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All’interno di questa serie di articoli, cercheremo di tracciare brevemente la storia delle relazioni che si sono stabilite tra l’Uomo e la Natura per comprendere meglio i pericoli attuali, ma anche le nuove potenzialità a livello di energia che potrebbero aprirsi all’Uomo nella società futura, il comunismo.
Il disastro del reattore nucleare di Fukushima in Giappone lo scorso marzo ha riaperto il dibattito sul ruolo dell’energia nucleare nell’ambito delle necessità energetiche del mondo. Molti paesi, compresa la Cina, hanno annunciato che avrebbero rivisto o che avrebbero temporaneamente arrestato i loro programmi di costruzione di centrali, mentre la Svizzera e la Germania si sono spinte oltre prevedendo di sostituire la loro capacità nucleare. Nel caso di questi ultimi paesi, otto delle 17 centrali saranno fermate quest’anno con un arresto di tutte le altre entro il 2022 e la loro sostituzione con centrali alimentate da fonti energetiche rinnovabili. Questo cambiamento ha provocato delle forti pressioni da parte dell’industria nucleare e di alcuni grandi utilizzatori delle riserve energetiche con problemi di aumenti dei prezzi di grandi dimensioni
Negli ultimi anni erano circolati dei rapporti sulla rinascita dell’industria nucleare, con 60 impianti in costruzione e 493 previsti dalla World Nuclear Industry Group Association[1]. In Gran Bretagna, c’è stato un dibattito sui rischi ed i benefici del nucleare rispetto a quello delle energie verdi. George Monbiot, per esempio, ha annunciato non solo la sua conversione al nucleare come la sola via realistica per evitare il riscaldamento globale del pianeta[2], ma è andato oltre arrivando ad accusare i suoi vecchi compagni del movimento anti-nucleare di ignorare la questione scientifica del rischio reale dell’energia nucleare[3].
In realtà, il problema del nucleare non può essere trattato come una questione puramente tecnica o come una scelta da basare sul bilancio costi-benefici del nucleare, dei combustibili fossili o dell’energia rinnovabile. E’ necessario fermarsi a guardare l’insieme della questione dell’uso di energia nella prospettiva storica dell’evoluzione della società umana e dei diversi modi di produzione che sono esistiti. Quello che segue è uno schizzo, necessariamente breve, di un tale approccio.
L’utilizzazione dell’energia e lo sviluppo umano
La storia dell’umanità e dei diversi modi di produzione è anche la storia dell’energia. Le prime società di cacciatori-raccoglitori vivevano principalmente dell’energia umana come di quella degli animali e delle piante prodotte dalla natura con un intervento piuttosto moderato, anche se alcune pratiche prevedevano l’uso del fuoco nella deforestazione per le colture o per abbattere gli alberi. Lo sviluppo dell’agricoltura nel Neolitico segna un cambiamento fondamentale nell’uso dell’energia da parte dell’Uomo e nelle sue relazioni con la natura. Il lavoro umano viene organizzato su una base sistematica per trasformare la terra, con la deforestazione e la costruzione di recinti per aumentare il numero di animali domestici. Gli animali cominciarono ad essere utilizzati per l’agricoltura e quindi in alcuni processi produttivi come i mulini per il grano. Il fuoco serviva per riscaldare, cucinare e per dei processi industriali come la realizzazione di ceramica e la fusione di metalli. Anche il commercio si sviluppa, basandosi sulla potenza dei muscoli dell’uomo e degli animali, ma anche sfruttando la forza del vento per attraversare gli oceani.
La rivoluzione neolitica trasforma la società umana. L’aumento delle fonti alimentari che si realizza portano ad un significativo aumento della popolazione e ad una maggiore complessità della società, con una parte della popolazione che si sposta gradualmente dalla produzione diretta di cibo verso ruoli più specialistici legati alle nuove tecniche di produzione. Alcuni gruppi vengono finanche liberati dalla produzione per assumere dei ruoli militari o religiosi. Così, il comunismo primitivo delle società di cacciatori-raccoglitori si trasforma in società di classe, con delle elite militari e religiose mantenute dal lavoro degli altri.
I passi avanti della società in agricoltura, l’architettura e la religione richiedevano che l’utilizzazione dell’attività umana fosse concentrata e organizzata. Nelle prime civiltà, ciò fu il risultato della coercizione di massa del lavoro umano, che trova la sua forma tipica nello schiavismo. L’uso, attraverso la forza, dell’energia di una classe assoggettata permette ad una minoranza di essere libera dalla necessità di lavorare e di vivere una vita in cui è possibile attingere ad un livello di risorse molto superiore a quello che un individuo avrebbe potuto ottenere da solo. Per fare un esempio: una delle glorie della civiltà romana era il sistema di riscaldamento delle ville, che facevano circolare aria calda sotto i pavimenti e attraverso le pareti; niente di paragonabile è stato visto nei secoli successivi, dove anche i re vivevano in edifici che erano così freddi che si racconta che il vino e l’acqua gelassero sulle tavole d’inverno[4]. Questi sistemi erano spesso costruiti e gestiti dagli schiavi e consumavano grandi quantità di legna e carbone. Il calore di cui profittava la classe dominante veniva dall’appropriazione dell’energia umana e naturale.
La relazione tra umanità e natura
Lo sviluppo delle forze produttive e delle società di classe, che erano al tempo stesso la conseguenza e lo stimolo di queste ultime, cambia il rapporto tra uomo e natura così come aveva cambiato il rapporto tra le persone. Le società di cacciatori-raccoglitori erano immerse nella natura e dominate da questa. La rivoluzione dell’agricoltura spinge a controllare la natura con le colture e l’addomesticamento degli animali, la deforestazione, il miglioramento dei suoli attraverso l’utilizzo di fertilizzanti naturali e il controllo delle risorse idriche.
Il lavoro umano e quello del mondo naturale diventano delle risorse da sfruttare, ma anche delle minacce che vanno dominate. Il risultato è che gli uomini - sfruttati e sfruttatori - si staccano dalla natura e gli uni dagli altri. Verso la metà del 19° secolo, Marx mostra l’intima relazione esistente tra l’umanità e la natura: “L’uomo vive fisicamente soltanto di questi prodotti naturali, si presentino essi nella forma di nutrimento o di riscaldamento o di abbigliamento o di abitazione, ecc. L’universalità dell’uomo appare praticamente proprio in quella universalità, che fa della intera natura il corpo inorganico dell'uomo, sia perché essa 1) è un mezzo immediato di sussistenza, sia perché 2) è la materia, l'oggetto e lo strumento della sua attività vitale. La natura è il corpo inorganico dell'uomo, precisamente la natura in quanto non è essa stessa corpo umano. Che l'uomo viva della natura vuol dire che la natura è il suo corpo, con cui deve stare in costante rapporto per non morire. Che la vita fisica e spirituale dell'uomo sia congiunta con la natura, non significa altro che la natura è congiunta con se stessa, perché l'uomo è una parte della natura.”[5] Il capitalismo, il lavoro salariato e la proprietà privata stravolgono tutto ciò, facendo della produzione del lavoro umano “un potere estraneo (che) gli sta di fronte (all’operaio)" e trasformando la natura che “gli si contrappone ostile ed estranea.” [6]
L’alienazione che Marx vedeva come caratteristica del capitalismo, di cui la classe operaia faceva l’esperienza in maniera molto acuta, era emersa di fatto con l’apparizione delle società di classe, ma si era accelerata con la transizione al capitalismo. Mentre tutta l’umanità è influenzata dall’alienazione, il suo impatto e il suo ruolo non è lo stesso per la classe sfruttatrice e quella sfruttata. La prima, in quanto classe dominante della società, spinge in avanti il processo di alienazione così come anima il processo di sfruttamento ed avverte raramente ciò che questi processi provocano, anche se non ne può sfuggire le conseguenze. La seconda avverte l’impatto dell’alienazione nella vita quotidiana come una mancanza di controllo su ciò che fa e su ciò che essa rappresenta, ma assorbe al tempo stesso la forma ideologica che assume l’alienazione e la riflette in parte nelle sue relazioni umane e nel rapporto con il mondo naturale.
Il processo è continuato anche dopo che Marx l’aveva descritto. Nel secolo scorso, l’umanità alienata si è sbranata a vicenda in due guerre mondiali e ha visto lo sforzo sistematico di distruggere parti di se stessa con l’olocausto effettuato durante la seconda guerra mondiale o durante le “pulizie etniche” degli ultimi venti anni. Essa ha anche sfruttato e distrutto brutalmente la natura al punto che il mondo naturale e tutta la vita minacciano di estinguersi. Tuttavia, non è un’umanità vista come un’astrazione che ha fatto questo, ma la forma particolare di società di classe che è arrivata a dominare e minacciare il pianeta: il capitalismo. Ancora, non è vero che tutti coloro che vivono in questa società ne hanno la responsabilità: tra sfruttatori e sfruttati, tra la borghesia e il proletariato, non c’è uguaglianza di potere. E’ il capitalismo e la borghesia che hanno creato questo mondo e che ne sono responsabili. Questo può disturbare coloro che ci vorrebbero tutti insieme nello stesso sacco per il “bene comune”, ma guardando la storia ci si rende conto che non è così.
North (19 giugno)
[1] Financial Times del 6 giugno 2011, “Nuclear power: atomised approach”.
[2] Guardian del 22 giugno 2011, “Why Fukushima made me stop worrying and love nuclear power”.
[3] Guardian del 5 aprile 2011, “The unpalatable truth is that the anti-nuclear lobby has misled us all”.
[4] Fernand Braudel, Civilisation and Capitalism 15th – 18th Century, Volume one: The Structures of Everyday Life, p.299. William Collins Sons and Co. Ltd, London.
[5] Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, “Il lavoro estraneato” (www.marxists.org/italiano/marx-engels/1844/2/Manoscritti/Lavoro%20estraneato.html).
[6] Ibid.