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Ogni giorno i media fanno articoli e reportage sulla tragedia che sta vivendo il Libano. Non c’è alcuna preoccupazione per le vite umane. Le preoccupazioni delle borghesie di tutti i paesi sono ben altre. Il Libano è un piccolo paese di quattro milioni di abitanti e, contrariamente ad altri paesi del Medio Oriente, nel suo sottosuolo non c’è alcuna risorsa strategica ed economica particolare: non c’è petrolio, né gas, niente che, apparentemente, possa stuzzicare l’appetito dei predatori imperialisti del mondo. Eppure molti di questi, dal più piccolo al più potente, sono implicati nella peggiore crisi che abbia conosciuto questo paese. Da dove viene tutto questo interesse da parte delle potenze imperialiste? Quale futuro può avere la popolazione libanese presa nella morsa mortale dell’intensificazione delle tensioni inter-imperialiste?
Il Libano sull’orlo della guerra civile
La domenica del 10 dicembre a Beirut, capitale del Libano, ci sono state manifestazioni di massa, con una folla sovraeccitata e pronta a tutto. E’ la prima volta in questo paese, dalla storia già molto tormentata, che si riunisce una tale massa di gente. In un quartiere della città si ritrovano centinaia di migliaia di sciiti, partigiani di Hezbollah pro-siriano, raggiunti dai cristiani fedeli al generale Aun, che a sua volta ha sposato la causa sciita, per manifestare un odio violento verso la comunità sunnita.
Questa folla, inquadrata dalle milizie armate, ha reclamato a viva voce la dimissione del governo. Nello stesso momento a Tripoli una folla altrettanto numerosa ed altrettanto eccitata, formata essenzialmente da sunniti declama il suo sostegno a questo stesso governo. Nel mese di dicembre, Hezbollah, rafforzato politicamente e militarmente dopo l’ultimo scontro armato di agosto, apparso come una vittoria sull’esercito israeliano e indirettamente sul “grande Satana americano”, ha facilmente organizzato l’assedio del Serail, sede del primo ministro Fuad Siniora.
Dozzine di tende sono state messe nel centro di Beirut, bloccando tutti gli accessi al Serail e circondandolo da ogni parte, senza che l’esercito libanese potesse intervenire. Gruppi armati sunniti, da parte loro, minacciano di assediare il parlamento e di prendere in ostaggio il suo presidente sciita Nabih Berri. Le strade che collegano Beirut alla piana di Bekaa ed al Sud-Libano rischiano di essere bloccate.
A questo livello di tensione tra le differenti frazioni, da cui i Drusi stessi non sono esclusi, il minimo soffio provocherebbe un incendio generalizzato a tutto il paese. Durante un incontro televisivo il generale Michel Aun ha proposto: “Un piano dell’opposizione per formare un nuovo governo” e “delle riflessioni del presidente della Repubblica Emile Lahud e del presidente del Parlamento Nabih Berri sulla maniera di far cadere il governo di Fuad Siniora” (citato da Courrier International del 14 dicembre 2006).
Per Hezbollah e gli sciiti, così come per i loro alleati, si tratta di formare un governo provvisorio, chiaramente pro-siriano. E tutto ciò con la benedizione della parte sciita dell’esercito libanese.
Si accelera così il braccio di ferro in Libano tra le differenti comunità, ciascuna infeudata a degli squali imperialisti più potenti di loro.
Il Libano al centro delle tensioni imperialiste
Sarebbe sbagliato pensare che quando centinaia di migliaia di persone assediano il governo di Fuad Siniora la posta in gioco è solamente la caduta del governo. Questa è ben più alta ed implica direttamente numerosi Stati della regione, dietro i quali si nascondono i più potenti paesi imperialisti del pianeta. Quello che in realtà vogliono gli sciiti ed i sostenitori del generale Aun è un ritorno in forza della Siria in Libano.Per Damasco che, come l’Iran, sostiene politicamente e militarmente Hezbollah, si tratta di approfittare al massimo dell’indebolimento dello Stato israeliano e del suo alleato americano per far valere i propri appetiti sul Libano ed indirettamente sulla regione del Golan, occupata dallo Stato ebreo. Dal ritiro forzato delle sue truppe dal Libano nel 2005, la Siria non si è mai ritrovata in una situazione tanto favorevole. Ma l’Iran, che è ora un alleato di circostanza della Siria in Libano, non ha affatto rinunciato a rafforzare la sua presenza e la sua influenza politica in questo paese. Per lo Stato iraniano pesare sul Libano, attraverso la comunità sciita, significa rafforzare la propria influenza su questa stessa comunità in Iraq ed affermarsi sempre più come attore inevitabile in tutta la regione, di fronte ad Israele ed agli Stati Uniti.
D’altra parte, visibilmente inquieti circa un rafforzamento nella regione del ruolo dell’Iran sciita che finanzia Hezbollah, l’Egitto, l’Arabia Saudita e la Giordania, dirette dai sunniti e particolarmente influenzati dalla politica imperialista americana, hanno dato il loro sostegno al governo Siniora.
Quello che si profila, dunque, è una frattura irrimediabile all’interno del mondo mussulmano. E questa crescita delle tensioni nel mondo arabo non prospetta niente di buono per l’avvenire di questa regione.
Inoltre, questa breccia aperta è un’opportunità per delle potenze come la Germania e la Francia, quest’ultima già presente militarmente sul terreno. Il 5 dicembre questi due paesi hanno fatto sapere, con una comunicazione comune, che auspicavano non ci fosse alcuna ingerenza esterna al Libano, precisando che era necessario che la Siria “si astenga dal dare il suo sostegno a forze che cercano la destabilizzazione del Libano e della regione, e stabilisca con il Libano una relazione paritaria e rispettosa della sovranità di ciascuno” (Libération del 15 dicembre 2006). Per ogni squalo imperialista che si rispetti, il nemico del mio alleato del momento è mio nemico. In particolare la Francia non fa altro che criticare la Siria perché per ora, in Libano, può appoggiarsi solo alla maggioranza cristiana nemica appunto della Siria.
Non c’è limite alla barbarie capitalista
Lo sviluppo delle tensioni e degli scontri in tutta la regione, di cui la crisi libanese è una tragica espressione, si esprime direttamente ed in modo spettacolare in quello che la stampa borghese ha ipocritamente chiamato “l’autentico falso lapsus nucleare” del primo ministri israeliano Ehud Olmert. Mantenere l’ambiguità sul proprio arsenale nucleare era una regola d’oro della politica internazionale dello Stato d’Israele. Tuttavia in una intervista del 12 dicembre ad un canale televisivo tedesco, questo stesso primo ministro, criticando i tentativi di giustificazione dell’Iran in materia di ricerca e sviluppo nucleare, ha lasciato direttamente intendere che Israele possedeva l’arma nucleare, allo stesso titolo della Francia, la Russia o gli Stati Uniti. Questa affermazione acquista tutto il suo significato quando la si collega al fatto che qualche giorno prima. Robert Gates, nuovo ministro della Difesa americana, ha citato Israele, davanti al Congresso, tra quei paesi che possiedono la bomba nucleare. A questo livello non c’è alcun errore o lapsus. E’ un avvertimento chiaro e netto all’Iran che pone al giusto posto il piano Baker ed il rapporto del Gruppo di studio sull’Iraq di cui ci parla la borghesia. Secondo il quotidiano pan-arabo Al-Quds-Arabi questo sarebbe anche “una preparazione per un eventuale ricorso al nucleare, se mai Israele si decide ad attaccare i siti nucleari iraniani” (citato da Courrier International del 13 dicembre 2006). Disgraziatamente questa eventualità non è da scartare. Marx, circa centocinquanta anni fa, constatava che il capitalismo è nato nel fango e nel sangue. Oggi l’agonia di questo sistema si prepara a trascinare l’umanità in un inferno ancora peggiore.
Tino, 15 dicembre 2007, (da Révolution Intérnationale n.375)