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Le premesse del movimento
Il movimento degli “Indignati” in Spagna è maturato dopo lo sciopero generale del 29 settembre 2010 contro il progetto di riforma delle pensioni. Lo sciopero generale si chiuse con una sconfitta, semplicemente perché i sindacati negoziarono con il governo accettando la proposta di riforma (i lavoratori attivi di 40-45 anni riceveranno, al momento del pensionamento, una pensione inferiore del 20 % a quella attuale). Questa sconfitta ha causato un profondo senso di amarezza tra la classe operaia. Ma ha suscitato un profondo senso di rabbia tra i giovani che si erano mobilitati e avevano partecipato attivamente al movimento, soprattutto con la loro solidarietà nei picchetti di sciopero.
All’inizio del 2011, la rabbia inizia a manifestarsi nelle università. Nel mese di marzo, in Portogallo, viene lanciato su Internet un appello ad una manifestazione del gruppo Giovani Precari che sfocia in una manifestazione con 250 mila persone a Lisbona. Questo esempio ha avuto un impatto immediato nelle università spagnole, in particolare a Madrid. La stragrande maggioranza degli studenti e dei giovani sotto i 30 anni sopravvive con 600 euro al mese facendo piccoli lavori. È in questo contesto che un centinaio di studenti ha formato il gruppo “Giovani senza futuro” (Jovenes sin futuro). Questi studenti poveri, provenienti dalla classe operaia, si sono riuniti attorno allo slogan “senza cure, senza casa, senza reddito, senza paura". Hanno indetto una manifestazione per il 7 aprile. Il successo di questa prima mobilitazione che ha riunito circa 5.000 persone, ha spinto il gruppo “Giovani senza futuro”, a programmare un nuovo evento per il 15 maggio. Nel frattempo è apparso a Madrid il collettivo “Democracia Real Ya!” (Democrazia Reale Adesso!) la cui piattaforma si pronunciava anche contro la disoccupazione e la “dittatura dei mercati”, ma affermava di essere “apolitica”, né di destra né di sinistra. Democracia Real Ya! ha anche lanciato appelli a manifestare il 15 maggio in altre città. Ma è a Madrid che il corteo ha ottenuto il maggior successo con circa 25.000 manifestanti. Un corteo pacifico che doveva concludersi tranquillamente nella piazza Puerta del Sol.
La rabbia dei giovani “senza futuro” prende l’insieme della popolazione
Le manifestazioni del 15 maggio convocate da Real Democracia Ya! hanno avuto un successo spettacolare: esprimevano un malcontento generale, soprattutto tra i giovani che affrontano il problema della disoccupazione alla fine dei loro studi. Apparentemente tutto avrebbe dovuto finire qui, ma alla fine delle manifestazioni di Madrid e Granada degli incidenti causati da un piccolo gruppo di “black block” sono stati repressi con delle cariche della polizia che ha tratto in arresto una ventina di persone. Gli arrestati, brutalizzati nei commissariati, si sono riuniti in un collettivo ed hanno fatto un comunicato che denunciava le violenze della polizia. La diffusione di questo comunicato ha provocato un’immediata reazione di solidarietà generale di fronte alla brutalità delle forze dell’ordine. Una trentina di persone, totalmente sconosciute e non organizzate, decidono di occupare piazza Puerta del Sol a Madrid con un accampamento. Questa iniziativa ha subito preso piede ed ha suscitato la simpatia della popolazione. Lo stesso giorno, l’esempio madrileno si estende a Barcellona, Granada e Valencia. Una nuova fiammata di repressione poliziesca mette il fuoco alle polveri e da allora, gli assembramenti sempre più di massa nelle piazze centrali si sono diffusi in oltre 70 città crescendo rapidamente.
Nel pomeriggio di martedì 17 maggio, gli organizzatori del “Movimento del 15 maggio”, avevano previsto delle proteste silenziose o recite teatrali ludiche “di sfogo”, ma la folla nelle piazze in continuo aumento chiedeva a gran voce la tenuta di assemblee. Alle 20, iniziano a tenersi riunioni a Madrid, Barcellona,Valencia e in altre città. A partire da mercoledì 18, queste assemblee assumono la forma di una valanga. Le manifestazioni si trasformano in assemblee generali aperte nelle pubbliche piazze.
Di fronte alla repressione e con la prospettiva delle elezioni comunali e regionali, il collettivo Democracia Real Ya! lancia un dibattito su un obiettivo: il “rinnovamento democratico” dello Stato spagnolo. Esso rivendica una riforma della legge elettorale per porre fine al bipartitismo PSOE/Partito Popolare reclamando una “vera democrazia” dopo 34 anni di “democrazia imperfetta” seguita al regime di Franco.
Ma il movimento degli “Indignati” si è esteso ben al di là della mera piattaforma rivendicativa, democratica e riformista, del collettivo Democracia Ya Real! Non si è limitato alla sola rivolta della giovane “generazione perduta dei 600 euro”. Nelle manifestazioni e nelle piazze occupate a Madrid, Barcellona, Valencia, Malaga, Siviglia etc., sui cartelloni e striscioni, si leggevano slogan come “Democrazia senza capitale”, “PSOE e PP, la stessa merda”, “Costruiamo un futuro senza capitalismo!”, “Se non ci fate sognare, noi non vi lasceremo dormire”, “Tutto il potere alle Assemblee”, “Il problema non è la democrazia, il problema è il capitalismo!”, “Senza lavoro, senza casa, senza paura”, “Operai, svegliatevi!”, “600 euro al mese, ecco dov’è la violenza!”.
A Valencia, delle donne gridavano, “hanno imbrogliato i nonni, anche i figli sono stati imbrogliati, “Hanno ingannato i nonni, hanno ingannato i figli, nipoti non lasciatevi ingannare!”.
Le assemblee di massa, una “arma carica di futuro”
Di fronte alla democrazia borghese che riduce la “partecipazione” al fatto di “scegliere” ogni quattro anni il politico che non manterrà mai le sue promesse elettorali e che metterà in atto i piani di austerità richiesti dall’aggravamento inesorabile della crisi economica, il movimento degli “Indignati” in Spagna si è riappropriato spontaneamente di un’arma di lotta della classe operaia: le Assemblee Generali aperte. Dappertutto sono sorte assemblee di massa cittadine, coinvolgendo decine di migliaia di persone di tutte le generazioni provenienti da settori non sfruttatori della società. In queste assemblee ognuno può parlare, esprimere la rabbia, lanciare dibattiti su differenti temi, fare delle proposte. In questa atmosfera di effervescenza generale la parola si libera, tutti gli aspetti della vita sociale vengono presi in esame (politici, culturali, economici, ...). Le piazze sono inondate da una gigantesca ondata collettiva di idee discusse in un clima di solidarietà e di rispetto reciproco. In alcune città vengono installate “scatole per i suggerimenti”, urne in cui chiunque può deporre idee scritte su un pezzo di carta. Il movimento si organizza con grande intelligenza. Si costituiscono delle commissioni, in particolare per evitare sconfinamenti e scontri con le forze dell’ordine: la violenza è vietata, viene bandito l’alcol con lo slogan “La revolución no es botellón” (“La rivoluzione non è un bottiglione”). Ogni giorno vengono organizzate squadre di pulizia. Delle mense pubbliche servono i pasti, con dei volontari si organizzano asili per i bambini e un pronto soccorso. Sono a disposizione delle biblioteche e una “banca del tempo” (dove vengono organizzati corsi sia scientifici che culturali, artistici, politici, economici). Vengono pianificate delle “giornate di riflessione”. Ognuno apporta le sue conoscenze e le sue competenze.
Apparentemente, questo torrente di pensieri sembra che non porti da nessuna parte. Non ci sono proposte concrete né rivendicazioni realiste o immediatamente realizzabili. Ma ciò che appare chiaramente è, prima di tutto e soprattutto, un’enorme esasperazione per la miseria, i piani di austerità e l’ordine sociale attuale, una volontà collettiva di rompere l’atomizzazione sociale, di raggrupparsi per discutere, riflettere tutti insieme. Nonostante le molte confusioni e illusioni, nei discorsi come sugli striscioni e i cartelli la parola “rivoluzione” è ricomparsa e non fa più paura.
Nelle Assemblee le discussioni hanno messo in luce alcune questioni fondamentali:
- Bisogna limitarsi al “rinnovamento democratico”? I problemi non sono originati dal capitalismo, un sistema che non può essere riformato e deve essere distrutto da cima a fondo?
- Il movimento deve fermarsi al 22 maggio, dopo le elezioni, o bisogna continuarlo per lottare in massa contro gli attacchi alle condizioni di vita, alla disoccupazione, alla precarietà, agli sfratti?
- Non dovremmo estendere le assemblee nei posti di lavoro, nei quartieri, negli uffici di collocamento, nelle scuole, nelle università? Dovremmo estendere il movimento tra i lavoratori che sono gli unici ad avere la forza di condurre una lotta generalizzata?
In questi dibattiti sono emerse in modo molto chiaro due tendenze:
- una, conservatrice, animata da strati non proletari che diffondono l’illusione che sia possibile riformare il sistema capitalista attraverso una “rivoluzione democratica e popolare”;
- l’altra, proletaria, che evidenzia la necessità di porre fine al capitalismo.
Le assemblee tenutesi domenica 22 maggio, giorno delle elezioni, hanno deciso di proseguire il movimento. In molti interventi è stato detto: “Non siamo qui per le elezioni, anche se queste hanno fatto da detonatore”. La tendenza proletaria si è chiaramente affermata con la proposta di “andare verso la classe operaia”, avanzando rivendicazioni contro la disoccupazione, la precarietà, gli attacchi allo stato sociale. Alla Puerta del Sol, si è deciso di organizzare “assemblee popolari” nei quartieri. Si sono iniziate a sentire proposte di estensione ai luoghi di lavoro, alle università e uffici di collocamento. A Malaga, Barcellona e Valencia, le assemblee hanno posto la questione di organizzare una protesta contro i tagli salariali, proponendo un nuovo sciopero generale che, come ha sostenuto un partecipante, sia “veramente” tale.
È soprattutto a Barcellona, capitale industriale del paese, che l’Assemblea centrale di Plaza de Catalunya, appare come la più radicale, la più animata dalla tendenza proletaria e la più distante dall’illusione del “rinnovamento democratico”. Infatti, lavoratori di Telefonica, ospedalieri, vigili del fuoco, studenti mobilitati contro i tagli sociali, hanno raggiunto le assemblee di Barcellona e hanno cominciato a infondervi un tono diverso. Il 25 maggio, l’Assemblea di Plaza de Catalunya decide di sostenere attivamente lo sciopero dei lavoratori ospedalieri, mentre l’Assemblea di Puerta del Sol a Madrid decide di decentrare il movimento convocando “assemblee popolari” nei quartieri per attuare una “democrazia partecipativa orizzontale”. A Valencia le manifestazioni degli autisti di bus si sono unite ad una manifestazione dei residenti contro i tagli di bilancio nel settore dell’istruzione. A Saragozza, gli autisti di autobus hanno partecipato agli assembramenti con lo stesso entusiasmo.
A Barcellona gli Indignati” decidono di mantenere il loro accampamento e continuare ad occupare Plaza de Catalunya fino al 15 giugno.
Il futuro è nelle mani delle nuove generazioni della classe operaia
Qualunque sia la direzione che prenderà il movimento, a prescindere dal suo esito, è evidente che questa rivolta iniziata dalle giovani generazioni con il problema della disoccupazione (in Spagna, il 45% della popolazione tra 20 e 25 anni è disoccupata), si ricollega pienamente alla lotta della classe operaia. Il suo contributo alla lotta internazionale della classe operaia è indiscutibile.
Si tratta di un diffuso movimento che ha coinvolto tutti i soggetti sociali non sfruttatori, tra cui tutte le generazioni della classe operaia. Anche se questa si è mescolata all’ondata di rabbia “popolare” e non si è affermata in modo autonomo attraverso scioperi e manifestazioni di massa, avanzando proprie rivendicazioni economiche immediate. Questo movimento esprime in realtà una profonda maturazione della coscienza all’interno della sola classe che può cambiare il mondo rovesciando il capitalismo: la classe operaia.
Questo movimento mostra chiaramente che, di fronte al fallimento del capitalismo sempre più evidente, grandi masse iniziano a sollevarsi nei paesi “democratici” dell’Europa occidentale, spianando la strada alla politicizzazione della lotta del proletariato.
Ma soprattutto, questo movimento ha rivelato che i giovani, per lo più lavoratori disoccupati e precari, sono stati in grado di appropriarsi delle armi di lotta della classe operaia: le assemblee generali di massa e aperte, che hanno permesso loro di sviluppare la solidarietà e di prendere nelle proprie mani il movimento al di fuori dei partiti politici e dei sindacati.
Lo slogan “Tutto il potere alle assemblee!” sorto nel movimento, anche se ancora minoritario, non è che un remake del vecchio slogan della rivoluzione russa “Tutto il potere ai consigli operai!” (i soviet).
Anche se oggi la parola “comunismo” fa ancora paura (a causa del peso della campagna scatenata dalla borghesia in seguito al crollo del blocco dell’Est e dei regimi stalinisti), il termine “rivoluzione” non ha spaventato nessuno, anzi.
Questo movimento non è affatto una “Spanish Revolution”, come la presenta il collettivo Democracia Real Ya! La disoccupazione, la precarietà, l’alto costo della vita e il continuo deterioramento delle condizioni di vita delle masse sfruttate, non sono una specificità spagnola! Il volto sinistro della disoccupazione, in particolare la disoccupazione giovanile, lo si vede sia a Madrid che al Cairo, a Londra e a Parigi, ad Atene e a Buenos Aires. Siamo tutti uniti nella caduta nel baratro della decomposizione della società capitalistica. L’abisso non è solo quello della povertà e della disoccupazione, ma anche quello della proliferazione dei disastri nucleari, delle guerre e di una frammentazione delle relazioni sociali accompagnate da una barbarie morale (come evidenziato, tra l’altro, dall’aumento delle aggressioni sessuali e delle violenze contro le donne nei paesi “civilizzati”).
Il movimento degli “Indignati" non è una “rivoluzione”. E’ una nuova tappa nello sviluppo delle lotte sociali e degli scontri della classe operaia di tutto il mondo, i soli che possano aprire una prospettiva per il futuro dei giovani “senza futuro”, così come per tutta l’umanità.
Questo movimento (nonostante tutte le sue confusioni e illusioni sulla “Repubblica indipendente di Puerta del Sol”), rivela che nelle viscere della società borghese è in gestazione la prospettiva di un’altra società. Il “terremoto spagnolo” rivela che le nuove generazioni della classe operaia, che non hanno nulla da perdere, sono già protagoniste della storia. Stanno scavando un tunnel per altri terremoti sociali che finiranno per aprire la strada verso l’emancipazione dell’umanità. Attraverso l’uso di social network su Internet, telefonini e moderni mezzi di comunicazione, queste giovani generazioni hanno dimostrato la loro capacità di rompere il black-out della borghesia e dei suoi media per iniziare a sviluppare la solidarietà al di là delle frontiere.
Questa nuova generazione della classe operaia è emersa sulla scena internazionale sociale a partire dal 2003, prima contro l’intervento militare in Iraq dell’amministrazione Bush (in molti paesi, giovani manifestanti protestavano contro la “busheria” – macelleria di Bush), poi con le prime manifestazioni in Francia contro la riforma delle pensioni. E’ emersa ancora nella primavera del 2006, sempre in Francia, con il massiccio movimento di liceali e universitari contro il CPE. In Grecia, Italia, Portogallo, Gran Bretagna, i giovani hanno fatto sentire la loro voce di fronte all’unica prospettiva che il capitalismo è in grado di offrire: assoluta povertà e disoccupazione.
La grande ondata di questa nuova generazione “senza futuro” ha colpito recentemente la Tunisia e l’Egitto, portando ad una gigantesca rivolta sociale che ha provocato la caduta di Ben Ali e Mubarak. Ma non dobbiamo dimenticare che il fattore decisivo che ha costretto la borghesia dei grandi paesi “democratici” (e in particolare Barack Obama) a far dimettere Ben Ali e Mubarak, sono stati gli scioperi operai e la minaccia di uno sciopero generale contro la cruenta repressione dei manifestanti.
Da allora piazza Tahrir è diventata un emblema, un incoraggiamento alla lotta per le giovani generazioni della classe operaia in molti paesi. Seguendo questo modello gli “Indignati” in Spagna hanno stabilito il loro accampamento a Puerta del Sol, hanno occupato le piazze in più di 70 città e aggregato nelle assemblee tutte le generazioni e tutti i ceti sociali non sfruttatori (a Barcellona, gli “Indignati" hanno addirittura ribattezzato la Plaza Catalunya in Plaza Tahrir).
Il movimento degli “Indignati” è in realtà molto più profondo della rivolta spettacolare che si è cristallizzata al Cairo in piazza Tahrir.
Questo movimento è esploso nelle città principali della penisola iberica e costituisce il ponte tra due continenti. Il fatto che esso abbia luogo in uno Stato “democratico” dell’Europa occidentale (e, in più, diretto da un governo “socialista”!) contribuirà, alla fine, a spazzare le mistificazioni democratiche sparse dai media dopo la “Rivoluzione dei gelsomini” in Tunisia.
Inoltre, anche se Democracia Real Ya! qualifica questo movimento come “Rivoluzione spagnola”, nessuna bandiera spagnola è stata sbandierata, mentre piazza Tahrir era inondata di bandiere nazionali[1].
Nonostante le delusioni e le confusioni che inevitabilmente costellano questo movimento iniziato dai giovani “Indignati”, esso costituisce un anello molto importante nella catena delle lotte sociali che esplodono oggi. Con l’aggravarsi della crisi mondiale del capitalismo, le lotte sociali non possono che continuare a convergere con la lotta di classe del proletariato e contribuire al suo sviluppo.
Il coraggio, la determinazione e il forte senso di solidarietà della nuova generazione “senza futuro” ci mostra che un altro mondo è possibile: il comunismo, vale a dire l’unificazione della comunità umana globale. Ma affinché questo “vecchio sogno” dell’umanità possa diventare realtà, è necessario in primo luogo che la classe operaia, che produce la maggior parte della ricchezza della società, ritrovi la sua identità di classe sviluppando massicciamente le sue lotte in tutti i paesi contro lo sfruttamento e contro tutti gli attacchi del capitalismo.
Il movimento degli “Indignati” ha cominciato a porre di nuovo la questione della “rivoluzione”. È compito del proletariato mondiale risolverla e darle una direzione di classe negli scontri futuri per rovesciare il capitalismo. Solo sulle rovine di questo sistema di sfruttamento, basato sulla produzione di merci e il profitto, le nuove generazioni potranno costruire un’altra società, rendere alla specie umana la sua dignità e realizzare una vera e propria “democrazia” universale.
Sofiane, 27 maggio 2011
(Da ICConline 2011, pagina in francese)
[1] Al contrario si sono sentiti slogan che chiamavano ad una “rivoluzione globale” ed alla “estensione” del movimento oltre i confini nazionali. In tutte le Assemblee è stata creata una “commissione internazionale”. Il movimento degli “Indignati” si è diffuso in tutte le principali città in Europa e del continente americano (anche a Tokyo, Phnom Penh e Hanoi, gruppi di giovani espatriati spagnoli sventolavano la bandiera di Real Democracia Ya!).