Il capitalismo porta alla distruzione dell’umanità... Solo la rivoluzione proletaria mondiale può porvi fine

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130 anni fa, mentre si intensificavano le tensioni tra le potenze capitalistiche in Europa, Friedrich Engels pose il dilemma dell’umanità: comunismo o barbarie. Questa alternativa prese forma con la Prima Guerra Mondiale, che scoppiò nel 1914 e causò 20 milioni di morti, 20 milioni di invalidi e, nel caos della guerra, la pandemia di influenza spagnola che uccise oltre 50 milioni di persone.

La rivoluzione in Russia nel 1917 e i tentativi rivoluzionari in diversi paesi misero fine alla carneficina e mostrarono l’altra faccia del dilemma storico posto da Engels: il rovesciamento del capitalismo a livello mondiale da parte della classe rivoluzionaria, il proletariato, che apriva la possibilità di una società comunista.

Tuttavia, in seguito si è avuto:

- il crollo del tentativo rivoluzionario mondiale, la brutale controrivoluzione in Russia perpetrata dallo stalinismo sotto la bandiera del “comunismo”;

- il massacro del proletariato in Germania[1] - iniziato dalla socialdemocrazia e completato dal nazismo;

- l’arruolamento del proletariato in Unione Sovietica, il massacro del proletariato in quel paese;

- l’arruolamento dei proletari sotto le bandiere dell’antifascismo e della difesa della Patria “socialista” che portò negli anni 1939-45 a una nuova esplosione di barbarie, la Seconda Guerra Mondiale con 60 milioni di morti e una successione infinita di sofferenze: i campi di concentramento nazisti e stalinisti; i bombardamenti alleati di Dresda, Amburgo e Tokyo (gennaio 1945), le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki da parte degli Stati Uniti.

Da allora, la guerra ha continuato a mietere vittime in tutti i continenti.

Prima c’è stato il confronto tra il blocco americano e quello russo, la “Guerra fredda” (1945-89), con una catena infinita di guerre localizzate e la minaccia di un diluvio di bombe nucleari su tutto il pianeta.

Dopo il crollo dell’URSS nel 1989-91, guerre caotiche hanno insanguinato il pianeta: Iraq, Jugoslavia, Ruanda, Afghanistan, Yemen, Siria, Etiopia, Sudan... La guerra in Ucraina è la più grave crisi bellica dal 1945.

La barbarie della guerra si accompagna alla prolificazione e all’interazione di forze distruttive che si rafforzano a vicenda: la pandemia COVID, che è ancora lontana dall’essere sconfitta e annuncia la minaccia di nuove pandemie; il disastro ecologico e ambientale che si accelera e si amplifica, unito agli sconvolgimenti climatici, provocando disastri sempre più incontrollabili e mortali: siccità, inondazioni, uragani, tsunami. ..., un grado di inquinamento senza precedenti della terra, dell’acqua, dell’aria e dello spazio; la grave crisi alimentare che sta causando carestie di proporzioni bibliche. Quarant’anni fa l’umanità rischiava di perire in una Terza Guerra Mondiale, oggi può essere annientata da questa semplice aggregazione e combinazione mortale delle forze di distruzione attualmente all’opera: “Essere brutalmente annientati da una pioggia di bombe termonucleari in una guerra generalizzata o dall’inquinamento, dalla radioattività delle centrali nucleari, dalle carestie, dalle epidemie e dai massacri dei molteplici conflitti bellici (in cui potrebbero essere utilizzate anche le armi atomiche), tutto ciò equivale, alla fine, alla stessa cosa. L’unica differenza tra queste due forme di annientamento è che la prima è più veloce, mentre la seconda è più lenta e causerebbe ancora più sofferenza”[2]. Il dilemma posto da Engels assume una forma molto più pressante: COMUNISMO o DISTRUZIONE DELL’UMANITÀ. Il momento è grave ed è necessario che i rivoluzionari internazionalisti lo dicano in modo inequivocabile alla nostra classe, perché solo essa, attraverso una lotta permanente e incessante, può aprire la prospettiva comunista.

La guerra imperialista è il modo di vita del capitalismo

I cosiddetti “mass media” falsificano e sottovalutano la realtà della guerra. All’inizio, ventiquattro ore al giorno, si parlava solo della guerra in Ucraina. Ma con il passare del tempo, la guerra è stata banalizzata, non ha merito più i titoloni di prima pagina, i suoi echi non vanno oltre qualche dichiarazione minacciosa, gli appelli ai sacrifici per “inviare armi all’Ucraina”, le campagne di propaganda martellate contro i rivali, le fake news, il tutto condito da vane illusioni di “negoziati” ....

Banalizzare la guerra, abituarsi al suo odore ripugnante di cadaveri e rovine fumanti, è il peggior tipo di perfidia, significa nascondere il grave pericolo che essa rappresenta per l'umanità, significa essere ciechi di fronte a tutte le minacce che incombono permanentemente sulle nostre teste.

Milioni di persone in Africa, Asia e America Centrale non conoscono altra realtà che la GUERRA; dalla nascita alla morte, vivono in un mare di barbarie dove proliferano atrocità di ogni tipo: bambini soldato, operazioni punitive, presa di ostaggi, attacchi terroristici, sfollamenti massicci di intere popolazioni, bombardamenti indiscriminati...

Mentre le guerre del passato erano limitate alle prime linee e ai combattenti, le guerre del XX e del XXI secolo sono GUERRE TOTALI che abbracciano tutte le sfere della vita sociale e i cui effetti si estendono al mondo intero, colpendo tutti i Paesi, compresi quelli che non sono direttamente belligeranti. Nelle guerre del XX e XXI secolo, nessun abitante o luogo del pianeta può sfuggire ai loro effetti mortali.

Sulle linee del fronte, che possono estendersi per migliaia di chilometri, a terra, in mare, in aria e nello spazio, le vite vengono stroncate da bombe, spari, mine e in molti casi anche dal “fuoco amico” ... Colti da una follia omicida, costretti dal terrore imposto dai loro superiori o intrappolati in situazioni estreme, tutti i partecipanti sono costretti alle peggiori azioni suicide, criminali e distruttive.

Su una parte del fronte militare, c’è la “guerra a distanza”, con il dispiegamento incessante di modernissime macchine di distruzione: aerei che sganciano migliaia di bombe senza interruzione; droni telecomandati verso tutti i “bersagli” del nemico; artiglierie mobili o fisse che martellano senza sosta l’avversario; missili che coprono centinaia o migliaia di chilometri...

Anche le cosiddette “retrovie” di questo fronte stanno diventando un teatro di guerra permanente in cui le popolazioni sono prese in ostaggio. Chiunque può morire nel bombardamento periodico di intere città... Nei centri di produzione si lavora con le armi alle spalle, rigidamente inquadrati dalla polizia, dai partiti politici, dai sindacati e da tutte le altre istituzioni messe al servizio della “difesa della Patria”, mentre allo stesso tempo si corre il rischio di essere sventrati dalle bombe del nemico. Il lavoro diventa un inferno ancora più grande di quello quotidiano dello sfruttamento capitalistico.

Il cibo drammaticamente razionato è una zuppa immonda e puzzolente... Non c'è acqua, né elettricità, né riscaldamento... Milioni di esseri umani vedono la loro esistenza ridotta alla sopravvivenza come bestie. I proiettili cadono dal cielo, uccidendo migliaia di persone o causando loro orribili agonie; a terra, incessanti controlli di polizia e militari, il pericolo di essere arrestati da scagnozzi armati, mercenari dello Stato qualificati come “difensori della patria” ... Bisogna continuamente correre a rifugiarsi in cantine sporche e infestate dai topi... Il rispetto, la solidarietà più elementare, la fiducia, il pensiero razionale... sono spazzati via dall’atmosfera di terrore imposta non solo dal governo, ma anche dall’Unione Nazionale a cui i partiti e i sindacati partecipano con zelo spietato. Le voci più assurde, le notizie più inverosimili, circolano senza sosta, provocando un’atmosfera isterica di denuncia, cieco sospetto, tensione brutale e pogrom.

La guerra è una barbarie voluta e pianificata dai governi, che la aggravano propagando coscientemente odio e terrore verso “l’altro”, fratture e divisioni tra gli esseri umani, la morte per amore della morte, l’istituzionalizzazione della tortura, la sottomissione, i rapporti di potere, come unica logica possibile di evoluzione sociale. I violenti scontri intorno alla centrale nucleare di Zaporižžja in Ucraina, dimostrano che entrambe le parti non si fanno scrupoli a rischiare un disastro radioattivo ben peggiore di Chernobyl e con conseguenze drammatiche per la popolazione europea. La minaccia dell’uso di armi nucleari incombe minacciosa.

L’ideologia della guerra

Il capitalismo è il sistema più ipocrita e cinico della storia. Tutta la sua “arte” ideologica consiste nel far passare i propri interessi come “interessi del popolo”, adornati dai più nobili ideali: giustizia, pace, progresso, diritti umani...!

Tutti gli Stati costruiscono una IDEOLOGIA DI GUERRA destinata a giustificarla e a trasformare i loro “cittadini” in iene pronte a uccidere. “La guerra è un gigantesco, metodico e organizzato omicidio. Negli esseri umani, l’uccisione sistematica è possibile solo se prima si è raggiunto un certo grado di intossicazione. Questo è sempre stato il metodo collaudato di coloro che fanno la guerra. La bestialità dell’azione deve trovare una commisurata bestialità del pensiero e dei sensi; quest’ultima deve preparare e accompagnare la prima”, (Rosa Luxemburg, Junius Brochures)

Le grandi democrazie fanno della PACE un pilastro della loro ideologia bellica. Le manifestazioni “per la pace” hanno sempre preparato le guerre imperialiste. Nell’estate del 1914 e nel 1938-1939, milioni di persone hanno manifestato “per la pace” con impotenti grida di protesta da parte di “uomini di buona volontà”, sfruttatori e sfruttati che si tenevano per mano, che il campo “democratico” ha continuato ad usare per giustificare l’accelerazione dei preparativi di guerra.

Nella Prima guerra mondiale, la Germania aveva mobilitato le sue truppe per “difendere la pace”, “spezzata dall’attacco di Sarajevo all’alleato austriaco”. Ma dall’altra parte, Francia e Gran Bretagna si dettero al massacro in nome della pace “rotta dalla Germania”. Nella Seconda Guerra Mondiale, Francia e Gran Bretagna finsero uno sforzo di “pace” a Monaco di fronte alle pretese di Hitler, mentre si preparavano freneticamente alla guerra, e l’invasione della Polonia da parte dell’azione combinata di Hitler e Stalin diede loro la scusa perfetta per entrare in guerra... In Ucraina, Putin ha dichiarato fino a poche ore prima dell’invasione del 24 febbraio di volere la “pace”, mentre gli Stati Uniti hanno denunciato senza sosta il bellicismo di Putin....

La nazione, la difesa nazionale e tutte le armi ideologiche che vi ruotano attorno (razzismo, religione, ecc.) sono l’arpione per mobilitare il proletariato e l’intera popolazione nel massacro imperialista. La borghesia proclama in tempi di “pace” la “coesistenza dei popoli”, ma tutto svanisce con la guerra imperialista. Allora le maschere cadono e tutti diffondono l’odio per lo straniero e la difesa accanita della nazione!

Tutti presentano la propria guerra come “difensiva”. Cento anni fa i ministeri incaricati della barbarie bellicista si chiamavano “ministero di guerra”, oggi, con la peggiore ipocrisia, li chiamano “ministero della difesa”. La difesa è la foglia di fico della guerra. Non esistono nazioni aggredite e nazioni che aggrediscono, tutte partecipano attivamente all’ingranaggio mortale della guerra. Nella guerra attuale, la Russia sembra essere “l’aggressore” perché ha preso l’'iniziativa di invadere l’Ucraina, ma prima gli Stati Uniti hanno machiavellicamente ampliato la NATO incorporandovi diversi Paesi dell’ex “Patto di Varsavia”. Non è possibile considerare ogni anello in modo isolato, è necessario esaminare la sanguinosa catena di scontri imperialisti che ha attanagliato l’intera umanità per oltre un secolo.

Tutti parlano di una “guerra pulita”, che seguirebbe (o dovrebbe seguire) “regole umanitarie”, “in conformità con il diritto internazionale”. E’ un vile inganno, farcito di cinismo e ipocrisia senza limiti! Le guerre del capitalismo decadente non possono obbedire a nessun’altra regola se non quella della distruzione assoluta del nemico, che implica terrorizzare le popolazioni del campo avversario con bombardamenti spietati... In guerra si stabilisce un rapporto di forza in cui TUTTO è permesso, dallo stupro alle punizioni più brutali della popolazione rivale fino al terrore cieco esercitato sui loro stessi “cittadini”. Il bombardamento dell’Ucraina da parte della Russia segue le orme dei bombardamenti USA in Iraq, dei governi statunitensi e russi in Afghanistan e in Siria e, prima ancora, in Vietnam; dei bombardamenti della Francia sulle sue ex colonie, come il Madagascar e l’Algeria; dei bombardamenti di Dresda e Amburgo da parte degli “alleati democratici”; della barbarie nucleare di Hiroshima e Nagasaki. Le guerre del 20° e 21° secolo sono state accompagnate da metodi di sterminio di massa impiegati da tutte le parti, anche se il campo democratico spesso si preoccupa di addossarli a personaggi specifici che ne assumono l’impopolarità.

Osano parlare di “guerre giuste”! La parte della NATO che sostiene l’Ucraina afferma che si tratta di una battaglia per la democrazia contro il dispotismo e il regime dittatoriale di Putin. Putin dice che vuole “denazificare” l’Ucraina. Entrambe sono palesi falsità. Il campo delle “democrazie” ha altrettanto sangue sulle mani: il sangue delle innumerevoli guerre che hanno provocato direttamente (Vietnam, Jugoslavia, Iraq, Afghanistan) o indirettamente (Libia, Siria, Yemen...); il sangue delle migliaia di migranti uccisi in mare e alle “frontiere calde” degli Stati Uniti e in Europa, nelle acque del Mediterraneo... Lo Stato ucraino usa il terrore per imporre la lingua e la cultura ucraina; uccide i lavoratori per il solo crimine di parlare russo; arruola con la forza qualsiasi giovane sorpreso per strada e vicoli; usa la popolazione, persino negli ospedali, come scudi umani; dispiega bande neofasciste per terrorizzare la popolazione... Da parte sua, Putin, oltre ai bombardamenti, agli stupri e alle esecuzioni sommarie, sposta migliaia di famiglie in campi di concentramento in zone remote; impone il terrore nei territori “liberati” e arruola gli ucraini nell’esercito mandandoli al macello in prima linea al fronte.

Le vere cause della guerra

Diecimila anni fa, uno dei mezzi di distruzione del comunismo primitivo fu la guerra tribale. Da allora, sotto l’egida dei modi di produzione basati sullo sfruttamento, la guerra è uno dei peggiori flagelli. Ma alcune guerre hanno potuto giocare un ruolo progressivo nella storia, per esempio nello sviluppo del capitalismo, formando nuove nazioni, espandendo il mercato mondiale, stimolando lo sviluppo delle forze produttive.

Dalla prima guerra mondiale, tuttavia, il mondo è totalmente diviso tra le potenze capitalistiche, cosicché l’unica via d’uscita per ogni capitale nazionale è quella di strappare ai propri rivali mercati, sfere d’influenza, zone strategiche. Questo fa della guerra e di tutto ciò che ne consegue (militarismo, accumulo gigantesco di armamenti, alleanze diplomatiche...) il MODO DI VITA PERMANENTE del capitalismo. Una costante tensione imperialista attanaglia il mondo e trascina tutte le nazioni, grandi o piccole che siano, indipendentemente dalla loro maschera e alibi ideologico, dall’orientamento dei partiti al potere, dalla loro composizione razziale o dal loro patrimonio culturale e religioso. TUTTE LE NAZIONI SONO IMPERIALISTE. Il mito delle nazioni “pacifiche e neutrali” è una pura mistificazione. Se alcune nazioni adottano una politica “neutrale”, è per cercare di approfittare della contrapposizione tra le parti più risolutamente avversarie, per ritagliarsi un’area di influenza imperialista. Nel giugno 2022, la Svezia, un paese ufficialmente “neutrale” da oltre 70 anni, è entrata a far parte della NATO, ma non ha “tradito alcun ideale” per farlo, si è limitata a perseguire la propria politica imperialista “con altri mezzi”.

La guerra può essere un affare per le aziende coinvolte nella produzione di armamenti, o può anche favorire un determinato paese per un certo periodo, ma per il capitalismo nel suo complesso è una catastrofe economica, uno spreco irrazionale, un segno MENO che inevitabilmente pesa sulla produzione mondiale e provoca debito, inflazione e distruzione ecologica. Non è mai un PIU’ che consentirebbe di accrescere l’accumulazione capitalistica.

Necessità ineludibile per la sopravvivenza di ogni nazione, la guerra è un peso economico mortale. L’URSS è crollata perché non ha retto alla folle corsa agli armamenti che comportava il confronto con gli Stati Uniti, che questi hanno spinto al massimo con il famoso dispiegamento della politica “Star wars” negli anni '80. Gli Stati Uniti, che sono stati i grandi vincitori della Seconda Guerra mondiale e hanno vissuto uno spettacolare boom economico fino alla fine degli anni ‘60, hanno incontrato poi molti ostacoli nel mantenere la loro egemonia imperialista. Ciò soprattutto dopo la dissoluzione della politica dei blocchi, che ha favorito l’emergere di una dinamica di risveglio di nuovi appetiti imperialisti - in particolare tra i loro ex “alleati” - di contestazione e di “ciascuno per sé”. Questo ha richiesto alla potenza statunitense un gigantesco sforzo bellico per più di 80 anni e costose operazioni militari che necessariamente ha dovuto intraprendere per mantenere il suo status di prima potenza mondiale.

Il capitalismo porta nei suoi geni, nel suo DNA, la competizione più esacerbata, il TUTTI CONTRO TUTTI e il CIASCUNO PER SE, per ogni capitalista, come per ogni nazione. Questa tendenza “organica” del capitalismo non è apparsa chiaramente nel suo periodo ascendente, perché ogni capitale nazionale disponeva ancora di aree sufficienti per la sua espansione senza dover entrare in conflitto con i rivali. Tra il 1914 e il 1989, il problema è stato attenuato dalla formazione di grandi blocchi imperialisti. Con la brusca fine di questa disciplina di blocco, le tendenze centrifughe configurano a un mondo di disordine mortale, in cui sia gli imperialismi con ambizioni di egemonia globale, sia gli imperialismi con pretese regionali o gli imperialismi più locali cercando, tutti, di soddisfare i propri appetiti e interessi. In questo scenario, gli Stati Uniti cercano di impedire a chiunque di metterli in ombra, dispiegando senza sosta il loro strapotere militare, cercando sempre di rafforzarlo e lanciando costantemente operazioni militari altamente destabilizzanti. La promessa del 1990, dopo la fine dell’URSS, di un “nuovo ordine mondiale di pace e prosperità” è stata immediatamente smentita dalla Guerra del Golfo e poi dalle guerre in Medio Oriente, in Iraq e in Afghanistan, che hanno alimentato le tendenze guerrafondaie in modo tale che “l’imperialismo più democratico del mondo”, gli Stati Uniti, è ora il principale agente di diffusione del caos bellico e di destabilizzazione della situazione mondiale.

La Cina si è imposta come concorrente di primo piano della leadership statunitense. Il suo esercito, nonostante la modernizzazione, è ancora ben lontano dall’aver acquisito la forza e l’esperienza del rivale americano; la sua “tecnologia bellica”, base essenziale per un armamento e un dispiegamento di guerra efficace, è ancora limitata e fragile, lontana dalla potenza americana; la Cina è circondata nel Pacifico da una catena di potenze ostili (Giappone, Corea del Sud, Taiwan, Australia, ecc.), che blocca la sua espansione imperialista marittima. Di fronte a questa situazione sfavorevole, la Cina si è lanciata in una gigantesca impresa economico-imperialista, la Via della Seta, che mira a stabilire una presenza mondiale e un’espansione via terra attraverso l’Asia centrale, cioè in una delle regioni più destabilizzate del mondo. Si tratta di sforzo il cui esito è molto incerto e richiede un investimento economico e militare totale e incommensurabile, così come una mobilitazione politico-sociale al di sopra dei suoi mezzi di controllo. Questi infatti si basano essenzialmente su di una rigidità politica del suo apparato statale, pesante eredità del maoismo staliniano: l’uso sistematico e brutale delle forze repressive, la coercizione e la sottomissione a un gigantesco apparato statale ultra-burocratizzato, come si è visto nel proliferare delle proteste contro la politica “zero Covid” del governo. Questo orientamento aberrante e l’accumulo di contraddizioni che minano profondamente il suo sviluppo potrebbero finire per scuotere questo colosso dai piedi d’argilla che è la Cina. Così come la risposta brutale e minacciosa degli Stati Uniti illustra il grado di follia omicida, di fuga cieca nella barbarie e nel militarismo (compresa la crescente militarizzazione della vita sociale), che il capitalismo ha raggiunto come sintomi di un cancro generalizzato che sta divorando il mondo e minaccia ormai direttamente il futuro della Terra e la vita dell’umanità.

Il vortice di distruzione che minaccia il mondo

La guerra in Ucraina non è una tempesta a ciel sereno, segue la peggiore pandemia del 21° secolo, quella del COVID, con oltre 15 milioni di morti, le cui devastazioni continuano con il confinamento draconiano in Cina. Tuttavia, entrambe fanno parte, alimentandola, di una catena di disastri che colpiscono l’umanità: la distruzione dell’ambiente; lo sconvolgimento climatico e le sue molteplici conseguenze; la carestia che sta tornando con violenza in Africa, Asia e America centrale; l’ondata vertiginosa di rifugiati che, nel 2021, ha raggiunto la cifra senza precedenti di 100 milioni di sfollati o migranti; il disordine politico che si sta impadronendo dei Paesi centrali, come vediamo con i governi in Gran Bretagna o il peso del populismo negli Stati Uniti; lo sviluppo di ideologie la le più oscurantiste …

La pandemia ha messo a nudo le contraddizioni che minano il capitalismo. Un sistema sociale che vanta di impressionanti progressi scientifici non ha altra soluzione che il metodo medievale della quarantena, mentre i suoi sistemi sanitari sono al collasso e la sua economia è paralizzata da quasi due anni, aggravando una crisi economica già alle stelle. Un ordine sociale che pretende di avere come bandiera il progresso produce le ideologie più arretrate e irrazionali che sono esplose intorno alla pandemia con ridicole teorie del complotto, molte delle quali provengono dalla bocca di “grandi leader mondiali”.

Una causa diretta della pandemia risiede nel peggior disastro ecologico che minaccia l’umanità da anni. Mosso dal profitto e non dalla soddisfazione dei bisogni umani, il capitalismo è un predatore di risorse naturali, come lo è del lavoro umano, ma allo stesso tempo, tende a distruggere gli equilibri e i processi naturali, modificandoli in modo caotico, come un apprendista stregone, provocando disastri di ogni tipo con conseguenze sempre più distruttive. Il riscaldamento climatico provoca siccità, inondazioni, incendi, la fusione dei ghiacciai e degli iceberg, l’estinzione massiccia di specie vegetali e animali con conseguenze imprevedibili e preannuncia la scomparsa stessa della specie umana a cui il capitalismo sta portando. Il disastro ecologico è aggravato dalle necessità della guerra, dalle stesse operazioni belliche (l’uso delle armi nucleari ne è una chiara espressione) e dall’aggravarsi di una crisi economica mondiale che costringe ogni capitale nazionale a devastare ulteriormente un gran numero di regioni alla disperata ricerca di materie prime. L’estate del 2022 è un’illustrazione lampante delle gravi minacce che incombono sull’umanità in campo ecologico: aumento delle temperature medie e massime – l’estate più calda da quando sono iniziate le registrazioni meteorologiche su scala internazionale - siccità diffusa che colpisce fiumi come il Reno, il Po e il Tamigi, incendi boschivi devastanti, alluvioni come quella in Pakistan che ha colpito un terzo della superficie del Paese, frane, ... e, in mezzo a questo panorama disastrato e devastato, i governi che ritirano i loro ridicoli impegni di “protezione ambientale” in nome dello sforzo bellico!

“Il risultato finale del processo di produzione capitalista è il caos”, dichiarò il Primo Congresso dell’Internazionale Comunista nel 1919. È suicida e irrazionale, contrario a ogni criterio scientifico, pensare che tutte queste devastazioni siano solo una somma di fenomeni transitori, ciascuno confinato in cause particolari. C’è una continuità, un accumulo di contraddizioni, che costituiscono un filo rosso insanguinato che li lega, convergendo in un vortice mortale che minaccia l’umanità:

- Stiamo assistendo a un’accelerazione di tutte le contraddizioni del capitalismo, che si combinano tra loro e provocano un effetto moltiplicatore dei fattori di distruzione e caos;

 - L’economia è sprofondata non solo nella crisi ma anche in un crescente disordine (continui blocchi dell’approvvigionamento, situazioni combinate di sovrapproduzione e carenza di beni e mano d’opera);

 - I paesi più industrializzati, che si presume siano oasi di prosperità e pace, sono destabilizzati e diventano essi stessi fattori principali della crescente instabilità internazionale.

Come abbiamo detto nel Manifesto del nostro IX Congresso (1991): “La società umana non aveva mai conosciuto carneficine dell’ampiezza di quelle delle due guerre mondiali. Mai come ora il progresso della scienza e della tecnica era stato utilizzato a tale scala per provocare distruzione, massacri e sciagure agli uomini. Mai come ora una grande accumulazione di ricchezze era stata raggiunta, ma mai aveva provocato fame e sofferenze come quelle che si sono abbattute da decenni sui paesi del terzo mondo. Ma l’umanità non aveva ancora toccato il fondo. La decadenza del sistema capitalista significa l’agonia di questo sistema; ma questa agonia ha essa stessa una storia: oggi abbiamo raggiunto la fase terminale, quella della decomposizione generale della società, della sua putrescenza”[3].

La risposta del proletariato

Di tutte le classi sociali, quella più colpita e più duramente toccata dalla guerra è il proletariato. La guerra “moderna” è costruita su una gigantesca macchina industriale che richiede lo sfruttamento decuplicato del proletariato. Il proletariato è una classe internazionale che NON HA PATRIA, ma la guerra è l’assassinio dei lavoratori per la patria che li sfrutta e li opprime. Il proletariato è la classe della coscienza; la guerra è lo scontro irrazionale, la rinuncia a ogni pensiero e riflessione cosciente. Il proletariato ha interesse a cercare la verità, la chiarezza; nelle guerre, la prima vittima è la verità, incatenata, imbavagliata, soffocata dalle menzogne della propaganda imperialista. Il proletariato è la classe dell’unità al di là delle barriere di lingua, religione, razza o nazionalità; lo scontro mortale in guerra stabilisce come regola la lacerazione, la divisione, il confronto tra nazioni e popolazioni. Il proletariato è la classe dell’internazionalismo, della fiducia reciproca e della solidarietà; la guerra richiede come forza motrice il sospetto, la paura dello “straniero”, l’odio più efferato verso il “nemico”.

Poiché la guerra colpisce e mutila la fibra più profonda dell’essere proletario, la guerra generalizzata richiede la preventiva sconfitta del proletariato. La prima guerra mondiale è stata possibile perché i partiti operai dell’epoca, i partiti socialisti e i sindacati hanno tradito la nostra classe e si sono uniti alle loro borghesie nel quadro nell’UNIONE NAZIONALE contro il nemico. Ma questo tradimento non era sufficiente, nel 1915 la sinistra della socialdemocrazia si raggruppò a Zimmerwald e alzò la bandiera della lotta per la rivoluzione mondiale. Ciò ha contribuito all’emergere di lotte di massa che hanno aperto la strada alla Rivoluzione in Russia nel 1917 e all’ondata mondiale dell’assalto proletario del 1917-23 non solo contro la guerra in difesa dei principi dell’internazionalismo proletario, ma anche contro il capitalismo, affermando la capacità della classe unita di rovesciare un sistema di sfruttamento barbaro e disumano. Una lezione indistruttibile del 1917-18! Non sono stati i negoziati diplomatici o le conquiste di questo o quell’imperialismo a porre fine alla Prima guerra mondiale. È STATA L’INSURREZIONE RIVOLUZIONARIA INTERNAZIONALE DEL PROLETARIATO. SOLO IL PROLETARIATO PUÒ PORRE FINE ALLA BARBARIE BELLICA DIRIGENDO LA SUA LOTTA DI CLASSE VERSO LA DISTRUZIONE DEL CAPITALISMO.

Per spianare la strada alla Seconda guerra mondiale, la borghesia doveva garantire la sconfitta non solo fisica ma anche ideologica del proletariato. Il proletariato è stato sottoposto a un terrore spietato ovunque i suoi tentativi rivoluzionari si siano spinti più lontano: in Germania sotto il nazismo, in Russia sotto lo stalinismo. Ma allo stesso tempo è stato ideologicamente arruolato, sventolando le bandiere dell’antifascismo e della difesa della “patria socialista”, l’URSS.

“Di ‘vittoria in vittoria’, essa [la classe operaia] è stata condotta mani e piedi nella Seconda guerra imperialista che, a differenza della prima, non doveva permetterle di emergere in modo rivoluzionario, ma nella quale doveva essere iscritta alle grandi ‘vittorie’ della ‘resistenza’, dell'''antifascismo' o delle ‘liberazioni’ coloniali e nazionali" (Manifesto of the 1st Congress of the ICC, 1975, 1975).

Dalla storica ripresa della lotta di classe nel 1968, e per tutto il periodo in cui il mondo era diviso in due blocchi imperialisti, la classe operaia dei principali paesi ha rifiutato i sacrifici richiesti dalla guerra, per non parlare di andare al fronte a morire per la patria, il che ha chiuso la porta a una terza guerra mondiale. La situazione non è cambiata dal 1989.

Lotta all’inflazione e lotta alla guerra

Tuttavia, la “non mobilitazione” del proletariato dei paesi centrali per la guerra NON È SUFFICIENTE. Una seconda lezione emerge dall’evoluzione storica dal 1989: NON BASTA IL SEMPLICE RIFIUTO DI IMPEGNARSI IN OPERAZONI DI GUERRA, NÈ LA SEMPLICE RESISTENZA ALLA BARBARIE CAPITALISTA. RIMANERE A QUESTO STADIO NON FERMERÀ IL CORSO VERSO LA DISTRUZIONE DELL’UMANITÀ.

Il proletariato deve passare al terreno politico dell’offensiva internazionale generale contro il capitalismo. Solo “la coscienza della notevole posta in gioco nella situazione storica attuale, in particolare i pericoli mortali che fa correre la decomposizione all’umanità; - la sua determinazione a continuare, sviluppare ed unificare la propria lotta di classe, - la sua capacità a schivare le molteplici trappole che la borghesia, seppur colpita dalla decomposizione, non mancherà di seminare sul suo cammino, permetteranno alla classe operaia di rispondere colpo su colpo a tutti gli attacchi sferrati dal capitalismo, per passare finalmente all’offensiva ed abbattere questo barbaro sistema." (Tesi: la decomposizione, la fase finale della decadenza capitalistica, tesi 17)

La base di fondo dell’accumulazione di distruzione, barbarie e disastri che denunciamo è la crisi economica irreversibile del capitalismo, che è alla base del suo intero funzionamento. Dal 1967 il capitalismo è entrato in una crisi economica dalla quale, a distanza di cinquant'anni, non è riuscito a uscire. Al contrario, come dimostrano gli sconvolgimenti economici che si sono verificati dal 2018 e il crescente aumento dell’inflazione, la situazione sta peggiorando notevolmente, con le sue conseguenze di miseria, disoccupazione, precarietà e carestia.

La crisi del capitalismo tocca le fondamenta stesse di questa società. Inflazione, precarietà, disoccupazione, ritmi infernali e condizioni di lavoro che distruggono la salute dei lavoratori, alloggi inaccessibili... sono la prova di un inesorabile deterioramento della vita della classe operaia e, sebbene la borghesia stia cercando di creare ogni possibile divisione, concedendo condizioni “privilegiate” a determinate categorie di lavoratori, ciò a cui stiamo assistendo nel complesso è, da un lato, quella che probabilmente sarà la PEGGIORE CRISI della storia del capitalismo, e, d’altra parte, la realtà concreta della PAUPERIZZAZIONE ASSOLUTA della classe operaia nei paesi centrali. Il che conferma totalmente la correttezza di questa previsione che Marx fece sulla prospettiva storica del capitalismo e che gli economisti e gli altri ideologi della borghesia hanno tanto deriso.

L’inesorabile aggravarsi della crisi del capitalismo è uno stimolo essenziale alla lotta e alla coscienza di classe. La lotta contro gli effetti della crisi è la base per lo sviluppo della forza e dell’unità della classe operaia. La crisi economica colpisce direttamente l’infrastruttura della società; mette quindi a nudo le cause profonde di tutta la barbarie che grava sulla società, permettendo al proletariato di prendere coscienza della necessità di distruggere radicalmente il sistema e di non pretendere più di migliorarne alcuni aspetti.

Nella lotta contro gli attacchi brutali del capitalismo, e soprattutto contro l’inflazione che colpisce tutti i lavoratori in modo generale e indiscriminato, i lavoratori svilupperanno la loro combattività, potranno iniziare a riconoscersi come una classe che ha una forza, un’autonomia e un ruolo storico da svolgere nella società. Questo sviluppo politico della lotta di classe le darà la capacità di porre fine alla guerra ponendo fine al capitalismo.

Questa prospettiva sta cominciando a emergere: “di fronte agli attacchi della borghesia, la rabbia si è accumulata e oggi la classe operaia britannica dimostra di essere nuovamente pronta a lottare per la propria dignità, a rifiutare i sacrifici costantemente richiesti dal capitale. Questo è inoltre indicativo di una dinamica internazionale: lo scorso inverno, gli scioperi hanno iniziato a manifestarsi in Spagna e negli Stati Uniti; quest’estate, anche in Germania e in Belgio ci sono stati scioperi; e ora, i commentatori prevedono 'una situazione sociale esplosiva' in Francia e in Italia nei prossimi mesi. Non è possibile prevedere dove e quando la combattività dei lavoratori riemergerà su scala massiccia nel prossimo futuro, ma una cosa è certa: la portata dell’attuale mobilitazione dei lavoratori in Gran Bretagna è un evento storico significativo. I giorni della passività e della sottomissione sono passati. Le nuove generazioni di lavoratori stanno alzando la testa." (La borghesia impone nuovi sacrifici, la classe operaia risponde con la lotta – Volantino internazionale della CCI, agosto 2022).

Vediamo una rottura con la passività e il disorientamento degli anni precedenti. Il ritorno della combattività della classe operaia in risposta alla crisi può diventare un fulcro di coscienza guidato dall’intervento delle organizzazioni comuniste. È chiaro che ogni manifestazione dello sprofondare della società nella decomposizione riesce a rallentare gli sforzi della combattività operaia o addirittura a paralizzarla in un primo momento, come nel caso del movimento in Francia nel 2019 che ha subito il colpo dello scoppio della pandemia. Ciò comporta un’ulteriore difficoltà per lo sviluppo delle lotte. Tuttavia, non c’è altra via che la lotta, essendo la lotta stessa già una prima vittoria. Il proletariato mondiale, anche attraverso un processo necessariamente accidentato, pieno di insidie e di trappole tese dagli apparati politici e sindacali del suo nemico di classe, di amare sconfitte, mantiene intatte le sue capacità per poter recuperare la sua identità di classe e lanciare finalmente un’offensiva internazionale contro questo sistema morente.

Gli ostacoli che la lotta di classe deve superare

Gli anni Venti del 21° secolo avranno quindi una notevole importanza nell’evoluzione storica della lotta di classe e del movimento operaio. Mostreranno più chiaramente rispetto al passato - come abbiamo già visto dal 2020 – la prospettiva di distruzione dell’umanità che la decomposizione capitalista porta con sé. All’altro polo, il proletariato inizierà a muovere i primi passi, spesso esitanti e con molte debolezze, verso la sua capacità storica di porre la prospettiva comunista. Verranno posti i due poli della prospettiva, Distruzione dell’umanità o Rivoluzione comunista, anche se quest’ultima è ancora molto lontana e deve affrontare enormi ostacoli per affermarsi.

Sarebbe suicida per il proletariato nascondere o sottovalutare i giganteschi ostacoli derivanti sia dall’azione del Capitale e dei suoi Stati, sia dal marciume della situazione stessa che avvelena l’atmosfera sociale in tutto il mondo:

1) La borghesia ha saputo tirare le lezioni dal GRANDE SHOCK che le ha procurato il trionfo iniziale della Rivoluzione in Russia e l’ondata rivoluzionaria mondiale dell’assalto proletario tra il 1917 e il 1923, che ha dimostrato “nella pratica” ciò che il Manifesto Comunista annunciava nel 1848: “Uno spettro s’aggira sull’Europa: lo spettro del comunismo. La borghesia crea il proprio becchino: il proletariato”.

a. HA COLLABORATO A LIVELLO INTERNAZIONALE contro il proletariato, come abbiamo visto di fronte alla rivoluzione in Russia nel 1917[4] e in Germania nel 1918, nonché di fronte allo sciopero di massa in Polonia nel 1980.

b. Ha sviluppato un gigantesco apparato di controllo, deviazione e sabotaggio delle lotte dei lavoratori, messo in campo dai sindacati e dai partiti di ogni colore politico, dall’estrema destra all’estrema sinistra.

c. Utilizza e utilizzerà tutti gli strumenti dello Stato e dei cosiddetti “media” per lanciare costanti campagne ideologiche e articolate manovre politiche volte a vanificare e ostacolare la coscienza e la lotta del proletariato.

2) La decomposizione della società capitalista aggrava la mancanza di fiducia nel futuro. Inoltre mina la fiducia del proletariato in se stesso e nella sua forza come unica classe in grado di rovesciare il capitalismo, generando il “ciascuno per sé” la concorrenza generalizzata, la frammentazione sociale in categorie contrapposte, il corporativismo, tutti elementi che costituiscono un notevole ostacolo allo sviluppo delle lotte dei lavoratori e soprattutto alla loro politicizzazione rivoluzionaria.

3) In questo contesto, il proletariato corre il rischio di essere trascinato in lotte interclassiste o in movimenti di lotta parcellari che lo deviano e lo confinano in un terreno borghese come il femminismo, l’antirazzismo, l’anti populismo (una variante dell’antifascismo), ecc.

4) “Il tempo non gioca più a favore della classe operaia. Finché la minaccia di distruzione della società era rappresentata unicamente dalla guerra imperialista, il semplice fatto che le lotte del proletariato fossero capaci di mantenersi come ostacolo decisivo di un tale evento era sufficiente a sbarrare la strada a questa distruzione. Invece, contrariamente alla guerra imperialista che per potersi realizzare richiede l’adesione del proletariato agli ideali della borghesia, la decomposizione non ha nessun bisogno di imbrigliare la classe operaia per distruggere l’umanità. In effetti, le lotte operaie sono incapaci di costituire un freno alla decomposizione così come non riescono in nessun modo ad opporsi al crollo dell’economia borghese. In queste condizioni, anche se la decomposizione sembra essere per la vita della società un pericolo più lontano rispetto a quello di una guerra mondiale, essa è tuttavia ben più insidiosa.”  (TESI: la decomposizione, fase ultima della decadenza capitalista, tesi 16).

L’immensità dei pericoli non deve spingerci al fatalismo. La forza del proletariato è la coscienza delle sue debolezze, delle sue difficoltà, degli ostacoli che il nemico o la situazione stessa erigono contro la sua lotta: “Le rivoluzioni proletarie invece, quelle del secolo decimonono, criticano continuamente se stesse; interrompono ad ogni istante il loro proprio corso; ritornano su ciò che già sembrava cosa compiuta per ricominciare daccapo, si fanno beffe in modo spietato e senza riguardi delle mezze misure, delle debolezze e delle miserie dei loro primi tentativi; sembra che abbattano il loro avversario solo perché questo attinga dalla terra nuove forze e si levi di nuovo più formidabile di fronte ad esse; si ritraggono continuamente, spaventate dall’infinita immensità dei loro propri scopi, sino a che si crea la situazione in cui è reso impossibile ogni ritorno indietro e le circostanze stesse gridano: Hic Rhodus, hic salta!” (Marx: Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte).

La risposta della Sinistra Comunista

In situazioni storiche gravi, come le guerre su larga scala simili a quella in Ucraina, il proletariato può vedere chi sono i suoi amici e chi i suoi nemici. I nemici non sono solo i grandi leader, come Putin, Zelensky o Biden, ma anche i partiti di estrema destra, di destra, di sinistra e di estrema sinistra che, con gli argomenti più diversi, compreso il pacifismo, sostengono e giustificano la guerra e la difesa di un campo imperialista contro l’altro.

Per più di un secolo, solo la Sinistra Comunista è stata ed è capace di denunciare sistematicamente e coerentemente la guerra imperialista, difendendo l’alternativa della lotta di classe del proletariato, del suo orientamento verso la distruzione del capitalismo attraverso la rivoluzione proletaria mondiale.

La lotta del proletariato non si limita solo alle lotte difensive o agli scioperi di massa. Una componente indispensabile, permanente e inseparabile di essa è la lotta delle sue organizzazioni comuniste e concretamente, da un secolo, della Sinistra Comunista. L’unità di tutti i gruppi della Sinistra Comunista è indispensabile di fronte alla dinamica capitalista di distruzione dell’umanità. Come abbiamo già affermato nel Manifesto pubblicato in occasione del nostro primo congresso nel 1975: “Voltando le spalle al monolitismo delle sette, esso [questo Manifesto] invita i comunisti di tutti i Paesi a prendere coscienza delle immense responsabilità che sono loro proprie, ad abbandonare le false dispute che li oppongono, a superare le divisioni fittizie che il vecchio mondo pone su di loro. Li invita a unirsi a questo sforzo per costituire, prima delle battaglie decisive, l’organizzazione internazionale e unitaria della sua avanguardia. Come frazione più consapevole della classe, i comunisti devono indicarle la strada, facendo proprio lo slogan: Rivoluzionari di tutti i paesi unitevi!”.

CCI (dicembre 2022)

 

[1] Di fronte al tentativo rivoluzionario in Germania nel 1918, il socialdemocratico Noske si disse pronto ad assumere il ruolo di “cane sanguinario” della controrivoluzione.

[3] https://it.internationalism.org/manifesto-91 (Rivoluzione comunista o distruzione dell’umanità)

[4] Gli eserciti congiunti di Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e Giappone collaborarono a partire dall’aprile 1918 con i resti dell’ex esercito zarista in una terribile guerra civile che causò 6 milioni di morti.

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3° Manifesto della CCI