Immigrazione e movimento operaio

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Con l'aggravamento della crisi economica e della decomposizione sociale, ovunque nel mondo le condizioni di vita sono sempre più intollerabili, specialmente nei paesi del Terzo Mondo. La miseria, le catastrofi naturali, le guerre, la pulizia etnica, la carestia, la barbarie totale sono realtà quotidiane per milioni di persone ed i loro effetti accumulati spingono all'immigrazione di massa. Milioni di persone fuggono verso le grandi metropoli capitaliste o versi altri paesi anche sottosviluppati ma che sono in una situazione un poco meno disperata.

Le Nazioni Unite stimano che 200 milioni di immigrati – circa il 3% del popolazione mondiale - vivono fuori dal loro paese di origine, il doppio del 1980. Negli Stati Uniti, 33 milioni di abitanti sono nati all'estero, circa l’11,7 % della popolazione; in Germania, 10,1 milioni, 12,3 %; in Francia, 6,4 milioni, 10,7 %; nel Regno Unito, 5,8 milioni, 9,7 %; in Spagna, 4,8 milioni, 8,5 %; in Italia, 2,5 milioni, 4,3 %; in Svizzera, 1,7 milione, il 22,9% e nei Paesi Bassi, 1,6 milioni[1]. Le fonti governative e mediatiche stimano che ci sono più di 12 milioni di immigrati clandestini negli Stati Uniti e più di 8 milioni nell’Unione Europea. In questo contesto, l'immigrazione è diventata una questione politica bruciante in tutte le metropoli capitaliste, ed anche nel Terzo Mondo, come le recenti sommosse anti-immigrati in Africa meridionale hanno mostrato.

Sebbene esistono delle variazioni secondo i paesi e loro specificità, l'atteggiamento della borghesia di fronte a questa immigrazione massiccia segue in generale lo stesso schema: 1) incoraggiare l'immigrazione per ragioni economiche e politiche; 2) contemporaneamente contenerla e tentare di controllarla; 3) orchestrare campagne ideologiche per alimentare razzismo e xenofobia contro gli immigrati dividendo così la classe operaia.

Incoraggiare l’immigrazione: La classe dominante conta sui lavoratori immigrati, legali o illegali, per occupare posti di lavoro mal pagati, poco ambiti dagli operai del paese, per sfruttarli come esercito di riserva di disoccupati e mano d’opera a basso costo, per fare abbassare i salari di tutta la classe operaia e sopperire alla diminuzione di mano d’opera risultante dall'invecchiamento della popolazione e dalla riduzione dei tassi di natalità. Negli Stati Uniti, la classe dominante è completamente cosciente che interi settori produttivi come il piccolo commercio, la costruzione, il trattamento della carne e del pollame, i servizi di pulizia, gli hotel, la ristorazione, i servizi di salute a domicilio e di guardia di bambini si basano maggiormente sul lavoro degli immigrati, legali o illegali. E’ per tale motivo che le rivendicazioni dell'estrema destra di espellere 12 milioni di immigrati illegali e ridurre l'immigrazione legale non rappresentano per niente un'alternativa politica razionale per le frazioni dominanti della borghesia americana e sono state rigettate come irrazionali, impraticabili e nocive per l'economia degli Stati Uniti.

Contenerla e controllarla: allo stesso tempo, la frazione dominante riconosce la necessità di risolvere la questione dello statuto degli immigrati senza permesso di soggiorno per mantenere un controllo su una moltitudine di problemi sociali, economici e politici, compresa l'esistenza e la concessione di servizi medici, sociali, educativi ed altri servizi pubblici, così come tutta una serie di questioni legali relative ai figli di immigrati nati negli Stati Uniti ed alle loro proprietà. Era questa la piattaforma della riforma sull'immigrazione proposta nella primavera 2007 negli Stati Uniti e sostenuta dall'amministrazione Bush e dai Repubblicani, dai Democratici (compresa la loro ala sinistra espressa dal vecchio senatore Edward Kennedy) e dalle grandi imprese. Lungi dall’essere in favore dell'immigrazione, la legge chiedeva di chiudere la frontiera e di militarizzarla, la legalizzazione degli immigrati senza documenti già presenti nel paese e misure di controllo sui futuri immigrati. La proposta agli immigrati illegali già presenti nel paese di legalizzare il loro statuto, non costituiva per niente una "amnistia" e prevedeva scadenze e multe enormi.

Le campagne ideologiche: le campagne di propaganda contro gli immigrati variano secondo i paesi, ma il centro del loro messaggio è notevolmente simile; negli Stati Uniti è rivolto in primo luogo ai "Latini" ed in Europa ai musulmani, col pretesto che questi ultimi immigrati, in particolare gli illegali, sarebbero responsabili dell'aggravamento della crisi economica e delle condizioni sociali con cui si sta scontrando la classe operaia del "paese". Ciò in quanto essi occuperebbero i suoi posti di lavoro, determinerebbero l’abbassamento dei suoi salari, affollerebbero le scuole con i loro bambini, prosciugherebbero i programmi di assistenza sociale, aumenterebbero la criminalità e tutte le altre disgrazie sociali che potremmo pensare. È un esempio classico della strategia del capitalismo di dividere per regnare, dividere gli operai tra loro così che accusandosi reciprocamente di essere responsabili dei loro problemi, si azzuffano per delle briciole, piuttosto di comprendere che è il sistema capitalista il responsabile delle loro sofferenze. Ciò serve a deviare la capacità della classe operaia di riprendere coscienza della sua identità di classe e della sua unità, ciò che la borghesia teme più di ogni altra cosa. Nella divisione del lavoro in seno alla borghesia la caratteristica tipica è l’assegnazione all'ala destra del compito di aizzare e sfruttare il sentimento anti-immigrati in tutte le grandi metropoli capitaliste, con un successo più o meno elevato e che trova una qualche eco anche in alcuni settori del proletariato; ma in nessuna parte del mondo ha raggiunto il livello di barbarie delle sommosse xenofobe contro gli immigrati come in Africa meridionale nel maggio 2008.

L’aggravarsi delle condizioni nei paesi sottosviluppati nei prossimi anni, determinato non solo dagli effetti della decomposizione e della guerra ma anche dai cambiamenti climatici, porterà il problema dell'immigrazione ad assumere nel futuro probabilmente un’importanza maggiore. È essenziale che il movimento operaio sia chiaro sul significato del fenomeno dell'immigrazione, sulla strategia della borghesia di fronte a quest’ultima, sulla sua politica e campagne ideologiche, e sulla prospettiva del proletariato su questa questione. In questo articolo esamineremo il ruolo storico dell'immigrazione di popolazioni nella storia del capitalismo, la storia della questione dell'immigrazione in seno al movimento operaio sulla politica di immigrazione della borghesia ed un orientamento per l'intervento dei rivoluzionari sull'immigrazione.

L’immigrazione e lo sviluppo capitalista

Nel suo periodo ascendente, il capitalismo ha dato un'enorme importanza alla mobilità della classe operaia come fattore di sviluppo del suo modo di produzione. Durante il feudalismo, la popolazione lavoratrice era legata alla terra, e difficilmente si spostava durante tutta la sua vita. Espropriando i produttori agricoli, il capitalismo ha costretto larghe parti di popolazioni a lasciare la campagna per la città, a vendere la loro forza lavoro, costituendo una riserva indispensabile di forza lavoro.

Come sottolineato da Révolution Internationale nel suo articolo “La classe operaia, una classe di immigrati”[2]: “All’inizio del capitalismo, durante il suo periodo di accumulazione primitiva, i legami dei primi lavoratori salariati con i loro signori feudali furono rotti e “[le rivoluzioni] privando grandi masse dei loro mezzi di produzione e di esistenza tradizionale, lanciarono quest’ultime inaspettatamente sul mercato del lavoro, proletari senza casa, né patria. Ma la base di tutta questa evoluzione, è l'espropriazione dei coltivatori”[3]. Come scritto da Lenin “il capitalismo implica inevitabilmente una mobilità della popolazione i cui regimi economici precedenti non ne avevano bisogno se non a scala estremamente ridotta[4] (citato in WR n° 300). Durante la fase ascendente, la migrazione di massa ha avuto un'importanza decisiva per lo sviluppo del capitalismo nel suo periodo di industrializzazione. Il movimento e lo spostamento di masse di operai verso luoghi in cui il capitale ne aveva bisogno, erano essenziali. Dal 1848 al 1914, 50 milioni di persone lasciarono l'Europa, la grande maggioranza si installò negli Stati Uniti. Tra il 1900 ed il 1914, soltanto 20 milioni di persone emigrarono dall'Europa negli Stati Uniti. Nel 1900, la popolazione americana era approssimativamente di 75 milioni; nel 1914 era di circa 94 milioni - ciò significa che nel 1914, più di un quinto era composto da nuovi immigrati - senza contare quelli che erano arrivati prima del 1900. Se si contano i figli di immigrati nati negli Stati Uniti, l'impatto degli immigrati sulla vita sociale è ancora più significativo. Durante questo periodo, la borghesia americana ha seguito essenzialmente una politica di apertura completa all'immigrazione, eccetto restrizioni verso gli immigrati asiatici. Ciò che motivava gli operai immigrati a sradicarsi, era la promessa di migliorare il loro livello di vita, la fuga dalla povertà e dalla carestia, dall'oppressione e dalla mancanza di prospettive.

Con la sua politica che incoraggiava l'immigrazione, la borghesia non esitò a condurre, contemporaneamente, campagne xenofobe e razziste per dividere la classe operaia. Si sobillavano quelli che si chiamavano operai "nativi" ("indigeni" workers, operai "del paese", "di ceppo"), - alcuni dei quali erano, essi stessi, di seconda o terza generazione di immigrati - contro i nuovi arrivati che venivano additati per le loro differenze linguistiche, culturali e religiose. Anche tra i nuovi arrivati, gli antagonismi etnici erano utilizzati per alimentare la strategia di divisione. È importante ricordarsi che la paura e la diffidenza verso gli stranieri hanno profonde radici psicologiche in questa società, ed il capitalismo non ha mai esitato a sfruttare questo fenomeno per i suoi sordidi fini. La borghesia, americana in particolare, ha utilizzato questa tattica "dividere per regnare" per contrastare la tendenza storica all'unità della classe operaia e meglio soggiogare il proletariato. In una lettera a Hermann Schlüter, nel 1892, Engels notava: "la Vostra borghesia sa molto meglio dello stesso governo austriaco contrapporre una nazionalità all’altra: ebrei, italiani, boemi, ecc., contro tedeschi ed irlandesi, e ciascuno di essi contro gli altri". È un'arma ideologica classica del nemico di classe.

Mentre l'immigrazione nel periodo di ascesa del capitalismo è stata in gran parte favorita per soddisfare i bisogni di forza lavoro di un modo di produzione storicamente progressista, che si sviluppava e si estendeva velocemente, nella decadenza, col rallentamento dei tassi di crescita esponenziali, i motivi che favorirono l’immigrazione provenivano da fattori più negativi. La necessità di sfuggire alla persecuzione, alla carestia ed alla povertà, che hanno spinto milioni di operai durante il periodo di ascesa ad emigrare per trovare un lavoro ed una vita migliore, è aumentata inevitabilmente nel periodo di decadenza, con un livello d’urgenza maggiore. In particolare, le nuove caratteristiche della guerra nella decadenza hanno dato un nuovo impulso all'emigrazione di massa ed al flusso di profughi. Nell'ascesa, le guerre si limitavano innanzitutto al conflitto tra eserciti professionisti sui campi di battaglia. Con l'inizio della decadenza, la natura della guerra si è trasformata in modo significativo, coinvolgendo tutta la popolazione e tutto l'apparato economico del capitale nazionale. Terrorizzare e demoralizzare la popolazione civile sono diventati un obiettivo tattico principale che ha prodotto le massicce migrazioni di profughi nel 20° ed ora nel 21° secolo. Durante la guerra attuale in Iraq si stima, per esempio, a due milioni i profughi che cercano salvezza in Giordania e soprattutto in Siria. Gli emigranti che fuggono dal loro paese d’origine sono ancora perseguitati per strada da poliziotti e militari corrotti, dalla mafia e dai criminali che gli estorcono i beni, li brutalizzano e li derubano durante il viaggio disperato verso quella che sperano possa essere una vita la migliore. Molti muoiono o spariscono durante il viaggio, alcuni cadono tra le mani di trafficanti di uomini. Bisogna sottolineare che le forze di giustizia e dell’ordine capitalista sembrano incapaci o non vogliano fare niente per attenuare i mali sociali che corredano l'immigrazione massiccia del periodo attuale.

Negli Stati Uniti, la decadenza è stata caratterizzata da un cambiamento brusco: da una politica di larga apertura all'immigrazione, (eccettuo quella che riguarda le restrizioni di lunga data verso gli asiatici) a politiche governative estremamente restrittive nei confronti dell’immigrazione. Col cambiamento del periodo economico, si è avuto globalmente meno bisogno di un afflusso continuo e massiccio di forza lavoro. Ma questa non è stata la sola ragione di un'immigrazione più controllata, sono anche intervenuti fattori razzisti e "anti-comunisti". Il Nationale Origins Act, legge adottata nel 1924, limitò il numero di emigranti che venivano dall'Europa a 150.000 persone per anno e fissò la quota per ogni paese sulla base della composizione etnica della popolazione americana nel 1890 - prima dell'ondata massiccia di emigrazione proveniente dall’Europa dell’Est e del Sud. Gli operai immigrati dell'Europa dell'Est erano accettati a causa di un razzismo sfrontato che spingeva a rallentare l'aumento di elementi "indesiderabili" come gli italiani, i greci, gli europei dell'Est e gli ebrei. Durante l'isteria rossa negli Stati Uniti che fece seguito alla Rivoluzione russa, si pensava che tra gli operai immigrati dell'Europa dell'Est fossero raggruppati un numero sproporzionato di "Bolscevichi" e quelli dell'Europa del Sud, di anarchici. Per ridurre maggiormente il flusso di immigrati, la legge del 1924 creò, per la prima volta negli Stati Uniti, il concetto di operaio straniero non immigrante - che poteva venire negli Stati Uniti ma non aveva il diritto di rimanere.

Nel 1950, fu promulgato il McCarran-Walter Act. Pesantemente influenzata dal maccartismo e dall'isteria anti-comunista della Guerra fredda, questa legge imponeva nuovi limiti all'immigrazione con il pretesto della lotta contro l'imperialismo russo. Alla fine degli anni 1960, con l'inizio della crisi aperta del capitalismo mondiale, l'immigrazione americana venne liberalizzata, aumentando il flusso degli immigrati verso gli Stati Uniti provenienti non solo dall'Europa, ma anche dall’Asia e dall'America latina, riflettendo in parte il desiderio del capitalismo americano di uguagliare il successo delle potenze europee drenando dai loro vecchi paesi coloniali lavoratori intellettuali qualificati e di talento, come scienziati, medici, infermieri ed altri professionisti - quella che viene chiamata “la fuga dei cervelli” dei paesi sottosviluppati - ed anche  per avere a disposizione operai agricoli a salario ancora più basso. La conseguenza inattesa delle misure di liberalizzazione fu l’aumento spettacolare dell'immigrazione, tanto legale che illegale, in particolare di provenienza dall'America latina.

Nel 1986, la politica americana anti-immigrazione fu aggiornata con la promulgazione del Simpson-Rodino Immigration and naturalization Control Reform Act che trattava dell'afflusso di immigrati illegali provenienti dall'America latina ed imponeva, per la prima volta nella storia dell'America, sanzioni, multe ed anche arresto, contro i datori di lavoro che assumevano, essendone a conoscenza, operai senza permessi. L'afflusso di immigrati illegali si è intensificato col crollo economico dei paesi del Terzo Mondo durante gli anni 1970, ed ha scatenato un'ondata di emigrazione di masse impoverite che sfuggivano alla miseria in Messico, ad Haiti e nel Salvador devastato dalla guerra. L'enormità di questa ondata fuori controllo si riflette nel numero record di 1,6 milione di arresti di immigrati clandestini nel 1986 da parte della polizia americana anti-immigrazione.

Per quanto riguarda le campagne ideologiche, l'utilizzazione della strategia "dividere per regnare" nei confronti dell’immigrazione, già utilizzata come tattica contro il proletariato durante l'ascesa del capitalismo, ha raggiunto nuove vette durante la decadenza. Gli immigrati sono accusati di invadere le metropoli, di essere causa dell’abbassamento dei salari e di deprezzarli, di epidemie, di criminalità e di “inquinamento” culturale, di affollare le scuole, di aggravare maggiormente la realizzazione di programmi sociali – in breve di tutti i problemi sociali immaginabili. Questa tattica non si limita agli Stati Uniti ma è utilizzata anche in Francia, in Germania ed in tutta l'Europa (dove gli immigrati dell'Europa dell’Est vengono utilizzati da capro espiatorio per le calamità sociali dovute alla crisi ed al capitalismo in decomposizione) in campagne ideologicamente molto simili. Dimostrando così che l'immigrazione di massa è una manifestazione della crisi economica globale e della decomposizione sociale che si aggrava nei paesi meno evoluti. Tutto ciò serve a creare ostacoli e bloccare lo sviluppo della coscienza di classe, serve a disorientare gli operai affinché non comprendano che è il capitalismo a creare le guerre, la crisi economica e tutti i problemi sociali caratteristici della sua decomposizione sociale.

L’impatto sociale dell'aggravamento della decomposizione e delle crisi, che va di pari passo con lo sviluppo della crisi ecologica, porterà sicuramente negli anni futuri milioni di profughi verso i paesi evoluti. Se questi spostamenti massicci ed improvvisi di popolazioni verranno trattati diversamente rispetto all’immigrazione solita, lo saranno sempre in una maniera tale da mostrare l'inumanità che è alla base della società capitalista. I rifugiati sono spesso ammassati in accampamenti, isolati dalla società che li circonda ed integrati lentamente, talvolta dopo numerosi anni; sono trattati più come prigionieri ed indesiderabili che come membri della comunità umana. Un tale atteggiamento è totalmente opposto alla solidarietà internazionalista che costituisce chiaramente la prospettiva proletaria.

La posizione storica del movimento operaio sull'immigrazione

Di fronte all'esistenza di differenze etniche, di razza e di lingua degli operai, da un punto di vista storico il movimento operaio è stato guidato dal principio: "gli operai non hanno patria", un principio che ha influenzato al tempo stesso la vita interna del movimento operaio rivoluzionario e l'intervento di questo movimento nella lotta di classe. Ogni compromesso verso questo principio rappresenta una capitolazione verso l'ideologia borghese.

Così, per esempio, nel 1847, i membri tedeschi della Lega dei Comunisti esiliati a Londra, benchè si preoccupassero in primo luogo della propaganda verso gli operai tedeschi, hanno aderito alla visione internazionalista e hanno “mantenuto strette relazioni con i rifugiati politici di ogni paese[5]. A Bruxelles, la Lega ha “organizzato un banchetto internazionalista per dimostrare i sentimenti fraterni che gli operai avevano verso gli operai degli altri paesi... a questo banchetto hanno partecipato centoventi operai tra cui belgi, tedeschi, svizzeri, francesi, polacchi, italiani ed un russo[6]. Vent'anni più tardi, la stessa preoccupazione ha spinto la Prima Internazionale ad intervenire negli scioperi con due obiettivi principali: impedire alla borghesia di far venire dei crumiri dall’estero e portare un sostegno diretto agli scioperanti come era già stato fatto a Londra per i fabbricanti di setacci, i sarti ed i cestai ed a Parigi per i fonditori di bronzo[7]. Quando la crisi economica del 1866 provocò un'ondata di scioperi in tutta l'Europa, il Consiglio Generale dell'Internazionale “ha sostenuto gli operai con i suoi consigli e la sua assistenza e si è mobilitato per ottenere la solidarietà internazionale del proletariato in loro favore. In questo modo, l'internazionale ha privato la classe capitalista di un'arma molto efficace ed i padroni non hanno più potuto frenare la combattività dei loro operai importando mano d’opera straniera a buon mercato... Là dove aveva una certa influenza, cercava di convincere gli operai che era nel loro interesse sostenere le lotte salariali dei loro compagni stranieri[8]. Così, nel 1871, quando in Gran Bretagna si è sviluppato il movimento per la giornata di 9 ore, organizzato dalla Nine Hours League (Lega delle nove ore) e non dai sindacati, rimasti fuori dalla lotta, la Prima Internazionale le ha dato il suo sostegno inviando dei rappresentanti in Belgio e in Danimarca per “impedire agli intermediari dei padroni di reclutare crumiri in questi paesi, la qualcosa ha avuto un notevole successo[9].

La più significativa eccezione a questa posizione internazionalista ebbe luogo negli Stati Uniti nel 1870-71 dove la sezione americana dell'Internazionale si oppose all'immigrazione degli operai cinesi negli Stati Uniti perché i capitalisti li utilizzavano per abbassare i salari degli operai bianchi. Un delegato della California si lamentò del fatto che "i cinesi hanno determinato la perdita di migliaia di posti di lavoro ad uomini, donne e bambini bianchi". Questa posizione esprimeva un'interpretazione erronea della critica fatta da Marx al dispotismo asiatico: questo come modo di produzione anacronistico dominante in Asia doveva essere rovesciato affinché il continente asiatico si integrasse nei rapporti di produzione moderni e si costituisse un proletariato moderno in Asia. Il fatto che i lavoratori asiatici non fossero ancora proletarizzati ed erano dunque suscettibili alle manipolazioni ed allo sfruttamento estremo da parte della borghesia, non ha costituito purtroppo un impulso per estendere la solidarietà a questa mano d’opera e integrarla all’insieme della classe operaia americana, ma è servita a dare una spiegazione razionale all'esclusione razzista.

Comunque sia, la lotta per l’unità della classe operaia internazionale proseguì nella Seconda Internazionale. Poco più di cento anni fa, al Congresso di Stoccarda del 1907, l'Internazionale rigettò massicciamente un tentativo opportunista che proponeva di sostenere la restrizione da parte dei governi borghesi cinese e giapponese dell’immigrazione. L’opposizione fu così forte che gli opportunisti furono costretti a ritirare la loro risoluzione. Al contrario, il Congresso adottò una posizione anti-esclusione per il movimento operaio in tutti i paesi. Nel Rapporto su questo Congresso, Lenin scriveva: “Su questa questione [dell’immigrazione] venne alla luce in commissione un tentativo di sostenere ristrette concezioni di corporazione, di vietare l'immigrazione di operai di provenienza dai paesi arretrati (quella di operai venuti della Cina, ecc.). È là il riflesso dello spirito “aristocratico” che troviamo in proletari di certi paesi “civilizzati” che traggono alcuni vantaggi dalla loro situazione privilegiata e che sono per ciò inclini a dimenticare gli imperativi della solidarietà di classe internazionale. Ma al Congresso propriamente detto, non si trovarono difensori di questa ristrettezza piccolo-borghese di corporazione, e la risoluzione risponde pienamente alle esigenze della socialdemocrazia rivoluzionaria[10].

Negli Stati Uniti, all’epoca dei Congressi del Partito socialista, 1908, 1910 e 1912, gli opportunisti cercarono di presentare alcune risoluzioni che permettevano di aggirare la decisione del Congresso di Stoccarda ed espressero il loro sostegno all'opposizione che la AFL (American Federazione of Labor) faceva all’immigrazione. Ma furono sempre battuti dai compagni che difendevano la solidarietà internazionale di tutti gli operai. Un delegato ammonì gli opportunisti dicendo che per la classe operaia "non ci sono stranieri". Altri insistettero sul fatto che il movimento operaio non doveva unirsi ai capitalisti contro i gruppi operai. Nel 1915, in una lettera al Socialist Propaganda League, il precursore dell'ala sinistra del Partito socialista che, più tardi, avrebbe fondato il Communist Party ed il Communist Labor Party negli Stati Uniti, Lenin scriveva: “Nella nostra lotta per il vero internazionalismo e contro il "jingo-socialismo", la nostra stampa denuncia costantemente i capi opportunisti del S.P. d’America che sostengono la limitazione dell'immigrazione di operai cinesi e giapponesi, soprattutto dopo il congresso di Stoccarda del 1907, e contro le sue decisioni. Pensiamo che non si possa essere internazionalista e contemporaneamente pronunciarsi in favore di tali restrizioni[11].

Storicamente, gli immigrati hanno sempre giocato un ruolo importante nel movimento operaio negli Stati Uniti. I primi marxisti rivoluzionari emigrarono negli Stati Uniti dopo l'insuccesso della rivoluzione del 1848 in Germania e stabilirono legami vitali con il centro della Prima Internazionale in Europa. Engels introdusse alcune concezioni problematiche nel movimento socialista negli Stati Uniti, riguardo agli immigrati; certi aspetti erano giusti, ma altri erano sbagliati ed infine ebbero un impatto negativo sulle attività organizzative del movimento rivoluzionario americano. Friedrich Engels era preoccupato della lentezza con la quale il movimento operaio cominciava a svilupparsi negli Stati Uniti. Pensava che ciò era dovuto a certe specificità della situazione in America, in particolare all'assenza di una tradizione feudale con il suo forte sistema di classi, e per l'esistenza della Frontiera che serviva da valvola di sfogo alla borghesia e permetteva agli operai scontenti di sfuggire alla loro esistenza di proletari per diventare fattori o coloni all'Ovest. Un altro aspetto era il baratro che separava gli operai nativi degli Stati Uniti e gli operai immigrati sul piano delle possibilità economiche ed anche per l'incapacità degli operai immigrati di comunicare con gli operai del paese. Per esempio, per criticare gli immigrati socialisti tedeschi che non imparavano l'inglese, Engels scriveva: “Dovranno rinunciare ad ogni vestigia del loro abito di straniero. Devono diventare degli americani completi. Non possono attendere che gli americani vadano loro incontro; sono loro, la minoranza e gli immigrati, che devono andare verso gli americani che costituiscono la vasta maggioranza della popolazione nata là. Per fare ciò, devono cominciare con l’apprendere l’inglese[12]. Era vero che esisteva presso i rivoluzionari immigrati tedeschi negli anni 1880 una tendenza a limitarsi al lavoro teorico ed a lasciare da parte il lavoro verso le masse degli operai del paese, quelli di lingua inglese, e ciò provocò le critiche di Engels. Era altrettanto vero che il movimento rivoluzionario condotto dagli immigranti doveva aprirsi agli operai americani che parlavano in inglese, ma l'insistenza sull'americanizzazione del movimento che era implicita nelle osservazioni di Engels si rivelò disastrosa per il movimento operaio perché ebbe per conseguenza di lasciare gli operai più formati ed esperti in ruoli secondari e dare la direzione nelle mani di militanti poco formati la cui prima qualità era l’essere nati nel paese e parlare inglese. Dopo la Rivoluzione russa, l’Internazionale comunista perseguì la stessa politica e le sue conseguenze furono ancora più disastrose per il giovane Partito comunista. L'insistenza di Mosca affinché i militanti nati negli Stati Uniti fossero chiamati alla direzione catapultò gli opportunisti ed i carrieristi come William Z. Foster in posizioni chiave, spinse i rivoluzionari dell’Europa dell'Est che avevano delle inclinazioni per il comunismo di sinistra ai margini del Partito ed accelerò il trionfo dello stalinismo nel Partito negli Stati Uniti.

Allo stesso modo, un'altra osservazione di Engels è stata altrettanto problematica: “mi sembra che il grande ostacolo negli Stati Uniti risieda nella posizione eccezionale degli operai del paese … (La classe operaia del paese) ha sviluppato e si è anche, in grande misura, organizzata in sindacati. Ma conserva sempre un atteggiamento aristocratico e, quando è possibile, lascia gli impieghi ordinari e mal pagati agli immigrati di cui solamente una piccola parte aderisce ai sindacati aristocratici[13]. Anche se descriveva in modo completamente giusto il modo di fare degli operai del paese e se gli immigrati erano effettivamente divisi tra loro, lasciava intendere in modo erroneo che erano gli operai americani e non la borghesia ad essere responsabili del baratro tra le differenti parti della classe operaia. Mentre questi commenti parlavano delle divisioni nella classe operaia immigrata bianca, i nuovi gauchisti, durante gli anni 1960, li interpretarono per dare una base alla “teoria” del “privilegio della pelle bianca”[14].

Ad ogni modo, la stessa storia della lotta di classe negli Stati Uniti ha confutato la visione di Engels secondo la quale l'americanizzazione degli immigrati avrebbe costituito una pre-condizione alla costituzione di un movimento socialista forte negli Stati Uniti. La solidarietà e l’unità di classe al di là degli aspetti etnici e linguistici sono stati una caratteristica centrale del movimento operaio nella svolta del ventesimo secolo. I partiti socialisti americani avevano una stampa in lingua straniera e pubblicavano decine di giornali, quotidiani e settimanali in parecchie lingue. Nel 1912, il Socialist Party pubblicava negli Stati Uniti 5 quotidiani in inglese e 8 in altre lingue, 262 settimanali in inglese e 36 in altre lingue, 10 mensili di attualità in inglese e 2 in altre lingue, e questo escluse le pubblicazioni del Socialist Labor Party. All’interno del Socialist Party, esistevano 31 federazioni di lingua straniera: armena, boema, bulgara, croata, ceca, danese, estone, finnica, francese, tedesca, greca, ispanica, ungherese, irlandese, italiana, giapponese, ebraica, lettone, lituana, norvegese, polacca, rumena, russa, scandinava, serba, slovacca, slovena, slava del sud, spagnola, svedese, ucraina, iugoslava. Queste federazioni costituivano la maggioranza dell'organizzazione. La maggioranza dei membri del Communist Party e del Communist Labor Party, fondati nel 1919, erano immigrati. Allo stesso modo lo sviluppo degli Industrial Workers of the World (IWW) nel periodo che ha preceduto la Prima Guerra mondiale era dovuto essenzialmente all’adesione degli immigrati, ed anche gli IWW all'ovest, che erano costituiti da molti americani “nativi”, contavano migliaia di slavi, di immigrati messicani e di scandinavi nelle loro fila.

La più famosa lotta degli IWW, lo sciopero nel tessile a Lawrence nel 1912, mostrò la capacità di solidarietà tra gli operai immigrati e non immigrati. Lawrence era una città industriale del Massachusetts dove le condizioni di lavoro erano deplorevoli. La metà degli operai era costituita da adolescenti tra i 14 e i 18 anni. Gli operai qualificati erano in genere persone che parlavano inglese di discendenza inglese, irlandese o tedesca. Gli operai non qualificati erano canadesi francesi, italiani, slavi, ungheresi, portoghesi, siriani e polacchi. Una riduzione dei salari in una delle fabbriche provocò uno sciopero delle tessitrici polacche che coinvolse subito 20.000 operai. Un comitato di sciopero organizzato con gli IWW comprendeva due rappresentanti per ogni gruppo etnico e chiedeva il 15 % di aumento di salario e nessuna rappresaglia contro gli scioperanti. Le riunioni durante lo sciopero venivano tradotte in venticinque lingue. Quando le autorità risposero con una violenta repressione, il comitato di sciopero lanciò una campagna mandando parecchie centinaia di figli di scioperanti presso i simpatizzanti della classe a New York. Quando il secondo convoglio di 100 bambini partì per raggiungere i simpatizzanti nel New Jersey, le autorità attaccarono madri e bambini, malmenandole ed arrestandole davanti allo stampa nazionale; ciò ebbe per risultato un’estensione nazionale della solidarietà. Gli IWW utilizzarono la stessa tattica, durante uno sciopero nel settore della seta a Paterson, nel New Jersey, nel 1913, mandando i figli degli operai immigrati che scioperavano dalle madri di scioperi” in altre città; in questa occasione gli operai mostrarono ancora una volta la loro solidarietà di classe superando le barriere etniche.

Durante la guerra, il ruolo degli emigrati ed immigrati dell'ala sinistra del movimento socialista fu particolarmente importante. Per esempio, Trotsky partecipò ad una riunione, il 14 gennaio 1917 a Brooklyn, da Ludwig Lore, emigrante della Germania, per pianificare un "programma d’azione" delle forze di sinistra del movimento socialista americano; era appena arrivato il giorno prima a New York; parteciparono sia Bukarin che risiedeva già negli Stati Uniti e lavorava come editore di Novy Mir, l'organo della Federazione socialista di Russia, parecchi altri immigrati russi, S.J Rutgers, rivoluzionario olandese, compagno di lotta di Pannekoek e Sen Katayama, emigrato giapponese. Secondo i testimoni oculari, i Russi dominarono la discussione; mentre Bukarin difendeva la scissione immediata della sinistra dal Socialist Party, Trotsky voleva che la sinistra per il momento rimanesse nel Partito, ma doveva sviluppare una sua critica pubblicando ogni quindici giorni un testo indipendente; è questa fu la posizione adottata alla fine dalla riunione. Se non fosse ritornato in Russia dopo la rivoluzione di febbraio, Trotsky sarebbe stato probabilmente alla testa dell'ala sinistra del movimento americano[15]. La coesistenza di parecchie lingue non costituiva un ostacolo al movimento; al contrario, era un riflesso della sua forza. Durante una manifestazione massiccia nel 1917, Trotsky si rivolse alla folla in russo mentre altri in tedesco, finnico, inglese, lettone, yiddish e lituano[16].

La teorizzazione borghese dell’ideologia anti-immigrati

Gli ideologi borghesi difendono l'idea che le caratteristiche dell'emigrazione massiccia attuale verso l'Europa e gli Stati Uniti sono totalmente differenti da quelle  dell'emigrazione nei periodi precedenti della storia. Dietro ciò c'è l'idea che, oggi, gli immigrati indeboliscono, distruggono le stesse società che li accolgono, rifiutano l’integrazione nella loro nuova società e ne rigettano le istituzioni politiche e la cultura. In Europa, il libro di Walter Laqueur, The Last Days of Europa: Epitaph for an Old Continent, (Gli Ultimi giorni dell’Europa: Epitaffio per un Vecchio Continente) pubblicato nel 2007, difende l'idea che l'immigrazione musulmana è responsabile del declino europeo.

Il borghese professore di scienze politiche, Samuel P. Huntington dell'Università di Harvard, nel suo libro pubblicato nel 2004, Who Are We: The Challenges to America’s National Identity (Chi Siamo: Le Sfide all'Identità Nazionale d’America) difende il punto di vista che gli immigrati dell'America latina, in particolare i messicani che sono arrivati negli Stati Uniti durante gli ultimi tre decenni parleranno probabilmente meno l'inglese rispetto alle precedenti generazioni di immigrati venuti dall'Europa, perché parlano tutta la stessa lingua, sono concentrati nelle stesse regioni, sono confinati in enclavi in cui si parla spagnolo, sono meno interessati ad integrarsi da un punto di vista linguistico e culturale e sono incoraggiati a non apprendere l'inglese da gauchisti che fomentano politiche di identità. Inoltre Huntington dichiara che la “biforcazione”, la divisione della società americana secondo linee di divisione razziale neri/bianchi esistita per generazioni, oggi è minacciata di essere sostituita e rimpiazzata da una “biforcazione” culturale tra gli immigrati di lingua spagnola e gli americani originari che parlano inglese, il che metterebbe in gioco l’identità e la cultura nazionale americana.

Laqueur come Huntington si inorgogliscono della loro eminente carriera di ideologi della Guerra fredda al servizio della borghesia. Laqueur è un erudito ebreo conservatore, sopravvissuto all'olocausto, accanitamente filo-sionista, anti-arabo, e consulente del Centro di studi internazionali e strategici (CSIS) di Washington e che ha servito il “gruppo di riflessione” durante la Guerra fredda in stretto legame con il Pentagono dal 1962. Il vecchio Segretario di Stato di Bush alla Difesa, Rumsfeld, ha consultato regolarmente il CSIS. Huntington, professore di scienze politiche a Harvard, è stato consigliere di Lyndon Johnson durante la guerra del Vietnam e, nel 1968, ha raccomandato una politica di bombardamento massiccio delle campagne vietnamite per sabotare il sostegno dei contadini ai VietCong e costringerli a raggiungere le città. Più tardi, negli anni 1970, lavorando con la Commissione trilaterale, è l'autore del rapporto sulla Governibility of Democracies (La crisi della democrazia: Rapporto sulla governabilità delle democrazie alla Commissione trilaterale) nel 1976. Alla fine degli anni 1970, sotto l'amministrazione Carter, ha servito come coordinatore politico il Consiglio Nazionale di Sicurezza. Nel 1993, ha scritto un articolo in Foreign Affairs (Affari Esteri) che in seguito è diventato un libro, intitolato Le choc des civilisations (The Clash of Civilizations and the Remaking of World Order) (Lo Choc delle Civiltà ed un nuovo ordine mondiale) in cui sviluppa la tesi secondo la quale, dopo il crollo dell'URSS, sarebbe la cultura e non l'ideologia a rappresentare la più importante base dei conflitti nel mondo. Ha previsto che uno shock di civiltà imminente tra islam e l'occidente avrebbe costituito il conflitto internazionale centrale nel futuro. Sebbene il punto di vista di Huntington sull'immigrazione nel 2004 sia stato in gran parte messo fuori considerazione da intellettuali specializzati nello studio delle popolazioni e di questioni dell’immigrazione e dell'assimilazione, le sue idee sono state largamente diffuse dai media e da esperti di politica vicini all’amministrazione americana.

Le proteste di Huntington sul fatto che gli immigrati di lingua straniera si rifiuterebbero di apprendere l'inglese, resisterebbero all'integrazione e contribuirebbero all'inquinamento culturale, non sono affatto nuove negli Stati Uniti. Alla fine del 1700, Benjamin Franklin aveva paura che la Pennsylvania fosse invasa dal "nugolo" di immigrati della Germania. “Perché la Pennsylvania, chiedeva Franklin, “fondata dagli inglesi, dovrebbe diventare una colonia di stranieri che saranno presto così numerosi da germanizzarci piuttosto che essere da noi inglesizzati?”. Nel 1896, il presidente dell'Istituto di Tecnologia del Massachusetts (MIT), Francis Walker, economista influente, metteva in guardia contro il fatto che la cittadinanza americana potrebbe essere degradata da “l’accesso tumultuoso di moltitudini di contadini ignoranti e brutalizzati dei paesi dell'Europa dell'Est e del Sud”. Il presidente Teodor Roosevelt era così contrario all’afflusso di immigrati di lingua straniera da proporre: “bisogna esigere da tutti gli immigrati che vengono qui che essi apprendano l'inglese in cinque anni o lascino il paese”. Lo storico di Harvard, Artur Schlesinger Senior, ha deplorato allo stesso modo “l’inferiorità” sociale, culturale ed intellettuale degli immigrati dell'Europa del Sud e dell’Est. Tutti questo lamenti e queste paure di ieri sono molto simili a quelle attuali di Huntington.

La realtà storica non ha mai dato ragione a queste paure xenofobe. Anche se è sempre esistito, in ogni gruppo di immigrati, una certa parte che ha cercato di apprendere l’inglese ad ogni costo, di integrarsi velocemente ed avere un successo economico, abitualmente, l'assimilazione si è sviluppata in modo graduale - generalmente per un periodo di tre generazioni. Gli immigranti adulti conservavano in generale la loro lingua materna e le loro tradizioni culturali negli Stati Uniti. Vivevano nei quartieri di immigrati dove parlavano la loro lingua nella comunità, nei negozi, nelle riunioni religiose, ecc. Leggevano dei libri e dei giornali nella loro lingua natale. I loro figli, immigrati quando erano molto giovani o nati negli Stati Uniti, erano in genere bilingue. Apprendevano l'inglese a scuola e, nel ventesimo secolo, erano circondati dall'inglese nella cultura di massa, ma parlavano anche la lingua dei loro genitori a casa e si sposavano in genere all’interno della loro comunità etnica. In terza generazione, i nipoti degli immigrati perdevano in generale l'abitudine di parlare la lingua dei loro nonni e tendevano a parlare solamente l'inglese. La loro integrazione culturale era segnata da una tendenza crescente a sposarsi all'infuori della comunità etnica di origine. Malgrado l'importanza dell'immigrazione ispanica durante gli ultimi anni, le stesse tendenze all'integrazione sembrano perdurare allo stesso modo nel periodo attuale negli Stati Uniti, secondo i recenti studi del Pew Hispanic Center e dell'Università di Princeton[17].

Tuttavia, anche se l'attuale ondata di immigrazione fosse qualitativamente differente delle precedenti, quale importanza potrebbe avere? Se gli operai non hanno patria, perché dovremmo preoccuparci dell'assimilazione? Engels ha difeso l'americanizzazione negli anni 1880 non come un fine in sé, come una specie di principio astratto del movimento operaio, ma come un mezzo per costruire un movimento socialista di massa. Ma, come abbiamo visto, l’idea che l'americanizzazione costituirebbe una pre-condizione necessaria per sviluppare l'unità della classe operaia è stata confutata dalla pratica dello stesso movimento operaio all'inizio del ventesimo secolo che ha dimostrato, senza equivoco possibile, che il movimento operaio può abbracciare la diversità ed il carattere internazionale del proletariato e può costruire un movimento unito contro la classe dominante.

Mentre le recenti sommosse nelle bidonville dell’Africa meridionale hanno costituito un segnale d’allerta rispetto al fatto che le campagne anti-immigrazione della borghesia conducono alla barbarie nella vita sociale, è evidente che la propaganda capitalista esagera la collera anti-immigrazione nella classe operaia delle metropoli. Negli Stati Uniti per esempio, malgrado i grandi sforzi dei media borghesi e la propaganda di estrema destra per incitare all'odio contro gli immigrati sul problema della lingua e della cultura, in genere l'atteggiamento dominante nella popolazione, operai compresi, è di considerare che gli immigrati sono dei lavoratori che cercano di guadagnarsi da vivere per sostenere le loro famiglie, che fanno un lavoro troppo faticoso e troppo mal pagato rispetto a quello degli operai “del paese” e che sarebbe insensato respingerli[18]. Nella stessa lotta di classe, ci sono sempre più manifestazioni di solidarietà tra operai immigrati ed operai “indigeni” che ricordano l'unità internazionalista a Lawrence nel 1912. Per esempio, ci sono state nel 2008 lotte come il sollevamento in Grecia dove gli operai immigrati si sono uniti alla lotta, o come lo sciopero nel 2009 della raffineria di Lindsey in Gran Bretagna dove gli immigrati hanno espresso chiaramente la loro solidarietà, o ancora, negli Stati Uniti, all’epoca dell'occupazione da parte degli operai immigrati ispanici della fabbrica Window and Door Republic davanti alla quale gli operai “nativi” si sono radunati per manifestare il loro sostegno portando in particolare anche roba da mangiare.

L’intervento dei rivoluzionari sulla questione dell’immigrazione

Da ciò che riportano i media, l’80 % dei britannici pensano che il Regno Unito fa fronte ad una crisi di popolazione a causa dell'immigrazione; più del 50 % hanno paura che la cultura britannica scompaia; il 60 % che vivere in Gran Bretagna sia più pericoloso a causa dell'immigrazione; e l’85 % vuole che venga diminuito o posto un termine all'immigrazione[19]. Il fatto che esista una ricettività alla paura irrazionale espressa nel razzismo e la xenofobia propagandata dall'ideologia borghese in certi elementi della classe operaia non ci sorprende nella misura in cui l'ideologia della classe dominante, in una società di classe, esercita un'immensa influenza sulla classe operaia finché non si sviluppa apertamente una situazione rivoluzionaria. Tuttavia, qualunque sia il successo dell’intrusione ideologica della borghesia nella classe operaia, per il movimento rivoluzionario, il principio secondo cui la classe operaia mondiale è una unità e gli operai non hanno patria, è un principio di base della solidarietà proletaria internazionale e della coscienza della classe operaia. Ogni insistenza su particolarismi nazionali, aggrava, manipola o contribuisce alla “disunione” della classe operaia ed è contraria alla natura internazionalista del proletariato come classe; essa è una manifestazione dell'ideologia borghese che i rivoluzionari devono combattere. La nostra responsabilità è difendere la verità storica: gli operai non hanno patria.

Comunque sia, come al solito, le accuse dell'ideologia borghese contro gli immigrati sono più un mito che una realtà. Ci sono più probabilità che gli immigrati siano vittime di criminali che siano loro stessi dei criminali. In generale, gli immigrati sono onesti operai che lavorano duramente, sfruttati all'eccesso al di là di ogni limite, per guadagnare qualcosa per vivere e per inviare del denaro alle loro famiglie rimaste "nel paese". Sono spesso imbrogliati da padroni poco scrupolosi che li pagano meno del salario minimo e si rifiutano di pagare ore supplementari, da proprietari così tanto poco scrupolosi da far loro pagare pigioni esorbitanti dando in cambio veri tuguri, e da ogni specie di ladri e di aggressori – che contano sulla paura degli immigrati verso le autorità che impedisce loro di sporgere querela. Le statistiche dimostrano che la criminalità tende ad aumentare dalla seconda e terza generazione nelle famiglie di immigrati; non perché provengono dall'immigrazione ma a causa della loro povertà continuamente oppressa, della discriminazione e della mancanza di prospettive in quanto poveri[20].

È essenziale essere chiari sulla differenza che oggi esiste tra le posizioni della Sinistra comunista e quella di tutti i difensori di un'ideologia anti-razzista, compresi quelli che si definiscono rivoluzionari. Malgrado la denuncia del carattere razzista dell’ideologia anti-immigrati, le azioni che sostengono restano sullo stesso campo. Al posto di sottolineare l'unità fondamentale della classe operaia, mettono avanti le sue divisioni. In una versione aggiornata della vecchia teoria del “privilegio della pelle bianca”, biasimano, con argomenti moralistici, gli operai che diffidano degli immigrati, e non il capitalismo per il suo razzismo anti-immigrati; e proseguono glorificando gli operai immigrati come eroi più puri degli operai indigeni. Gli “antirazzisti” sostengono gli immigrati contro i non-immigrati, invece di mettere avanti l’unità della classe operaia. L’ideologia multiculturale che propagano devia la coscienza di classe degli operai sul campo della “politica di identità” per la quale è “l’identità” nazionale, linguistica, etnica che è determinante, e non l’appartenenza alla stessa classe. Questa ideologia velenosa ci dice che gli operai messicani hanno più in comune con elementi messicani borghesi che con altri operai. Di fronte al malcontento degli operai immigrati per le persecuzioni che subiscono, l'anti-razzismo li incatena allo Stato. La soluzione che è proposta ai problemi degli immigrati è fare ricorso alla legalità borghese, col reclutamento degli operai nei sindacati, con  la riforma della legge sull'immigrazione, arruolando gli immigrati nella politica elettorale o attraverso il riconoscimento formale di “diritti” legali. Tutto salvo la lotta di classe unita del proletariato.

Per la Sinistra comunista la denuncia della xenofobia e del razzismo contro gli immigrati si distingue radicalmente da questa ideologia anti-razzista. La nostra posizione è in continuità diretta con quella difesa dal movimento rivoluzionario dalla Lega dei comunisti, dal Manifesto comunista, la Prima Internazionale, la sinistra della Seconda Internazionale, gli IWW ed i Partiti comunisti ai loro inizi. Il nostro intervento insiste sull'unità fondamentale del proletariato, denuncia i tentativi della borghesia di dividere gli operai, si oppone al legalismo borghese, alle politiche d’identità ed all'interclassismo. Per esempio, la CCI ha difeso questa posizione internazionalista negli Stati Uniti denunciando la manipolazione capitalista secondo la quale le manifestazioni del 2006, in favore della legalizzazione degli immigrati, fossero state composte principalmente da immigrati ispanici. Come abbiamo scritto in Internationalism[21], queste manifestazioni sono state in gran parte manipolazioni borghesi, totalmente su un campo della borghesia che ha provocato le manifestazioni, le ha manipolate, controllate ed apertamente dirette”, ed erano infestate di nazionalismo, che sia stato il nazionalismo latino ad essere sorto all'inizio delle manifestazioni o la corsa nauseante per affermare il suo recente americanismo che “aveva per scopo di cortocircuitare totalmente ogni possibilità per gli immigrati e gli operai di ceppo americano di riconoscere la loro essenziale unità.

Soprattutto dobbiamo difendere l'unità internazionale della classe operaia. Come internazionalisti proletari, rigettiamo l'ideologia borghese e le sue costruzioni su “l'inquinamento culturale”, “l’inquinamento linguistico”, “l'identità nazionale”, “la diffidenza verso gli stranieri” o “la difesa della comunità o del quartiere”. Al contrario, il nostro intervento deve difendere le esperienze storiche del movimento operaio: gli operai non hanno patria; la difesa della cultura nazionale, della lingua o dell'identità non è un compito né una preoccupazione del proletariato; dobbiamo rigettare i tentativi di tutti quelli che cercano di utilizzare le concezioni borghesi per inasprire le differenze in seno alla classe operaia, per sabotare la sua unità. Qualunque siano le intrusioni di un'ideologia di classe estranea che storicamente abbiano potuto avere luogo, il filo rosso che attraversa tutta la storia del movimento operaio è la solidarietà e l'unità di classe internazionalista. Il proletariato viene da molti paesi, parla molte lingue ma è una sola classe mondiale la cui responsabilità storica è di affrontare il sistema di sfruttamento e di oppressione capitalista. Noi consideriamo la diversità etnica, culturale, linguistica della nostra classe innanzitutto come una forza e sosteniamo la solidarietà internazionale proletaria di fronte ai tentativi di dividerci. Dobbiamo trasformare il principio "gli operai non hanno patria" in una realtà vivente che contiene la possibilità di creare una comunità umana autentica in una società comunista. Ogni altra prospettiva costituisce un abbandono del principio rivoluzionario.

Jerry Grevin



[1] Rainer Muenz: "Europa: Popolation and Migration in 2005"

[2] 2. Révolution internationale n° 253, febbraio 1996.

[3] Marx, Il Capitale, Vol. I, capitolo 26, “L’accumulazione primitiva”

[4] Lo sviluppo del capitalismo in Russia VI, “La missione storica del capitalismo”.

[5] Franz Mehring, Karl Marx, tradotto dall’inglese da noi.

[6] ibid.

[7] GM Stekloff, History of The First International, Inghilterra 1928, tradotta dall'inglese da noi.

[8] Franz Mehring, op.cit.

[9] ibid.

[10] “Il Congresso socialista internazionale di Stoccarda”, pubblicato il 20 ottobre 1907 nel n°17 di Prolétari, Opere complete, Cap. 13, p. 79, Editions sociales. Lasciamo da parte la discussione sulla questione de “l’aristocrazia operaia”, contenuta nel testo di Lenin.

[11] Lettera al segretario del SPL, 9 novembre 1915.

[12] Lettera agli americani, tradotto dall’inglese da noi.

[13] Lettera a Schlüter, op.cit.

[14] La “White Skin Privilege Theory” o “teoria del privilegio della pelle bianca” è stata rimuginata dai nuovi gauchisti degli anni 1960 che pretendevano che la classe dominante e la classe operaia bianca avessero un accordo in base al quale era concesso agli operai bianchi un livello di vita superiore a spese degli operai neri che subivano razzismo e discriminazione.

[15] Cf. Théodore Draper, The Roots of American Communism (Le radici del comunismo americano).

[16] ibid.

[17] Vedere 2003-2004 Pew hispanic Center.the Kaiser Family Foundation Survey of Latinos: Education” e Rambaut, Reuben G., Massey, Douglas, S. and Bean, Frank D. “Linguistic Life Expectancies: Immigrant Language Retention in Southern California. Population and Development”, 32 (3): 47-460, settembre 2006.

[18] Problems and Priorities”, PollingReport.com.

[19] Sunday Express, 6 aprile 2008.

[20] States News Service, Immigration Fact Check: Responding to Key Myths, 22 giugno 2007.

[21] Internationalism, n°139, estate 2006: Manifestazioni di immigrati: SI all’unità con la classe operaia! NO all’unità con gli sfruttatori!”