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Solo pochi anni fa, uomini politici come David Milliband (allora ministro degli Esteri britannico) e il presidente francese Nicolas Sarkozy lustravano le scarpe al presidente siriano Bashar al-Assad e al suo regime di assassini e di torturatori, ma oggi le democrazie occidentali gli chiedono in coro di dimettersi. Le potenze Usa, Gran Bretagna, Germania e Francia hanno finora dimostrato una complicità molto prudente, ma reale, nella repressione e nelle atrocità dell’esercito siriano, permettendo alle potenze regionali più piccole di esercitare delle pressioni, pur sostenendo le proprie forze “d’opposizione” all’interno del regime (per esempio, l’appoggio della Gran Bretagna ad un importante leader dissidente, Walid al-Bunni e al suo entourage ). A metà agosto, le grandi potenze di cui sopra, con l’Unione europea, hanno congiuntamente invitato Assad a ritirarsi e minacciato di possibile arresto diverse figure di spicco del regime. Alcuni rapporti indicano che gli Stati Uniti hanno chiesto alla Turchia di non mantenere la sua “zona cuscinetto” rispetto alla Siria e di prendere le distanze rispetto ad una tale provocazione. Tuttavia, gli Stati Uniti hanno notevolmente rafforzato la loro presenza navale nel Mediterraneo al largo delle coste siriane, nel mare Egeo, nell’Adriatico e nel Mar Nero, con una particolare concentrazione in termini di missili anti-missile e di marines. Le democrazie occidentali non si curano affatto della sofferenza della popolazione siriana: tra le altre cose, sono anni che la Gran Bretagna fornisce armi all’esercito siriano per permettergli di reprimere. Ciò che temono di più è che la possibile eliminazione di Assad possa creare una maggiore instabilità e pericoli da parte di “diavoli che ancora non si conoscono”: l’Iran, in particolare, occupa un posto particolarmente importante negli incubi dei ministeri degli Esteri dei paesi occidentali. Tuttavia, l’Arabia Saudita, che ha inviato le sue truppe nel Bahrain per schiacciare le dimostrazioni, è sempre più preoccupata per il crescente rapporto strategico tra la Siria e l’Iran, incluso il loro sostegno a Hezbollah e ad Hamas. Inoltre, “Da qualche tempo, vi sono voci che l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e il Kuwait finanziano tranquillamente degli oppositori siriani.”[1]
Il caos delle relazioni imperialiste e le crescenti tensioni tra Stati Uniti e Iran
Ai tempi del mondo bipolare della NATO e del Patto di Varsavia, tutto era relativamente semplice nei rapporti imperialistici, ma il crollo dei blocchi ha liberato delle forze centrifughe. Oggi, le alleanze e le rivalità tra le nazioni cambiano in funzione di come tira il vento imperialista dominante. Anche se le relazioni tra Turchia, Iran, Israele, Siria, nelle loro diverse combinazioni, hanno mostrato cambiamenti nel recente passato, la pietra angolare della politica americana e dei suoi necessari piani di guerra è di proteggere Israele e di tenere sotto tiro l’Iran. Una riconciliazione tra Iran e Stati Uniti non è impossibile, ma con il corso degli eventi, uno scontro militare appare più probabile, soprattutto considerando la politica aggressiva che l’imperialismo USA è spinto a condurre per mantenere il suo ruolo di padrino nel mondo.
Le incessanti difficoltà americane in Iraq e la loro tendenza generale a indebolirsi, mantengono in ebollizione l’influenza iraniana in questo paese, soprattutto attraverso la maggiore forza in Iran, i Corpi delle Guardie Rivoluzionarie di Al-Qods. Secondo un rapporto di The Guardian (28 luglio), questa forza tira praticamente le fila del governo iracheno rispetto a quella che è stata una vera guerra tra gli Stati Uniti e gli agenti dell’Iran in Iraq nel corso degli ultimi 8 anni. L’anno scorso, in occasione della riunione a Damasco che ha formato l’attuale governo iracheno, il generale Suleiman, capo di Al-Quds, “era presente (...) con i dirigenti di Siria, Turchia, Iran e di Hezbollah: li ha costretti tutti a cambiare idea e a incoronare Malaki come leader per un secondo mandato”. Il rapporto continua dicendo “che, ad eccezione di due soldati uccisi in Iraq a giugno, da due anni a questa parte il maggior numero di soldati americani sono stati uccisi per opera delle milizie sotto il controllo (della Guardia Rivoluzionaria): le Brigate di Hezbollah e le Brigate del Giorno della Promessa”. L’ambasciatore statunitense in Iraq aveva già riferito che gli agenti iraniani sono responsabili per circa un quarto delle vittime americane in Iraq (1100 morti e migliaia di feriti).
La crescente influenza iraniana in Iraq, lo è anche in Siria. Secondo il Wall Street Journal del 14 aprile anonimi funzionari statunitensi hanno detto che l’Iran ha aiutato le forze di sicurezza siriane nella repressione contro i manifestanti. La Siria è da tempo un corridoio per le armi e l’influenza iraniana verso Hamas a Gaza ed Hezbollah in Libano. Questa influenza è aumentata dopo il ritiro siriano dal Libano nel 2005 e con l’indebolimento delle forze filo-americane nel paese. Anche se hanno i loro propri interessi nazionali da difendere, e anche se hanno delle divergenze – ad esempio su Israele - Damasco e l’Iran vedono la loro alleanza più forte che mai e anche se l’Iran preferirebbe che la clicca Assad resti al potere, nel caso cadesse, allora i loro “partner” lavorerebbero per installare un regime ancora più filo-iraniano.
Nel maggio 2007, l’Istituto Americano per la Pace segnalò che le relazioni tra l’Iran e la Siria si erano approfondite. Non c’è dubbio che l’Iran stia aumentando la propria presenza nel paese. Nel 2006 è stato firmato un nuovo patto di mutua difesa, oltre che un ulteriore accordo di cooperazione militare a metà del 2007. Gli investimenti e gli scambi tra i due paesi sono aumentati e le difficoltà economiche della Siria, con l’impatto dell’aggravarsi della crisi, non possono che rafforzare l’influenza dell’Iran sul paese. In effetti, lo sviluppo della crisi economica sembra rendere più improbabile che gli Stati Uniti siano in grado di espellere l’Iran dalla Siria.
Il ruolo della Turchia
Tutto questo non è una buona notizia per gli interessi dell’imperialismo turco e le sue aspirazioni a giocare un ruolo importante nella regione. Le ondate di profughi siriani sono state un gran problema per la borghesia turca e il primo ministro turco Erdogan ha condannato la “barbarie” del regime siriano. Ugualmente preoccupante è il colpo portato ai suoi sforzi per eliminare il Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK) nel sud-est. The Guardian (Simon Tisdall, World Briefing, 09/08/11) riferisce che molti combattenti del PKK nella regione, compresa la Turchia, Siria, Iran e Iraq sono di origine siriana e ricorda la polveriera degli anni 90, quando la Turchia e la Siria stavano per entrare in guerra per questo. Gli attacchi del PKK contro le truppe turche e i successivi raid aerei, il 17 e 18 agosto nel nord dell’Iraq, non sono certo estranei a un aumento della tensione. Teheran ha anche respinto tutti i tentativi turchi di agire come mediatore con le potenze occidentali.
Naturalmente, la popolazione che si batte in Siria contro la miseria e la povertà ha dimostrato un coraggio straordinario, ma l’estrema debolezza della classe operaia nella regione rendono questi combattenti vulnerabili alla peggiore ideologia borghese: l’imbrigliamento imperialista. Perché tutte le frazioni presenti, al potere o all’opposizione, così come le “grandi democrazie” coinvolte in questo conflitto, utilizzano senza alcuna vergogna le popolazioni locali come carne da cannone per difendere i loro sordidi interessi di cricca.
Baboun, 20/08/11