Sulle manifestazioni pacifiste in tutto il mondo: per lottare contro la guerra bisogna combattere il capitalismo

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Lo scorso 15 febbraio, nel mondo intero, le strade delle principali metropoli di tutti i continenti hanno risuonato di slogan quali: “No alla guerra!”, “Niente sangue per il petrolio!”, “Rifiutiamo una nuova carneficina!”, “Bush, Sharon, assassini!”, “Che assurdità è la guerra!” ed altri dello stesso tipo. Questi cortei “pacifisti” hanno trascinato folle immense, stabilendo un po’ ovunque dei record di mobilitazione, principalmente in quei paesi i cui governi si sono schierati con l’impresa guerriera di Bush contro l’Iraq: quasi tre milioni di partecipanti a Roma, un milione e mezzo a Londra, a Barcellona ed a Madrid. Ma anche negli altri Stati, dove le manifestazioni hanno assunto degli accenti e dei comportamenti “di unità nazionale” in sostegno al “fronte contro la guerra” delle borghesie nazionali, gli assembramenti sono stati quasi giganteschi: 500.000 persone a Berlino ed altrettante in Francia, più di 200.000 a Bruxelles. Anche negli Stati Uniti la protesta organizzata nella maggior parte delle grandi città del paese ha raggiunto un’ampiezza paragonabile alle grandi sfilate contro la guerra del Vietnam (250.000 manifestanti a New York). Mai la stessa “causa” aveva mobilitato tante persone nello stesso giorno a livello mondiale. Che la guerra sia una cosa abominevole, un’espressione di barbarie, è scontato. Questa è tanto più insopportabile e nauseante per la classe operaia che ne ha sempre pagato il prezzo più alto, con le sue condizione di esistenza, con la sua vita e il suo sangue. Ma siamo chiari: questa mobilitazione pacifista generale alla quale abbiamo assistito non era che un passaggio importante di una campagna ideologica di grande portata, menzognera e criminale, che la borghesia sviluppa dappertutto ed in particolare nei paesi in cui la classe operaia è più forte e concentrata. Le grandi masse pacifiste non hanno mai impedito le guerre imperialiste. Anzi sono servite a prepararle ed accompagnarle. Il pacifismo è uno strumento delle rivalità imperialiste Per prima cosa, gli assembramenti attuali, qualunque sia la loro ampiezza, non possono pesare seriamente sul corso degli avvenimenti. Essi non potevano in alcun modo impedire la guerra nella misura in cui gli Stati Uniti avevano già deciso di farla anche da soli o quasi, come poi è successo. Ma soprattutto la loro funzione primaria, essenziale, è precisamente mascherare i giochi reali della situazione e di impedire la presa di coscienza del vero problema da parte della popolazione in generale e della classe operaia in particolare: la responsabilità della guerra non cade su questo o quello Stato, o gruppo di paesi. La guerra è inscritta nel modo di vita del sistema di produzione capitalista nel suo insieme, nella sua globalità. Il campo della “pace” non esiste, non è che un’illusione. Fare credere che la “pace” è possibile nel capitalismo è un’enorme mistificazione. La “pace” non è che un momento della preparazione di una nuova guerra perché quest’ultima è divenuta un modo di vita permanente nel capitalismo decadente. E’ per tale motivo che non vi possono essere lotte contro la guerra che non siano contro il capitalismo. Il vero problema da porsi è a che cosa corrisponde e a chi serve questo fenomeno “pacifista” che supera di gran lunga l’ampiezza dei raggruppamenti “anti guerra” all’epoca della prima guerra del Golfo nel 1991? Esso è suscitato ed incoraggiato dalla stessa classe dominante indicando questo o quel paese, questa o quella frazione della borghesia come “fautore” di guerra. I “guerrafondai” ed i “pacifisti” si passano la palla per mistificare “l’opinione pubblica”: per gli uni il nemico principale è l’Iraq, per gli altri sono gli Stati Uniti. Si tratta per la borghesia di persuadere che c’è sempre un campo imperialista da scegliere (all’occorrenza, poco importa se gli avversari designati dai pacifisti siano gli Stati Uniti, il governo americano, o la sola frazione di Bush). D’altronde da uno degli slogan delle manifestazioni emergeva questa confessione rivelatrice: “la pace è patriottica” ciò che rivela con chiarezza che il “campo bellicista” non ha il monopolio della difesa degli interessi nazionali capitalisti. Ciò si traduce in un’ipocrisia ed un cinismo indicibili del sedicente “fronte anti-guerra”, in una forma inedita nella storia rappresentata attualmente da alcuni Stati che osano presentarsi come le colombe della “pace”. Finanche frazioni di destra dell’apparato borghese, che possono essere sospettate di tradimento verso l’ordine borghese, si spacciano come capo fila di una corrente “pacifista”. Non è grottesco vedere Chirac proposto come futuro “premio Nobel per la pace” nel momento in cui il governo francese è responsabile dell’attuale caos guerriero in Costa d’Avorio? Nello stesso “campo”, troviamo la Russia di Putin che continua a compiere i peggiori massacri e perpetrare i peggiori orrori attraverso il suo esercito in Cecenia, ed anche la Germania dove i predecessori di Schroëder non hanno esitato dieci anni fa ad incoraggiare lo scoppio della Iugoslavia che ha provocato anni di genocidi e guerre atroci nei Balcani, tutto ciò per i loro sordidi interessi imperialisti nazionali particolari. Attualmente, questi dirigenti, tanto sanguinari come gli altri, sono condotti a cavalcare le “correnti pacifiste” con le loro smargiassate e mettere i bastoni tra le ruote alla borghesia americana. Proclamano: “Chiediamo, esigiamo, imponiamo la pace al governo Bush!”, unicamente per affermare i loro interessi che li spingono in un comportamento apertamente contestatario verso gli Stati Uniti. Inoltre, una buona parte di essi in questa coalizione di facciata è pronta a cambiare parere ed a partecipare alla guerra contro l’Iraq sotto condizione, o se lo esige la pressione americana, o se “certe regole del diritto internazionale sono rispettate”, come una nuova risoluzione dell’Onu. Nessun governo può essere realmente contro la guerra ma solo contro le condizioni formali con cui gli Stati Uniti la impongono. Il pacifismo è un’arma della borghesia contro la classe operaia Questi assembramenti hanno la funzione di impedire che venga messo in causa il capitalismo, che si prenda coscienza che la guerra è l’espressione delle rivalità imperialiste di tutti gli Stati, prodotte dalla concorrenza capitalista nella difesa dei loro rispettivi interessi nazionali. Per certi Stati, si tratta chiaramente di chiamare ad una vera “union sacrée” dietro la propria borghesia nazionale. E’ il caso della Francia dove predomina nettamente un tono anti-americano, incoraggiato e sostenuto dalla quasi totalità delle frazioni politiche della borghesia nazionale, da Le Pen fino alle organizzazioni estremiste che “spingono” Chirac ad opporsi ancora di più alla politica degli Stati Uniti (1). La sua prima funzione è nutrire nelle popolazioni un sentimento anti-americano indicando gli Stati uniti come il solo “fattore di guerra”, l’avversario imperialista numero uno per eccellenza per deviare la loro ostilità alla guerra su un terreno borghese. Non ci sono guerre “giuste” ed altre “ingiuste”, forme accettabili per fare la guerra ed altre non, qualunque siano i campi in gioco. D’altra parte il risultato per le popolazioni prese in ostaggio è lo stesso, sono massacrate, bombardate, gasate, con le più nocive e mortali armi senza la minima considerazione “umanitaria”. Oggi, come sempre nel passato, il pacifismo resta il migliore complice per il lavaggio del cervello bellicista. Questa ideologia borghese è un vero peso per la classe operaia. Al di là dell’infamia di tutti quelli che propagandano una tale mistificazione per mascherare la loro ideologia nazionalista, il pacifismo mira ad un obiettivo particolare: recuperare il timore e l’avversione degli operai di fronte alla minaccia della guerra per avvelenare la loro coscienza e condurli a sostenere un campo borghese contro un altro. E’ per tale motivo che il pacifismo fa parte, come ogni volta che la borghesia ha bisogno di fare accettare ai proletari la sua logica mortale, di una vasta divisione di compiti tra le differenti frazioni imperialiste del capitale mondiale. Ciò che definisce il pacifismo non è la rivendicazione della pace. Tutto il mondo vuole la pace. Gli stessi guerrafondai non fanno altro che proclamare continuamente che essi vogliono la guerra per meglio stabilire la pace. Ciò che distingue il pacifismo, è la pretesa che si possa lottare per la pace, in se, senza toccare le fondamenta del mondo capitalista. Anche gli stessi proletari che, attraverso la loro lotta rivoluzionaria in Russia ed in Germania, misero fine alla Prima Guerra mondiale, volevano la fine della guerra. Ma se hanno potuto portare a termine la loro lotta, è perché hanno saputo condurla non CON i “pacifisti” ma malgrado questi e CONTRO di essi. A partire dal momento in cui è diventato chiaro che solo la lotta rivoluzionaria avrebbe potuto fermare il macello imperialista, i proletari russi e tedeschi si sono dovuti scontrare non solo con i “falchi” della borghesia, ma anche e soprattutto con tutti questi pacifisti della prima ora (menscevichi, socialisti-rivoluzionari, socialpatrioti) che, armi alla mano, hanno difeso ciò di cui essi non potevano più fare a meno e ciò che per loro era la cosa più preziosa: rendere inoffensiva per il capitale la rivolta degli sfruttati contro la guerra. Questo è sempre stato lo scopo reale del pacifismo! La storia ci offre delle esperienze edificanti su manovre di questo tipo. La stessa impresa che vediamo all’opera oggi, è stata denunciata con forza già dai rivoluzionari del passato: “La borghesia ha decisamente bisogno di frasi ipocrite sulla pace attraverso cui si deviano gli operai dalla lotta rivoluzionaria”, diceva Lenin nel marzo 1916. L’uso del pacifismo non è cambiato: “In ciò risiede l’unità di principio dei socialsciovinisti (Plekhanov, Scheidemann) e dei socialpacifisti (Turati, Kautsky), gli uni e gli altri, obiettivamente parlando, sono i servitori dell’imperialismo: gli uni lo servono presentando la guerra imperialista come la “difesa della patria”, gli altri difendono lo stesso imperialismo mascherandolo attraverso frasi sulla “pace democratica”, la pace imperialista che si annuncia oggi. La borghesia imperialista ha bisogno di servitori dell’uno e dell’altro tipo, dell’una e dell’altra sfumatura: ha bisogno dei Plekhanov per incoraggiare i popoli a massacrarsi gridando “Abbasso i conquistatori”; ha bisogno dei Kautsky per consolare e calmare le masse irritate attraverso inni e discorsi entusiasti in onore della pace”, scriveva già Lenin nel gennaio del 1917. Ed aggiungeva: “In realtà, la politica di Kautsky (per la Germania) e quella di Sembat-Henderson (per la Francia e la Gran Bretagna) aiutano in modo identico i loro rispettivi governi imperialisti, attirando principalmente l’attenzione sugli intrighi tenebrosi del concorrente e dell’avversario, e gettando un velo di frasi nebulose e di pii desideri sulle altrettanto imperialiste attività della “loro” borghesia. Cesseremmo di essere dei marxisti, cesseremo di essere in generale dei socialisti, se ci contentassimo di una meditazione per così dire cristiana, sulla virtù delle buone piccole frasi generali, senza mettere a nudo il loro significato”. Ciò che era vero al momento della Prima Guerra mondiale si è da quel momento invariabilmente confermato. Ancora oggi, di fronte alla nuova guerra nel Golfo, la borghesia ha potentemente organizzato la sua macchina pacifista in tutti i paesi. Per i rivoluzionari non è sufficiente denunciare la guerra voluta dagli Stati Uniti, ma è necessario allo stesso tempo mostrare l’ipocrisia di tutti gli altri Stati che mobilitano la popolazione contro questa guerra per opporsi agli stati Uniti e difendere i propri interessi nazionali. Solo la guerra di classe contro il capitalismo può mettere fine alla guerra imperialista La classe operaia non ha alcun interesse a sostenere un campo o l’altro, dunque non deve assolutamente farsi coinvolgere nelle imprese “pacifiste” animate da altri briganti imperialisti. L’ostilità alla guerra del proletariato deve restare legata, senza alcuna concessione, ad una posizione di principio che i rivoluzionari hanno sempre difeso: L’INTERNAZIONALISMO PROLETARIO, il rifiuto di fare causa comune con la propria borghesia nazionale. Mentre per ogni frazione concorrente della classe dominante, la propria posizione è dettata dal suo interesse imperialista da difendere in Iraq o più largamente in questa regione del Medio Oriente, la classe sfruttata non ha NESSUN interesse ad allinearsi dietro le presunte “giuste cause” dei suoi sfruttatori, siano esse “difensive” o “pacifiste”. La classe operaia deve basarsi sulla sua esperienza storica per prendere coscienza che i canti delle sirene del pacifismo servono solo ad attirarla in una trappola, su di un terreno strettamente borghese. Terreno nel quale può solo essere incatenata ad un campo imperialista contro un altro, può solo perdere la propria identità lasciandosi diluire nella massa indistinta del “popolo”, confusa tra le altre classi, al centro di un gigantesco movimento “cittadino” nel quale è impossibile affermare i propri interessi di classe. Quelli di una classe che non ha patria, né frontiere ed interessi nazionali da difendere. Oggi come ieri, la sola risposta che i lavoratori possono dare alla guerra ed al suo corollario che è il pacifismo, è la LOTTA DI CLASSE. La lotta contro la guerra non può essere che la lotta contro il capitale mondiale, contro questo sistema di sfruttamento, del quale sono la principale vittima. Perché è questo stesso sistema, di cui Bush, Blair, Berlusconi, Chirac, Scroëder, Saddam e consorti sono i degni rappresentanti, che da un lato sfrutta i proletari, li riduce alla disoccupazione e alla miseria, dall’altro, li massacra, li condanna all’esodo di massa, alla fame, all’epidemie. E’ solo sviluppando massicciamente la loro lotta sul proprio terreno di classe sfruttata, unificando le loro lotte a scala internazionale nei posti di lavoro e nelle strade, che i proletari di tutti i paesi, e principalmente quelli dei paesi più industrializzati d’Europa e d’America, potranno aprire una prospettiva di futuro per l’umanità: quella del rovesciamento del capitalismo. La pace è impossibile nel capitalismo. Il capitalismo è guerra! Contro la “santa alleanza” di tutti gli sfruttatori, contro tutte le manovre di intossicazione ideologica e di divisione del proletariato internazionale: Proletari di tutti i pesi unitevi!
Wim (21 febbraio 2003)

1 1. In questo quadro, anche se il pacifismo è tradizionalmente veicolato dai partiti di sinistra e d’estrema sinistra che restano i motori dei movimenti pacifisti, in particolare al fine di arruolarvi specificamente gli operai, la sua influenza va ben al di là dei divari tradizionali all’interno della borghesia. Allo stesso modo la mobilitazione dei “cristiani” è legata al ruolo eminente del papa nella crociata anti-americana.

Geografiche: 

Questioni teoriche: