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"Luci brillanti, grande città, che sono andate alla testa del mio bambino" – (canzone di Jimmy e Mary Reed, 1961)
Introduzione. Questo articolo è scritto nel bel mezzo della crisi globale di Covid-19, una sorprendente conferma che stiamo vivendo la fase terminale della decadenza capitalistica. La pandemia, che è il prodotto di un rapporto profondamente distorto tra l'umanità e il mondo naturale sotto il regno del capitale, mette in evidenza il problema della urbanizzazione capitalista che i precedenti rivoluzionari, in particolare Engels e Bordiga, hanno analizzato in modo approfondito. Anche se abbiamo esaminato i loro contributi su questa questione in precedenti articoli di questa serie[1], ci sembra opportuno sollevare nuovamente la questione. Siamo anche vicini al 50° anniversario della morte di Bordiga nel luglio 1970, quindi l'articolo può anche servire come un nostro omaggio a un comunista di cui apprezziamo molto il lavoro, nonostante i nostri disaccordi con molte delle sue idee. Con questo articolo, iniziamo un nuovo "volume" della serie sul comunismo, specificamente rivolta ad esaminare le possibilità e i problemi della rivoluzione proletaria nella fase di decomposizione capitalistica.
La rivoluzione di fronte alla decomposizione del capitalismo
In una precedente parte di questa serie, abbiamo pubblicato degli articoli in cui si esaminava il modo in cui i partiti comunisti emersi durante la grande ondata rivoluzionaria del 1917-23 avevano tentato di portare il programma comunista dall'astratto al concreto - formulare una serie di misure da adottare da parte dei consigli dei lavoratori nel processo di sottrazione del potere dalle mani della classe capitalista[2]. E pensiamo che sia ancora perfettamente valido per i rivoluzionari porre la domanda: quali sarebbero i fondamenti del programma che l'organizzazione comunista del futuro - il partito mondiale - sarebbe costretto a proporre in un autentico movimento rivoluzionario? Quali sarebbero i compiti più urgenti che la classe operaia deve affrontare quando si muove verso l'assunzione del potere politico su scala globale? Quali sarebbero le principali misure politiche, economiche e sociali da attuare da parte della dittatura del proletariato, che rimangono il presupposto politico necessario per la costruzione di una società comunista?
I movimenti rivoluzionari del 1917-23, come la guerra imperialista mondiale che li ha alimentati, sono stati la prova evidente che il capitalismo era entrato nell'epoca della sua decadenza "decisiva per la rivoluzione sociale". Da quel momento in poi il progresso e persino la sopravvivenza dell'umanità sarebbero stati sempre più minacciati a meno che il rapporto sociale capitalista non venga superato su scala mondiale. In questo senso gli obiettivi fondamentali di una futura rivoluzione proletaria sono in piena continuità con i programmi che sono stati presentati all'inizio del periodo di decadenza. Ma questo periodo è ormai durato più di un secolo e a nostro avviso le contraddizioni accumulate in questo secolo hanno aperto una fase terminale del declino capitalistico, la fase che chiamiamo decomposizione, in cui la continuazione del sistema capitalistico contiene il crescente pericolo che le stesse condizioni per una futura società comunista vengano minate. Ciò è particolarmente evidente a livello "ecologico": nel 1917-23 i problemi posti dall'inquinamento e dalla distruzione dell'ambiente naturale erano di gran lunga meno sviluppati di quanto lo siano oggi. Il capitalismo ha così distorto lo "scambio metabolico" tra l'uomo e la natura che, come minimo, una rivoluzione vittoriosa dovrebbe dedicare una enorme quantità di risorse umane e tecniche semplicemente per ripulire dei rifiuti che il capitalismo ci avrà lasciato in eredità. Allo stesso modo, l'intero processo di decomposizione, che ha esacerbato la tendenza alla atomizzazione sociale, verso l'atteggiamento di "ognuno per sé" insito nella società capitalista, lascerà un'impronta molto dannosa sugli esseri umani che dovranno costruire una nuova comunità fondata sull'associazione e sulla solidarietà. Abbiamo anche da ricordare una lezione della rivoluzione russa: data la certezza che la borghesia resisterà alla rivoluzione proletaria con tutte le sue forze, la vittoria di quest'ultima comporterà una guerra civile che potrebbe causare danni incalcolabili, non solo in termini di vite umane e di ulteriori danni ecologici, ma anche a livello di coscienza, poiché il terreno militare non è propizio alla fioritura dell'autorganizzazione proletaria, della coscienza e della moralità proletaria. In Russia nel 1920, lo stato Sovietico emerse vittorioso nella guerra civile, ma il proletariato aveva in gran parte perso il controllo. Così, quando si cerca di capire i problemi della società comunista "come essa sorge dalla società capitalistica, che porta quindi ancora sotto ogni rapporto, economico, morale, spirituale, le impronte materne della vecchia società dal cui seno essa è uscita"[3], dobbiamo riconoscere che queste impronte materne saranno probabilmente molto più brutte e potenzialmente più dannose di quanto non lo fossero ai tempi di Marx e persino di Lenin. Le prime fasi del comunismo non saranno quindi un idilliaco risveglio in una mattina di maggio, ma un lungo e intenso lavoro di ricostruzione a partire dalle rovine. Questo riconoscimento dovrà illuminare la nostra comprensione di tutti i compiti del periodo di transizione, anche se continuiamo a basare le nostre anticipazioni del futuro sulla convinzione che il proletariato possa effettivamente svolgere la sua missione rivoluzionaria – nonostante tutto.
Il contesto storico del "programma immediato della rivoluzione" di Bordiga
Nel corso di questa lunga serie abbiamo cercato di capire lo sviluppo del progetto comunista come frutto della reale esperienza storica della lotta di classe e della riflessione sull'esperienza delle minoranze più consapevoli del proletariato. E in questo articolo vogliamo procedere con questo metodo storico, cercando di elaborare una versione aggiornata dei "programmi immediati" del 1917-23, che sono entrati a loro volta a far parte della storia del movimento comunista. Ci riferiamo al testo scritto da Amadeo Bordiga nel 1953 e pubblicato Sul Filo del Tempo, "Il programma immediato della rivoluzione", che abbiamo già menzionato in un precedente articolo di questa serie[4] con la promessa di ritornare su di esso in modo più dettagliato. A nostro avviso, è essenziale che ogni futuro tentativo di formulare un programma così immediato si basi sui punti di forza di questi sforzi precedenti, al posto di criticare radicalmente le debolezze. Tutto il testo, che ha il merito di essere molto succinto, è il seguente:
1) Col gigantesco movimento di ripresa dell'altro dopoguerra, potente alla scala mondiale, e in Italia costituito nel solido partito del 1921, fu chiaro il punto che il postulato urgente è prendere il potere politico e che il proletariato non lo prende per via legale ma con l'azione armata, che la migliore occasione sorge dalla sconfitta militare del proprio paese, e che la forma politica successiva alla vittoria è la dittatura del proletariato. La trasformazione economica sociale è compito successivo, di cui la dittatura pone la condizione prima.
2) Il «Manifesto dei Comunisti» chiarì che le successive misure sociali che si rendono possibili o che si provocano «dispoticamente» sono diverse - essendo la via al pieno comunismo lunghissima - a seconda del grado di sviluppo delle forze produttive del paese in cui il proletariato ha vinto, e della rapidità di estensione di tale vittoria ad altri paesi. Indicò quelle adatte allora, nel 1848, per i più progrediti paesi europei, e ribadì che quello non era il programma del socialismo integrale, ma un gruppo di misure che qualificò: transitorie, immediate, variabili, ed essenzialmente «contraddittorie».
3) Successivamente (e fu uno degli elementi che ingannò i fautori di una teoria non stabile, ma di continuo rielaborata da risultati storici) molte misure allora dettate alla rivoluzione proletaria furono prese dalla borghesia stessa in questo o quel paese; esempi: istruzione obbligatoria, banca di stato, ecc. Ciò non doveva autorizzare a credere che fossero mutate le precise leggi e previsioni sul trapasso dal modo capitalista a quello socialista di produzione con tutte le forme economiche, sociali e politiche, ma significava solo che diveniva diverso e più agevole il primo periodo postrivoluzionario: economia di transizione al socialismo, precedente il successivo del socialismo inferiore e l'ultimo del socialismo superiore o comunismo integrale.
4) L'opportunismo classico consistette nel far credere che tutte quelle misure, dalla più bassa alla più alta, le potesse applicare lo Stato borghese democratico sotto la pressione o addirittura la legale conquista del proletariato. Ma in tal caso quelle varie «misure», se compatibili col modo capitalista di produzione, sarebbero state adottate nell'interesse della continuazione del capitalismo e per il rinvio della sua caduta, se incompatibili non sarebbero state mai attuate dallo Stato.
5) L'opportunismo attuale, colla formula della democrazia popolare e progressiva, nei quadri della costituzione parlamentare, ha un compito storico diverso e peggiore. Non solo illude il proletariato che alcune delle misure sue proprie possano essere attirate nel compito di uno Stato interclassista e interpartitico (ossia, quanto i socialdemocratici di ieri, fa il disfattismo della dittatura) ma addirittura conduce le masse inquadrate a lottare per misure sociali «popolari e progressive» che sono direttamente opposte a quelle che il potere proletario sempre, fin dal 1848 e dal «Manifesto», si è prefisse.
6) Nulla mostrerà meglio tutta la ignominia di una simile involuzione che un elenco di misure che, quando si ponesse in avvenire, in un paese dell’Occidente capitalista, la realizzazione della presa del potere, si dovrebbe formulare, al posto (dopo un secolo) di quelle del “Manifesto”, incluse tuttavia le più caratteristiche di quelle di allora.
7) Un elenco di tali rivendicazioni si presenta così:
• «Disinvestimento dei capitali», ossia destinazione di una parte assai minore del prodotto a beni strumentali e non di consumo.
• «Elevamento dei costi di produzione» per poter dare, fino a che vi è salario mercato e moneta, più alte paghe per meno tempo di lavoro.
• «Drastica riduzione della giornata di lavoro» almeno alla metà delle ore attuali, assorbendo disoccupazione e attività antisociali.
• Ridotto il volume della produzione con un piano «di sottoproduzione» che la concentri sui campi più necessari, «controllo autoritario dei consumi» combattendo la moda pubblicitaria di quelli inutili dannosi e voluttuari, e abolendo di forza le attività volte alla propaganda di una psicologia reazionaria.
• Rapida «rottura dei limiti di azienda» con trasferimento di autorità non del personale ma delle materie di lavoro, andando verso il nuovo piano di consumo.
• «Rapida abolizione della previdenza» a tipo mercantile per sostituirla con l'alimentazione sociale dei non lavoratori fino ad un minimo iniziale.
• «Arresto delle costruzioni» di case e luoghi di lavoro intorno alle grandi città e anche alle piccole, come avvio alla distribuzione uniforme della popolazione sulla campagna. Riduzione dell'ingorgo velocità e volume del traffico vietando quello inutile.
• «Decisa lotta» con l'abolizione delle carriere e titoli «contro la specializzazione» professionale e la divisione sociale del lavoro.
• Ovvie misure immediate, più vicine a quelle politiche, per sottoporre allo Stato comunista la scuola, la stampa, tutti i mezzi di diffusione, di informazione, e la rete dello spettacolo e del divertimento.
8) Non è strano che gli stalinisti e simili oggi richiedano tutto l'opposto, coi loro partiti di Occidente, non solo nelle rivendicazioni «istituzionali» ossia politico-legali, ma anche nelle «strutturali» ossia economico-sociali. Ciò consente la loro azione in parallelo col partito che conduce lo Stato russo e i connessi, nei quali il compito di trasformazione sociale è il passaggio da precapitalismo a capitalismo pieno, con tutto il suo bagaglio di richieste ideologiche, politiche, sociali ed economiche, tutte orientate allo zenit borghese; volte con orrore solo contro il nadir feudale e medioevale. Tanto più sporchi rinnegati questi sozii di Occidente, in quanto quel pericolo, fisico e reale ancora dalla parte dell'Asia oggi in subbuglio, è inesistente e mentito per chi guarda alla tronfia capitalarchia di oltreatlantico, per i proletariati che di questa stanno sotto lo stivale civile, liberale e nazionunitario.
Da «Il Programma Comunista», Nr.1, 1953
Il testo è stato pubblicato nell'anno successivo alla scissione del Partito comunista internazionalista che si era formata in Italia durante la guerra, a seguito di un'importante ondata di lotte operaie[5]. La scissione, tuttavia - come l'incapacità di mantenere in vita la Gauche Communiste de France – malgrado gli sforzi di Marc Chirik – in seguito alla decisione di scioglierla nel 1952 - era l'espressione del fatto che, contrariamente alle speranze di molti rivoluzionari, la guerra non aveva dato origine a una nuova insurrezione proletaria, ma all'approfondimento della controrivoluzione. I disaccordi tra “damenisti” e “bordighisti” nel seno del Partito Comunista Internazionalista in Italia riguardavano in parte gli apprezzamenti divergenti sul dopoguerra. Bordiga e i suoi seguaci tendevano ad avere una migliore comprensione del fatto che il periodo era quello di un aumento della reazione[6]. Eppure qui abbiamo un Bordiga che formula una lista di richieste che sarebbe più adatta a un momento di aperta lotta rivoluzionaria. Questo testo appare così più come una sorta di esperimento di pensiero che come una piattaforma da adottare per un movimento di massa. Questo potrebbe in qualche modo spiegare alcune delle più evidenti debolezze e lacune del documento, anche se in senso più profondo sono il prodotto di contraddizioni e incoerenze che erano già inerenti nella visione del mondo bordighista.
Leggendo le osservazioni che introducono e concludono questo testo, possiamo anche vedere che è stato scritto come parte di una più ampia polemica contro quelle che i bordiglisti descrivono come le correnti "riformiste", in particolare gli stalinisti, questi falsi eredi della tradizione di Marx, Engels e Lenin. La ragione principale per cui i bordighisti hanno descritto i partiti comunisti ufficiali come riformisti non era perché condividevano l'illusione dei trotskisti che si trattasse ancora di organizzazioni di lavoratori, ma soprattutto perché gli stalinisti erano diventati sempre più partigiani nel formare fronti nazionali con i partiti borghesi tradizionali e sostenevano una graduale "transizione" al socialismo attraverso la formazione di "democrazie popolari" e di varie coalizioni parlamentari. Contro queste aberrazioni, Bordiga riafferma i fondamenti del Manifesto comunista che considera come punto di partenza la necessità di una violenta conquista del potere da parte del proletariato (retrospettivamente, possiamo anche indicare qui l'abisso che separa Bordiga da molti dei suoi “portaparola", in particolare le correnti di "comunizzazione" che spesso citano Bordiga ma che imbavagliano il suo insistere sulla necessità della dittatura del proletariato e di un Partito comunista). Allo stesso tempo, sempre mirando agli stalinisti, Bordiga chiarisce che mentre le specifiche misure "transitorie" raccomandate alla fine del secondo capitolo del Manifesto del 1848 - imposta progressiva sul reddito pesante e progressiva, formazione di una banca statale, controllo statale delle comunicazioni e delle industrie più importanti ecc. - possono costituire la spina dorsale del programma economico dei "riformisti", esse non devono essere viste come verità eterne: il Manifesto stesso sottolineava che esse "non devono essere trattate come socialismo completo ma come tappe che devono essere comprese come preliminari, immediate ed essenzialmente contraddittorie", e corrispondevano al basso livello di sviluppo capitalistico all'epoca in cui sono state redatte; e in effetti molte di esse sono già state implementate dalla stessa borghesia.
Si potrebbe essere perdonati per aver preso ciò come una confutazione dell'invarianza, cioè l'idea che il programma comunista è rimasto sostanzialmente invariato dal 1848. Infatti, Bordiga castiga gli stalinisti perché "non seguivano una teoria fissa, ma credevano che richiedesse degli sviluppi continui come risultato del cambiamento storico". E ancora una volta, sostiene che le “correzioni” che egli propone al programma immediato "sono diverse da quelle elencate nel Manifesto; tuttavia le loro caratteristiche sono le stesse". Troviamo questo contraddittorio e poco convincente. Se è vero che alcuni elementi chiave del programma comunista, come la necessità della dittatura del proletariato, non cambiano, l'esperienza storica ha infatti portato profondi sviluppi nella comprensione di come questa dittatura possa nascere e delle forme politiche che la comporranno. Questo non ha nulla a che vedere con il "revisionismo" dei socialdemocratici, degli stalinisti o di altri che potrebbero aver usato la scusa del "cambiamento con i tempi" per giustificare la loro diserzione dal campo proletario.
Molti svantaggi, ma alcuni importanti vantaggi
Guardando le "correzioni" apportate da Bordiga alle misure proposte dal Manifesto, si potrebbe anche essere perdonati per aver visto solo le loro debolezze, in particolare:
- Nonostante tutte le lezioni dei movimenti rivoluzionari tra il 1905 e il 1923, non c'è qui alcuna indicazione delle forme di potere politico proletario più adatte a realizzare la transizione al comunismo. Non vi è alcun riferimento ai soviet, nessun tentativo di attingere ad esempi come il programma del KPD del 1918, che poneva particolare enfasi sulla necessità di smantellare le istituzioni statali borghesi locali e centrali e di installare al loro posto il potere dei consigli dei lavoratori; nessuna lezione appresa dalla degenerazione della rivoluzione russa sulle relazioni tra il partito e la classe o tra il partito e lo Stato. In effetti, l'unica menzione di qualsiasi forma di potere politico dopo la rivoluzione è quella dello "Stato comunista", una contraddizione atroce in termini, come sostiene il precedente articolo di questa serie, attraverso i contributi di Marc Chirik[7]. Anche in questo caso, ci troviamo di fronte alle debolezze di fondo della "dottrina" bordighista: le forme di organizzazione non sono importanti, ciò che conta è il contenuto iniettato dal partito, che è destinato ad esercitare la dittatura del proletariato per conto delle masse. Inoltre, mentre Bordiga ha naturalmente ragione ad insistere al punto 5 che la produzione e il consumo si baseranno su un piano globale, la sua ignoranza della questione di come la classe operaia prenderà e terrà il potere nelle proprie mani a tutti i livelli, dal più locale al più globale, implica una visione gerarchica della centralizzazione. Ciò è particolarmente evidente nel paragrafo relativo ai settori dell'istruzione e della cultura, in cui è chiaramente auspicata una sorta di monopolio di Stato. Possiamo contrastare questo con l'opinione di Trotsky secondo cui lo Stato post-rivoluzionario dovrebbe avere un approccio "anarchico" alla questione dell'arte e della cultura - con ciò intendeva dire che lo Stato dovrebbe intervenire il meno possibile in questioni di stile artistico, di gusto o di creatività, e non dovrebbe pretendere che tutta l'arte sia usata come propaganda per la rivoluzione. Più in generale, il suo elenco di misure non fa menzione della necessità di un'ampia lotta politica, morale e culturale per superare le abitudini e gli atteggiamenti ereditati non solo dal capitalismo, ma anche da migliaia di anni di società di classe. Dice giustamente della necessità di lottare contro la "specializzazione professionale e la divisione sociale del lavoro", ma tale lotta richiede qualcosa di più di un divieto di titoli onorifici, mentre la richiesta di abolire le "opportunità di carriera" ha senso solo nel contesto di una riorganizzazione globale della produzione e dell'eliminazione del sistema salariale.
- Bordiga sapeva bene che l'abolizione di "salari, denaro e mercato" è una caratteristica centrale del comunismo, e sappiamo che non sarà possibile farne a meno da un giorno all'altro. Ma a parte il fatto che egli sostiene "più paga per meno tempo di lavoro", Bordiga non ci dà alcuna indicazione su quali misure si possano prendere - fin dall'inizio della rivoluzione - per eliminare queste categorie chiave del capitalismo. In questo senso, le correzioni di Bordiga non si basano sulle proposte di Marx nella Critica del Programma di Gotha (il sistema dei voucher per l'orario di lavoro, su cui dovremo tornare in un altro articolo), né le criticano in modo coerente.
Eppure, il documento rimane di notevole interesse per noi nel cercare di capire quali sarebbero stati i principali problemi e le priorità di una rivoluzione comunista che avrebbe avuto luogo, non all'alba della decadenza del capitalismo, come nel 1917-23, ma dopo un intero secolo in cui lo scivolamento verso la barbarie ha continuato ad accelerare, e in cui la minaccia alla sopravvivenza stessa dell'umanità è molto più grande di quanto non fosse cento anni fa.
I metodi della ricostruzione comunista
Il documento di Bordiga non fa alcun tentativo di fare un bilancio dei successi e dei fallimenti della rivoluzione russa a livello politico, e di fatto fa solo un superficiale riferimento all'ondata rivoluzionaria che seguì la prima guerra mondiale. Da un lato, però, egli cerca di applicare una lezione importante delle politiche economiche adottate dai bolscevichi: le proposte di Bordiga sono rilevanti perché riconoscono che la via dell'abbondanza materiale e di una società senza classi non può basarsi su un programma di "accumulazione socialista", in cui il consumo è sempre soggetto a "produzione in nome della produzione" (che è di fatto produzione per il valore), con il lavoro vivo soggetto al lavoro morto. Certo, la rivoluzione comunista è diventata una necessità storica perché le relazioni sociali capitalistiche sono diventate un ostacolo allo sviluppo delle forze produttive. Ma dal punto di vista comunista, lo sviluppo delle forze produttive ha un contenuto molto diverso da quello che ha nella società capitalistica, dove è motivato dalla ricerca del profitto e quindi dal desiderio di accumulare. Il comunismo sfrutterà certamente appieno il progresso scientifico e tecnologico raggiunto sotto il capitalismo, ma lo metterà al servizio dell'uomo, affinché diventi il servitore del vero "sviluppo" che il comunismo propone: la piena fioritura delle forze produttive, cioè del potere creativo degli individui. Qui basterà un esempio: con lo sviluppo dell'informatizzazione e della robotizzazione, il capitalismo ci ha promesso la fine della fatica e una "società del tempo libero". In realtà, questi potenziali benefici hanno portato la miseria della disoccupazione o del lavoro precario ad alcuni, e un aumento del carico di lavoro ad altri, con una crescente pressione sui dipendenti affinché continuino a lavorare al computer ovunque e in qualsiasi momento della giornata.
In concreto, i primi quattro punti del suo programma prevedono: smettere di concentrarsi sulla produzione di macchine per produrre più macchine e orientare la produzione verso il consumo diretto. Sotto il capitalismo, naturalmente, quest'ultimo ha significato la produzione di sempre più "beni di consumo inutili, nocivi e di lusso" - illustrata oggi dalla produzione di computer o telefoni cellulari sempre più sofisticati, progettati per rompersi dopo un periodo di tempo limitato e che non possono essere riparati, o dalle immensamente inquinanti industrie automobilistiche e della moda effimera, in cui la "domanda dei consumatori" è spinta fino alla frenesia dalla pubblicità e dai social media. Per la classe operaia al potere, il riorientamento dei consumi si concentrerà sull'urgente necessità di soddisfare i bisogni fondamentali della vita di tutti gli esseri umani in ogni parte del pianeta. Dovremo tornare su questi temi in altri articoli, ma possiamo citare alcuni dei più ovvi:
• Cibo. Il capitalismo in declino ha presentato all'umanità una gigantesca contraddizione tra le possibilità di produrre cibo a sufficienza per tutti e la reale e permanente denutrizione che affligge gran parte del pianeta, comprese fasce di popolazione dei paesi più avanzati, mentre sia nei paesi centrali che in quelli più periferici milioni di persone soffrono di obesità e di diete povere deliberatamente mantenute dalle aziende di produzione e commercializzazione di prodotti agroalimentari, che contribuiscono enormemente anche alle emissioni globali di anidride carbonica, alla deforestazione e ad altre minacce all'ecologia globale come l'inquinamento da materie plastiche. Anche l'approvvigionamento idrico globale è diventato un problema fondamentale, esacerbato dal riscaldamento globale. La classe operaia dovrà quindi nutrire il mondo, ma senza ricorrere ai metodi capitalistici che ci hanno condotto in questa impasse, tra cui la contemporanea "agricoltura industriale" con la sua rivoltante crudeltà verso gli animali e il suo probabile legame con le malattie pandemiche. Dovrà risolvere l'antagonismo tra una alimentazione abbondante e una alimentazione sana. E tutto questo sulla base di una trasformazione socio-economica che non può essere risolta immediatamente: una cosa è, ad esempio, espropriare le grandi aziende "agroalimentari" e le fonti statali di produzione alimentare, un'altra integrare i piccoli proprietari terrieri o i contadini nella produzione cooperativa e poi associata, il che richiederà tempo perché sarà impossibile andare subito oltre i rapporti di scambio tra il settore socializzato e i piccoli proprietari.
• Casa: il problema dei senzatetto è diventato endemico in tutti i Paesi capitalisti, soprattutto nelle città del centro capitalista; milioni di persone sono raccolte nelle vaste baraccopoli che circondano le città del "Sud globalizzato" (e, ancora una volta, in parti del "Nord globalizzato"); e negli ultimi decenni, il proliferare delle guerre e la distruzione dell'ambiente hanno creato un problema di rifugiati su una scala che non si vedeva dalla fine della seconda guerra mondiale, con milioni di altre persone che vivono in condizioni disperate in campi che offrono poca protezione dalle malattie e da ogni tipo di sfruttamento, comprese le moderne forme di schiavitù. Allo stesso tempo, le grandi città del mondo si sono lanciate in una frenesia edilizia, soprattutto per la speculazione, con appartamenti di lusso e attività economiche che non avrebbero avuto posto in una società comunista. L'espropriazione su larga scala di questi edifici mal utilizzati e mal progettati può fornire una soluzione temporanea alle peggiori espressioni della mancanza di una casa, ma a lungo termine, l'edilizia abitativa dell'umanità comunista non può basarsi sull'armeggiare con un patrimonio abitativo già inadeguato e sempre più fatiscente, dove i residenti sono ammassati in grandi blocchi di appartamenti o dormitori simili a delle gabbie. Il reinsediamento di gran parte della popolazione mondiale pone una sfida molto più grande: superare la contraddizione tra città e campagna, che non ha nulla in comune con la sfrenata espansione delle città a cui assistiamo in questa fase del capitalismo. Torneremo su questo più tardi.
• Assistenza sanitaria: la salute, come conclude ogni rapporto sulla salute pubblica, è una questione sociale e di classe. Chi è malnutrito e mal alloggiato, con un accesso limitato all'assistenza sanitaria, muore molto prima di chi mangia bene, ha un alloggio decente e può ricevere cure mediche adeguate quando è malato. L'attuale pandemia di Covid-19, tuttavia, espone i limiti di tutti i "servizi sanitari" esistenti anche nei paesi capitalisti più potenti, anche perché non sfuggono alla logica della competizione tra unità capitalistiche nazionali, mentre una pandemia non rispetta i confini nazionali e questo sottolinea la necessità di qualcosa che non può che essere un incubo non solo per i grandi consorzi farmaceutici e tutti i Trump di questo mondo, ma anche per quella versione di sinistra del nazionalismo che rifiuta di farci vedere oltre il "nostro servizio sanitario nazionale": medicina, assistenza sanitaria e ricerca che non siano gestite dallo Stato, ma realmente socializzate, non nazionali ma "senza confini": insomma, un servizio sanitario globale.
Niente sprechi, non ne vogliamo
Allo stesso tempo, però, questi compiti immensi, che sono solo il punto di partenza per una nuova cultura umana, non possono essere visti come il risultato di un improvviso aumento della giornata lavorativa. Al contrario, esse devono essere legate a una drastica riduzione dell'orario di lavoro, senza la quale, aggiungiamo, non sarà possibile la partecipazione diretta dei produttori alla vita politica delle assemblee generali e dei consigli. E questa riduzione deve essere ottenuta in larga misura attraverso l'eliminazione degli sprechi: lo spreco della disoccupazione e delle "attività socialmente inutili e dannose".
Già all'inizio del capitalismo, in un discorso a Elberfeld nel 1845, Engels stigmatizzò il fatto che il capitalismo non poteva evitare un terribile uso improprio dell'energia umana e insistette sul fatto che solo una trasformazione comunista poteva risolvere il problema.
“Dal punto di vista economico l'odierna organizzazione della società è certamente la meno razionale e pratica che sia possibile immaginare. La contrapposizione degli interessi porta con sé che una gran massa di forza-lavoro viene usata in modo che la società non ne tragga alcun utile e una notevole quantità di capitale va inutilmente perduta senza riprodursi. Basta osservare le crisi commerciali; vediamo come masse di prodotti, che pure sono tutti frutto della fatica degli uomini, vengono liquidate a prezzi che lasciano in perdita il venditore; vediamo come nei fallimenti scompaiano dalle mani del proprietario masse di capitali che pure sono stati accumulati con fatica. Ma esaminiamo più da vicino l'odierna circolazione. Si consideri attraverso quante mani deve passare ogni prodotto prima di giungere in quelle del consumatore reale, considerino, signori, quanti intermediari superflui e speculatori si sono intrufolati oggi fra i produttori e i consumatori! Facciamo un esempio, prendiamo una balla di cotone fabbricata nell'America del nord. La balla passa dalle mani del piantatore in quelle dell'agente commerciale in un qualsiasi scalo del Mississippi, poi viaggia giù per il fiume verso New Orleans. Qui viene venduta, — per la seconda volta, perché l'agente l'aveva già comprata dal piantatore, — venduta, per me, a uno speculatore, il quale a sua volta la vende all'esportatore. La balla va ora, supponiamo, a Liverpool, dove nuovamente un avido speculatore vi mette le mani sopra e se ne impadronisce. Costui la tratta con un commissionario il quale compra per conto, diciamo, di una casa tedesca. Così la balla viaggia per Rotterdam, risale il Reno, passa tra le mani di una dozzina di spedizionieri, viene scaricata e caricata una dozzina di volte, e solo dopo giunge fra le mani, non del consumatore, ma del fabbricante, il quale soltanto la trasforma in un prodotto adatto al consumo, può darsi però che dia il suo filo al tessitore, questi passa il tessuto allo stampatore, costui al grossista e questo a sua volta al dettagliante, il quale infine fornisce la merce al consumatore. E tutti questi intermediari, speculatori, agenti commerciali, esportatori, commissionari, spedizionieri, grossisti e dettaglianti, che pure non fanno nulla alla merce, vogliono tutti vivere e tirarci fuori il loro profitto, e in realtà in complesso lo hanno questo profitto, perché altrimenti non esisterebbero.
Signori, per portare una balla di cotone dall'America in Germania e far giungere il prodotto finito nelle mani del consumatore reale, non c'è una strada più semplice, più economica, di questo lungo cammino attraverso dieci vendite, cento trasbordi e viaggi da un magazzino all'altro? Non è questa una prova convincente del grande spreco di forza-lavoro causato dal frazionamento degli interessi? Nella società organizzata razionalmente non c'è nemmeno da parlare di tali circostanziati trasporti. Allo stesso modo in cui è facile sapere, tanto per restare all'esempio, quale quantità di cotone o di prodotti di cotone impiega una singola colonia, allo stesso modo è facile per l'amministrazione centrale venire a sapere qual è la quantità impiegata nel complesso dai villaggi e dai comuni del paese. Una volta che sia stata organizzata una tale statistica, il che può avvenire facilmente in due o tre anni, la media del consumo annuale cambierà soltanto in rapporto all'aumento della popolazione; è dunque cosa facile stabilire in anticipo, a tempo opportuno, quale quantità di ogni articolo richiederà il fabbisogno della popolazione: l'intero, grosso quantitativo verrà ordinato direttamente alla fonte e lo si potrà far venire direttamente, senza intermediari, senza più soste e trasbordi che non siano realmente fondati nella natura delle comunicazioni, cioè con un grande risparmio di forza-lavoro; non sarà necessario pagare il loro utile agli speculatori, ai commercianti all'ingrosso e al minuto. Ma non è tutto: questi intermediari in tal modo saranno resi non solamente innocui per la società, ma addirittura utili. Mentre adesso, con svantaggio di tutti gli altri, fanno un lavoro che nel migliore dei casi è superfluo, pur procurando loro di che vivere, anzi in molti casi procura loro grandi ricchezze, mentre dunque adesso sono direttamente dannosi al bene generale, dopo avranno le mani libere per un'attività utile, e potranno darsi a un'occupazione in cui dimostrare di essere membri effettivi, non soltanto apparenti, finti, della società umana e partecipare realmente alla sua attività generale.”[8]
Engels prosegue elencando altri esempi di questo spreco: la necessità, in una società basata sulla concorrenza e sulla disuguaglianza, di mantenere istituzioni estremamente costose ma totalmente improduttive come eserciti permanenti, forze di polizia e carceri; il lavoro umano dedicato a servire quello che William Morris chiamava "il lusso sontuoso dei ricchi"; e infine, l'enorme spreco di forza lavoro generato dalla disoccupazione, che raggiunge livelli particolarmente scandalosi durante le periodiche crisi "commerciali" del sistema. Egli contrappone poi lo spreco del capitalismo alla semplicità essenziale della produzione e della distribuzione comunista, che si calcola in base alle esigenze degli esseri umani e al tempo complessivo necessario per il lavoro che soddisferà tali esigenze.
Tutti questi mali capitalistici, osservabili durante il periodo dell'ascesa e dell'espansione del capitalismo, sono diventati molto più distruttivi e pericolosi durante il periodo del declino del capitalismo: la guerra e il militarismo hanno preso sempre più il sopravvento sull'intero apparato economico e costituiscono una tale minaccia per l'umanità che certamente una delle priorità più urgenti della dittatura del proletariato (che Bordiga non cita, anche se "l'era atomica" era già chiaramente iniziata al momento in cui ha scritto questo testo) sarà quello di liberare il pianeta dalle armi di distruzione di massa accumulate dal capitalismo - tanto più che non c'è alcuna garanzia che, di fronte al suo definitivo rovesciamento da parte della classe operaia, la borghesia o le sue fazioni non preferirebbero distruggere l'umanità piuttosto che sacrificare il loro dominio di classe.
Anche il capitalismo militarizzato può funzionare solo attraverso la crescita cancerosa dello Stato, con un proprio esercito permanente di burocrati, poliziotti e spie. I servizi di sicurezza, in particolare, hanno assunto proporzioni gigantesche, così come la loro immagine speculare, le bande mafiose che fanno rispettare il loro ordine brutale in molti paesi della periferia capitalista.
Allo stesso modo, la decadenza capitalistica, con il suo vasto apparato bancario, finanziario e pubblicitario più che mai indispensabile per la circolazione delle merci prodotte, ha fortemente gonfiato il numero di persone coinvolte in forme di attività quotidiana fondamentalmente inutili; e le successive ondate di "globalizzazione" hanno reso ancora più evidenti le assurdità della circolazione delle merci su scala globale, per non parlare del suo crescente costo ecologico. E la mole di lavoro dedicata alle richieste dei cosiddetti "straricchi" oggi non è meno scioccante che ai tempi di Engels - non solo nel loro inesauribile bisogno di servitù, ma anche nella loro sete di lussi davvero inutili come jet privati, yacht e palazzi. E al polo opposto, in un momento in cui la crisi economica del sistema stesso tende a diventare permanente, la disoccupazione è più una piaga permanente che ciclica, anche quando si nasconde sotto la proliferazione di posti di lavoro a breve termine e nella sottoccupazione. Nel cosiddetto Terzo Mondo, la distruzione delle economie tradizionali ha portato allo sviluppo intensivo del capitalismo in alcune regioni, ma ha anche creato un gigantesco "sottoproletariato" che vive nelle condizioni più precarie nelle "township" dell'Africa o nelle "favelas" del Brasile e del resto dell'America Latina.
Così, Bordiga - anche se non era coerente nella sua comprensione della decadenza del sistema - aveva capito che attuare il programma comunista di allora non significava andare verso l'abbondanza attraverso un processo di industrializzazione molto rapido, come i bolscevichi tendevano ad assumere, date le condizioni "arretrate" che si trovavano ad affrontare in Russia dopo il 1917. Certo, richiederà lo sviluppo e l'applicazione delle tecnologie più avanzate, ma inizialmente assumerà la forma di uno smantellamento pianificato di tutto ciò che è dannoso e inutile nell'apparato produttivo esistente, e di una riorganizzazione globale delle risorse umane reali che il capitalismo sta costantemente sperperando e distruggendo.
Il movimento comunista di oggi - anche se è stato lento a riconoscere la portata del problema - non può fare a meno di essere consapevole del costo ecologico dello sviluppo capitalistico nell'ultimo secolo, e soprattutto dalla fine della seconda guerra mondiale. È più ovvio per noi che per i bolscevichi che non possiamo realizzare il comunismo attraverso i metodi dell'industrializzazione capitalistica, che sacrifica sia la forza lavoro umana che la ricchezza naturale alle esigenze del profitto, all'idolo del valore e alla sua accumulazione. Ora comprendiamo che uno dei compiti principali del proletariato è quello di porre fine alla minaccia del riscaldamento globale e di ripulire il gigantesco pasticcio che il capitalismo ci ha lasciato in eredità: la distruzione massiccia delle foreste e della natura selvaggia, la contaminazione dell'aria, della terra e dell'acqua da parte dei sistemi di produzione e di trasporto esistenti. Alcune parti di questa "eredità" richiederanno molti anni di ricerca e di paziente lavoro per essere superate - l'inquinamento dei mari e della catena alimentare causato dai rifiuti di plastica è solo un esempio. E come abbiamo già detto, la soddisfazione dei bisogni più elementari della popolazione mondiale (cibo, alloggio, salute, ecc.) dovrà essere coerente con questo progetto globale di armonizzazione tra uomo e natura.
È merito di Bordiga aver preso coscienza di questo problema all'inizio degli anni Cinquanta: la sua intuizione della centralità di questa dimensione si manifesta soprattutto nella sua posizione sul problema delle "grandi città", che è pienamente in linea con il pensiero di Marx e soprattutto di Engels.
Smantellamento delle megalopoli
La città e la civilizzazione hanno le stesse radici, storicamente ed etimologicamente. A volte il termine "civilizzazione" viene esteso a tutta la cultura e la morale umana[9]: in questo senso, anche i cacciatori-raccoglitori dell'Australia o dell'Africa costituiscono una civiltà. Ma non c'è dubbio che il passaggio alla vita urbana, che è la definizione più diffusa di civilizzazione, abbia rappresentato uno sviluppo qualitativo nella storia dell'umanità: un fattore di progresso della cultura e della storia stessa, ma anche l'inizio definitivo dello sfruttamento delle classi, e dello Stato. Anche prima del capitalismo, come dimostra Weber, la città è inseparabile dal commercio e dall'economia monetaria[10]. Ma la borghesia è la classe urbana per eccellenza, e le città medievali divennero i centri della resistenza all'egemonia dell'aristocrazia feudale, la cui ricchezza si basava soprattutto sul possesso della terra e sullo sfruttamento dei contadini. Il proletariato moderno è comunque una classe urbana, formata dall'esproprio dei contadini e dalla rovina degli artigiani. Spinta negli agglomerati urbani frettolosamente costruiti di Manchester, Glasgow o Parigi, è lì che la classe operaia ha preso coscienza di se stessa come classe distinta e opposta alla borghesia e ha iniziato a immaginare un mondo al di là del capitalismo.
A livello di rapporto dell'uomo con la natura, la città presenta lo stesso duplice aspetto: è il centro dello sviluppo scientifico e tecnologico, aprendo il potenziale di liberazione dalla scarsità e dalle malattie. Ma questa crescente "padronanza della natura", che avviene in condizioni di alienazione dell'uomo da se stesso e dalla natura, è anche inseparabile dalla distruzione della natura e dai ricorrenti disastri ecologici. Così, il declino delle culture urbane sumeriche o maya può essere spiegato da una forma di superamento della città da sola, esaurendo l'ambiente circostante di foreste e agricoltura, e il cui crollo ha inferto colpi terribili all'orgoglio delle civiltà che avevano cominciato a dimenticare la loro intima dipendenza dalla natura. Allo stesso modo, le città, nella misura in cui accatastavano gli esseri umani come le sardine, non riuscivano a risolvere il problema fondamentale dello smaltimento dei rifiuti e invertivano il rapporto secolare tra uomini e animali, diventavano il terreno fertile per flagelli come la peste nera nell'epoca del declino feudale o il colera e il tifo che devastavano le città industriali del capitalismo primitivo. Ma anche in questo caso dobbiamo considerare l'altro lato della dialettica: la borghesia nascente ha saputo capire che le malattie che colpivano i suoi schiavi salariati potevano raggiungere anche le porte dei palazzi capitalisti e minare tutto il loro edificio economico. È stata così in grado di iniziare e realizzare stupefacenti prodezze ingegneristiche nella costruzione di sistemi fognari ancora oggi funzionanti, mentre le competenze mediche in rapida evoluzione sono state mobilitate per eliminare forme di malattia fino ad allora croniche.
In particolare nell'opera di Friedrich Engels si possono trovare gli elementi fondamentali per una storia della città dal punto di vista proletario. Ne suo testo Le origini della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, egli ripercorre la dissoluzione delle antiche "gens", l'organizzazione tribale basata sui legami di parentela, che cede il passo alla nuova organizzazione territoriale della città, segnata dalla divisione irreversibile in classi antagoniste e con essa l'emergere del potere statale, il cui compito è quello di evitare che queste divisioni lacerino la società. In Le condizioni della classe operaia in Inghilterra, dipinge un quadro delle condizioni di vita infernali del giovane proletariato, della sporcizia e delle malattia quotidiane delle baraccopoli di Manchester, ma anche del ribollire della coscienza e dell'organizzazione di classe che alla fine giocheranno il ruolo decisivo nel costringere la classe dirigente a concedere riforme significative ai lavoratori.
In due opere successive, l'Anti-Duhring e La questione degli alloggi, Engels si imbarca in una discussione sulla città capitalista in un momento in cui il capitalismo ha già trionfato nel cuore dell'Europa e degli Stati Uniti ed è sul punto di conquistare il mondo intero. E si nota che egli conclude già che le grandi città hanno superato i limiti della loro vitalità e dovranno scomparire per soddisfare la richiesta del Manifesto comunista: l'abolizione della separazione tra città e campagna. Ricordiamo qui che negli anni sessanta del XIX secolo, Marx si preoccupava sempre più dell'impatto distruttivo dell'agricoltura capitalista sulla fertilità del suolo e notava, nell'opera di Liepig, che la distruzione della copertura forestale in alcune regioni d'Europa aveva un impatto sul clima, con l'aumento delle temperature locali e la diminuzione delle precipitazioni[11]. In altre parole: così come Marx scorgeva i segni della decadenza politica della classe borghese dopo lo schiacciamento della Comune di Parigi, e nella corrispondenza con i rivoluzionari russi verso la fine della sua vita cercava il modo in cui le regioni in cui il capitalismo non aveva ancora trionfato pienamente potessero evitare il purgatorio dello sviluppo capitalistico, lui ed Engels avevano cominciato a chiedersi se, per quanto riguarda il capitalismo, fosse sufficiente[12]. Forse le basi materiali di una società comunista globale erano già state gettate e ulteriori "progressi" per il capitale avrebbero avuto un risultato sempre più distruttivo? Sappiamo che il sistema, attraverso la sua espansione imperialista negli ultimi decenni del XIX secolo, avrebbe prolungato la sua vita per diversi altri decenni e fornito la base per una fase di crescita e sviluppo sorprendente, che avrebbe portato alcuni elementi del movimento operaio a mettere in discussione l'analisi marxista dell'inevitabilità della crisi e del declino del capitalismo, tale che le contraddizioni irrisolte del capitale sarebbero esplose durante la guerra del 1914-18 (che anche Engels aveva previsto). Ma le domande di ricerca sul futuro che essi avevano cominciato a porsi proprio quando il capitalismo aveva raggiunto il suo apice erano perfettamente valide all'epoca e sono oggi più attuali che mai.
In "La trasformazione dei rapporti sociali"[13] abbiamo esaminato come i rivoluzionari del XIX secolo - in particolare Engels, ma anche Bebel e William Morris - avevano sostenuto che la crescita delle grandi città era già arrivata al punto in cui l'abolizione dell'antagonismo tra città e campagna era diventata una necessità reale, da cui la necessità di porre fine all'espansione delle grandi città a favore di una maggiore unità tra industria e agricoltura e di una più equa distribuzione delle abitazioni umane sulla Terra. Era una necessità non solo per risolvere problemi urgenti come lo smaltimento dei rifiuti e la prevenzione della sovrappopolazione, dell'inquinamento e delle malattie, ma anche come base per un ritmo di vita più umano in armonia con la natura.
In "Damen, Bordiga e la passione per il comunismo"[14], abbiamo dimostrato che Bordiga - forse più di ogni altro marxista del XX secolo - è rimasto fedele a questo aspetto essenziale del programma comunista, citando ad esempio il suo articolo del 1953 Spazio contro cemento[15], che è un'appassionata polemica contro le tendenze contemporanee dell'architettura e dell'urbanistica (campo in cui lo stesso Bordiga era professionalmente qualificato), motivate dalla necessità del capitale di raccogliere il maggior numero possibile di esseri umani in spazi sempre più ristretti - una tendenza caratterizzata dalla rapida costruzione di torri presumibilmente ispirate alle teorie architettoniche di Le Corbusier. Bordiga è spietato nei confronti dei fornitori della moderna ideologia urbanistica:
- "Chi applaude tali tendenze non deve essere considerato solo come un difensore delle dottrine, degli ideali e degli interessi capitalistici, ma come un complice delle tendenze patologiche dello stadio supremo della decadenza e della dissoluzione del capitalismo" (quindi, nessuna esitazione sulla decadenza qui!). Altrove nello stesso articolo, egli afferma: "Il verticalismo, è così che si chiama questa dottrina distorta; il capitalismo è verticalista. Il comunismo sarà 'orizzontalista'". E alla fine dell'articolo anticipa con gioia il giorno in cui "i mostri di cemento saranno ridicolizzati e soppressi" e "le città gigantesche saranno sgonfiate" per "rendere uniforme la densità di vita e di lavoro su terreni abitabili".
In un'altra opera, Specie umana e crosta terrestre[16], Bordiga cita ampiamente La questione degli alloggi di Engels, e non possiamo non cedere alla tentazione di fare lo stesso. Questa è l'ultima parte della brochure, in cui Engels attacca Mülberger, un discepolo di Proudhon, per aver affermato che è utopistico voler superare l'"inevitabile" antagonismo tra città e campagna:
- L'abolizione del contrasto fra città e campagna non è un'utopia, né più né meno di quanto non è utopia l'abolizione del contrasto fra capitalisti e salariati. Giorno per giorno essa diventa un'esigenza pratica della produzione tanto industriale quanto agricola. Nessuno l'ha postulata più a gran voce di quanto l'abbia fatto Liebig nei suoi scritti sulla chimica dell'agricoltura, in cui la prima esigenza è sempre che l'uomo restituisca al terreno ciò che ne riceve, ed in cui l'autore mostra che ad impedirlo è solo l'esistenza delle città, soprattutto delle grandi città. Se si considera come, nella sola Londra, venga gettato in mare ogni giorno, con l'impiego di spese ingenti, un quantitativo di concime maggiore di quello che produce l'intera Sassonia, e quali impianti colossali si rendano necessari per impedire che questo concime intossichi interamente Londra, ecco che l'utopia dell'abolizione del contrasto fra città e campagna riceve un fondamento pratico insospettato. Ed anche Berlino, relativamente insignificante al confronto, da almeno trent'anni si ammorba dei suoi propri escrementi. D'altro canto è una pura utopia il pretendere, come fa Proudhon, di rivoluzionare l'odierna società borghese per mantenere i contadini quali sono attualmente. Solo una ripartizione il più possibile uniforme della popolazione in tutto il paese, solo uno stretto collegamento fra la produzione industriale e quella agricola, oltre all'estendersi perciò necessario dei mezzi di comunicazione (ed in tal caso va data per scontata l'abolizione del modo di produzione capitalista) è in grado di strappare la popolazione rurale all'isolamento e all'abbruttimento in cui vegeta quasi immutatamente da millenni[17].
In questo passaggio vengono proposte diverse linee di pensiero, e Bordiga ne è ben consapevole. In primo luogo, Engels insiste sul fatto che il superamento dell'antagonismo tra città e campagna è intimamente legato al superamento della divisione generale del lavoro capitalista - un tema sviluppato successivamente nell'Anti-Dühring, in particolare la divisione tra lavoro intellettuale e manuale che sembra così insormontabile nel processo produttivo capitalista. Il superamento delle condizioni di queste due separazioni, così come quelle della divisione tra il capitalista e il lavoratore salariato, è indispensabile per la nascita di un essere umano completo. E contrariamente agli schemi dei proudhoniani retrogradi, l'abolizione del rapporto sociale capitalista non implica la conservazione della piccola proprietà dei contadini o degli artigiani; è trascendendo le divisioni tra città-paese e industria-agricoltura che i contadini potranno essere salvati dall'isolamento e da uno stato intellettuale che vegeta mentre gli abitanti delle città potranno essere liberati dal sovraffollamento e dall'inquinamento.
In secondo luogo, Engels solleva qui, come altrove, il semplice ma spesso trascurato problema degli escrementi umani. Nelle loro prime forme "selvagge", le città capitaliste non prevedevano praticamente alcun trattamento dei rifiuti umani, e presto ne pagarono il prezzo generando epidemie, tra cui dissenteria e colera - flagelli che ancora oggi infestano le baraccopoli della periferia capitalista, dove le strutture igieniche di base sono notoriamente assenti. La costruzione del sistema fognario è stato certamente un passo avanti nella storia della città borghese. Ma il semplice fatto di smaltire i rifiuti umani è di per sé una forma di spreco, poiché potrebbero essere utilizzati come fertilizzanti naturali (come avveniva nella storia precedente della città).
Guardando indietro ai tempi di Londra o di Manchester di Engels, si potrebbe facilmente dire: pensavano che queste città fossero già diventate troppo grandi, troppo lontane dal loro ambiente naturale. Cosa avrebbero fatto con gli avatar moderni di queste città? L'ONU ha stimato che circa il 55% della popolazione mondiale vive ora nelle grandi città, ma se l'attuale crescita della città continua, questa cifra salirà a circa il 68% entro il 2050[18].
Questo è un vero esempio della "crescita della decadenza" del capitalismo, e Bordiga ha avuto la lungimiranza di vederlo nel periodo della ricostruzione dopo la seconda guerra mondiale. Gli antropologi che cercano di definire l'apertura del periodo di quella che chiamano "era antropocenica" (che significa essenzialmente l'epoca in cui l'attività umana ha avuto un impatto fondamentale e qualitativo sull'ecologia del pianeta) in genere la fanno risalire alla diffusione dell'industria moderna all'inizio del XIX secolo - in breve, alla vittoria del capitalismo. Ma c'è chi parla anche di una "Grande Accelerazione" avvenuta dopo il 1945, e il suo peso può essere visto accelerare ancora di più dopo il 1989 con l'ascesa della Cina e di altri Paesi "in via di sviluppo".
Le conseguenze di questa crescita sono ben note: il contributo della megalopoli al riscaldamento globale attraverso l'edilizia incontrollata, il consumo di energia e le emissioni dell'industria e dei trasporti, che rendono l'aria in molte città irrespirabile (già notato da Bordiga nel libro La specie umana e la crosta terrestre: "Per quanto riguarda la democrazia borghese, si è abbassata al punto di rinunciare alla libertà di respirare"). L'espansione incontrollata dell'urbanizzazione è stata un fattore chiave nella distruzione degli habitat naturali e nell'estinzione delle specie; infine, le megalopoli hanno rivelato il loro ruolo di incubatrici di nuove malattie pandemiche, la più mortale e contagiosa delle quali – Covid-19- sta attualmente paralizzando l'economia mondiale e lasciando una scia di morte e sofferenza in tutto il mondo. In effetti, gli ultimi due "contributi" si sono probabilmente uniti nell'epidemia di Covid-19, che è una delle tante epidemie in cui un virus è saltato da una specie all'altra. È diventato un problema importante in paesi come la Cina e in molte parti dell'Africa dove gli habitat animali vengono distrutti, portando a un enorme aumento dei consumi attraverso la vendita clandestina di carne di animali selvatici su mercati paralleli con specie ormai brulicanti ai margini dei centri urbani, e dove le nuove città, costruite in risposta alla frenetica crescita economica della Cina, hanno controlli igienici minimi.
Superare l'antagonismo
Nell'elenco delle misure rivoluzionarie contenute nell'articolo di Bordiga, il punto 7 è il più rilevante per il progetto di abolizione dell'antagonismo tra città e campagna:
“Interrompere la costruzione di abitazioni e posti di lavoro alle periferie delle grandi città e anche dei piccoli centri, come misura per procedere verso una distribuzione uniforme della popolazione su tutto il territorio. Riduzione della congestione, della velocità e del volume di traffico vietando il traffico inutile".
Questo punto sembra particolarmente rilevante oggi, quando quasi ogni città è teatro di un'implacabile ascesa "verticale" (la costruzione di enormi grattacieli, soprattutto nei centri urbani) e di un'estensione "orizzontale", che divora la campagna circostante. La richiesta è semplicemente questa: stop! Il rigonfiamento delle città e l'insostenibile concentrazione della popolazione in esse presente sono il risultato dell'anarchia capitalistica e sono quindi essenzialmente non pianificate, non centralizzate. Le possibilità energetiche e tecnologiche umane attualmente impegnate in questa crescita cancerosa devono, fin dall'inizio del processo rivoluzionario, essere mobilitate in un'altra direzione. Anche se la popolazione mondiale è aumentata notevolmente da quando Bordiga ha calcolato, in Spazio contro Cemento, che "in media, la nostra specie ha un chilometro quadrato per ogni venti dei suoi membri" [19], rimane la possibilità di una distribuzione molto più razionale e armoniosa della popolazione sul pianeta, anche tenendo conto della necessità di preservare vaste aree di natura selvaggia - necessità che oggi è meglio compresa perché l'enorme importanza di preservare la biodiversità sul pianeta è stata scientificamente stabilita, ma era già qualcosa che Trotsky aveva previsto in Letteratura e Rivoluzione[20].
L'abolizione dell'antagonismo urbano-rurale è stata distorta dallo stalinismo in un senso: pavimentare tutto, costruire "caserme di operai" e nuove fabbriche in ogni campo e in ogni foresta. Per un vero comunismo, questo significherà coltivare campi e piantare foreste in mezzo alle città, ma significherà anche che le comunità vitali potranno stabilirsi in una sorprendente varietà di luoghi senza distruggere tutto ciò che le circonda, e che non saranno isolate perché avranno a disposizione i mezzi di comunicazione che il capitalismo ha effettivamente sviluppato ad una velocità impressionante. Engels aveva già sollevato questa possibilità in La questione degli alloggi e Bordiga la riprende in Spazio contro Cemento:
"Le forme più moderne di produzione, utilizzando reti di stazioni tecnologicamente avanzate di ogni tipo, come le centrali idroelettriche, le comunicazioni, la radio e la televisione, danno sempre più una disciplina operativa unica ai lavoratori sparsi in piccoli gruppi a distanze enormi. Ciò che si acquisisce è il lavoro associato, con i suoi sempre più vasti e meravigliosi intrecci, mentre la produzione autonoma scompare sempre più. Ma la densità tecnologica di cui abbiamo parlato è in costante diminuzione. Se l'agglomerato urbano e produttivo sussiste, non è perché permetterebbe di realizzare la produzione nelle migliori condizioni, ma per la permanenza dell'economia del profitto e della dittatura sociale del capitale".
La tecnologia digitale ha, naturalmente, avanzato questo potenziale. Ma nel capitalismo, il risultato generale della "rivoluzione di Internet" è stato quello di accelerare l'atomizzazione dell'individuo, mentre la tendenza a "lavorare a casa" - evidenziata in particolare dalla crisi legata a Covid-19 e dalle misure di accompagnamento all'isolamento sociale - non ha affatto ridotto la tendenza all'agglomerazione urbana. Il conflitto tra, da un lato, il desiderio di vivere e lavorare in associazione con gli altri e, dall'altro, la necessità di trovare spazio per muoversi e respirare, può essere risolto solo in una società dove l'individuo non è più in contrasto con la comunità.
Ridurre la velocità
Come per la costruzione di abitazioni umane, così anche per la folle corsa dei trasporti moderni: fermatevi, o almeno rallentate!
Anche in questo caso, Bordiga è in anticipo sui tempi. I mezzi di trasporto capitalistici via terra, mare e aria, basati in gran parte sulla combustione di energie fossili, sono responsabili di oltre il 20% delle emissioni globali di anidride carbonica[21], mentre nelle città sono diventati una delle principali fonti di malattie cardiache e polmonari, che colpiscono in particolare i bambini. Il numero annuale di vittime della strada nel mondo è di 1,35 milioni, di cui oltre la metà sono gli utenti della strada più "vulnerabili": pedoni, ciclisti e motociclisti[22]. E questi sono solo gli svantaggi più evidenti dell'attuale sistema di trasporto. Il rumore costante che genera rosicchia i nervi degli abitanti delle città, e la subordinazione della pianificazione urbanistica alle esigenze dell'auto (e dell'industria automobilistica, così centrale nell'odierna economia capitalistica) produce città sempre più frammentate, con aree residenziali divise l'una dall'altra dall'incessante flusso del traffico. Nel frattempo, la atomizzazione sociale, caratteristica essenziale della società borghese e della città capitalista in particolare, non solo è illustrata, ma è rafforzata dal fatto che il proprietario e il guidatore di un'auto è in competizione per lo spazio stradale con milioni di simili anime atomizzate.
Naturalmente, il capitalismo ha dovuto adottare misure per cercare di mitigare gli effetti peggiori di tutto questo: la "carbon tax" per frenare gli spostamenti eccessivamente inquinanti, la "moderazione del traffico" e le isole pedonali senza auto nei centri città, il passaggio alle auto elettriche.
Nessuna di queste "riforme" può risolvere il problema, perché nessuna di esse affronta il rapporto sociale capitalista che ne è alla radice. Prendiamo l'esempio dell'auto elettrica: l'industria automobilistica ha previsto quello che si aspettava e tende sempre più a orientarsi verso questa forma di trasporto. Ma anche mettendo da parte il problema dell'estrazione e dello smaltimento del litio necessario per le batterie, o la necessità di aumentare la produzione di energia elettrica per alimentare questi veicoli, che hanno tutti un alto costo ecologico, una città piena di veicoli elettrici sarebbe leggermente più silenziosa e un po' meno inquinata, ma comunque pericolosa per i pedoni e le auto.
È possibile che il comunismo faccia un uso esteso (ma probabilmente non esclusivo) dei veicoli elettrici. Ma il vero problema è altrove. Il capitalismo deve operare a velocità vertiginosa perché "il tempo è denaro" e il modo di trasporto delle merci è dettato dalle esigenze dell'accumulazione, che include nei suoi calcoli complessivi il tempo di "rotazione" e quindi di trasporto. Il capitalismo è anche motivato dalla necessità di vendere il maggior numero possibile di prodotti, da cui la costante pressione affinché ogni individuo sia in possesso di un'auto personale - ancora una volta, l'auto privata è diventata un simbolo di ricchezza e prestigio personale, la chiave per "la libertà sulla strada" in un'era di incessanti ingorghi.
Il ritmo di vita nelle città di oggi è molto più elevato (anche con gli ingorghi) di quanto non fosse nella seconda metà dell'Ottocento, ma in La donna e il socialismo[23], pubblicato per la prima volta nel 1879, August Bebel immaginava già la città del futuro, dove "il rumore agonizzante, l'affollamento e la fretta delle nostre grandi città con le loro migliaia di veicoli di ogni tipo cessano sostanzialmente: la società assume un aspetto più riposante" (p. 300).
La fretta e la congestione che rendono la vita urbana così stressante può essere superata solo quando è stata eliminata la voglia di accumulare, a favore di una produzione pianificata per distribuire liberamente i valori d'uso necessari. Nella progettazione delle reti di trasporto del futuro, un fattore chiave sarà ovviamente quello di ridurre significativamente le emissioni di gas serra e altre forme di inquinamento, ma la necessità di ottenere un "maggior riposo", un certo grado di calma e tranquillità sia per i residenti che per i viaggiatori, sarà certamente presa in considerazione nel problema complessivo. Poiché ci sarà molta meno pressione per andare dal punto A al punto B al ritmo più veloce possibile, i viaggiatori avranno più tempo per godersi il viaggio stesso: forse, in un mondo così, i cavalli torneranno in alcune parti del mondo, i velieri in mare, i dirigibili in cielo, mentre sarà anche possibile utilizzare mezzi di trasporto molto più veloci se necessario[24]. Allo stesso tempo, il volume di traffico sarà notevolmente ridotto se la dipendenza dalla proprietà personale dei veicoli potrà essere interrotta e se i viaggiatori potranno accedere a vari tipi di trasporto pubblico gratuito (autobus, treni, barche, taxi e veicoli senza proprietario). Dobbiamo anche tener presente che, a differenza di molte città capitalistiche occidentali dove la metà degli appartamenti è occupata da singoli proprietari o inquilini, il comunismo sarà un'esperienza di forme di vita più comuni; e in una società di questo tipo, viaggiare in compagnia di altri può diventare un piacere piuttosto che una corsa disperata tra concorrenti ostili.
Dobbiamo anche tenere presente che molti dei viaggi che intasano il sistema dei trasporti, quelli che forniscono posti di lavoro non necessari come quelli legati alla finanza, alle assicurazioni o alla pubblicità, non avranno posto in una società senza soldi. Le "ore di punta" giornaliere saranno un ricordo del passato.
Le strade di una città dove il fragore del traffico è stato ridotto a un ronzio torneranno ad alcuni dei loro precedenti benefici e usi, come ad esempio i parchi giochi per bambini.
Anche in questo caso, non sottovalutiamo la portata del compito da svolgere. Anche se la possibilità di vivere in modo più comunitario o associato è contenuta nella transizione verso un modo di produzione comunista, i pregiudizi egoistici che sono stati fortemente esacerbati da diverse centinaia di anni di capitalismo non scompariranno automaticamente e costituiranno anzi spesso gravi ostacoli al processo di comunitarizzazione. Come diceva Marx:
"La proprietà privata ci ha reso così stupidi e unilaterali che un oggetto è nostro solo quando lo possediamo, quando esiste per noi come capitale, o quando lo possediamo direttamente, lo mangiamo, lo beviamo, lo indossiamo, ci viviamo dentro, ecc. Anche se la proprietà privata concepisce tutte queste realizzazioni immediate del possesso solo come mezzi di vita, e la vita che servono è la vita della proprietà privata, del lavoro e della capitalizzazione. Pertanto, tutti i sensi fisici e intellettuali sono stati sostituiti dal semplice allontanamento di tutti questi sensi - il senso della proprietà". (Manoscritti economici e filosofici del 1844, capitolo "Proprietà privata e comunismo").
Rosa Luxemburg ha sempre sostenuto che la lotta per il socialismo non è solo una questione di "pane e burro", ma che "Dal punto di vista morale, la lotta dei lavoratori rinnoverà la cultura della società"[25]. Questo aspetto culturale e morale della lotta di classe, e soprattutto della lotta contro il "sentimento della proprietà", continuerà certamente per tutto il periodo di transizione al comunismo.
CDW
[1] The Transformation of Social Relations, International Review n.85; Gli anni ’50 e ’60: Damen, Bordiga, e la passione per il comunismo. Tutti gli articoli della Rivista Internazionale (organo teorico della CCI) citati in questo articolo sono disponibili sul nostro sito in inglese, spagnolo e francese. Nel caso di versione anche in italiano, sarà riportato direttamente il riferimento alla pagina italiana.
[2] 1918: The programme of the German Communist Party, International Review n. 93; 1919: the programme of the dictatorship of the proletariat, International Review n. 95; 1920: The Programme of the KAPD, International Review n. 97
[3] Marx, Critica del programma di Gotha.
[5] Si noti che questo testo è stato adottato come "documento di partito" della nuova organizzazione, e non è un semplice contributo individuale.
[6] Ma i damenisti erano più chiari su molte delle lezioni della sconfitta della Rivoluzione russa e sulle posizioni del proletariato nel periodo del capitalismo decadente. Vedi, “Damen, Bordiga e la passione per il comunismo”, nota 1.
[7] Marc Chirik and the state in the period of transition, International Review n.165.
[9] Si veda, ad esempio, A proposito del libro di Patrick Tort, "Effetto Darwin". Una concezione materialista delle origini della morale e della civiltà
[10] Max Weber, La città, 1921.
[11] Vedi Kohei Saito, L'ecosocialismo di Karl Marx, New York, 2017.
[12] Su Marx e la questione russa, si veda un precedente articolo di questa serie, The Mature Marx - Past and Future Communism, International Review n. 81.
[13] Serie “Il comunismo non è un bell'ideale ma una necessità materiale” [13a parte] in International Review n.85;
[14] Vedi nota 1
[15] Il Programma Comunista, n. 1 dell'8-24 gennaio 1953.
[16] Il Programma Comunista n. 6/1952, 18 dicembre 1952.
[17] Engels: la questione degli alloggi
[18] Two-thirds of global population will live in cities by 2050, UN says (Due terzi della popolazione mondiale vivranno in città entro il 2050, dice l'ONU).
[19] Bordiga ha dato il numero di 2,5 miliardi e mezzo. Oggi sono piuttosto 6,8 miliardi (Nations Unies).
[20] Letteratura e rivoluzione Vedi anche Trotsky and the culture of communism, International Review n. 111.
[22] Vedi "Road safety facts".
[24] Naturalmente, le persone potranno ancora godere del piacere di viaggiare a velocità vertiginose, ma forse in una società razionale questi piaceri saranno limitati ai luoghi riservati a questo scopo.