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Una volta tanto siamo d’accordo, almeno in parte, con Berlusconi quando dice “con la sinistra morte e miseria”. Quello che il presidente del consiglio usa come attacco contro i suoi nemici politici del centro-sinistra è, contrariamente a tutte le risentite e sdegnate risposte del campo avversario, una verità sacrosanta. La cosa che fa però di questa accusa una nefandezza è che Berlusconi la riserva alla sola sinistra e non completa la frase dicendo che, qualunque sia il sistema di potere, in questo o quel paese, quello che ci aspetta è comunque e sempre più “morte e miseria”. Il perché di questa affermazione - che può sembrare, sulle prime, alquanto forte - è che la società in cui viviamo ci mostra, ormai da tempo, che viviamo sempre più con la mancanza assoluta di prospettive, di vie di uscita da una situazione buia dal punto di vista economico e sociale. Le vecchie generazioni hanno conosciuto fasi di crescita e fasi di crisi economica, ma quelle più giovani conoscono solo disoccupazione, precarietà e miseria. Questa deriva della società verso uno stato di impoverimento e di precarizzazione crescenti non sono la responsabilità della destra avida e rapace – come vorrebbe farci intendere la sinistra attualmente all’opposizione in Italia e quindi più al riparo da critiche aperte – ma della crisi economica sempre più profonda del sistema capitalista e dell’impossibilità di porvi rimedio in quanto sistema ormai storicamente superato1. E’ di fronte a questa crisi storica che le “soluzioni”, di destra o di sinistra, sono non solo dei semplici palliativi per la crisi del sistema ma anche scudisciate sempre più profonde inferte nella carne dei lavoratori. Così, alle buffonate di Berlusconi sulla riduzione delle tasse, che sono fumo per i più e vantaggi consistenti solo per alcuni pochi ricchi, corrispondono le finanziarie di lacrime e sangue prodotte dai vari governi di sinistra in Italia (e nel mondo) nell’illusione di uscire da un tunnel che non finisce mai.
D’altra parte ci sono degli episodi che fanno riflettere sulla precarietà crescente della nostra società, come ad esempio lo tsumani che si è abbattuto sul sud-est asiatico a Natale e che ha prodotto la scomparsa di una popolazione estesa quanto quella di una grande città. Se il disastro è stato così immane non è per colpa delle forze oscure della natura ma, come spieghiamo nell’articolo pubblicato in questo stesso giornale, per colpa del cinismo e dell’incapacità della borghesia. Oggi che ti sbattono in faccia telefonini di tutti i tipi e in tutte le salse, dire che il disastro è avvenuto perché sul posto mancavano mezzi tecnologici adeguati per avvertire la popolazione è veramente non solo ridicolo ma del tutto irrispettoso per tutti i morti che ne hanno fatto le spese. E che dire ancora del recente incidente ferroviario avvenuto in Italia che è costato la vita a 17 persone, tra cui i 4 macchinisti, e ancora una volta non per colpa del governo Berlusconi ma per la politica dei tagli del personale e di intensificazione dei ritmi di lavoro, che è opera dei governi di destra quanto di sinistra perché entrambi sempre convinti sostenitori della necessità di risparmiare sui controlli, sulla sicurezza, pur di essere competitivi. Ma la loro competitività la pagano i lavoratori, i pendolari e la povera gente che ci rimane stecchita in questi incidenti. E ancora la Cina, la “grande promessa economica” di questo periodo, il paese in cui si è recentemente recato Ciampi accompagnato da una galassia di imprenditori e di politicastri da quattro soldi, è anche il paese in cui si producono di continuo incidenti disastrosi nelle vecchie e accidentate miniere di carbone con centinaia di morti all’anno! Anzi è proprio questo sacrificio continuo di vite umane sull’altare del dio capitale che permette al capitalismo cinese, (altro che comunismo!), di mostrare questo effimero quanto precario sviluppo dell’economia.
E questo senza parlare di tutte le guerre, passate e recenti, dimenticate o in prima pagina dei giornali, con le migliaia e migliaia di morti l’anno e le distruzioni e la disperazione che procurano. Distruzioni e disperazione che a loro volta dalla periferia del mondo stringono come un assedio sempre più stretto le metropoli del capitalismo, raggiungendole di tanto in tanto non attraverso scontri a fuoco tra opposti eserciti, ma sempre più attraverso atti di terrorismo cieco, che mirano al mucchio per fare quanti più danni è possibile, perché forte sia la ferita, forte il ricatto all’insieme della popolazione per farla schierare ora con dei lupi, ora con delle iene.
E’ questo lo scenario di fronte al quale si trova oggi sgomenta l’umanità. Ed è questo sgomento che la borghesia cerca di sfruttare per perpetuare uno stato di paralisi che, istintivamente, proviene dal vivere in questo mondo. Ma questo non è l’unico scenario possibile, questo non è l’unico mondo vivibile. L’incapacità di questa classe che domina oggi, di destra o di sinistra che sia ma unita dalla comune determinazione di mantenere alla base del suo dominio lo sfruttamento capitalista dell’uomo sull’uomo, non deve scoraggiarci a cercare delle alternative. La classe dei lavoratori ha mostrato, in altre circostanze, di sapere dare delle risposte ai quesiti che si ponevano davanti all’umanità. Ha saputo dire no alla guerra durante la stessa prima guerra mondiale provocando la rapida conclusione di quest’ultima e realizzando per la prima volta in Russia un potere sotto il controllo dei lavoratori; ha saputo reagire più recentemente contro un potere, quello stalinista della Polonia del 1980, producendo uno sciopero di massa che ha visto l’insieme dei lavoratori polacchi imporre il loro gioco ai rappresentanti del governo; ha ancora più recentemente ripreso a esprimersi, a manifestarsi attraverso episodi di lotta importanti, come quelli dello scorso anno in Germania, in Italia, in Austria, dove le lotte hanno cominciato ad esprimere, al di là delle mistificazioni sindacali, una tendenza alla ricerca della solidarietà, e dove, ancora in maniera più estesa, sorgono minoranze di lavoratori, singoli individui, espressione di una riflessione che si produce nel profondo della classe e che porta ad una voglia di battersi, di fare qualcosa, superando lo scoramento e la demoralizzazione che questa società, attraverso tutti i suoi mass-media, tende a sviluppare. E’ questa ripresa di fiducia nella classe in se stessa che conferma la possibilità, oltre che la necessità, che questo mondo abbia un futuro piuttosto che la lenta e progressiva autodistruzione in cui il capitalismo tende a spingerlo in questa fase storica.
19 gennaio 2005 Ezechiele
1. Vedi l’articolo su Il concetto marxista della decadenza del capitalismo all’interno del giornale