.
Vediamo qui subito fino a che punto le affermazioni dei darwinisti borghesi sono così limitate, rivelano una grettezza mentale ed un'assenza di spirito scientifico. Fanno derivare le loro leggi naturali e le loro concezioni da ciò che in natura riguarda una parte del mondo animale alla quale l'uomo somiglia di meno, gli animali solitari, mentre lasciano da parte l'osservazione degli animali che vivono praticamente nelle stesse circostanze dell'uomo. Se ne può trovare la ragione nelle loro condizioni di vita; appartengono ad una classe dove ciascuno è in concorrenza individuale con l'altro. Di conseguenza, non vedono negli animali che la forma della lotta per l'esistenza che corrisponde alla lotta della concorrenza borghese. È per questa ragione che trascurano le forme di lotta che sono importantissime per gli uomini.
È vero che i darwinisti borghesi sono coscienti del fatto che tutto, nel mondo animale come nell'umano, non si riduce al puro egoismo. Gli scienziati borghesi dicono frequentemente che ogni uomo è caratterizzato da due sentimenti: il sentimento egoista o amore di sé, ed il sentimento altruistico, o amore degli altri. Ma poiché non conoscono l'origine sociale di questo altruismo, non possono comprendere i suoi limiti né le sue condizioni. L'altruismo, per loro, diventa un'idea molto vaga che non sanno maneggiare.
Tutto ciò che si applica agli animali sociali si applica anche all'uomo. I nostri antenati che somigliavano alle scimmie e agli uomini primitivi e che si sono sviluppati a partire da essi erano tutti animali deboli, senza difesa che, come quasi tutte le scimmie, vivevano in tribù. In essi, sono probabilmente apparsi gli stessi motivi e gli stessi istinti sociali che, più tardi, nell'uomo, si sono sviluppati sotto forma di sentimenti morali. Il fatto che i nostri costumi e le nostre morali non siano niente altro che sentimenti sociali, sentimenti che incontriamo negli animali, è noto a tutti; Darwin ha anche già parlato delle "abitudini degli animali in rapporto coi loro atteggiamenti sociali che negli uomini si chiamerebbero morale". La differenza risiede solamente nel grado di coscienza; appena questi sentimenti sociali diventano chiaramente coscienti per gli uomini, prendono il carattere di sentimenti morali. Qui vediamo che la concezione morale - che gli autori borghesi consideravano come la differenza principale tra gli uomini e gli animali - non è propria agli uomini, ma è un prodotto diretto delle condizioni esistenti nel mondo animale.
Il fatto che i sentimenti morali non si estendono al di là del gruppo sociale al quale l'animale o l'uomo appartengono, risiede nella natura della loro origine. Questi sentimenti servono allo scopo pratico di preservare la coesione del gruppo; al di fuori, sono inutili. Nel mondo animale, l’estensione e la natura del gruppo sociale sono determinate dalle circostanze della vita, e dunque il gruppo rimane quasi sempre lo stesso. Negli uomini, i gruppi, queste unità sociali, sono, al contrario, sempre mutevoli in funzione dello sviluppo economico, e questo cambia anche il campo di validità degli istinti sociali.
I vecchi gruppi, all'origine tribù selvagge e barbare, erano molto più uniti dei gruppi animali non solo perché erano in concorrenza ma anche perché si facevano direttamente la guerra. I rapporti familiari ed un linguaggio comune hanno rafforzato più tardi questa unità. Ogni individuo dipendeva interamente dal sostegno della sua tribù. In queste condizioni, gli istinti sociali, i sentimenti morali, la subordinazione dell'individuo al tutto, si sono potuti sviluppare al massimo. Con lo sviluppo ulteriore della società, le tribù si sono disciolte in entità economiche più larghe e così si sono riunite nelle città e nei popoli.
Nuove società prendono il posto delle vecchie, ed i membri di queste entità proseguono la lotta per l'esistenza in comune contro altri popoli. In una proporzione uguale allo sviluppo economico, la dimensione di queste entità aumenta, all’interno di esse la lotta di ciascuno contro gli altri si indebolisce ed i sentimenti sociali si diffondono. Alla fine dell'antichità, constatiamo che tutti i popoli conosciuti intorno al Mediterraneo formano allora un'unità, l'impero romano. In quest’epoca, nasce anche la dottrina che estende i sentimenti morali all'umanità intera e formula il dogma secondo il quale tutti gli uomini sono fratelli.
Quando consideriamo la nostra epoca, vediamo che economicamente tutti i popoli formano sempre più una unità, anche se è un'unità debole. Perciò, regna un sentimento - sebbene relativamente astratto - di una fraternità che ingloba l'insieme dei popoli civilizzati. Ben più forte è il sentimento nazionale, soprattutto presso la borghesia, perché le nazioni costituiscono le entità in lotta costante della borghesia. I sentimenti sociali sono più forti verso i membri della stessa classe, perché le classi costituiscono le unità sociali essenziali, incarnando gli interessi convergenti dei propri membri. Così vediamo che le entità sociali ed i sentimenti sociali cambiano nella società umana, secondo il progresso dello sviluppo economico[2].
VIII - Utensili, pensiero e linguaggio
La socialità, con le sue conseguenze, gli istinti morali, costituisce una particolarità che distingue l'uomo da certi animali, ma non del tutto. Esistono, tuttavia, delle particolarità che appartengono solamente all'uomo e che lo differenziano dall'insieme del mondo animale. Queste sono, in primo luogo, il linguaggio, poi la ragione. L'uomo è anche il solo animale che si serve di utensili da lui fabbricati.
Gli animali presentano queste proprietà in germe, mentre negli uomini si sono sviluppate attraverso nuove caratteristiche specifiche. Molti animali hanno un tipo di voce e possono, per mezzo di suoni, comunicare le loro intenzioni, ma solo l'uomo emette suoni come dei nomi che gli servono per indicare delle cose e delle azioni. Gli animali hanno anche un cervello con cui pensano, ma l'intelligenza umana rivela, come lo vedremo più tardi, un orientamento interamente nuovo, che designiamo come un pensiero razionale o astratto. Anche gli animali si servono di oggetti inanimati che utilizzano in certi scopi; per esempio, la costruzione dei nidi. Le scimmie talvolta utilizzano dei bastoni o delle pietre, ma solo l'uomo utilizza gli attrezzi che si costruisce deliberatamente per scopi particolari. Queste tendenze primitive degli animali ci convincono che le particolarità che l'uomo possiede gli sono venute, non grazie al miracolo della creazione, ma attraverso un lento sviluppo. Comprendere come queste prime tracce di linguaggio, di pensiero e di utilizzazione di utensili si siano sviluppate in tali nuove proprietà di primaria importanza nell'uomo, implica la problematica dell'umanizzazione dell'animale.
Solo l'essere umano in quanto animale sociale è stato capace di questa evoluzione. Gli animali che vivono solitari non possono giungere ad un tale livello di sviluppo. All'infuori della società, il linguaggio è inutile tanto quanto l’occhio nell'oscurità, ed è destinato a spegnersi. Il linguaggio è possibile solamente nella società, ed è solamente là che è necessario come mezzo di deliberazione tra i suoi membri. Tutti gli animali sociali possiedono certi mezzi per esprimere le loro intenzioni, diversamente non potrebbero agire secondo un piano collettivo. I suoni che erano necessari come mezzo per comprendersi durante il lavoro collettivo per l'uomo primitivo, si sono dovuti sviluppare lentamente fino ai nomi di attività e poi di cose.
L'utilizzazione degli attrezzi presuppone anche una società, perché è solamente attraverso la società che le esperienze possono essere preservate. In uno stato di vita solitaria, ciascuno avrebbe dovuto scoprire questo impiego per lui solo e, con la morte dell'inventore, la scoperta sarebbe così sparita, e ciascuno avrebbe dovuto ricominciare tutto dall'inizio. È solamente con la società che l'esperienza e la conoscenza delle vecchie generazioni possono essere preservate, perpetuate ed evolute. In un gruppo o una tribù, alcuni possono morire, ma il gruppo in qualche modo è immortale. Sopravvive. La conoscenza dell'utilizzazione degli attrezzi non è innata, è acquistata più tardi. E’per tale motivo che una tradizione intellettuale è indispensabile, ed essa non è possibile che nella società.
Se queste caratteristiche specifiche all'uomo sono inseparabili dalla sua vita sociale, esse sono anche fortemente collegate tra loro. Queste caratteristiche non si sono sviluppate separatamente, ma hanno progredito tutte in comune. Che il pensiero ed il linguaggio potevano esistere e svilupparsi solamente in comune è conosciuto da tutti coloro che hanno tentato di immaginarsi la natura del loro pensiero. Quando pensiamo o riflettiamo, in realtà, parliamo a noi stessi ed allora noi osserviamo che è impossibile pensare chiaramente senza adoperare delle parole. Quando non pensiamo con le parole, i nostri pensieri restano imprecisi e non arriviamo a cogliere i pensieri specifici. Ciascuno di noi può comprendere ciò sperimentandolo da sé. Ciò capita perché il ragionamento detto astratto è un pensiero percettivo e non può avere luogo che attraverso concetti. E non possiamo designare e padroneggiare questi concetti che attraverso delle parole. Ogni tentativo per allargare il nostro pensiero, ogni tentativo per fare avanzare la nostra conoscenza deve cominciare dalla distinzione e dalla classificazione per mezzo di nomi o dando alle vecchie denominazioni un significato più preciso. Il linguaggio è il corpo del pensiero, il solo materiale con cui è costruita ogni scienza umana.
La differenza tra la mente umana e quella animale è stata mostrata con pertinenza da Schopenhauer in una citazione che è stata ripresa anche da Kautsky ne L'etica e la Concezione Materialista della storia (pagine 139-40 della traduzione in inglese). Gli atti dell'animale dipendono da motivi visuali, da ciò che vede, intende, sente od osserva. Quasi sempre possiamo vedere e dire ciò che spinge un animale a fare questo o quello perché, anche noi, possiamo vederlo se facciamo attenzione. Tuttavia, con l'uomo è totalmente differente. Non possiamo prevedere ciò che farà, perché non conosciamo i motivi che lo spingono ad agire: i pensieri nella sua testa. L'uomo riflette e, facendo ciò, fa entrare in gioco tutta la sua conoscenza, risultato delle sue vecchie esperienze, ed è in quel momento che decide come agire. Gli atti di un animale dipendono da un'impressione immediata, mentre quelli dell'uomo dipendono da concezioni astratte, da pensieri e da concetti. L'uomo è in qualche modo "mosso da fili invisibili e sottili. Così tutti i suoi movimenti danno l'impressione di essere guidati dai principi e dalle intenzioni che danno loro l'aspetto dell'indipendenza e li distinguono evidentemente da quelli degli animali".
Poiché hanno esigenze corporali, gli uomini e gli animali sono costretti a soddisfarle nella natura circostante. La percezione sensoriale costituisce l'impulso ed il motivo immediato; la soddisfazione dei bisogni è l'obiettivo e lo scopo dell'azione appropriata. Nell'animale, l'azione interviene immediatamente dopo l'impressione. Vede la sua preda o il suo cibo e, immediatamente, salta, afferra, mangia, oppure fa ciò che è necessario per afferrarla, e questo è l'eredità del suo istinto. L'animale sente un rumore ostile e, immediatamente, fugge se le sue zampe sono sviluppate sufficientemente per correre velocemente, o si stende e fa il morto per non essere visto se il suo colore gli serve da protezione. Nell'uomo, invece, tra le sue percezioni ed i suoi atti, passa nella sua testa una lunga catena di pensieri e di riflessioni. I suoi atti dipenderanno dal risultato di queste riflessioni.
Da dove viene questo differenza? Non è difficile vedere che è associata strettamente all'utilizzazione degli attrezzi. Come il pensiero si inserisce tra le percezioni dell'uomo ed i suoi atti, l'attrezzo si inserisce tra l'uomo e gli oggetti che cerca di afferrare. Inoltre, poiché l'attrezzo si inserisce tra l'uomo e gli oggetti esterni, anche il pensiero deve sorgere tra la percezione e le esecuzioni. L'uomo non si getta a mani nude sul suo obiettivo, sia esso il suo nemico o il frutto da raccogliere, ma procede in modo indiretto; prende un attrezzo, un'arma (anche le armi sono degli attrezzi) che utilizza verso il frutto o contro l'animale ostile. E’ per tale motivo che, nella sua testa, la percezione sensoriale non può essere seguita immediatamente dall'atto, ma la mente deve prendere una svolta: ha il dovere di pensare prima agli attrezzi e poi perseguire il suo obiettivo. La svolta materiale crea lo svolta mentale; il pensiero supplementare è il risultato dell'attrezzo supplementare.
Qui abbiamo considerato un caso estremamente semplice di attrezzi primitivi e le prime fasi dello sviluppo mentale. Quando la tecnica si complica, quando la svolta materiale è più grande, la mente deve, di conseguenza, compiere svolte più grandi. Quando ciascuno fabbricava i propri attrezzi, il ricordo della fame e della lotta doveva orientare la mente umana verso l'attrezzo e verso la sua fabbricazione affinché fosse pronto ad essere utilizzato. Qui abbiamo una catena di pensieri più lunghi tra le percezioni e le soddisfazioni finali dei bisogni umani. Quando arriviamo alla nostra epoca, constatiamo che questa catena è molto più lunga e complessa. L'operaio che è licenziato prevede la fame che l'attende; acquista un giornale per vedere se ci sono offerte di lavoro; va alla ricerca di offerte, si presenta e solo più tardi gli toccherà un salario con cui potrà acquistare del cibo e proteggersi contro la carestia. Tutto ciò sarà innanzitutto deliberato nella sua testa prima di essere messo in pratica. Quale lunga e tortuosa strada la mente deve seguire prima di raggiungere il suo scopo! Ma ciò è conforme alla complessità della nostra attuale società in seno alla quale l'uomo non può soddisfare i suoi bisogni che attraverso una tecnica altamente evoluta.
E’ a questo punto che Schopenhauer attirava la nostra attenzione, lo svolgimento nel cervello del filo della riflessione che anticipa l'azione e che deve essere compreso come il prodotto necessario dell'impiego di attrezzi. Ma non sempre abbiamo accesso all'essenziale. L'uomo non è il padrone di un solo attrezzo, ne ha numerosi, che utilizza per obiettivi differenti e tra i quali può scegliere. L'uomo, a causa di questi attrezzi, non è come l'animale. L'animale non va mai al di là degli attrezzi e delle armi che la natura gli ha offerto, mentre l'uomo può cambiare attrezzi artificiali. È qui che si trova la differenza fondamentale tra l'uomo e gli animali. L'uomo è in qualche modo un animale dagli organi modificabili e per tale motivo deve avere la capacità di scegliere tra i suoi attrezzi. Nella sua testa vanno e vengono diversi pensieri, la sua mente esamina tutti gli attrezzi e le conseguenze della loro applicazione, ed i suoi atti dipendono da questa riflessione. Combina anche un pensiero con un'altro, e fa propria velocemente l'idea che conviene al suo scopo. Questa deliberazione, questo libero paragone di una serie di sequenze di riflessioni individualmente scelte, questa proprietà che differenzia fondamentalmente il pensiero umano dal pensiero animale deve essere connessa direttamente alla volontà di utilizzazione di attrezzi scelti.
Gli animali non hanno questa capacità; questa sarebbe loro inutile perché non saprebbero che cosa farsene. A causa della loro forma corporale, le loro azioni sono strettamente limitate. Il leone può solo balzare sulla sua preda, ma non può pensare di catturarla solo rincorrendola. La lepre è costituita in una maniera che può fuggire; non ha nessuno altro mezzo di difesa, anche se desidererebbe averlo. Questi animali non hanno niente da prendere in considerazione, eccetto il momento in cui bisogna saltare o correre, il momento in cui le impressioni raggiungono una forza sufficiente per lo scatenarsi dell'azione. Ogni animale è costituito in modo tale da adattarsi ad uno stile di vita definito. Le loro azioni diventano e sono trasmesse come abitudini, istinti. Queste abitudini certamente non sono immutabili. Gli animali non sono delle macchine, quando sono sottomessi a differenti circostanze, possono acquisire delle abitudini differenti. Fisiologicamente ed in ciò che riguarda le attitudini, il funzionamento del loro cervello non è differente dal nostro. È solo a livello pratico del risultato. Non è nella qualità del loro cervello, ma nella formazione del loro corpo che risiedono le restrizioni animali. L'atto dell'animale è limitato dalla sua forma corporale e dal suo campo, ciò che gli lascia poco spazio per riflettere. La ragione umana sarebbe dunque per l'animale una facoltà totalmente inutile e senza oggetto, che non potrebbe applicare e che gli farebbe più male che bene.
D’altro lato, l'uomo deve possedere questa capacità perché esercita il suo discernimento nell'utilizzazione degli attrezzi e delle armi, che sceglie in funzione di condizioni particolari. Se vuole uccidere il cervo agile, prende l'arco e le frecce; se incontra l'orso, utilizza l'ascia, e se vuole aprire un certo frutto rompendolo, prende un martello. Quando il pericolo lo minaccia, l'uomo deve decidere se deve fuggire o difendersi combattendo con le armi. Questa capacità di pensare e di riflettere gli è indispensabile nella sua utilizzazione di attrezzi artificiali, proprio come il risveglio della mente appartiene in generale alla libera mobilità del mondo animale.
Questa potente connessione tra i pensieri, il linguaggio e gli attrezzi, ciascuno impossibile senza gli altri due, mostra che questi ultimi si sono dovuti sviluppare allo stesso tempo. Come questo sviluppo abbia avuto luogo, possiamo solamente supporlo. Fu, probabilmente, un cambiamento nelle circostanze della vita che ha fatto di un animale scimmiesco l'antenato dell'uomo. Dopo essere emigrato dai boschi, habitat originale delle scimmie, verso le pianure, l'uomo ha dovuto subire un totale cambiamento di vita. La differenza tra le mani per afferrare ed i piedi per correre si devono essere sviluppati allora. Questo essere ha portato dalle sue origini le due condizioni fondamentali per uno sviluppo verso un livello superiore: la socialità e la mano scimmiesca, proprio adattati per afferrare oggetti. I primi oggetti grezzi, come le pietre o i bastoni, utilizzati sporadicamente nel lavoro collettivo, capitavano involontariamente nelle mani ed erano poi gettati. Ciò si è dovuto ripetere istintivamente ed inconsapevolmente così spesso da lasciare un'impronta nella mente di questi uomini primitivi.
Per l'animale, la natura circostante è un tutto indifferenziato di cui non è cosciente dei dettagli. Non può fare la distinzione tra diversi oggetti perché gli manca il nome delle parti distinte e degli oggetti che permettono la differenziazione. Sicuramente, quest’ambiente naturale non è immutabile. Ai cambiamenti che significano ‘cibo’ o ‘pericolo’, l'animale reagisce in modo appropriato, con azioni specifiche. Globalmente, tuttavia, la natura resta indifferenziata ed il nostro uomo primitivo, al suo livello più basso, ha dovuto essere allo stesso livello di coscienza. A partire da questa globalità, si impongono progressivamente per il lavoro stesso - il contenuto principale dell'esistenza umana - quelle cose che sono utilizzate per il lavoro. L'attrezzo che talvolta è un qualsiasi elemento inanimato del mondo esterno e che talvolta agisce come un organo del nostro corpo, ispirato dalla nostra volontà, si trova al tempo stesso fuori dal mondo esterno e fuori dal nostro corpo, queste dimensioni evidenti per l'uomo primitivo che egli non nota. Questi attrezzi che sono aiuti importanti, si sono visti attribuire una certa designazione, sono stati designati da un suono che allo stesso tempo richiamava l'attività particolare. Con questa designazione, l'attrezzo si libera come cosa particolare dal resto dell'ambiente naturale. L'uomo comincia così ad analizzare il mondo per mezzo di concetti e di nomi, la consapevolezza di sé fa la sua apparizione, degli oggetti artificiali sono ricercati di proposito ed utilizzati in conoscenza di causa per lavorare.
Questo processo - poiché è un processo molto lento - segna il principio della nostra trasformazione in uomini. Quando gli uomini hanno cercato deliberatamente e hanno utilizzato certi attrezzi, questi ultimi, possiamo dire, sono stati ‘prodotti’; da questa tappa a quella della fabbricazione di attrezzi, non c’è che un passo. Col primo nome ed il primo pensiero astratto, l'uomo è fondamentalmente nato. Una lunga strada resta allora da compiere: i primi attrezzi grezzi differiscono già secondo la loro utilizzazione; a partire dalla pietra appuntita otteniamo il coltello, il cuneo, la punta, la lancia; a partire dal bastone otteniamo la scure. Così, l'uomo primitivo è pronto ad affrontare la belva e la foresta e si presenta già come il futuro re della terra. Con una maggiore differenziazione degli attrezzi che più tardi andranno a servire alla divisione del lavoro, il linguaggio ed il pensiero prendono delle forme più ricche e nuove e, reciprocamente, il pensiero conduce l'uomo ad utilizzare meglio gli attrezzi, a migliorare i vecchi e ad inventarne di nuovi.
Così vediamo che una cosa ne comporta un'altra. La pratica delle relazioni sociali e del lavoro è la sorgente dove la tecnica, il pensiero, gli attrezzi e la scienza prendono la loro origine e si sviluppano continuamente. Attraverso il suo lavoro, l'uomo primitivo scimmiesco si è elevato alla vera umanità. L'utilizzazione degli attrezzi segna la grande rottura che va ad ingrandirsi in modo crescente tra gli uomini e gli animali.
IX - Organi animali ed attrezzi umani
È su questo punto che abbiamo la differenza principale tra gli uomini e gli animali. L'animale ottiene il suo cibo e vince i suoi nemici con i propri organi corporei; l'uomo fa la stessa cosa con l'aiuto di attrezzi artificiali. Organo (organon) è una parola greca che significa proprio attrezzo. Gli organi sono gli attrezzi naturali dell'animale, annesso al suo corpo. Gli attrezzi sono gli organi artificiali degli uomini. Meglio ancora: ciò che l'organo è per l'animale, la mano e l'attrezzo lo sono per l'uomo. Le mani e gli attrezzi compiono le funzioni che l'organo animale deve compiere da solo. Per la sua struttura, la mano, specializzata per tenere e manovrare diversi attrezzi, diventa un organo generale adattato ad ogni tipo di lavoro; gli attrezzi sono cose inanimate che sono prese a turno in mano e che fanno della mano un organo variabile che può compiere una diversità di funzioni.
Con la divisione di queste funzioni, si apre agli uomini un largo campo di sviluppo che gli animali non conoscono. Poiché la mano umana può utilizzare diversi attrezzi, può combinare le funzioni di tutti gli organi possibili che gli animali possiedono. Ogni animale è costruito ed è adattato ad un ambiente e ad uno stile di vita definito. L'uomo, con i suoi attrezzi, si adatta a tutte le circostanze ed è attrezzato per tutti gli ambienti naturali. Il cavallo è fatto per la prateria, e la scimmia per la foresta. Nella foresta, il cavallo si smarrirebbe come accadrebbe alla scimmia nella prateria. L'uomo, da parte sua, utilizza l'ascia nella foresta e la vanga nella prateria. Con i suoi attrezzi, l'uomo può aprirsi una strada in tutte le regioni del mondo e può stabilirsi ovunque. Mentre tutti gli animali possono vivere quasi solamente in regioni particolari, là dove possono provvedere ai loro bisogni, e non possono vivere altrove, l'uomo ha conquistato il mondo intero. Come ha espresso una volta uno zoologo, ogni animale possiede i suoi punti forti grazie ai quali si mantiene nella lotta per l'esistenza, e delle debolezze proprie che fanno di lui una preda per altri e gli impediscono di moltiplicarsi. In questo senso, l'uomo ha solo forza e non debolezza. Grazie ai suoi attrezzi, l'uomo è l’equivalente di tutti gli animali. Poiché i suoi attrezzi migliorano continuamente, l'uomo si sviluppa al di sopra di tutti gli animali. Con i suoi attrezzi, diventa il padrone di tutta la creazione, il Re della terra.
Anche nel mondo animale, esistono uno sviluppo ed un perfezionamento continuo degli organi. Ma questo sviluppo è legato ai cambiamenti del corpo dell'animale che rende lo sviluppo degli organi infinitamente lento, dettato dalle leggi biologiche. Nello sviluppo del mondo organico, migliaia di anni contano poco. L'uomo, al contrario, trasferendo il suo sviluppo organico su degli oggetti esterni, si è potuto liberare dall'asservimento alla legge biologica. Gli attrezzi possono essere trasformati velocemente, e la tecnica fa degli avanzamenti così veloci rispetto allo sviluppo degli organi animali, che può solo suscitare meraviglia. Grazie a questa nuova via, l'uomo ha potuto, durante il breve periodo di alcune migliaia di anni, elevarsi al di sopra dei più evoluti degli animali nel mentre che questi ultimi superavano i meno evoluti. Con l'invenzione degli attrezzi artificiali, in qualche modo, è stata messa la fine all'evoluzione animale. Il piccolo della scimmia si è sviluppato ad una velocità fenomenale fino ad un potere divino, ed egli ha preso possesso della terra sottomettendola alla sua autorità esclusiva. L'evoluzione, fin qui tranquilla e senza ingombro, del mondo organico, smette di svilupparsi secondo le leggi della teoria darwinista. È l'uomo che agisce nel mondo delle piante e degli animali in quanto selezionatore, domatore, coltivatore; ed è l'uomo che dissoda. Trasforma tutto l'ambiente naturale, creando nuove forme di piante e di animali adattate corrispondenti ai suoi obiettivi ed alla sua volontà.
Questo spiega anche perché, con l'apparizione degli attrezzi, il corpo umano non cambia più. Gli organi umani rimangono ciò che erano, all'eccezione notoria del cervello. Il cervello umano si è dovuto sviluppare parallelamente agli attrezzi; e, in effetti, vediamo che la differenza tra le razze più evolute dell'umanità e quelle meno evolute risiede principalmente nel contenuto del loro cervello. Ma anche lo sviluppo di questo organo si è dovuto fermare ad una certa tappa. Dall'inizio della civiltà, certe funzioni sono risparmiate continuamente al cervello attraverso mezzi artificiali; la scienza è conservata preziosamente in questi granai che sono i libri. La nostra facoltà di ragionamento di oggi non è talmente superiore a quella che avevano i greci, i Romani o anche i germanici, ma la nostra conoscenza si è sviluppata immensamente, e questo è dovuto, in grande parte, al fatto che il cervello è stato scaricato sui suoi sostituti, i libri.
Adesso che abbiamo stabilito la differenza tra gli uomini e gli animali, voltiamo di nuovo lo sguardo sul modo con cui i due gruppi sono implicati nella lotta per l'esistenza. Che questa lotta sia all'origine della perfezione nella misura in cui ciò che è imperfetto è eliminato, non può essere negato. In questo combattimento, gli animali si avvicinano sempre più alla perfezione. È tuttavia necessario essere più precisi nell'espressione e nell'osservazione di che cosa consiste questa perfezione. Facendo ciò, non possiamo più dire che sono gli animali nella loro totalità che lottano e si perfezionano. Gli animali lottano e si fanno concorrenza attraverso organi particolari, quelli che sono determinanti nella lotta per la sopravvivenza. I leoni non combattono con la loro coda; le lepri non si fidano della loro vista; ed il successo dei falchi non viene dal loro becco. I leoni lottano con l'aiuto dei loro muscoli, per balzare, e dei loro denti; le lepri contano sulle loro zampe e i loro orecchi, ed i falchi riescono grazie ai loro occhi ed alle loro ali. Se adesso ci chiediamo cosa è ciò che lotta ed entra in competizione, la risposta è: lottano gli organi e facendo questo, diventano sempre più perfetti. I muscoli ed i denti per il leone, le zampe e gli orecchi per la lepre, gli occhi e le ali per il falco conducono la lotta. È in questa lotta che gli organi si perfezionano. L'animale nel suo insieme dipende da questi organi e condivide la loro sorte, quello dei forti che saranno vittoriosi o dei deboli che saranno vinti.
Adesso, poniamoci la stessa domanda a proposito del mondo umano. Gli uomini non lottano per mezzo dei loro organi naturali, ma per mezzo di organi artificiali, con l'aiuto degli attrezzi, e delle armi che dobbiamo considerare come attrezzi. Anche qui, il principio della perfezione e dell'eliminazione attraverso la lotta di ciò che è imperfetto, si rivela reale. Gli attrezzi entrano in lotta, e ciò conduce sempre più al perfezionamento importante di questi ultimi. Le comunità tribali che utilizzano migliori attrezzi e migliori armi possono meglio assicurare la loro sussistenza e, quando entrano in lotta diretta con un'altra razza, la razza che è meglio dotata di attrezzi artificiali vincerà e sterminerà i più deboli. I grandi miglioramenti della tecnica e dei metodi di lavoro alle origini dell'umanità, come l'introduzione dell'agricoltura e dell'allevamento, fanno fisicamente dell'uomo una razza più solida che soffre meno della durezza degli elementi naturali. Le razze il cui materiale tecnico è meglio evoluto, possono cacciare o sottomettere quelle il cui materiale artificiale non è sviluppato, possono assicurarsi migliori terre e sviluppare la loro civiltà. Il dominio della razza[3] europea è basato sulla sua supremazia tecnica.
Qui vediamo che il principio della lotta per l'esistenza, formulato da Darwin e sottolineato da Spencer, esercita un effetto differente sugli uomini e sugli animali. Il principio secondo cui la lotta porta al perfezionamento delle armi utilizzate nei conflitti, conduce a risultati differenti negli uomini e negli animali. Nell'animale, conduce ad un sviluppo continuo degli organi naturali; è la base della teoria della filiazione, l’essenza del darwinismo. Negli uomini, conduce ad uno sviluppo continuo degli attrezzi, delle tecniche dei mezzi di produzione. E questo è il fondamento del marxismo.
Appare qui, dunque, che il marxismo ed il darwinismo non sono due teorie indipendenti che si applicherebbero ciascuna al loro campo specifico, senza nessuno punto comune tra esse. In realtà, lo stesso principio sottende le due teorie. Formano un'unità. La nuova direzione presa all'epoca dell'apparizione dell'uomo, la sostituzione degli attrezzi agli organi naturali, rende manifesto questo principio fondamentale in maniera differente nei due campi; quello del mondo animale si sviluppa secondo il principio darwinista mentre, per l'umanità, è il marxismo che individua la legge dello sviluppo. Quando gli uomini si sono staccati dal mondo animale, lo sviluppo degli attrezzi, dei modi produttivi, della divisione del lavoro e della conoscenza sono diventati la forza propulsiva dello sviluppo sociale. È questa forza che ha fatto nascere i differenti sistemi economici, come il comunismo primitivo, il sistema rurale, gli inizi della produzione commerciale, il feudalesimo e, ora, il capitalismo moderno. Ci resta ora da caratterizzare il modo di produzione attuale ed il suo superamento con coerenza ed applicare su di essi in modo corretto la posizione di base del darwinismo.
X - Capitalismo e socialismo
La forma particolare che prende la lotta darwinista per l'esistenza come forza motrice per lo sviluppo nel mondo umano, è determinata dalla socialità degli uomini e dalla loro utilizzazione degli attrezzi. Gli uomini conducono collettivamente la lotta, in gruppi. La lotta per l'esistenza, mentre prosegue ancora tra i membri di gruppi differenti, cessa tuttavia presso i membri dello stesso gruppo, ed essa è sostituita dalla solidarietà e dai sentimenti sociali. Nella lotta tra i gruppi, l'attrezzatura tecnica decide chi sarà il vincitore; ciò ha come conseguenza il progresso della tecnica. Queste due circostanze conducono ad effetti differenti sotto sistemi sociali differenti. Vediamo in che modo si manifestano sotto il capitalismo.
Quando la borghesia prese il potere politico e fece del modo di produzione capitalista il modo dominante, cominciò col rompere le barriere feudali e rendere le persone libere. Per il capitalismo, era essenziale che ogni produttore potesse partecipare liberamente alla lotta concorrenziale, senza che nessun legame ostacolasse la propria libertà di movimento, che nessuna attività venisse frenata o paralizzata dai doveri di corporazione o da statuti giuridici, perché era solamente a questa condizione che la produzione avrebbe potuto sviluppare la sua piena capacità. Gli operai devono essere liberi e non essere sottomessi alle costrizioni feudali o di corporazione, perché è solamente in quanto operai liberi che possono vendere la loro forza di lavoro come merce ai capitalisti, ed è solamente se sono dei lavoratori liberi che i capitalisti possono adoperarli pienamente. È per questa ragione che la borghesia ha eliminato tutti i legami e i doveri del passato. Ha liberato completamente le genti ma, allo stesso tempo, quest’ultime si sono trovate totalmente isolate e senza protezione. Una volta le persone non erano isolate; appartenevano ad una corporazione; erano sotto la protezione di un signore o di un comune dove trovavano la forza. Facevano parte di un gruppo sociale verso il quale avevano dei doveri e da cui ricevevano protezione. Questi doveri, la borghesia li ha soppressi; ha distrutto le corporazioni ed abolito i rapporti feudali. La liberazione del lavoro voleva dire anche che l'uomo non poteva trovare più rifugio da nessuna parte e non poteva contare più sugli altri. Ciascuno poteva contare solamente su sé stesso. Solo contro tutti, doveva lottare, libero da ogni legame ma anche da ogni protezione.
È per questa ragione che, sotto il capitalismo, il mondo umano somiglia più al mondo dei predatori ed è per questa stessa ragione che i darwinisti borghesi hanno ricercato il prototipo della società umana negli animali solitari. È la loro esperienza che li guidava. Tuttavia, il loro errore consisteva nel fatto che consideravano le condizioni capitaliste come le condizioni umane eterne. Il rapporto che esiste tra i nostri sistemi capitalisti concorrenziali e gli animali solitari sono stati espressi da Engels nel suo libro, L'Anti-Dühring (Capitolo II : Nozioni teoriche) come segue:
"La grande industria, infine, e la creazione del mercato mondiale hanno universalizzato la lotta ed al contempo le hanno dato una violenza inaudita. Tra capitalisti isolati, come tra industrie intere e paesi interi, sono le condizioni naturali o artificiali della produzione che, a seconda se sono più o meno favorevoli, decidono dell'esistenza. Il vinto è eliminato senza riguardo. È la lotta darwinista per l'esistenza dell'individuo trasposto dalla natura nella società con un rabbia decuplicata. La condizione dell'animale nella natura appare come l'apogeo dello sviluppo umano".
Che cosa è in lotta nella concorrenza capitalista, quale è la cosa la cui perfezione deciderà la vittoria?
Innanzitutto gli attrezzi tecnici, le macchine. Qui si applica di nuovo la legge secondo la quale la lotta conduce alla perfezione. La macchina maggiormente perfezionata supera quella che lo è meno, le macchine di cattiva qualità e la piccola attrezzatura sono eliminate, e la tecnica industriale effettua degli avanzamenti colossali verso una produttività sempre più grande. È la vera applicazione del darwinismo alla società umana. La cosa che gli è particolare, è che, sotto il capitalismo, c’è la proprietà privata e che, dietro ogni macchina, c'è un uomo. Dietro la macchina gigantesca, c'è un grande capitalista e dietro la piccola macchina, c'è un piccolo borghese. Con la sconfitta della piccola macchina, il piccolo borghese perisce, con tutte le sue illusioni e speranze. Al contempo la lotta è una corsa tra capitali. Il grande capitale è il meglio armato; il grande capitale vince il piccolo e, così, si ingrandisce ancora. Questa concentrazione di capitale sabota lo stesso capitale, perché riduce la borghesia il cui interesse è di mantenere il capitalismo, mentre aumenta la massa che cerca di sopprimerlo. In questo sviluppo, una delle caratteristiche del capitalismo è gradatamente soppressa. In questo mondo in cui ciascuno lotta contro tutti e tutti contro ciascuno, la classe operaia sviluppa una nuova associazione, l'organizzazione di classe. Le organizzazioni della classe operaia cominciano a farla finita con la concorrenza che esiste tra gli operai ed uniscono le loro forze separate in una grande forza per la loro lotta contro il mondo esterno. Tutto ciò che si applica ai gruppi sociali si applica anche a questa nuova organizzazione di classe, nata da circostanze esterne. Nelle file di questa organizzazione di classe, si sviluppano in modo notevole le motivazioni sociali, i sentimenti morali, il sacrificio di sé e la devozione all'insieme del gruppo. Questa organizzazione solida dà alla classe operaia la grande forza di cui quest’ultima ha bisogno per vincere la classe capitalista. La lotta di classe che non è una lotta con gli attrezzi ma per il possesso degli attrezzi, una lotta per il possesso dell'attrezzatura tecnica dell'umanità, sarà determinata dalla forza dell'azione organizzata, dalla forza nascente della nuova organizzazione di classe che sorge. Attraverso la classe operaia organizzata emerge già un elemento della società socialista.
Consideriamo adesso il sistema di produzione futura, come esisterà nel socialismo. La lotta per il perfezionamento degli attrezzi che ha segnato tutta la storia dell'umanità, non si fermerà. Come precedentemente sotto il capitalismo, le macchine a tecnologia minore saranno superate e soppiantate da macchine superiori. Come già è successo, questo processo condurrà ad una maggiore produttività del lavoro. Ma, essendo stata abolita la proprietà privata dei mezzi di produzione, non si troverà più un uomo dietro ogni macchina della quale rivendica la proprietà condividendone la sorte. La loro concorrenza non sarà più di un processo innocente, condotto consapevolmente a buon fine dall'uomo, che dopo concertazione razionale, sostituirà semplicemente le vecchie macchine con delle migliori. È in senso metaforico che questo progresso si chiamerà lotta. Al contempo, la lotta reciproca degli uomini contro gli uomini cessa. Con l'abolizione delle classi, l'insieme del mondo civilizzato diventerà una grande comunità produttiva. Per lei vale ciò che vale per ogni comunità collettiva. In seno a questa comunità, la lotta che opponeva i propri membri cessa e si farà unicamente in direzione del mondo esterno. Ma al posto delle piccole comunità, ora avremo una comunità mondiale. Ciò significa che la lotta per l'esistenza nel mondo umano si ferma. Il combattimento verso l'esterno non sarà più una lotta contro la propria specie, ma una lotta per la sussistenza, una lotta contro la natura[4]. Ma, grazie allo sviluppo della tecnica e della scienza, questa non si potrà chiamare una lotta. La natura è subordinata all'uomo e, con pochi sforzi da parte di quest’ultimo, essa provvederà a lui con abbondanza. Qui, una nuova vita si apre all’Umanità: l’uscita dal mondo animale e la lotta per l'esistenza per mezzo di attrezzi raggiunge il suo termine. La forma umana della lotta per l'esistenza prende fine ed inizia un nuovo capitolo della storia dell'umanità.
Anton Pannekoek
[1] Questa idea è presente, invece, nel lavoro di Kautsky, rievocato e salutato da Pannekoek, L’etica e la concezione materialista della storia, come l'illustra la citazione seguente: "La legge morale è un impulso animale e nient’altro. Di là viene il suo carattere misterioso, questa voce interiore che non ha legame con nessun impulso esterno, né alcun interesse apparente; (…) La legge morale è un istinto universale, tanto potente come l'istinto di conservazione e di riproduzione; di là viene la sua forza, il suo potere al quale ubbidiamo senza riflettere; di là la nostra capacità di decidere velocemente, in certi casi, se un'azione è buona o cattiva, virtuosa o nociva; di là anche la forza di decisione del nostro giudizio morale e la difficoltà di dimostrarne il fondamento razionale quando si prova ad analizzarlo". L'antropologia di Darwin è spiegata, peraltro molto chiaramente, nella teoria "l'effetto reversivo dell'evoluzione" che sviluppa Patrick Tort, nel suo libro L’effetto Darwin: selezione naturale e nascita della civiltà (Edizioni du Seuil). I nostri lettori potranno trovare una presentazione di questo lavoro nell'articolo “A proposito del libro di Patrick Tort, L'effetto Darwin: Una concezione materialista delle origini della morale e della civiltà”, presente su questo sito.
[2] Bisogna notare che questa scala crescente di sentimenti di solidarietà in seno alla specie umana non sfugge a Darwin quando scrive: "nella misura in cui l'uomo avanza in civiltà, e le piccole tribù si riuniscono in comunità più larghe, la più semplice ragione dovrebbe indurre ogni individuo ad estendere i suoi istinti sociali e le sue simpatie a tutti i membri di una stessa nazione, anche se gli sono personalmente sconosciuti. Una volta raggiunto questo punto, non c'è più alcuna barriera artificiale per impedire alle sue simpatie di estendersi agli uomini di tutte le nazioni e di tutte le razze. È vero che se questi uomini si sono separati da lui per le grandi differenze di apparenze esterne o di abitudini, l'esperienza purtroppo ci mostra quanto lungo tempo sia necessario prima di guardarli come nostri simili". (La Filiazione dell'uomo, capitolo IV) (Nota della CCI)
[3] Scientificamente parlando, non esiste razza europea. Dicendo ciò, il fatto che Pannekoek utilizzi il termine razza per distinguere un tale sottoinsieme di esseri umani dall’altro non costituisce per niente una concessione ad un qualsiasi razzismo da parte sua. Su questo piano si inserisce anche, nella continuità di Darwin, che si è smarcato chiaramente dalle teorie razziste di scienziati del suo tempo come Eugenio Dally. Peraltro, bisogna ricordare che, alla fine del diciannovesimo secolo ed all'inizio del XX, il termine razza non era connotato come lo è oggi, come lo dimostra il fatto che certi iscritti al movimento operaio parlano anche, seppure impropriamente, della razza degli operai. (Nota della CCI)
[4] L'espressione "lotta contro la natura" è inadatta, si tratta di lotta per la padronanza della natura, la creazione della comunità umana mondiale che suppone che questa sia capace di vivere in totale armonia con la natura. (Nota della CCI)