Giappone. I giovani proletari di fronte alla precarietà

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Il Giappone fa parte delle più grandi potenze economiche del mondo. La classe operaia viene sfruttata da decenni in modo estremamente feroce e brutale. In una società completamente disumanizzata, i lavoratori sono messi perennemente in concorrenza; passano giorni interminabili in ufficio o alla catena di montaggio e, non avendo il tempo materiale di ritornare ogni sera a casa, spesso passano la notte in una specie di camere-letto sarcofago messe accanto ai luoghi di lavoro. Tuttavia finora, tutto ciò teneva, con la promessa di un lavoro a vita, stabile e non troppo mal pagato. Ma da una decina di anni si è impiantata la recessione. L’impoverimento e la precarietà sono venuti a fustigare questa classe operaia sotto pressione, in particolare gli ultimi arrivati sul “mercato del lavoro”: i giovani. Questa frangia della popolazione che si fa definire “precariato”, parlante sintesi di “precarietà” e “proletariato”, è costretta a condizioni di vita veramente insopportabili.

“Precariato”, ovvero miseria crescente dei giovani proletari

In Giappone, come dappertutto, la quotidianità dei giovani è fatta di lavori ad interim, di un susseguirsi di piccoli lavori precari e mal pagati. Nel migliore dei casi, quando riescono a coprire tutto un mese con contratti saltuari, possono “sperare” di guadagnare 600 euro al prezzo di ritmi infernali di lavoro: fanno a 3 il lavoro di 10. Per una frangia intera della classe operaia avere un tetto dove vivere o anche nutrirsi diventa un compito ogni giorno più difficile. In queste condizioni, i caffè manga (1) sono diventati una sorta di rifugio surrealista contro la stanchezza ed il freddo. I giovani vi si ammucchiano giusto per dormire, senza poter né mangiare né bere: “Nel gennaio 2007 un ragazzo di 20 anni è stato arrestato non per avere pagato le consumazioni in un caffè manga (...), dove aveva passato tre giorni. Aveva in tutto 15 yen (10 centesimi di euro) in tasca. Era entrato nello stabile per proteggersi dal freddo e in tre giorni aveva mangiato solo un “piatto del giorno” e un piatto di patatine fritte. Il dipendente di un altro caffè manga mi ha raccontato che una volta un cliente era restato una settimana e che, durante questo tempo, non aveva consumato nulla tranne qualche bibita” (2).

La cosa più ignobile è pressione di colpevolizzazione della classe dominante. Anche qui i disoccupati ed i precari sono accusati dalla borghesia di essere pigri, buoni a nulla, degli approfittatori del sistema. Sottoposta alla nauseabonda propaganda che “ciascuno è responsabile della sua sorte”, questa nuova generazione di proletari “usa e getta” è corrosa dal senso di colpa di non arrivare a nulla. Questa pressione è tale da tradursi in ondate di suicidi ed automutilazioni. In Giappone il suicidio è diventato la prima causa di decesso dei giovani dai 20 ai 39 anni!

Una gioventù operaia che cerca ma non sa ancora come far fronte agli attacchi

Nonostante tutto questo, dal 2002 i giovani giapponesi iniziano ad alzare gradualmente la testa e ad esprimere la loro rabbia. Manifestazioni di rivolta scoppiano regolarmente contro questa società. Nel 2006 una cospicua parte si è mobilitata per avere alloggi gratuiti. Nel corteo dei dimostranti si potevano leggere slogan come “abitiamo in costruzioni vetuste”, “viviamo in posti di 4 tatami e mezzo (circa 7,4 m2)”, “non riusciamo più a pagare l’affitto!”, “alloggi gratuiti!”.... Capire che la propria situazione non è dovuta alla pigrizia ma ad una crisi profonda di questa società è una necessità vitale ed è questo inizio di riflessione che si sta sviluppando nelle file dei giovani proletari: “E’ evidente che se la vita dei giovani è diventata oggi tanto precaria, ciò non ha nulla a che vedere con un problema psicologico personale o con la propria volontà, ma è dovuto al malsano desiderio delle imprese, che vogliono continuare ad approfittare di una manodopera monouso che gli permette di restare competitivi a livello internazionale”.

Tuttavia, per potere aprire realmente prospettive di lotta manca ancora una tappa decisiva: la capacità di riconoscersi come parte di un insieme molto più ampio, la classe operaia. È solo allora che le lotte potranno superare lo stadio della reazione immediata ed impotente. Per il momento, sentendosi isolati e tagliati fuori dal resto della classe operaia, la rabbia di tutti questi giovani precari sfocia in un vicolo cieco e nella disperazione. E’ significativo che la canzone più sentita dagli altoparlanti e dai giovani durante le manifestazioni è quella del gruppo del Sex Pistols, No future.

I giovani giapponesi non sono un’eccezione. In Germania i giovani sono costretti ad accettare lavori nell’amministrazione statale ad un euro all’ora. In Australia “un quarto degli australiani tra i 20 ed i 25 anni non sono impegnati né in un lavoro a tempo pieno né negli studi, cioè il 15% in più di 10 anni fa e non cambierà molto quando avranno 35 anni” (3). In Francia, nel 2006, la borghesia ha tentato di imporre un nuovo tipo di contratto d’assunzione che facilita i licenziamenti senza preavviso né indennità, il famoso CPE (contratto di primo impiego) (4)). Ma quella volta i giovani proletari seppero sviluppare una estesa mobilitazione. La lotta fu vincente ed entusiasmante, la borghesia fu costretta a ritirare il suo attacco. Il che dimostra che per le giovani generazioni la prospettiva di collegarsi alla lotta collettiva della loro classe è reale.

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Da Révolution Internationale, n.383

1. Caffè aperti ventiquattrore su ventiquattro dove i clienti leggono fumetti e navigano su Internet.

2. Courrier international, 5 luglio 2007

3. La Tribune, 10/08/07

4. Vedi i diversi articoli sul movimento in Francia contro il CPE nel 2006 sul nostro sito www.internationalism.org.

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