Solo la lotta dei lavoratori può mettere un freno ai sacrifici

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Come ogni anno, in autunno il governo celebra il rito della finanziaria, cioè settimane di annunci e smentite su come il governo intende mantenere il deficit di bilancio nei limiti previsti. Ma, sorpresa, quest’anno il governo afferma che i dieci miliardi di euro che servono per raggiungere l’obiettivo non saranno trovati con nuove tasse, ma semplicemente riducendo la spesa corrente della Pubblica Amministrazione. E che, si possono risparmiare dieci miliardi semplicemente riducendo fotocopie, telefonate e qualche viaggetto? E’ evidente che no. E’ evidente che anche se i soldi saranno cercati non mettendo nuove tasse, una cifra di questo genere può essere rispettata solo con tagli pesanti del personale, alla spesa sociale e ai servizi che si offrono ai cittadini, che sono il grosso della spesa statale. Bisogna quindi aspettarsi che anche quest’anno il risultato sarà lo stesso di tutte le finanziarie da almeno venti anni a questa parte: un peggioramento delle condizioni di vita dei lavoratori. E questo a prescindere dal colore con cui il governo in carica si presenta ai cittadini. Se c’è una differenza è che mentre i governi di destra non si preoccupano di mascherare le misure con cui tengono in piedi l’economia nazionale, quelli di sinistra hanno bisogno di presentare le stesse cose o con la scusa di una “emergenza” (crisi finanziaria, debiti pregressi, e così via) o mascherando i tagli con “misure di razionalizzazione”, interventi a favore dei “più deboli” e così via.

Quello che resta quindi da chiedersi è perché cambiano i governi, cambiano i paesi, ma per i lavoratori il risultato è sempre lo stesso?

In altra parte del giornale diamo una risposta più argomentata a questa domanda, risposta che si può riassumere così: se dappertutto nel mondo e nel tempo i lavoratori si impoveriscono sempre più è perché in tutto il mondo vige un sistema economico che è ormai in crisi permanente, che riesce a sopravvivere solo continuando a spremere a più non posso i lavoratori e accumulando una montagna di debiti (su cui sono basate le cosiddette riprese).

Ed in questa situazione, che significa che il mondo va verso una catastrofe le cui conseguenze non si possono nemmeno immaginare, ci sono paesi che hanno un po’ di respiro in più, e altri che invece arrancano di più. L’Italia è uno di questi ultimi.

Se si esaminano i principali indicatori economici l’Italia mostra di essere il fanalino di coda, da diversi anni a questa parte, non solo rispetto ai paesi emergenti, ma anche rispetto ai suoi concorrenti occidentali (che poi sono ancora i maggiori concorrenti):

il principale indice che misura la crescita della ricchezza di un paese, il Prodotto Interno Lordo, dice che mentre il PIL degli USA è cresciuto, tra il 1995 e il 2003, del 3,1%, e quello dell’area euro del 2,2%, quello dell’Italia è cresciuto dell’1,5% (il valore più basso tra i paesi europei, esclusa la Germania, cresciuta dell’1,2%); ed anche gli ultimi valori, in questi due anni di “ripresa”, vedono i valori della crescita del PIL italiano inferiori a quelli dei suoi concorrenti europei ed americano (per il 2007 la previsione è di un +1,9% per l’Italia, contro un +2,9% di media europea). E se andiamo a vedere la variazione del PIL per occupato, che è una misura più indicativa della crescita e soprattutto della produttività, si ha una ulteriore conferma: mentre il PIL per occupato, nel settore privato, è cresciuto, tra il 2001 e il 2004, negli USA del 2,9%, nell’area euro del 0,6%, in Italia c’è stata una diminuzione dello 0,2%, cioè un peggioramento in senso stretto della produttività per lavoratore (1).

E questo nonostante il salasso a cui, negli stessi anni sono stati sottoposti i lavoratori, i cui salari sono cresciuti poco, certamente molto meno della produttività, mentre sono andati peggiorando i servizi e i prezzi reali (quelli che si pagano al mercato, e non quelli che registra l’ISTAT) sono aumentati a dismisura: tutti i lavoratori hanno potuto constatare che, almeno per i generi di prima necessità, quelli che costituiscono il grosso della spesa di una famiglia proletaria, nei fatti i prezzi sono cresciuti, in maniera mascherata, fino ad assumere valori corrispondenti ad un cambio di 1 euro per mille lire, cioè l’equivalente di una inflazione di quasi il 100%! Contemporaneamente negli ultimi quindici anni, c’è stato un aumento inverosimile della precarizzazione del lavoro (contratti a termine, giornalieri, a progetto, ecc., ecc.) che hanno reso l’utilizzazione della mano d’opera estremamente flessibile (2), così da spazzare via un’altra vecchia scusa della borghesia italiana, che sosteneva che la bassa produttività dell’industria italiana era dovuta all’estrema rigidità della forza lavoro (che impediva alle aziende di adeguare la propria produzione alle esigenze del mercato).

La verità è che la diminuzione della crescita e della produttività, oltre ad essere il naturale risultato della crisi mondiale, è anche il frutto di una mancanza di investimenti, la sola che può aumentare la produttività; infatti in Italia gli investimenti fissi lordi sono diminuiti nel 2003 e 2005, rispettivamente dell’1,7% e dello 0,5%, aumentando dell’1,6% nel 2004. E questa scarsa propensione agli investimenti è legata un po’ alla storia dello sviluppo capitalistico in Italia, almeno del dopoguerra, in cui l’industria italiana è cresciuta protetta dallo Stato in maniera maggiore rispetto a quella degli altri paesi (dappertutto è infatti l’aiuto dello Stato che tiene su l’economia), e quindi è stata poco stimolata a crescere in funzione della competizione (non c’è settore di punta in cui l’industria italiana sia capace di mostrare livelli di eccellenza, tranne forse l’aerospaziale).

E’ in definitiva l’aiuto che lo Stato ha dato all’economia italiana, che è la vera ragione dell’enorme indebitamento statale (intorno al 106%) che è un’altra caratteristica che contraddistingue l’Italia rispetto ai suoi concorrenti (che pure sono indebitati, dato che il ricorso al debito, come abbiamo detto, è stato uno degli strumenti con cui il capitalismo mondiale è riuscito ad evitare un crollo verticale), e non, come sempre cerca di sostenere la borghesia per giustificare i suoi tagli al Welfare, le alte prestazioni dei servizi sociali.

E questo enorme indebitamento costituisce un ulteriore intralcio alla crescita sia per il peso degli interessi sul debito (che si mangiano gran parte dell’attivo di bilancio producendo comunque un deficit, 2,5% del PIL quello previsto per il 2007, nonostante questo attivo, 2,3% la previsione per il 2007) che per la difficoltà a ricorrere ulteriormente al credito per continuare a sostenere l’economia.

Questa debolezza organica dell’economia italiana, che ha le sue radici profonde nel ritardo con cui il capitalismo italiano è riuscito a realizzare l’unità del paese, unitamente al fatto che è l’intero sistema capitalista mondiale che è in crisi profonda, spiega come i margini di manovra per la borghesia italiana siano molto pochi e si riducano, in sostanza, alla sola capacità di aumentare lo sfruttamento dei lavoratori. Ecco perché da diversi decenni, e in maniera ancora più accelerata negli ultimi 15 anni (dalla finanziaria di Amato, 1992, 48 miliardi di euro, a quella di Prodi del 2006 sono 306 i miliardi di euro strappati agli italiani) la sola cosa che la borghesia italiana ha fatto è stato attaccare sempre più a fondo la classe operaia, e non possiamo dubitare che continuerà a fare così, visto che la competizione internazionale resta accanita.

E’ perciò che c’è poco da credere alle promesse di questo governo su una finanziaria “leggera”. Questo governo si sta specializzando nel “dare” con una mano, e solo in parte, quello che si è preso con l’altra: l’anno scorso, per esempio, la riduzione della tassazione dei redditi più bassi è stata fatta con un aumento di quella dei redditi medi (insomma di una buona parte dei lavoratori dipendenti). Quest’anno si vuole fare la stessa cosa: vedi l’esempio della “incentivazione” agli statali ad andare in pensione , così da poter reintegrare solo un nuovo lavoratore contro tre che se ne vanno (insomma una riduzione di posti del 66%!), o l’altra ipotesi di finanziare la riduzione dell’ICI sulla prima casa con un taglio di 1,3 miliardi di euro sulle spese sociali.

Il risultato di tutto ciò è sotto gli occhi di tutti (tranne che di Rifondazione Comunista): una riduzione drastica del livello di vita e del potere di acquisto; si fa sempre più fatica ad arrivare alla fine del mese, mentre cresce sempre di più l’indebitamento anche delle famiglie (passato dai circa 350 miliardi di euro di fine 2003 ai circa 490 miliardi di fine 2006, con un aumento cioè del 40%).

In questi stessi anni la sinistra dell’apparato politico della borghesia è riuscita a tenere a freno il malcontento dei lavoratori soprattutto con tutta una serie di ricatti (oltre che con il normale lavoro di sabotaggio delle lotte che operano i sindacati), tra cui quello più efficace è stato forse la paura che se non ci si tiene l'austerità dei governi di centrosinistra si rischia di far tornare Berlusconi al governo. E’ arrivata l’ora di sottrarsi a questo ricatto, di prendere coscienza che di destra o di sinistra tutti i partiti sono i difensori del capitalismo nazionale, e che solo la lotta unita di tutti i lavoratori può mettere un freno a questo stillicidio di attacchi alle nostre condizioni di vita.

Helios, 24/09/07

1. Dati presi dai rapporti dell’OCSE e dai quotidiani di queste settimane per i dati più recenti.

2. Nonché di alterare i dati dell’occupazione: è chiaro infatti che anche un lavoratore precario e a tempo ridotto viene conteggiato come occupato, così che il tasso di disoccupazione ufficiale risulta inferiore a quello reale (che invece dovrebbe tener conto anche dei giorni di occupazione e dell’orario di lavoro, perché è chiaro che due lavoratori a part time, per esempio, risultano sì due occupati, ma su un solo posto di lavoro!

Questioni teoriche: