La tragedia dell’Iraq mostra la prospettiva del mondo attuale in mancanza di un’alternativa di classe

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Le drammatiche notizie provenienti in questi ultimi giorni dall’Iraq stanno sempre più spingendo milioni di persone in tutto il mondo a capire cosa sta succedendo in questo paese e perché. In particolare la cattura e l’uccisione di ostaggi italiani, dopo la strage di carabinieri consumata a Nassyria, e a poca distanza dalla strage di quasi duecento lavoratori per gli attentati di Madrid, pone in termini sempre più crudi la domanda: “ma come siamo arrivati a tanto?”. Le varie forze politiche della borghesia cercano di dare una risposta. “E’ Bin Laden e i suoi seguaci la causa di tutto”, si affanna a ripetere il governo americano e le forze di destra. “E’ quel guerrafondaio di Bush che, occupando l’Iraq, è all’origine di tutte le stragi”, rispondono le sinistre più agguerrite che mai. Chi dei due ha ragione?

Come siamo arrivati a tanto?

Con il crollo dell’ex Unione Sovietica, gli USA, rimanendo l’unica superpotenza del mondo, hanno di fatto prodotto una situazione insolita e anomala. Se è vero infatti che gli USA non hanno in questo momento possibili rivali sul piano militare, è anche vero che questo ruolo di superpotenza lo devono continuamente esercitare per evitare che, in mancanza di una disciplina da blocco imperialista ormai non più esistente, ogni singolo paese possa fare di testa propria ed anche per prevenire possibili processi di aggregazioni imperialiste contro sé stessi. Tutta la politica pacifista condotta nell’ultimo periodo dalle forze di sinistra e da paesi come Francia e Germania, non è altro che una maniera per mettere in difficoltà la politica americana. Le sinistre non sono mai state pacifiste: negli Usa è il governo democratico di J. F. Kennedy che comincia e porta avanti la guerra del Vietnam. In Italia è il governo di sinistra di D’Alema che prende parte piena alla coalizione che si batte contro la Serbia di Milosevic. E che dire del pacifismo di un paese come la Francia che mentre protesta veementemente contro gli USA, facendo sventolare mega-striscioni contro la guerra dai palazzi municipali di Francia, fa i suoi sporchi giochi di guerra in Costa d’Avorio? Gli interventi sempre più puntuali e invasivi degli USA, a partire dalla prima guerra del Golfo ad oggi, esprimono perciò l’esigenza di essere sempre più presenti nelle zone strategicamente nevralgiche del mondo per difendere i propri interessi e, al tempo stesso, per sparigliare le carte degli avversari. E’ così che si spiega la febbre crescente degli USA di intervenire dappertutto nel mondo, anche a costo di farsi saltare le torri gemelle se questo può essere un alibi sufficiente per passare all’offensiva senza discussioni. E’ stato così anche per la seconda guerra contro l’Iraq per scatenare la quale è stato invocato il pericolo dell’uso di micidiali mezzi di distruzione di massa che sarebbero stati nelle mani di Saddam Hussein. Questo alibi è valso a far la guerra e ad occupare un paese senza alcun mandato, senza alcuna giustificazione, con il solo lasciapassare della tracotanza del più forte. Oggi è ormai certo che le armi di distruzione di massa non ci sono. O per lo meno non ci sono più: l’esercito iracheno le ha già utilizzate prima contro l’esercito iraniano per ordine e su forniture degli stessi americani nella guerra Iran-Iraq, poi contro le popolazioni sciite alla fine della prima guerra del golfo, dopo che gli americani avevano istigato queste ultime all’insurrezione contro Saddam per poi abbandonarle alla vendetta del capo sunnita. Oggi come ieri, le grandi potenze imperialiste si fanno la guerra per interposta persona, attribuendo la colpa sempre alla cattiveria o all’avidità di questo o quel governante e sempre nascondendo la vera causa di tutti i conflitti:

Non occorrevano quattro mesi, alla critica marxista, per ricondurre la guerra in Corea alle sue proporzioni reali, a fissarla nella sua cornice storica. Non era un episodio contingente o locale, un caso, un deprecabile incidente: era una fra le tante, e certo tra le più virulente manifestazioni di un conflitto imperialistico che non ha paralleli né meridiani, ma si svolge sul teatro di tutto il mondo, nei limiti di tempo internazionali dell'imperialismo. I suoi protagonisti non erano né i coreani del Nord rivendicatori di un'unità nazionale spezzata, né i coreani del Sud araldi di un diritto e di una giustizia violati; ma le milizie inconsce e l'ufficialità prezzolata dei due grandi centri mondiali del capitalismo, entrambi protesi per un'ineluttabile spinta interna verso il precipizio della guerra. Non in palio erano la libertà, il socialismo, il progresso, e le mille ideologie in lettera maiuscola di cui é cosparso come di tante croci il cammino della società borghese, ma i rapporti di forza e le condizioni di sopravvivenza dei due massimi sistemi economici e politici del capitalismo, America e Russia”. Amadeo Bordiga, Corea è il mondo, Prometeo n. 1, 1950.

Parafrasando il titolo dell’articolo di Bordiga scritto oltre mezzo secolo fa, possiamo oggi dire Iraq è il mondo. In Iraq si incrociano infatti gli interessi delle principali potenze imperialiste del mondo e l’Iraq ancora mostra la reale prospettiva che si apre all’umanità se l’imbarbarimento di questa società non verrà fermato.

E dove andremo a finire?

La situazione che si vive oggi nel mondo è che, paradossalmente, quanto più gli USA cercano di intervenire per imporre il loro controllo sul mondo, tanto più questo controllo viene messo in discussione. La guerra contro Saddam e la successiva occupazione dell’Iraq, con cui sembrava che gli Usa dovessero divenire padroni della situazione, si sono trasformati in una trappola infernale. La situazione attuale è infatti del tutto incontrollabile con attentati e guerriglia dappertutto. La guerriglia non viene più neanche solo dal temibile triangolo sunnita fedele a Saddam, ma dagli stessi Sciiti delusi dalla politica americana. Peraltro la guerra combattuta dalle tribù irakene segue sempre più la tattica della guerriglia, con agguati, attentati e, più recentemente, rapimenti di militari e soprattutto di civili, allo scopo di scoraggiare quanti sono presenti sul posto anche solo per svolgere un lavoro, diciamo così, non militare. Proprio per l’aggravarsi della situazione Bush ha colto l’occasione per creare un nuovo capro espiatorio, Al Sadr, imam sciita di grande autorevolezza in questo momento che si è dichiarato per il ritiro degli americani dal suolo iracheno e contro la partecipazione ad un governo in queste condizioni. Ma per quanti sforzi facciano gli USA, l’Iraq mostra che non basta sconfiggere il nemico, e non basta neanche più occuparne il territorio, perché in un contesto internazionale in cui ognuno gioca contro tutti gli altri le armi circolano in giro come acqua che scorre e anche un paese allo sbando come l’Iraq finisce per dare dei problemi alla superpotenza americana. E questa constatazione invece di spingere a riconsiderare l’atteggiamento guerriero, come sarebbe più razionale, visto che non dà risultati, porta gli USA ad essere ancora più aggressivi, a dimostrazione che in questo mondo capitalista non c’è ormai più nulla di razionale. E’ di questi stessi giorni l’appoggio di Bush al piano di annessione di parte della striscia di Gaza da parte del governo israeliano di Sharon, piano che non solo butta all’aria tutti i piani di pace preparati finora, anche sotto la spinta degli USA, ma sancisce l’impossibilità di una pace in un Medio oriente che è da sempre uno dei maggiori focolai di tensioni guerriere.

E come si mette per l’Italia?

All’interno di questa situazione l’imperialismo italiano, con alla testa il filoamericano Berlusconi, ha inviato delle truppe in Iraq che giustamente sono state definite dalla sinistra truppe di occupazione. L’intento di Berlusconi and company era infatti di profittare della situazione per avere un minimo di presenza sul posto e se possibile trarre qualche briciola dalle commesse di guerre. A questo ruolo da piccoli sparvieri, hanno risposto le sinistre contestando la legittimità dell’intervento, ma come è noto facendone solo una questione formale perché non ufficialmente autorizzata dall’ONU. Oggi che questa presenza italiana in Iraq si fa sempre più delicata e tragica, con l’episodio di Nassirya prima e il rapimento e l’uccisione degli ostaggi poi, le forze politiche italiane stanno di nuovo dando fondo a tutta la loro fantasia propagandistica per dimostrare che sono meglio gli uni, no anzi gli altri. Tanto più che le elezioni europee si avvicinano. Ma nessuno, di fronte ai morti “italiani”, dice che sono migliaia e migliaia gli iracheni senza identità, senza storia, senza futuro, che giorno dopo giorno vengono ammazzati in una guerra assurda e crudele. Destra e sinistra piangono vittime che sono andate in Iraq al soldo degli americani, per guadagnare da 6000 a 30.000 dollari al mese, per difendere chi con la prepotenza delle armi ha imposto la propria legge su un paese inerme, addirittura si fa circolare l’ultima frase di un povero condannato a morte che dice “adesso vi faccio vedere come muore un italiano...” per trasformare una tragedia umana in una ulteriore propaganda patriottica ad uso di destra e sinistra. Ma per quanto forte possa essere la propaganda dei mass-media al soldo dei vari partiti della borghesia, c’è una dinamica tra i lavoratori che li spinge a chiedersi sempre più prepotentemente il perché delle cose. E’ proprio contro questo pericolo che la borghesia si inventa di continuo i migliori alibi per andare in guerra. Ma è al tempo stesso il dispiegarsi della verità contro le menzogne di tutti i governi e di tutti i partiti borghesi a costituire oggi un potente elemento di presa di coscienza per la classe operaia che per difendersi dagli attacchi sempre più forti e generalizzati alla sua esistenza potrà fare il legame tra la vera natura di queste guerre e la precarietà della propria esistenza e arrivare alla conclusione che effettivamente non c’è altra alternativa: o si distrugge questo sistema o si soccombe completamente alla barbarie.

Ezechiele, 16 aprile 2004

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