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In Ucraina e in Medio Oriente, le tensioni mortali si sono intensificate quest'estate in un’escalation distruttiva il cui esito non potrebbe essere più chiaro: nessuno dei belligeranti otterrà un vantaggio da queste guerre.
Un'escalation di guerra senza fine
L’avanzata dell'esercito russo nell’Ucraina orientale è stata accolta da nuove incursioni, questa volta direttamente sul suolo russo da parte dell’esercito ucraino nella regione di Kursk. È stato compiuto un passo ulteriore, che minaccia le popolazioni e il mondo con un’estensione del conflitto e uno scontro ancora più letale. Tutti i belligeranti sono risucchiati in una spirale estremamente pericolosa: ad esempio, Zelensky sta solo aspettando di poter colpire più a fondo la Russia grazie ai missili europei e americani che riceve. E questo non fa che spingere in avanti la corsa a capofitto mortale del Cremlino, come gli attacchi di Poltava che hanno aggiunto altri 55 morti all’infinita lista delle vittime. Da parte sua, la Bielorussia rimane ancora una forza suscettibile di partecipare attivamente al conflitto: con il raid ucraino su Kursk, questa possibilità è aumentata. Al confine comune tra Bielorussia e Ucraina, il governo di Lukashenko ha collocato un terzo del suo esercito e le esercitazioni militari di giugno hanno ricordato che possiede armi nucleari russe. Il rischio di un prolungamento della spirale bellica è presente anche in Polonia, che ha espresso ancora una volta la sua preoccupazione mantenendo le proprie truppe in allerta. Sebbene la NATO, di cui la Polonia è membro, abbia ufficialmente rifiutato di inviare truppe, il primo ministro polacco Donald Tusk ha parlato alla fine di marzo di un’“era prebellica “.
In Medio Oriente, oltre alle ignominie quotidiane a Gaza, si sono aggiunti l’offensiva dell'esercito israeliano in Cisgiordania e il suo intervento nel sud del Libano in una corsa a capofitto del tutto irrazionale. L'assassinio provocatorio del leader di Hamas a Teheran ha portato solo alla sua sostituzione con un nuovo leader, ancora più estremista e assetato di sangue, accendendo un’altra miccia nella polveriera regionale. Tutto ciò ha naturalmente offerto all’Iran e ai suoi alleati nuovi pretesti per essere più coinvolti nel conflitto, per moltiplicare i crimini e le provocazioni.
Mentre gli ipocriti colloqui per il cessate il fuoco si sono svolti a Doha a metà agosto, i massacri e le distruzioni sono continuati con maggiore intensità. Netanyahu continua a silurare ogni tentativo di apertura diplomatica per rafforzare meglio la sua politica della terra bruciata, ammucchiando cadaveri nel tentativo di salvarsi la pelle. Ciascuna parte ha solo aumentato la carneficina per influenzare i negoziati. Netanyahu così come Hamas, sia Putin che Zelensky, così come le potenze imperialiste che li sostengono attivamente, tutti questi avvoltoi imperialisti stanno sprofondando in una logica inesauribile di scontri infiniti e sempre più distruttivi. Ciò conferma pienamente che la spirale bellica del capitalismo in piena decomposizione ha perso ogni razionalità economica e tende a sfuggire al controllo dei suoi diretti protagonisti e di tutte le potenze imperialiste coinvolte.
L'accelerazione della decomposizione aggrava i conflitti
Sia per la loro durata, che per il loro svolgersi e l’impasse politica in cui sprofondano, a causa della loro irrazionalità e la fuga in avanti in una logica di terra bruciata, questi conflitti illustrano l’enorme peso della decomposizione del sistema capitalista, la cui accelerazione irreversibile minaccia sempre più di distruggere l’umanità. Se la guerra mondiale non è all'ordine del giorno, a causa dell’instabilità delle alleanze e dell’indisciplina generalizzata che caratterizzano ormai le relazioni internazionali, l’intensificazione e il graduale prolungamento dei conflitti non può che portare sempre più a distruzione e caos.
L’inesistenza di blocchi imperialisti pronti alla guerra mondiale (come lo era il blocco occidentale o il blocco orientale durante la guerra fredda) genera in ultima analisi più instabilità: poiché non c’è più un nemico comune o una disciplina di blocco, ogni stato e/o fazione ora agisce esclusivamente per i propri obiettivi, il che li porta più facilmente allo scontro in una lotta di tutti contro tutti, ostacolando l’azione degli altri, rendendo sempre più difficile il controllo della loro politica. È a causa di questa tendenza che gli Stati Uniti, pur mantenendo il loro sostegno alla NATO, vedono le frazioni al suo interno dividersi a vicenda sulla politica da seguire, sia in Ucraina che a Gaza. Mentre l'amministrazione Biden propone di mantenere gli aiuti ai suoi alleati, i repubblicani stanno cercando di limitarli, inizialmente congelando al Congresso 60 miliardi di dollari di sostegno all’Ucraina e 14 miliardi di dollari per Israele, per poi cedere e stanziarli. Queste fratture non possono che accentuare la difficoltà degli Stati Uniti di imporre la loro egemonia nel mondo. Essi stanno quindi perdendo sempre più il controllo della loro politica e la loro autorità sui protagonisti dei conflitti.
In questo contesto la crescente polarizzazione tra le due grandi potenze, Cina e Stati Uniti, aggiunge benzina al fuoco. Sebbene la prospettiva di una guerra frontale tra queste due potenze non sia concepibile al momento, le tensioni sono costanti e il rischio di uno scontro regionale su Taiwan non fa che aumentare. La Cina continua le sue esercitazioni militari vicino e intorno all’isola, continua e intensifica, anche se con cautela, le sue provocazioni militari nel Mar Cinese Meridionale e moltiplica le sue intimidazioni, in particolare contro le Filippine e il Giappone. Gli Stati Uniti, molto preoccupati, hanno alzato la voce e riaffermato il loro sostegno ai loro alleati locali minacciati, moltiplicando anche le loro provocazioni. La situazione sta diventando sempre meno controllabile e sempre più imprevedibile. I rischi di scivolamento in nuove conflagrazioni sono in costante aumento.
I proletari restano le principali vittime
Sia direttamente nelle zone di conflitto che al di fuori di fronte ai morsi degli attacchi legati all’economia di guerra, i proletari sono sempre i più colpiti. Nelle zone di guerra sono vittime di bombardamenti, sono soggetti a restrizioni e devono sopportare terrore, orrori e massacri. Quando non sono sfruttati nelle fabbriche, nelle miniere o negli uffici, la borghesia li usa come carne da cannone. In Ucraina, il governo arruola a sua discrezione qualsiasi uomo di età compresa tra i 25 e i 60 anni, direttamente per rapimento o con l’esca di uno stipendio più alto di quello di un lavoro civile. Oltre all'arruolamento obbligatorio, la borghesia approfitta così delle miserabili condizioni degli operai per pagare il loro sangue e la loro vita.
Tutto questo è possibile solo grazie a un’intensa propaganda nazionalista, a vaste campagne ideologiche e a condizionamenti pianificati dallo Stato: “La guerra è un omicidio metodico, organizzato, gigantesco. In vista di un omicidio sistematico, in uomini normalmente costituiti, è necessario [...] produrre un’ubriachezza appropriata. Questo è sempre stato il metodo abituale dei belligeranti. La bestialità dei pensieri e dei sentimenti deve corrispondere alla bestialità della pratica, deve prepararla e accompagnarla”[1]. È per questo motivo che al momento attuale la classe operaia in Ucraina, in Russia o in Medio Oriente non ha la capacità di reagire e sarà molto difficile per lei farlo di fronte all'"ebbrezza" a cui è sottoposta.
È vero che il governo di Netanyahu è sempre più impopolare e la notizia di ogni uccisione di ostaggi israeliani da parte di Hamas ha provocato enormi proteste, poiché sempre più israeliani riconoscono che l’obiettivo dichiarato del governo di liberare gli ostaggi e distruggere Hamas sono reciprocamente contraddittori. Ma le manifestazioni, anche quando chiedono un cessate il fuoco, rimangono entro i limiti del nazionalismo e della democrazia borghese e non contengono una dinamica verso una risposta proletaria alla guerra.
Il proletariato dei paesi occidentali, attraverso la sua esperienza della lotta di classe, in particolare delle sofisticate trappole imposte dal dominio borghese, rimane il principale antidoto alla spirale distruttiva. Attraverso le sue lotte contro gli effetti dell'economia di guerra, tanto per i tagli di bilancio che per l’inflazione galoppante, ha gettato le basi per i suoi futuri assalti al capitalismo.
Tatlin/WH, 5 settembre 2024
[1]Rosa Luxemburg, La crisi della socialdemocrazia (1915)