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A pochi giorni dall'attentato a Donald Trump che è costato la vita a un suo sostenitore, è ancora troppo presto per determinare l’esatto movente dell’attentatore e le ragioni del fallimento del servizio di sicurezza dell’ex-Presidente. L’attacco, tuttavia, ha sconvolto la campagna elettorale consentendo al campo repubblicano di fare un altro passo verso la vittoria. Colpito all’orecchio, col volto insanguinato e il pugno alzato, quasi miracolato, la spavalda reazione di Trump, già favorito nei sondaggi, contrasta nettamente con i segni percepibili di rimbambimento del suo avversario democratico. In ogni caso, questo evento è una nuova manifestazione della crescente instabilità all’interno della borghesia americana.
Esacerbazione della violenza politica negli Stati Uniti
Gli Stati Uniti hanno una lunga storia di omicidi politici che hanno attentato il livello più alto dello Stato ben quattro volte. Ma, dopo l’omicidio della deputata britannica Jo Cox nel bel mezzo della campagna per la Brexit nel 2016, dopo l’attentato che ha preso di mira Bolsonaro in Brasile nel 2018, dopo l’omicidio dell'ex primo ministro giapponese Shinzō Abe nel 2022, dopo il tentato omicidio del primo ministro slovacco Robert Fico nel maggio 2024 o l’aggressione al primo ministro danese Mette Frederiksen in piazza lo scorso giugno, questo nuovo attacco arriva in un contesto di violenza e di esacerbazioni delle tensioni politiche in tutto il mondo. Il terrore e il terrorismo stanno diventando comuni ovunque e stanno gradualmente lasciando il segno nelle relazioni politiche della borghesia: minacce, insulti, vera e propria xenofobia, violenza di gruppi di estrema destra, coinvolgimento di bande nelle campagne elettorali, regolamenti di conti tra cricche borghesi, colpi di mano... questo caos strisciante, che sino ad ora si aveva nei paesi più fragili dell’America Latina e dell’Africa, comincia, tutto sommato, a diventare la norma anche all’interno dei principali paesi del capitalismo.
Negli Stati Uniti, mentre il ruolo delle istituzioni “democratiche” è quello di garantire l’unità dello Stato, le loro crescenti difficoltà nel contenere e limitare la violenza dei rapporti tra fazioni borghesi rivali testimoniano un reale aumento delle tensioni. L’atmosfera di violenza è al suo apice. Trump stesso non ha cessato, dopo la sua partenza dalla Casa Bianca e il suo fallito tentativo di sedizione contro il Campidoglio, di gettare benzina sul fuoco, di mettere in discussione i risultati delle elezioni, di rifiutarsi di ammettere la sua sconfitta, di promettere di abbassare il suo braccio vendicatore sui “traditori", sui “bugiardi”, sui “corrotti”. Non ha mai smesso di rendere isterico il “dibattito pubblico”, di raccontare bugie su bugie, di scaldare al massimo i suoi sostenitori... L’ex presidente ha dimostrato di essere un anello fondamentale di una vera e propria catena di violenza che fuoriesce da ogni poro della società e che ha finito per rivoltarsi contro di lui.
Verso una sempre maggiore instabilità
Che un personaggio così irresponsabile e grottesco abbia potuto spazzare via tutto ciò che, anche se minimamente, poteva gestire efficacemente lo Stato borghese all’interno del Partito Repubblicano o che avesse potuto solo candidarsi alla presidenza senza incontrare gravi difficoltà, né politiche né legali (nonostante i numerosi tentativi dei suoi avversari), è di per sé un segno lampante dell’impotenza e della profonda instabilità in cui sta sprofondando l’apparato politico americano.
Ma se Trump è davvero il portavoce di tutta un’atmosfera di violenza sociale e politica, un fattore attivo di destabilizzazione, rappresenta solo l’espressione caricaturale della dinamica in cui sta sprofondando l’intera borghesia. Perché il campo democratico, anche se un po’ più preoccupato di rallentare questo processo, contribuisce altrettanto all’instabilità mondiale. Certo, dopo le politiche incoerenti e imprevedibili dell’amministrazione Trump, Biden si è dimostrato più efficace nel difendere gli interessi della borghesia americana, ma a che prezzo? Mentre le guerre in Afghanistan e in Iraq, che avevano lo scopo di fermare il declino della leadership americana come “il poliziotto del mondo”, avevano portato a un evidente fiasco, esacerbando il caos in Medio Oriente e in tutto il mondo, Biden ha spinto la Russia a intervenire in Ucraina ([1]).
Questo massacro su larga scala si sta impantanando settimana dopo settimana e sembra non avere fine. Con l’esplosione dell'inflazione e l’aggravarsi della crisi mondiale, con l’aumento delle tensioni imperialiste e il notevole allargamento dell’economia di guerra in tutti i continenti, il conflitto in Ucraina ha portato solo a una destabilizzazione sempre maggiore su scala ancora più ampia, anche negli Stati Uniti.
Allo stesso tempo, Biden ha aggravato le tensioni con la Cina in tutto il Pacifico, aumentando il rischio di uno scontro diretto. La guerra a Gaza, che il presidente americano non è riuscito a controllare e contenere, ha anche notevolmente accentuato il declino della potenza americana, che prima o poi provocherà una reazione ancora più barbara da parte degli Stati Uniti. E ora l’inquilino della Casa Bianca cerca di aggrapparsi pietosamente al potere, mentre gran parte del suo campo lo spinge apertamente a ritirarsi! Ma con chi si dovrebbe sostituire Biden? I democratici sono divisi e screditati, a malapena in grado di mettersi d’accordo su un sostituto. Tutti sono già pronti a combattere l’uno contro l'altro. Persino la vicepresidente Harris, l’unica che può imporsi, è molto impopolare anche all’interno del suo stesso campo. Tra Trump, Biden, Harris... alla borghesia americana non restano che pessime opzioni, segno della sua grande fragilità. Un altro segno delle estreme tensioni tra il campo repubblicano e quello democratico, Trump non aveva ancora lasciato l’ospedale, è che mutualmente si accusavano a vicenda, con grande veemenza, di essere responsabili dell’attentato. Trump e Biden, consapevoli della situazione esplosiva, hanno poi momentaneamente cercato di placare questo clima incendiario in nome dell’unità nazionale... prima che si sviluppasse di nuovo un torrente di fake news e accuse infondate. Ma la divisione tra i partiti borghesi, le aspre lotte intestine, le continue mosse di poker, le rivalità egoistiche, gli accoltellamenti, le strategie della terra bruciata, tutto questo è ben lungi dall’essere prerogativa della sola borghesia americana. La campagna elettorale in America richiama naturalmente la situazione di molti Stati in Europa e altrove, di cui la Francia è l’ultimo fulgido esempio. Il capitalismo sta marcendo in piedi e questo ha conseguenze a tutti i livelli (imperialista, sociale, economico, ambientale...), trascinando gli apparati politici della borghesia in una logica di “si salvi chi può” e in un’inevitabile spirale di instabilità in cui ogni cricca borghese cerca, come può, di tirare verso di sé la coperta... anche a scapito degli interessi generali della borghesia.
Non c'è nulla da aspettarsi dalle elezioni
Nonostante le crescenti difficoltà della borghesia nel controllare il proprio apparato politico, essa sa ancora perfettamente come utilizzare la mistificazione democratica per ridurre la classe operaia all’impotenza. Mentre il proletariato deve sviluppare la sua lotta contro lo Stato borghese, la borghesia usa le elezioni per intrappolarci in falsi dilemmi: quale partito sarebbe il più adatto ad assicurare la direzione dello Stato borghese? Mentre il proletariato deve cercare di organizzarsi come classe autonoma, le elezioni riducono gli operai allo status di cittadini-elettori, a malapena bravi a scegliere, sotto la pressione del rullo compressore della propaganda, quale cricca borghese sarà responsabile di organizzare il loro sfruttamento.
Non c’è quindi nulla da aspettarsi dalle prossime elezioni. Se Biden (o il suo sostituto) dovesse alla fine prevalere, la politica bellicista dell’amministrazione Biden e tutto il caos globale che ha generato si intensificheranno ulteriormente per mantenere la posizione degli Stati Uniti nell’arena globale a tutti i costi. Se Trump dovesse confermare le previsioni di vittoria a novembre, le politiche destabilizzanti e incostanti del suo primo mandato tornerebbero con maggiore forza e irrazionalità. Il suo compagno di corsa, J.D. Vance, si rivolge alla classe operaia in modo più diretto e lo sfruttamento demagogico della sua storia personale come vittima dimenticata dell’America rurale e deindustrializzata gli permette di rafforzare il suo campo e la sua influenza contando sugli “indecisi” per convincerli di un possibile “nuovo percorso” dietro il suo mentore miracolato.
Che vincano Trump o Biden, la crisi storica in cui sta affondando il capitalismo non scomparirà, gli attacchi continueranno a piovere e la violenza cieca non smetterà di scatenarsi. Di fronte alla decomposizione del mondo capitalistico, la classe operaia e il suo progetto rivoluzionario rappresentano l’unica vera alternativa. Mentre le guerre, i disastri o la propaganda si scontrano costantemente con le sue lotte e la sua riflessione, negli ultimi due anni il proletariato sta rinascendo ovunque con il suo spirito combattivo e sta gradualmente cominciando a ritrovare la coscienza di essere una sola e stessa classe. Dappertutto, piccole minoranze stanno emergendo e stanno riflettendo sulla natura del capitalismo, sulle cause della guerra e sulla prospettiva rivoluzionaria. Con tutte le sue elezioni, la borghesia cerca di spezzare questa combattività e questa maturazione, cerca di impedire qualsiasi politicizzazione delle lotte. Nonostante le promesse (ovviamente, mai mantenute) di un capitalismo più “giusto”, più “ecologico”, più “pacifico”, nonostante il feroce senso di colpa di “coloro che non ostacolano il fascismo” nelle urne, non illudiamoci: le elezioni sono davvero una trappola per la classe operaia!
EG, 19 luglio 2024.
[1] L’obiettivo di Washington era quello di indebolire la Russia in modo che non potesse essere un forte alleato della Cina in caso di conflitto contro quest’ultima. Si tratta quindi di isolare maggiormente la Cina, mentre si sta infliggendo un colpo alla sua economia e alla sua strategia imperialista, tagliando le sue «nuove vie della seta» attraverso l’Europa orientale.