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Sono ormai più di due anni che l’esercito americano ha preso il controllo dell’Iraq. E sono ugualmente più di due anni che il caos si sviluppa implacabilmente su tutto il paese. Circa 120.000 morti nella popolazione, 2000 soldati americani uccisi e 18.000 feriti, senza contare le distruzioni di abitazioni o di edifici pubblici: l’Iraq conosce una delle peggiori situazioni della sua storia, dopo la II Guerra mondiale e la guerra contro l’Iran. Ma, oltre alle devastazioni che si abbattono sugli Iracheni, questa guerra ha per effetto di attizzare ulteriormente le tensioni imperialiste di piccoli e grandi paesi, ed è l’insieme del Medio e vicino Oriente che è entrato irrimediabilmente in un periodo di instabilità più esplosiva che mai. Il triplo attentato di Amman in Giordania, che era stata finora risparmiata, ha segnato in maniera chiara la dinamica attuale di estensione di questa instabilità.
L’intervento americano ha così aperto la via ad una fase di accelerazione verso la barbarie militare, verso l’aggravarsi di tutti i conflitti aperti o latenti in una regione da sempre piena di pericoli.
Verso l’incendio dell’Iraq e del Medio-Oriente
La situazione dell’Iraq è quella di un paese devastato, in pieno marasma economico e sociale e in una situazione da vigilia di guerra civile. Il “nuovo Iraq” “prospero” e “democratico” annunciato dall’amministrazione Bush, è una rovina. La guerriglia permanente contro le forze di occupazione e la continuazione dei molteplici attentati perpetrati ignobilmente contro i civili iracheni, rendono completamente illusoria ogni idea di ricostruzione. Inoltre le divisioni tra cricche sunnite, sciite e curde, che prendono in ostaggio popolazioni provate e scombussolate, si sono violentemente acuite. E’ questo che si può prevedere per lo stato iracheno, attraversato come è dalle peggiori lacerazioni. Al nord, i Sunniti e i vecchi baasisti, sostenuti attivamente dalla Siria, fanno una continua pressione sui Curdi attraverso assassini allo scopo di cacciarli verso i confini della Turchia e dell’Iran. A Bagdad e al sud predominano invece le lotte tra frazioni sciite e sunnite. Omicidi, attentati e minacce sono il destino quotidiano delle relazioni tra queste due frazioni che si straziano reciprocamente per il controllo del potere.
Una tale situazione non poteva che aumentare gli appetiti imperialisti dell’Iran e della Siria. Quest’ultima fa già da base arretrata ai terroristi sunniti e ad altri ex-uomini di fiducia di Saddam Hussein, marcando così la sua volontà di intervenire in difesa dei suoi interessi nella mischia irachena. Un tale contesto, con la sua recente esclusione dall’altopiano del Golan, una delle sue rivendicazioni territoriali fondamentali, non ha potuto che attizzare ancora di più le sue velleità guerriere in direzione dell’Iraq.
Per quanto riguarda l’Iran, che gioca a braccio di ferro con gli Stati Uniti e i paesi europei sulla questione della costituzione di un armamento nucleare, il marasma esistente in Iraq e la posizione di forza degli Sciiti nel governo, in particolare nelle forze di sicurezza, è una vera fortuna. Esiste, sul breve periodo per lo Stato iraniano, una via aperta verso un’influenza determinante e preponderante in tutto il vicino Oriente e il rafforzamento di una posizione strategica sul Golfo Persico e le zone petrolifere. E’ questa prospettiva che lo spinge ad andare impettito di fronte alle grandi potenze; d’altra parte il ritorno in forze della frazione più retrograda e di “duri” del regime annunciano un’involuzione verso uno stato di guerra.
L’esodo delle popolazioni curde che si avviano verso il nord costituisce a sua volta un ulteriore fattore di instabilità di questa regione dell’Iraq che aveva conosciuto, nonostante la guerra, una calma relativa.
Infine, l’attentato che si è prodotto nel cuore di Amman e che tutta la borghesia internazionale si è affrettata a “denunciare”, è venuto a ricordarci che non un territorio, non una sola regione saranno risparmiati dalle forze distruttrici messe in moto in questo momento. Questo attentato-suicidio è tanto più significativo per il fatto che esso colpisce, attraverso la Giordania, gli interessi americani e fanno un legame diretto tra la questione dell’Iraq e quella del conflitto israelo-palestinese. Questo piccolo paese ha giocato in effetti un ruolo tampone determinante tra Israele e i gruppi palestinesi, l’OLP in particolare, che esso ha ospitato fino ai dirottamenti aerei dell’inizio degli anni ‘70, per conto dell’imperialismo americano. Si tratta dunque di un indefettibile alleato degli Stati Uniti e della Gran Bretagna che è attualmente sotto il fuoco dei terroristi, così come l’Arabia Saudita che subisce, a partire dall’ultima guerra in Iraq, gli attacchi ripetuti dei membri di Al Qaida.
Così, basta guardare una carta geografica per comprendere l’estensione del disastro che si sviluppa nel vicino e nel Medio Oriente.
In questa situazione occorre ancora prendere in considerazione la scalata guerriera portata avanti da Sharon che non può che portare ad un aggravamento delle tensioni con i Palestinesi e i diversi gruppi armati come Hamas, ma anche tra quest’ultimo e Al Fatah. Inoltre, la politica guerriera d’Israele, propinata sotto la maschera di un disimpegno dalla striscia di Gaza che è destinata a trasformarsi in un enorme ghetto, ha per obiettivo di controllare meglio e di attaccare il territorio della Cisgiordania, regione strategica importante per Tel-Aviv, ma anche, dietro a ciò, di dispiegare più mezzi in direzione del Libano.
Le difficoltà della prima potenza mondiale
In questa situazione è chiaro che l’amministrazione americana prova le più grandi difficoltà per continuare a giustificare il suo intervento e il mantenimento della sua presenza militare in Iraq. Quella della lotta contro il terrorismo ha fatto il suo tempo, nella misura in cui l’ondata di attentati non è mai rifluita, né in Iraq in presenza della prima potenza mondiale, né nel resto del pianeta. E piuttosto che l’instaurazione della “democrazia” e della “pace”, è il caos che regna sovrano. E’ per questo che l’amministrazione Bush si trova presa tra il fuoco delle critiche che subisce da parte dei suoi avversari all’interno della “comunità internazionale”, Francia e Germania in testa, e di quelle provenienti dalla stessa borghesia americana. Oltre ai democratici, sono gli stessi elettori di Bush, quelli del partito repubblicano, che cominciano a recalcitrare di fronte all’impopolarità crescente della politica guerriera americana. Il calo di popolarità di Bush negli Stati Uniti, i dibattiti che si sono aperti al Senato, a maggioranza repubblicana, sulla necessità per l’America di cominciare a ritirare le sue truppe dall’Iraq dal 2006, o ancora sulla questione della tortura di prigionieri di Guantanamo, le manipolazioni ormai accertate sulle prove fabbricate sull’esistenza di armi di distruzione di massa in Iraq, mostrano l’impasse nella quale si trova attualmente la borghesia d’oltre oceano.
La logica dell’occupazione si trova un giorno dopo l’altro ridotta a niente.
E, malgrado certi tentativi di dimostrazione della forza militare, che si è potuta vedere ad esempio attraverso l’offensiva di settembre contro i bastioni ribelli del nord dell’Iraq, l’impotenza degli Stati Uniti in Iraq è sempre più manifesta.
Così il Pentagono viene preso tra due fuochi:
- quello della pressione di una opinione pubblica che esprime la sua inquietudine di fronte all’inutilità dell’operazione militare in Iraq, pressione che lo spinge a partire il più rapidamente possibile;
- quello di una situazione di catastrofe sociale esistente in Iraq che contraddice completamente gli annunci di ripristino della pace e della stabilità “democratica” promesse prima dell’intervento militare e che erano le maggiori giustificazioni dell’intervento stesso.
Questa posizione difficile in cui si trovano gli Stati Uniti non può che far piacere alle potenze che si sono opposte alla guerra in Iraq, in quanto serve loro come base per le loro critiche alla prima potenza mondiale e per giustificare i loro propri intrighi imperialisti sotto il pretesto di offrire i loro buoni uffici. E’ questo che abbiamo visto per esempio in occasione dell’attentato di Amman, dove la Francia, attraverso la voce di Villepin, si è data da fare per proporre il suo aiuto alla Giordania, cercando in realtà di utilizzare questi attentati per invadere il campo degli americani.
Il mondo che la borghesia prepara all’umanità si può misurare alla luce degli orrori che si producono in Iraq e nella regione del Medio Oriente, ma anche nel resto del pianeta, e le sue menzogne sono formulate in ragione dei colpi che questa ci prepara.
L’irrazionale fuga in avanti del capitalismo nel caos e la barbarie guerriera trascina il mondo alla rovina. Solo il rovesciamento e la distruzione di questo sistema potrà permettere di costruire un’altra società, il comunismo.
Mulan (19 novembre)