1933-46: L'enigma russo e la Sinistra Comunista Italiana

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La "Sinistra Comunista" è in gran parte il prodotto di quelle sezioni del proletariato mondiale che hanno rappresentato la minaccia più grande per il capitalismo durante l'ondata rivoluzionaria internazionale che ha seguito la guerra del 1914-18: il proletariato russo, quello tedesco e l'italiano. Sono queste sezioni "nazionali" che hanno dato il contributo più significativo all'arricchimento del marxismo nel contesto della nuova epoca di decadenza del capitalismo inaugurata dalla guerra. Ma coloro che si sono elevati più in alto sono anche quelli che sono caduti più in basso.

Abbiamo visto negli articoli precedenti di questa serie come le correnti di sinistra del partito bolscevico, dopo i loro primi tentativi eroici di capire e resistere all'inizio della controrivoluzione stalinista, furono quasi completamente eliminate da quest'ultimo, lasciando ai gruppi di sinistra al di fuori della Russia il compito di analizzare che cosa era andato male con la rivoluzione in Russia e di definire la natura del regime che aveva usurpato il suo nome. Qui ancora, le frazioni tedesche ed italiane della Sinistra Comunista hanno svolto un ruolo assolutamente chiave, anche se non sono state le uniche (il precedente articolo di questa serie, per esempio, ha descritto l'emergere d'una corrente comunista di sinistra in Francia negli 1920-30 ed il suo contributo alla comprensione della questione russa) (1). Ma se le sconfitte subite dal proletariato furono pesanti sia in Italia che in Germania, è certamente il proletariato tedesco, che aveva tenuto effettivamente tra le sue mani la sorte della rivoluzione mondiale nel 1918-19, quello che è stato schiacciato più brutalmente e sanguinariamente dagli sforzi congiunti della socialdemocrazia, dello stalinismo e del nazismo. Questo fatto tragico, insieme a determinate debolezze teoriche ed organizzative risalenti all'inizio dell'ondata rivoluzionaria e perfino prima, ha contribuito ad un processo di dissoluzione non meno devastatore di quello che è capitato al movimento comunista in Russia.


Senza entrare nel merito del perchè è stata la Sinistra italiana che è meglio sopravvissuta al naufragio della controrivoluzione, desideriamo confutare una leggenda mantenuta da coloro che sostengono non soltanto di essere gli eredi esclusivi della Sinistra italiana storica, ma riducono la Sinistra comunista, che fu soprattutto un'espressione internazionale della classe operaia, al solo ramo italiano. I gruppi bordighisti, che esprimono più chiaramente questo atteggiamento, naturalmente riconoscono che c'era una importante componente "russa" del movimento marxista durante l'ondata rivoluzionaria ed gli avvenimenti che ne seguirono, ma escludono molte delle correnti di sinistra più significative all'interno del partito bolscevico (Ossinski, Miasnikov, Sapranov, ecc.) e tendono a riferirsi in modo positivo soltanto ai leader "ufficiali" come Lenin e Trotsky. E per quanto riguarda la sinistra tedesca, i bordighisti non fanno che ripetere tutte le deformazioni accumulate su di essa dall'Internazionale Comunista (IC): che era anarchica, sindacalista, settaria, ecc., e ciò precisamente nel momento in cui l'IC cominciava ad aprire le sue porte all'opportunismo. Per questi gruppi è logico concludere che non ci può essere motivo per discutere con le correnti che provengono da questa tradizione o che hanno tentato di fare una sintesi dei contributi delle differenti Sinistre.

Questo non fu in alcun modo il metodo adottato da Bordiga, sia nei primi anni dell'ondata rivoluzionaria, quando il giornale Il Soviet apriva le sue colonne agli articoli scritti da coloro che facevano parte della Sinistra tedesca o si trovavano nella sua orbita, quali Gorter, Pannekoek e Pankhurst; o nel periodo di riflusso, come nel 1926, quando Bordiga rispondeva molto fraternamente alla corrispondenza ricevuta dal gruppo di Korsch (1).


La Frazione italiana ha mantenuto questo atteggiamento negli anni '30. Bilan fu molto critico rispetto alle facili denigrazioni portate dall'IC nei confronti della Sinistra tedesca ed olandese ed apriva molto volentieri le sue colonne ai contributi di questa corrente, come fece per le questioni sul periodo di transizione. Anche se ha avuto disaccordi molto profondi con "gli internazionalisti olandesi", li ha rispettati come espressione genuina del proletariato rivoluzionario. Possiamo dire, con il beneficio del giudizio retrospettivo, che su molte questioni cruciali la Sinistra tedesca ed olandese è arrivata più rapidamente della Sinistra italiana a delle corrette conclusioni: per esempio, sulla natura borghese dei sindacati, sul rapporto fra il partito e i consigli operai e sulla questione trattata in questo articolo: la natura dell'URSS e la tendenza generale verso il capitalismo di stato.

Nel nostro libro sulla Sinistra olandese, per esempio, ricordiamo che Otto Rühle, una delle figure principali della Sinistra tedesca, aveva raggiunto conclusioni molto avanzate sul capitalismo di stato dal 1931.


"Uno dei primi teorici del comunismo dei consigli ad esaminare in profondità il fenomeno del capitalismo di stato fu Otto Rühle. In un libro notevole e pionieristico, pubblicato nel 1931 a Berlino sotto lo pseudonimo di Carl Steuermann, Rühle ha mostrato che la tendenza verso il capitalismo di stato era irreversibile e che nessun paese avrebbe potuto evitarlo a causa della natura mondiale della crisi. Il percorso preso dal capitalismo non era un cambiamento di natura, ma di forma, nel fine di assicurare la sua sopravvivenza come sistema: «la formula di salvezza per il mondo capitalista oggi è: un cambiamento di forma, trasformazione dei quadri, rinnovamento di facciata, senza rinunciare al fine che è il profitto. Si tratta di cercare una via che permetta al capitalismo di continuare ad un altro livello, in un altro campo dell'evoluzione».


Rühle ha previsto approssimativamente tre forme di capitalismo di stato, corrispondenti a differenti livelli di sviluppo. A causa della sua arretratezza economica, la Russia rappresentava la forma estrema del capitalismo di ato: «l'economia pianificata è stata introdotta in Russia prima che l'economia capitalista liberale avesse raggiunto il suo zenit, prima che il suo processo vitale la conducesse alla senilità». Nel caso russo, il settore privato fu completamente controllato ed assorbito dalla stato. All'altro estremo, in un'economia capitalista sviluppata come la Germania, è l'opposto che è accaduto: il capitale privato ha preso il controllo dello stato. Ma il risultato fu identico: il rafforzamento del capitalismo di stato. «c'è una terza via per arrivare al capitalismo di stato. Non attraverso l'espropriazione del capitale da parte dello stato, ma nel modo contrario: il capitale privato s'impadronisce dello stato».

Il secondo "metodo", che potrebbe essere considerato un " misto" dei due, corrisponde all'appropriazione graduale da parte dello stato di settori del capitale privato: «[lo stato] conquista un'influenza crescente sull'industria intera: poco a poco si trasforma in padrone dell'economia».


Tuttavia, il capitalismo di stato non può essere in alcun caso una "soluzione" per il capitalismo. Esso non rappresenta che un palliativo per la crisi del sistema: «il capitalismo di stato è ancora capitalismo(...) anche sotto la forma di capitalismo di stato, il capitalismo non può sperare di prolungare la sua esistenza per molto tempo. Le stesse difficoltà e gli stessi conflitti che lo obbligano ad andare dalla forma privata alla forma statale riappaiono ad un livello più elevato.». Nessuna "internazionalizzazione" del capitalismo di stato potrebbe risolvere il problema del mercato: «la soppressione della crisi non è un problema di razionalizzazione, di organizzazione o di produzione di credito, è puramente e semplicemente un problema di riuscire a vendere». (La Sinistra tedesco-olandese- edizione inglese, pag 276-7).


Anche se, come il nostro libro aggiunge, la posizione di Rühle conteneva una contraddizione nel fatto che egli vedeva nel capitalismo di stato una specie di forma "superiore" del capitalismo che stava preparando la via per il socialismo, il suo libro rimane "un contributo al marxismo di prim’ordine". In particolare, proponendo il capitalismo di stato come una tendenza universale nella nuova epoca, gettava le basi per distruggere l'illusione che il regime stalinista in Russia rappresentasse una totale eccezione in rapporto al resto del sistema mondiale.


Ma Rühle incarna le debolezze della sinistra tedesca così come le sue innegabili forze.

Primo delegato del KAPD al secondo congresso dell'IC nel 1920, Rühle vide per primo la terribile burocratizzazione che già aveva afferrato lo stato sovietico. Ma, senza prendere il tempo necessario per individuare le origini di questo processo nel tragico isolamento della rivoluzione, Rühle abbandonò la Russia senza nemmeno tentare di difendere i punti di vista del suo partito al congresso e rapidamente rigettò ogni forma di solidarietà verso il bastione russo assediato. Espulso dal KAPD per questa trasgressione, cominciò a sviluppare le basi del "consiliarismo": la rivoluzione russa non era altro che una rivoluzione borghese, la forma partito era adatta soltanto a tali rivoluzioni; tutti i partiti politici erano borghesi per natura, ora era necessario fondere gli organi economici e politici della classe in una sola organizzazione "unificata". All’interno della Sinistra tedesca in molti hanno certamente resistito a queste idee negli anni '20 e perfino negli anni '30, esse non erano in alcun modo accettate universalmente all'interno del movimento del comunismo dei consigli, come si può vedere nel testo estratto da Räte Korrespondenz che abbiamo pubblicato nella Révue Internationale n.105. Ma esse hanno certamente causato importanti guasti nella Sinistra tedesco-olandese ed enormemente accelerato il suo crollo organizzativo; allo stesso tempo, negando ogni carattere proletario alla rivoluzione russa e al partito bolscevico, esse hanno bloccato ogni possibilità di comprensione del processo di degenerazione a cui entrambi soccomberanno. Questi punti di vista riflettevano il peso reale dell'anarchismo sul movimento operaio tedesco e hanno reso più facile l'amalgama tra la tradizione della Sinistra comunista tedesca e l'anarchismo.


La Sinistra Italiana: lentamente ma con fermezza


Nel precedente articolo di questa serie, abbiamo visto che all'interno dell'ambiente politico attorno all'Opposizione di sinistra di Trotsky, compreso molti gruppi che stavano muovendosi verso le posizioni della Sinistra comunista, c'era, alla fine degli anni '20 e nel corso degli anni '30, una enorme confusione sulla questione dell'URSS; una confusione particolarmente importante era l'idea che la burocrazia fosse una specie di nuova classe non prevista dal marxismo. Data la profonda debolezza teorica che predominava anche nella Sinistra tedesca ed olandese su questo problema, non era sorprendente che la Sinistra italiana abbia abbordato questo problema con molta prudenza. Rispetto a molti altri gruppi proletari fu molto lentamente che essa arrivò a riconoscere la vera natura della Russia stalinista. Ma poiché era solidamente ancorata al metodo marxista, le sue ultime conclusioni furono più coerenti e più approfondite.


La Frazione ha abbordato "l'enigma russo" nello stesso modo con cui abbordò gli altri aspetti del "bilancio" che doveva essere tirato dai titanici scontri rivoluzionari del periodo successivo alla prima guerra mondiale, e soprattutto dalle sconfitte tragiche che il proletariato aveva sofferto: con pazienza e rigore, evitando qualsiasi giudizio affrettato, basandosi sulle conclusioni che la classe aveva tirato una volta per tutte prima di rimettere in questione delle posizioni acquisite. Riguardo alla natura dell'URSS, la Frazione era in continuità diretta con la risposta di Bordiga a Korsch che noi abbiamo esaminato nel precedente articolo di questa serie: per essa era chiaramente stabilito il carattere proletario della rivoluzione di ottobre e del partito di bolscevico che l'aveva diretta. Effettivamente possiamo dire che la comprensione crescente, da parte della Frazione, dell'epoca inaugurata dalla guerra - l'epoca della decadenza capitalista - le ha permesso di vedere, più chiaramente di Bordiga, che solo la rivoluzione proletaria era all'ordine del giorno della storia in tutti i paesi. Essa dunque non perdeva tempo in speculazioni sul carattere "borghese" o "doppio" della rivoluzione russa. Una idea che, come abbiamo visto, aveva una grande presa sulla sinistra tedesca ed olandese. Per Bilan, rigettare il carattere proletario della rivoluzione di ottobre poteva risultare solo da una specie di "nichilismo proletario", una reale perdita di fiducia nella capacità della classe operaia di portare a termine la sua propria rivoluzione (la frase proviene dall'articolo di Vercesi: "lo stato sovietico" della serie "Partito, Internazionale, Stato" in Bilan n. 21).

Niente di questo fa pensare che la Frazione avesse sposato la nozione di "invarianza del marxismo" dal 1848, che doveva divenire un credo per i bordighisti d'oggi. Al contrario: fin dall'inizio - vedi l'editoriale del n. 1 di Bilan - essa si è impegnata ad esaminare le lezioni delle recenti battaglie della classe "senza dogmatismo od ostracismo"; e questo l'ha condotta ad esigere una revisione fondamentale di alcune delle tesi di base dell'Internazionale Comunista, per esempio sulla questione nazionale. Riguardo all'URSS, insistendo sulla natura proletaria d'Ottobre, essa ha riconosciuto che durante gli anni era avvenuta una profonda trasformazione, al punto che al posto d'essere un fattore di difesa e di estensione della rivoluzione mondiale, lo "Stato proletario" aveva giocato un ruolo controrivoluzionario a scala mondiale.


Un punto di partenza ugualmente cruciale per la Frazione era che i bisogni del proletariato a scala internazionale avevano sempre la priorità su ogni espressione locale o nazionale e che in nessuna circostanza si poteva transigere sul principio dell'internazionalismo proletario. Ecco perchè il Partito comunista d'Italia aveva sempre sostenuto sempre che l'Internazionale doveva considerarsi come un unico partito mondiale le cui decisioni legavano tutte le sue sezioni, persino quelle, come in Russia., che detenevano il potere statale; è anche per questo motivo che la sinistra italiana ha subito parteggiato per l'Opposizione di Trotsky nella sua lotta contro la teoria di Stalin del socialismo in un solo paese.

Effettivamente, per la Frazione, "è non soltanto impossibile costruire il socialismo in un solo paese, ma anche stabilirne le basi. Nei paesi dove il proletariato è stato vittorioso, non si trattava di realizzazione una condizione di socialismo (attraverso l'amministrazione libera dell'economia da parte del proletariato), ma solo di salvaguardare la rivoluzione, che richiede il mantenimento di tutte le istituzioni di classe del proletariato." ("Natura ed evoluzione della rivoluzione russa - risposta al compagno Hennaut", Bilan n. 35, settembre 1936, p 1171). Qui la Frazione è andata più avanti di Trotsky, che con la sua teoria "dell'accumulazione socialista primitiva" considerava che la Russia effettivamente aveva cominciato a porre le fondamenta di una società socialista, anche se rigettava ciò che pretendeva Stalin: che una tal società già era arrivata. Per la Sinistra italiana, il proletariato non poteva realmente che stabilire la sua dominazione politica in un paese, ed anche questo sarebbe stato inevitabilmente insidiato dall'isolamento della rivoluzione.


Internazionalismo o difesa dell'URSS?


Ma malgrado questa chiarezza fondamentale, la posizione di maggioranza all'interno della Frazione era, almeno all’apparenza, simile a quella di Trotsky: l'URSS rimaneva uno stato proletario, anche se profondamente degenerato, sulla base del fatto che la borghesia era stata espropriata e che la proprietà restava nelle mani della stato che era sorto dalla rivoluzione di ottobre. La burocrazia stalinista era definita come uno strato parassita, ma non era vista come classe - come una classe capitalista o una nuova classe imprevista dal marxismo: "la burocrazia russa non è una classe, ancora meno una classe dominante, dato che non ci sono diritti particolari sulla produzione al di fuori della proprietà privata dei mezzi di produzione e che in Russia l'essenziale della collettivizzazione sussiste ancora. È certamente vero che la burocrazia russa consuma una grande parte del lavoro sociale, ma questo riguarda tutto il parassitismo sociale, che non dovrebbe essere confuso con lo sfruttamento di classe" (" I problemi del periodo di transizione, parte IV", Bilan n. 37, nov.-dic. 1936).

Durante i primi anni della vita della Frazione, la questione di sapere se era necessario difendere questo regime non fu mai completamente risolta e resterà ambigua nel primo numero di Bilan nel 1933, dove il tono è quello di avvisare il proletariato d'un possibile tradimento: "Le frazioni di sinistra hanno il dovere di mettere in guardia il proletariato sul ruolo che ha giocato l'URSS nel movimento operaio e di indicare fin d'ora l'evoluzione che avrà lo stato proletario sotto la direzione del centrismo. Fin da ora bisogna che sia chiara e lampante la dissociazione della politica imposta dal centrismo allo stato operaio. Deve essere gettato l'allarme tra la classe operaia contro la posizione che il centrismo imporrà allo Stato russo non nei suoi interessi, ma contro i suoi interessi. Domani, e bisogna dirlo da oggi, il centrismo tradirà gli interessi del proletariato.

Un tale atteggiamento energico è capace di risvegliare l'attenzione dei proletari, di strappare i membri del partito alla presa del centrismo, di difendere realmente lo Stato operaio. Solo un tale atteggiamento, può mobilitare delle energie per la lotta che conserverà al proletariato l'Ottobre 1917." ("Verso l'Internazionale due e tre quarti" Bilan, n. 1, nov. 1933, p.26 - Rivista Internazionale n° 3, pag. 13)


Nello stesso tempo, la Frazione è sempre stata vivamente cosciente della necessità di seguire l'evoluzione della situazione mondiale e giudicare su un criterio semplice ma chiaro la questione della difesa dell'URSS: essa svolgeva o no un ruolo completamente controrivoluzionario a livello internazionale? Una politica di difesa minava la possibilità di mantenere un ruolo strettamente internazionalista in tutti i paesi? In caso affermativo questo avrebbe avuto molta più importanza che sapere se sussisteva qualche "guadagno" concreto della rivoluzione d'ottobre all'interno della Russia. E qui il suo punto di partenza era radicalmente differente da quello di Trotsky, per il quale il carattere "proletario" del regime era in sé una giustificazione sufficiente per una politica di difesa, qualunque fosse il suo ruolo nell'arena mondiale.


Il metodo seguito da Bilan nei confronti di questo problema era intimamente legato alla sua concezione del corso storico: dal 1933 in poi la Frazione dichiara con una certezza crescente che il proletariato aveva subito una profonda sconfitta e che il corso ora era aperto ad una seconda guerra mondiale. Il trionfo del nazismo in Germania ne fu una prova, l'arruolamento

del proletariato nei paesi "democratici" dietro la bandiera dell'antifascismo ne fu un'altra; ma una conferma ulteriore fu precisamente "la vittoria del centrismo" - termine che Bilan usava ancora per descrivere lo stalinismo- all'interno dell'URSS e dei partiti comunisti e, nello stesso tempo, l'incorporazione crescente dell'Unione Sovietica nella marcia verso una nuova suddivisione imperialista del globo. Ciò era evidente per Bilan nel 1933, quando l'URSS fu riconosciuta dagli Stati Uniti (un evento descritto come "vittoria per la controrivoluzione mondiale" nel titolo di un articolo in Bilan n. 2, dicembre del 1933). Alcuni mesi più tardi, alla Russia fu accordato il diritto d'entrare alla Società delle Nazioni (antenata dell'ONU): "l'entrata della Russia nella Società delle Nazioni pone immediatamente il problema della partecipazione della Russia ad uno dei blocchi imperialisti per la prossima guerra." ("La Russia sovietica entra nel concerto dei briganti imperialisti, Bilan n. 8, giugno 1934, p. 263). Il brutale ruolo giocato dallo stalinismo contro la classe operaia fu confermato in seguito dal suo ruolo nel massacro degli operai in Spagna e dai processi di Mosca, attraverso i quali un'intera generazione dei rivoluzionari fu eliminata.


Questi sviluppi condussero la Frazione a rigettare definitivamente ogni politica di difesa dell'URSS. Ciò a sua volta ha contrassegnato una fase ulteriore nella rottura fra la Frazione ed il trotzkismo. Per quest'ultimo esisteva una contraddizione fondamentale fra "lo Stato proletario" e il capitale mondiale. Quest'ultimo aveva un interesse oggettivo ad unirsi contro l'URSS ed era dunque dovere dei rivoluzionari difenderla contro gli attacchi imperialisti. Per Bilan, al contrario era chiaro che il mondo capitalista poteva adattarsi abbastanza facilmente all'esistenza dello stato sovietico e della sua economia nazionalizzata, sia a livello economico che, soprattutto, a livello militare. Ha predetto con terribile esattezza che l'URSS sarebbe stata completamente integrata in uno o nell'altro dei due blocchi imperialisti che si sarebbero confrontati nella futura guerra, anche se la questione di sapere in quale blocco in particolare non era stata ancora decisa. La Frazione dimostrò in modo molto esplicito che la posizione trotzkista di difesa non poteva condurre che all'abbandono dell'internazionalismo di fronte alla guerra imperialista:


"Inoltre, secondo i bolscevico-leninisti, in caso di «alleanza dell'URSS con uno stato imperialista o con un raggruppamento imperialista contro un altro raggruppamento», il proletariato dovrà quanto meno difendere l'URSS. Il proletariato di un paese alleato manterrebbe la sua ostilità implacabile verso il suo governo imperialista, ma praticamente non potrebbe comunque agire come il proletariato di un paese avversario della Russia. Così, «sarebbe, per esempio, assurdo e criminale, in caso di guerra tra l'URSS e il Giappone che il proletariato americano sabotasse l'invio di armi americane all'URSS»

Noi non abbiamo naturalmente niente in comune con queste posizioni. Una volta che avesse preso parte ad una guerra imperialista, la Russia deve essere considerata, non come oggetto in sé, ma come strumento della guerra imperialista; deve essere giudicata rispetto alla lotta per la rivoluzione mondiale, cioè in funzione della lotta per l'insurrezione proletaria in tutti i paesi.

D'altronde, la posizione dei bolscevico-leninisti non si distingue da quella dei centristi e dei socialisti di sinistra. Bisogna difendere la Russia, anche se si alleasse con uno stato imperialista, pur continuando una lotta senza pietà contro «l'alleato». Ma tuttavia questa «lotta senza pietà» commette già il tradimento di classe, non appena si vieta di scioperare contro la borghesia «alleata». L'arma specifica della lotta proletaria è precisamente lo sciopero e proibirlo contro una borghesia significa rinforzare soltanto le sue posizioni ed impedire ogni reale lotta.

Come possono gli operai d'una borghesia alleata alla Russia lottare senza pietà contro quest'ultima, se non possono scatenare movimenti di sciopero?

Noi pensiamo che, in caso di guerra, il proletariato di tutti i paesi, compreso la Russia, avrebbe il dovere di concentrarsi in vista della trasformazione della guerra imperialista in guerra civile. La partecipazione dell'URSS ad una guerra di rapina non cambierebbe il carattere essenziale della guerra e lo Stato proletario non potrebbe che affondare sotto i colpi delle contraddizioni sociali che una tale partecipazione porterebbe" ("Dall'Internazionale due e tre quarti alla seconda Internazionale", Bilan n.10, agosto 1934, p 345-6). Questo passaggio è particolarmente profetico: per i trotzkisti la difesa dell'URSS, nella seconda guerra mondiale, diventa un semplice pretesto per la difesa degli interessi nazionali dei loro propri paesi.


Lungi dall'essere una forza intrinsecamente ostile al capitale mondiale, la burocrazia stalinista era vista come suo agente - come una forza attraverso la quale la classe operaia russa subiva lo sfruttamento capitalista. In numerosi articoli, Bilan ha ben mostrato con forza che questo sfruttamento era precisamente questo, una forma di sfruttamento capitalista:

"... in Russia, come in altri paesi, la corsa sfrenata all'industrializzazione conduce inesorabilmente a fare dell'uomo un pezzo dell'ingranaggio meccanico della produzione industriale. Il livello vertiginoso raggiunto dallo sviluppo della tecnica impone una organizzazione socialista della società. Il progresso incessante dell'industrializzazione dovrebbe armonizzarsi con gli interessi degli operai, altrimenti questi ultimi diverrebbero i prigionieri ed infine gli schiavi delle forze dell'economia. Il regime capitalista è l'espressione di questa schiavitù perché, attraverso i cataclismi economici e sociali, trova in essa la fonte della sua dominazione sulla classe operaia. In Russia, è sotto la legge dell'accumulazione capitalista che si realizzano le gigantesche costruzioni di officine, e i lavoratori sono alla mercé della logica di questa industrializzazione: qui incidenti ferroviari, là esplosioni nelle miniere, altrove catastrofi nelle officine." ("I processi di Mosca", Bilan n.39, gen.- feb. 1937, p.1271). Ancora, Bilan ha riconosciuto che la natura assolutamente feroce di questo sfruttamento è determinata dal fatto che la "costruzione del socialismo" fatto dall'URSS, l'industrializzazione accelerata degli anni '30, era in effetti la costruzione d'una economia di guerra in preparazione del prossimo olocausto mondiale: "L'Unione Sovietica, come gli stati capitalisti a cui è collegata, deve agire in vista di una guerra che si avvicina sempre di più: l'industria essenziale dell'economia deve quindi essere l'industria degli armamenti, che richiede un continuo rifornimento di capitale" ("L'assassinio di Kirov, la soppressione dei buoni per il pane in URSS", Bilan n.14, gennaio 1935, p. 467).

O ancora: "La burocrazia centrista russa sta estraendo il plusvalore dai suoi operai e contadini in vista della preparazione della guerra imperialista. La Rivoluzione d'Ottobre, uscita dalla lotta contro la guerra imperialista del 1914, è sfruttata dai suoi epigoni degenerati per spingere le nuove generazioni nella futura guerra imperialista" ("Il massacro di Mosca", Bilan n. 34, ago.-set. 1936, p. 1117).


Qui il contrasto con il metodo di Trotsky è evidente: mentre Trotsky non poteva astenersi ne "La Rivoluzione tradita" dal cantare i successi delle enormi "realizzazioni" economiche dell'URSS, che supponevano determinare "la superiorità del socialismo", Bilan replicava che in nessun caso il progresso verso il socialismo è misurato tramite la crescita del capitale costante, ma soltanto tramite i reali miglioramenti delle condizioni di vita e di lavoro delle masse. "Se la borghesia stabilisce la sua bibbia sulla necessità di una crescita continua del plusvalore per convertirlo in capitale, nell'interesse comune di tutte le classi (sic), il proletariato al contrario deve andare nel senso d'una diminuzione costante del lavoro non pagato, che ha inevitabilmente come conseguenza un ritmo molto più lento di accumulazione in rapporto all'economia capitalista " ("Lo Stato sovietico" Bilan n. 21, luglio-agosto 1935, p720). Questa visione, inoltre, trovava le sue radici nella comprensione di Bilan della decadenza capitalista: il rifiuto di riconoscere che l'industrializzazione stalinista era un fenomeno "progressista" non era basato soltanto sul riconoscimento che esso s'appoggiava sulla miseria assoluta delle masse, ma anche sulla comprensione della sua funzione storica come partecipante alla preparazione della guerra imperialista, essa stessa l'espressione più evidente della natura regressiva del sistema capitalista.


Se inoltre ricordiamo che Bilan era perfettamente al corrente di quel passaggio dell'Anti-Duhring dove Engels rigetta l'idea che la statizzazione in sé abbia un carattere socialista, e nei fatti più di una volta ha usato questo argomento per confutare le pretese dei difensori dello stalinismo, (cf. "Lo Stato sovietico", op. citata, e "Problemi del periodo di transizione" in Bilan n. 37), possiamo renderci conto quanto Bilan sia stato molto vicino nel vedere l'URSS di Stalin come un regime capitalista ed imperialista. Infine, fu costretto a riconoscere che dappertutto il capitalismo si appoggiava sempre di più sull'intervento dello stato per sfuggire agli effetti del crollo economico mondiale e per prepararsi per la guerra a venire. L'esempio migliore di questa analisi è contenuto negli articoli sul programma di De Man nel Belgio nei numeri 4 e 5 di Bilan. Non poteva ignorare le somiglianze fra quello che stava accadendo nella Germania nazista, nei paesi democratici e nell'URSS.


Tuttavia Bilan esitava ancora a sbarazzarsi dell'idea che l'URSS fosse uno stato proletario. Era perfettamente cosciente che il proletariato russo veniva sfruttato, ma tendeva ad esprimere questo come un rapporto che gli era direttamente imposto dal capitale mondiale senza la mediazione d'una borghesia nazionale: la burocrazia stalinista era vista come "agente del capitale mondiale" piuttosto che come espressione del capitale nazionale russo con la sua propria dinamica imperialista. Questa enfasi sul ruolo primario del capitale mondiale era completamente in conformità con la sua visione internazionalista e la sua profonda comprensione che il capitalismo è in primo luogo un sistema globale di dominazione. Ma il capitale globale, l'economia mondiale, non è una astrazione esistente al di fuori dello scontro dei capitali nazionali in competizione. Era questo ultimo pezzo del puzzle che la Frazione non è riuscita a mettere al suo posto.


Allo stesso tempo, questi ultimi scritti sembrano esprimere un'intuizione crescente che le sue posizioni sono contraddittorie, e i suoi argomenti a favore della tesi dello "Stato proletario" stavano diventando sempre più difensivi e poco sostenuti:

"Malgrado la rivoluzione di ottobre, tutto, dalla prima all'ultima pietra dell'edificio costruito sul martirio degli operai russi, dovrà essere messo da parte perché questa è l'unica posizione che permette di affermare una posizione di classe nell'URSS. Negare la «costruzione del socialismo» per arrivare alla rivoluzione proletaria, ecco dove l'involuzione di questi ultimi anni ha condotto il proletariato russo. Se obiettate che l'idea d'una rivoluzione proletaria contro uno stato proletario è un'assurdità e che si tratta di armonizzare i fenomeni denominando questo Stato uno Stato borghese, rispondiamo che coloro che ragionano in questo modo stanno esprimendo semplicemente una confusione sul problema già trattato dai nostri maestri: i rapporti tra il proletariato e lo Stato, confusione che li condurrà all'altro estremo: partecipazione all'Unione Sacra dietro allo stato capitalista della Catalogna. Questo dimostra che tanto dalla parte di Trotsky, dove sotto il pretesto di difendere le conquiste d'Ottobre si difende lo Stato russo, che dall'altra parte dove si parla di uno stato capitalista in Russia c'è un'alterazione del marxismo che conduce questa gente a difendere lo stato capitalista minacciato in Spagna." (" Quando parla il boia", Bilan n. 41, maggio-giugno 1937, p 1339). Questa argomentazione era fortemente contrassegnata dalla polemica con dei gruppi come l'Unione Comunista e la Lega dei Comunisti Internazionalisti sulla guerra di Spagna; ma essa non riesce a mostrare il collegamento logico fra la difesa della guerra imperialista in Spagna e la conclusione che la Russia si era trasformata in uno stato capitalista.


In effetti un certo numero di compagni all'interno stesso della Frazione cominciarono a mettere in dubbio la tesi dello Stato proletario e non erano gli stessi della minoranza caduta sotto l'influenza di gruppi come l'Unione o la LCI sulla questione della Spagna. Ma qualunque sia stata la discussione nel seno della Frazione nella seconda metà degli anni '30, essa fu eclissata da un altro dibattito provocato dallo sviluppo dell'economia di guerra a scala internazionale: il dibattito con Vercesi, che aveva cominciato a sostenere che il ricorso all'economia di guerra da parte del capitalismo aveva assorbito la crisi ed aveva eliminato la necessità di un'altra guerra mondiale. La Frazione è stata consumata letteralmente da questo dibattito e con le idee di Vercesi che influenzavano la maggioranza, la Frazione fu gettata nel totale smarrimento dallo scoppio della guerra (vedi il nostro libro "La Sinistra Comunista Italiana" per un resoconto più sviluppato di questo dibattito).


Era stato posto come un assioma che la guerra infine avrebbe chiarito il problema dell'URSS e se ne ebbe la prova. Non è un caso che coloro che si erano opposti al revisionismo di Vercesi sono anche quelli che hanno attivamente chiamato alla ricostituzione della Frazione italiana e alla formazione del Nucleo francese della sinistra comunista. Sono gli stessi compagni che hanno condotto il dibattito sulla questione dell'URSS. Nella sua dichiarazione di principio iniziale nel 1942, il Nucleo francese definiva ancora l'URSS come uno "strumento dell'imperialismo mondiale". Ma nel 1944 la posizione della maggioranza era perfettamente chiara: "l'avanguardia comunista potrà effettuare il suo compito di guida del proletariato verso la rivoluzione nella misura in cui sarà capace di liberarsi dalla grande menzogna «della natura proletaria» dello stato russo e di mostrarlo per quel che è, di svelare la sua natura e la sua funzione capitalista controrivoluzionaria.

È sufficiente notare che l'obiettivo della produzione rimane l'estrazione di plusvalore, per affermare il carattere capitalista dell'economia. Lo stato russo ha partecipato al corso verso la guerra, non soltanto a causa della sua funzione controrivoluzionaria nello schiacciare il proletariato, ma a causa della sua propria natura capitalista, attraverso la necessità di difendere le sue fonti di materie prime, di assicurarsi un suo posto sul mercato mondiale dove realizza il suo plusvalore, attraverso il desiderio, la necessità, di ingrandire le sue sfere di influenza economica e di aprirsi delle vie d'accesso" ("La natura non proletaria dello stato russo e la sua funzione controrivoluzionaria", Bollettino internazionale di discussione, n° 6, giugno 1944). L'URSS aveva la sua propria dinamica imperialista che trovava la sua origine nel processo di accumulazione; essa era spinta all'espansione perché l'accumulazione non può avvenire in un cerchio chiuso; la burocrazia era così una classe dirigente in tutti i sensi. Queste previsioni furono ampiamente confermate dalla brutale espansione dell'URSS in Europa Orientale alla fine della guerra.


Il processo di chiarificazione continua dopo la guerra, ancora principalmente con il gruppo francese che ha preso il nome di Gauche Communiste de France (GCF - Sinistra Comunista di Francia). Le discussioni inoltre continuarono all'interno del Partito Comunista Internazionalista (PCInt) appena formatosi, ma purtroppo non sono ben conosciute. Sembrerebbe che ci fosse moltissima eterogeneità. Alcuni compagni del PCInt svilupparono posizioni molto vicine a quelle della GCF, mentre altri sprofondarono nella confusione. L'articolo della GCF: "Proprietà privata e proprietà collettiva", Internationalisme n.10, 1946 (ripubblicato nella nostra Révue Internationale n° 61) critica Vercesi, che aveva raggiunto il PCInt, perché manteneva l'illusione che, anche dopo la guerra, l'URSS poteva ancora essere definita come uno Stato proletario; Bordiga, da parte sua, faceva ricorso in quel periodo al termine insignificante di "industrialismo di stato"; e anche se più tardi accettò di considerare l'URSS come capitalista, non ha accettato mai il termine di capitalismo di Stato e il suo significato come espressione della decadenza capitalista. In questo articolo del n. 10 di Internationalisme, al contrario, si trovano riuniti tutti i dati essenziali del problema.


Nei suoi studi teorici verso la fine degli anni '40, inizio anni '50, la GCF li mise in un insieme omogeneo. Il capitalismo di Stato era analizzato come "la forma che corrisponde alla fase decadente del capitalismo, come lo fu il capitalismo di monopolio nella sua fase di pieno sviluppo"; inoltre, non era qualcosa limitata alla Russia: "Il capitalismo di Stato non è l'appannaggio d'una frazione della borghesia o di una scuola ideologica particolare. Lo abbiamo visto installarsi tanto nell'America democratica che nella Germania di Hitler, nella Gran Bretagna 'laburista' come nella Russia 'sovietica'" . Andando oltre la mistificazione secondo la quale l'abolizione 'della proprietà privata' individuale permetteva di sbarazzarsi del capitalismo, la GCF fu capace di situare la sua analisi sulle radici materiali della produzione capitalista:

"l'esperienza russa ci insegna e ci ricorda che non sono i capitalisti che fanno il capitalismo, ma l'inverso; è il capitalismo che genera dei capitalisti… I principi capitalisti della produzione possono esistere dopo la scomparsa giuridica e anche effettiva dei capitalisti beneficiari del plusvalore. In questo caso, il plusvalore, come nel capitalismo privato, sarà reinvestito nel processo della produzione per estrarre una massa più grande di plusvalore.

In poco tempo, l'esistenza del plusvalore darà vita a degli uomini che formeranno la classe che si approprierà del plusvalore. La funzione genera l'organo. Che si tratti di parassiti, burocrati o tecnici che partecipano alla produzione, che il plusvalore sia ridistribuito in un modo diretto o indirettamente con l'intervento dello Stato, sotto forma di alti salari o di vari tipi di privilegi (come nel caso della Russia), questo non cambia niente circa il fatto fondamentale che ci troviamo in presenza di una nuova classe capitalista."


La GCF, in continuità con gli studi di Bilan sul Periodo di Transizione, ne tirò tutte le implicazioni necessarie per ciò che concerne la politica economica del proletariato dopo la presa del potere politico: da una parte, il rifiuto di confondere statizzazione con socialismo e il riconoscimento che, dopo la scomparsa dei capitalisti privati, "il pericolo reale d'un ritorno al capitalismo verrà essenzialmente dal settore dello Stato. Tanto più perché qui il capitalismo raggiunge una forma impersonale e quasi eterea. La statizzazione può servire a camuffare, per un periodo considerevole, un processo opposto al socialismo" (idem). D'altra parte, la necessità di una politica economica proletaria che attacchi radicalmente il processo di base dell'accumulazione del capitale: "al principio capitalista del lavoro accumulato che comanda il lavoro vivo in vista della produzione di plusvalore, deve essere sostituito il principio del lavoro vivo che comanda il lavoro accumulato in vista della produzione di prodotti di consumo per soddisfare i bisogni dei membri della società" (idem). Ciò non voleva dire che era possibile abolire il lavoro in eccedenza come tale, in particolare subito dopo la rivoluzione quando un intero processo di ricostruzione sociale sarebbe necessario. Tuttavia, la tendenza a capovolgere il rapporto capitalista tra ciò che il proletariato produce e ciò che consuma "dovrebbe servire da indicazione dell'evoluzione dell'economia, come barometro della natura di classe della produzione".


Non era per caso che la GCF non ha avuto timore di includere le visioni migliori della Sinistra tedesco-olandese nelle sue basi programmatiche. Nel periodo del dopoguerra, la GCF ha dedicato considerevole sforzi per riaprire la discussione con questo ramo della Sinistra comunista (vedi il nostro opuscolo 'La Gauche Communiste de France'). La sua chiarezza su alcune questioni, come il ruolo dei sindacati e il rapporto fra il partito ed i consigli operai furono certamente il frutto di questo lavoro di sintesi. Ma si può dire la stessa cosa sulla sua comprensione della questione del capitalismo di Stato: le previsioni che la Sinistra tedesca aveva sviluppato qualche decennio prima, erano ora integrate nella coerenza teorica generale della Frazione italiana. Ciò non significa che il problema del capitalismo di Stato era stato chiuso una volta per tutte: in particolare, il crollo dei regimi stalinisti alla fine degli anni '80 doveva richiedere una ulteriore riflessione e la chiarificazione sul modo in cui la crisi economica capitalista ha toccato questi regimi e determinato il loro affondamento.

Ma è la questione russa che determinerà in modo netto e definitivo, alla fine del secondo olocausto imperialista, la frontiera di classe: da allora in poi, soltanto coloro che riconoscevano la natura capitalista ed imperialista dei regimi stalinisti potevano rimanere nel campo proletario e difendere i principi internazionalisti di fronte alla guerra imperialista. La prova in negativo di ciò è fornita dalla traiettoria del trotzkismo, la cui difesa dell'URSS l'aveva condotto a tradire l'internazionalismo durante la guerra, e la cui adesione continua alla tesi dello "Stato operaio degenerato" l'ha condotto a fare l'apologia del blocco imperialista russo durante la guerra fredda. La prova in positivo è fornita dai gruppi della Sinistra comunista, la cui capacità di difendere e sviluppare il marxismo nel periodo di decadenza del capitalismo ha permesso loro infine di risolvere "l'enigma" russo e mantenere la bandiera del comunismo autentico privo dalle macchie della propaganda borghese.

CDW


* La serie completa di questi articoli è disponibile nella versione trimestrale della Rivista Internazionale, in francese, inglese e spagnolo.

  1. Vedi Révue Internationale n. 105.

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Sviluppo della coscienza e dell' organizzazione proletaria: