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Il romanzo giallo che dura almeno dall'ultimo ciclo di negoziati lanciati a febbraio scorso occulta, in parte, la situazione economica catastrofica e le drammatiche condizioni di vita dei proletari in Grecia. L’impoverimento brutale, la disoccupazione di massa e la caduta vertiginosa di salari e pensioni, i ritardi e le minacce di mancato pagamento, lo sfacelo brutale degli ospedali, il crollo dell’assistenza e dei servizi sanitari, il razionamento drastico degli ultimi medicinali disponibili, il moltiplicarsi dei suicidi e delle depressioni, la tensione nervosa, la clochardizzazione strisciante e anche la fame in seguito alla chiusura delle banche e al razionamento, tutto ciò alimenta uno scenario terribile: il precipitare del capitalismo nella sua fase estrema di decomposizione. Sullo sfondo di una crisi economica cronica, dove per la prima volta uno Stato occidentale si ritrova in default di pagamento, assistiamo allo sfruttamento di quest’avvenimento che viene trasformato in maniera indecente in un grande spettacolo teatrale dai molteplici colpi di scena. Veniamo ancora una volta tenuti sul filo del rasoio con questo famoso “debito greco” sul quale si scatenano le rivalità delle grandi potenze dove ogni capitale tenta di difendere al meglio i suoi sordidi interessi nazionali. Tutti i media si sono adoperati a fare durare la suspense intorno alla "Grexit" fino al momento fatidico, quello dell'ora simbolica che una volta spaventava i bambini, lo scoccare della mezzanotte, del martedì 30 giugno. E dopo? La fata Carabina greca si sarebbe trasformata in zucca? No! Il FMI "apprendeva" che non sarebbe stato rimborsato dei 1,5 miliardi di euro che doveva versargli lo Stato greco. Un segreto di Pulcinella! Per condire il tutto, occorreva ancora la magia di un'altra suspense, quella del referendum voluto dal governo Tsipras: i greci avrebbero votato per il sì o per il no?
Alla fine, è il no che ha vinto la domenica del 5 luglio, dopo una serie di sondaggi accuratamente messi in scena giusto prima degli scrutini.
Una borghesia preparata di fronte agli avvenimenti
Contrariamente alle esagerazioni di un’ondata di panico per la possibile traiettoria della Grecia “verso un terreno sconosciuto”, talvolta rievocato da certi media per tentare di spaventare le popolazioni per meglio asservirle e attaccarle, la realtà è piuttosto quella di una degradazione dell'economia greca già esangue da anni, aggravata da misure anti-operaie assestate dallo stesso governo Syriza. Il risultato del referendum dunque non cambia niente. È per questa ragione che il gioco dei negoziati tra, da un lato, il FMI, le istanze politiche dell'UE, la BCE, e dall'altro, il governo greco anche lui in difesa dei suoi interessi nazionali, è in realtà un braccio di ferro tra delinquenti che accompagna tutto un maneggio politico-mediatico che supera lo scenario strettamente economico. Di fronte alla gravità della situazione la borghesia aveva già dovuto adattarsi e organizzarsi per far fronte in anticipo alle difficoltà economiche della Grecia e della zona euro, proprio come aveva fatto di fronte agli scossoni e alle conseguenze della precedente crisi finanziaria e bancaria detta dei subprime nel 2008. Allora ha saputo reagire in modo concertato per evitare le conseguenze peggiori del capitombolo della borsa. Prendendo delle misure a livello di Stati e banche centrali (Banca centrale europea o la Banca federale americana), riesce a sostenere i mercati ed evitare un prosciugamento troppo brutale delle liquidità. Nei fatti, la situazione della Grecia è perfettamente conosciuta e seguita. È evidente che le banche (in particolare la BCE) e gli Stati si sono largamente anticipati per organizzarsi, prendere delle misure di fronte alle difficoltà della Grecia. Tsipras del resto non vede nel risultato del no una rottura ma "il rafforzamento del nostro potere di negoziato".
Il declino storico del capitalismo ha generato, da un secolo, una tendenza universale al capitalismo di Stato, spingendo quest’ultimo a diventare un attore centrale dell'economia. Questa tendenza, iniziata per le necessità di fare fronte alle contraddizioni crescenti del sistema e al tempo stesso ai bisogni di mobilitazione per la guerra totale, si è accentuata fortemente in seguito al grande crac borsistico del 1929 e da allora non è mai cessata. E’ stata accumulata tutta un'esperienza attraverso la messa in opera del keynesianismo che si è perfezionata via via che ci si è dovuti confrontare con le sfide dei grandi soprassalti economici del 19° secolo. Dagli anni 1980 -1990 e la "mondializzazione", palliativi sempre più complessi, attuati attraverso meccanismi che hanno consentito di barare in tutti i modi con legge del valore, hanno permesso agli Stati capitalisti più potenti di rallentare gli effetti più disastrosi della crisi economica e soprattutto di far ricadere quelli più devastanti sugli Stati capitalisti rivali più deboli. In qualche modo, la Grecia è già una prima periferia in seno all'UE. Essa si trova ai margini sud dell'Europa e presenta tutte le debolezze sfruttate paradossalmente dagli Stati-squali che ipocritamente si chinano al suo capezzale. Molto prima del caso Grecia, lo stesso FMI aveva dovuto far fronte ad altre situazioni catastrofiche, come il caso Argentina all'inizio degli anni 2000. Inoltre il caso della Grecia, per preoccupante che sia, non rappresenta in realtà che l'1,8% del PIL della zona euro, ciò che limita parecchio i "rischi di contagio". Peraltro, le banche private hanno allegerito largamente il "debito greco" a profitto della BCE e dei principali attori pubblici quali sono gli Stati. Tutto questo mostra che la posta essenziale della messa in scena ha anche una dimensione politica.
Una messa in scena politica contro il proletariato
La principale ragione di tutta la mascherata mediatica che sfrutta la gravità della situazione è essenzialmente volere mistificare il proletariato, annebbiare le coscienze, soprattutto tentare di mascherare la natura borghese e nazionalista di Syriza e del governo Tsipras. E ciò anche per accreditare l'idea di una possibile "alternativa" credibile della "sinistra radicale" che progressivamente sta emergendo in Europa (come Podemos in Spagna, Die Linke in Germania, il NPA nuovo partito anticapitalista e il Fronte di sinistra in Francia, ecc.), di fronte ai partiti socialisti giudicati dei "traditori" che abbandonano i "valori della sinistra". Uno scopo essenziale è naturalmente anche far ingoiare la pillola dell'austerità e gli attacchi per tutti i lavoratori, e non solo in Grecia! Esporre al potere una frazione tanto "radicale" come l'estrema sinistra dell'apparato politico borghese non può che screditare le ideologie gauchiste necessarie all'inquadramento politico del proletariato. Tanto più che queste ideologie sono state abbastanza indebolite dal crollo del muro di Berlino a causa del loro sostegno, per parecchi decenni, ai regimi stalinisti (certo in modo "critico", ma non meno zelante). Tutta questa messa in scena, pur esprimendo alcune divergenze e rivalità politiche ben reali dei protagonisti del negoziato, ha costituito un sostegno al mantenimento dell'immagine della sinistra radicale di Syriza. Anche se sembra paradossale, l'atteggiamento degli uni e degli altri non fa che rafforzare l'immagine "di intransigenza" del governo greco e valorizzare la sua volontà di "rifiutare i diktat di Bruxelles" confortati dalla vittoria del no. La posizione molto ferma della Cancelliera Angela Merkel, e del FMI, e la volontà di mantenere negoziati più aperti da parte delle istanze europee che hanno un atteggiamento "più comprensivo" del presidente Hollande, più "aperto a sinistra" rispetto alla Grecia pur restando "fermo", permettono in fin dei conti di presentare il governo Syriza come "fedele al popolo", rifiutando in modo categorico "l'austerità". In fin dei conti, Syriza e Tsipras si confermano essere degli "eroi" e "vittime" dell'ex-Troica, istanza assimilata ai "capitalisti cattivi"[1]. In questo modo gli attacchi sempre più forti portati direttamente dallo Stato greco sembrano essere imposti da "l'esterno". Il governo greco che reprime e spreme i proletari come non mai, questo boia alla testa dello Stato borghese, ritrova in questo modo uno statuto di vero "combattente" che tiene testa ai "capitalisti" per attenuare la "sofferenza del popolo greco". Alla fine, Syriza, supportato da questo aiuto e dal suo "sostegno popolare", può continuare a beneficiare di un'immagine "operaia". E questa mistificazione è tanto più efficace quanto più viene ripercossa e sostenuta in Europa dai gauchisti (estremisti di sinistra del capitale con tutte le loro sfaccettature) che applaudono alla vittoria del no per puntellare meglio il loro discorso su una pretesa alternativa possibile all'austerità: "Dal 25 gennaio 2015 e dalla vittoria elettorale di Syriza in Grecia, la Troica UE-BCE-FMI usa una brutalità inaudita per far capitolare il governo Tsipras, affinché la scelta popolare di finire con l'austerità fallisca"[2].
Si tratta di una vera trappola ideologica che sta estendendosi in tutta l'Europa.
Un'altra conseguenza importante di tutte queste manipolazioni ideologiche è l'accentuazione delle divisioni in seno alla classe operaia. Innanzitutto, presentando i proletari greci come paria e vittime "a parte", la cui sorte è "estranea" agli altri proletari "benestanti" in Europa, i media cercano di isolare i proletari greci dai loro fratelli di classe. In fin dei conti, solo gli operai greci avrebbero una "ragione valida" di lottare, sebbene, per "saggezza", si deve fortemente raccomandare loro di accettare i "sacrifici necessari" per "uscire della crisi". Questo porta anche a snaturare completamente la solidarietà riducendola a un semplice sostegno elettorale in favore del no: "Occorrono mobilitazioni di solidarietà massicce, affinché la fiducia aumenti, affinché il No vinca in Grecia" (ibid). Tale è la "solidarietà" dei gauscisti: né più né meno che un sostegno al governo greco che difende i suoi sordidi interessi capitalisti nazionali! Infine, attraverso questa ideologia democratica che inquadra e motiva il referendum, le divisioni all'interno dello stesso proletariato greco si sono rafforzate con il divario si/no, anche se il no vince con una netta maggioranza.
In fin dei conti, come dicevamo in uno dei nostri articoli precedenti, "Il fatto che i gauchisti descrivano Syriza come una spece di alternativa al capitalismo è una vera e propria frode. Giusto prima delle elezioni, un gruppo di diciotto economisti distinti (inclusi due vincitori del Premio Nobel e un vecchio membro del Comitato di politica monetaria d'Inghilterra) ha scritto al Financial Time di approvare certi aspetti della politica economica di Syriza (…) Come fa notare un commento sul sito della rivista The New Statesman: "il programma di Syriza (…), è macro-economia classica. Il partito Syriza ha semplicemente l'intenzione di applicare ciò che i manuali suggeriscono". E dunque, seguendo i manuali, Syriza ha negoziato con i creditori europei della Grecia, in primo luogo per prolungare il piano di salvataggio e le sue condizioni (...)"[3].
Syriza e i gauchisti che lo difendono, la famosa troica e consorti, i media che li mettono in scena, tutti continuano a portare avanti le loro mistificazioni. Appartengono allo stesso mondo, quello del capitalismo decadente. Sono i commissari politici difensori dello Stato, di un ordine borghese al servizio dello sfruttamento più brutale.
WH, 6 luglio 2015
[1] L'ex-ministro Varoufakis ha anche accusato i creditori di Atene di "terrorismo!" Dimettendosi all'indomani del referendum’ nonostante la vittoria del "no", permette all'apparato politico di conservare un'ala sinistra che, di fronte alle inevitabili nuove misure di austerità del governo Tsipras, potrà far valere il suo "vero" radicalismo.
[2] Detto dal NPA, un sedicente nuovo partito anticapitalista francese.
[3] Grèce: les gauchistes cachent la nature bourgeoise de Syriza