La CWO ed il corso storico: un accumulo di contraddizioni

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Nel n.5 di Revolutionary Perspectives, organo della Communist Workers Organisation (CWO), é apparso un articolo intitolato "Sette, menzogne e la prospettiva perduta della CCI", che vuole essere una risposta all'articolo "Una politica di raggruppamento senza bussola" da noi pubblicato sulla Revue Internationale n.87 e che a sua volta rispondeva ad una lettera della CWO pubblicata sulla stessa Revue. L'articolo della CWO tratta di numerose questioni, ed in particolare del metodo di costruzione delle organizzazioni comuniste, su cui ritorneremo in seguito. Nell'articolo che segue ci limiteremo quindi a trattare un solo aspetto: l'idea della CWO per cui la CCI sarebbe in crisi a causa dei suoi errori di analisi sulla prospettiva storica.

In parecchi testi pubblicati sia nella rivista teorica che nella nostra stampa territoriale (1) abbiamo reso conto della crisi che la nostra organizzazione ha dovuto affrontare nell'ultimo periodo e che si é tradotta, come segnalato dall'articolo della CWO, in un importante numero di dimissioni nella nostra sezione in Francia. La CCI ha identificato le cause delle sue difficoltà organizzative: la persistenza al suo interno del peso dello spirito di circolo, lasciatoci in eredità dalle condizioni storiche che hanno presieduto alla sua costituzione, dopo la più lunga e profonda fase di controrivoluzione conosciuta dal movimento operaio. La persistenza di questo spirito di circolo aveva portato alla formazione di clan all'interno dell'organizzazione, che ne avevano gravemente minato il tessuto organizzativo. Dall'autunno 1993 l'insieme della CCI aveva intrapreso una dura lotta contro queste debolezze ed il suo 11° Congresso, tenuto nella primavera del '95, aveva potuto constatare che esse erano state, per l'essenziale, superate (2).

Da parte sua la CWO avanza una spiegazione differente delle difficoltà organizzative della CCI: " (...) la crisi attuale della CCI... é il risultato... di una demoralizzazione politica. La vera ragione é che le prospettive su cui si basava la CCI sono definitivamente crollate di fronte ad una realtà che la CCI ha tentato per anni di non riconoscere. In effetti, alla crisi attuale si applica molto bene quello che dicevamo a proposito della precedente scissione del 1981: "Le cause della presente crisi sono andate sviluppandosi per anni e possono essere trovate nelle posizioni di base del gruppo. La CCI afferma che la crisi economica ‘é là’ in tutte le sue contraddizioni e che questo é vero da 12 anni. Ritiene inoltre che la coscienza rivoluzionaria sorge direttamente e spontaneamente fra gli operai in lotta contro gli effetti di questa crisi. Non sorprende quindi che, se questa crisi non arriva a provocare il livello di lotta di classe predetto dalla CCI, questo porti a delle scissioni nell'organizzazione." (Workers Voice n.5).

Da allora, le condizioni della classe operaia è peggiorata e questa è stata costretta alla difensiva. Invece di riconoscerlo, la CCI ha proclamato per tutti gli anni 80 che eravamo entrati negli "anni della verità", preludio di confronti di classe ancora più grandi. (...) Le contraddizioni evidenti fra le prospettive della CCI e la realtà capitalista avrebbero portato prima alla crisi attuale, se non fosse intervenuto il crollo dello stalinismo. Questo avvenimento di portata storica é stato sufficiente a mettere da parte il dibattito sul corso storico, nella misura in cui la pausa seguita ad un tale terremoto ha allontanato momentaneamente il corso della borghesia verso la guerra ed ha concesso alla classe operaia un respiro di tempo in più per raggrupparsi prima che gli attacchi del capitale rendano di nuovo necessari dei conflitti sociali di grande portata a livello internazionale. Ugualmente ha permesso alla CCI di sfuggire con qualche contorsione dialettica alle conseguenze della sua prospettive sugli "anni della verità". Per essa il 1968 ha messo fine alla controrivoluzione ed aperto un ciclo in cui la classe operaia potrebbe esercitare il suo ruolo storico. Quasi trent'anni dopo (come a dire, più di una generazione dopo!) cosa ne é stato di questo scontro di classe? Questa é la domanda che abbiamo posto alla CCI nell'81 ed é ancora lì che il dente duole quando la lingua batte.

La CCI lo sa bene, ed é allo scopo di prevenire una nuova ondata di demoralizzazione che si é decisa di ricorrere al vecchio trucco di trovare un capo espiatorio. La CCI si rifiuta di affrontare la crisi attuale in quanto risultato dei suoi errori politici. In alternativa, ha cercato -e non è la prima volta- di rivoltare la realtà e insiste sul fatto che i problemi che incontra sono dovuti ad elementi "parassiti" esterni che la sabotano sul piano organizzativo."

Con tutta evidenza, qualsiasi lettore della nostra stampa ha potuto constatare che la CCI non ha mai attribuito le sue difficoltà organizzative interne all'azione di elementi parassiti. Quindi, o la CWO mente deliberatamente (ed in questo caso le chiediamo a quale scopo) o ha letto molto male quello che abbiamo scritto (ed in questo caso consigliamo ai compagni di comprarsi degli occhiali o far controllare quelli che portano). Quale che sia il caso, questa affermazione mostra una mancanza di serietà che mal si concilia con l'importanza del dibattito politico. Per questo preferiamo non attardarci a questi livelli ed andare invece al fondo dei disaccordi esistenti fra la CCI e la CWO (ed il Bureau International pour le Parti Revolutionnaire, BIPR, di cui la CWO fa parte). In particolare ci occuperemo dell'idea per cui le prospettive sulla lotta di classe difese dalla CCI sarebbero state smentite dagli eventi (3).

Le prospettive della CCI sono fallite?

Per valutare se le nostre prospettive sono o meno fallite, dobbiamo ricordarci di quanto scrivevamo subito prima dell'inizio degli anni 80:

"(...) finché poteva mantenere credibile l'idea che vi fossero vie di uscita alla crisi, (la borghesia) ha inondato gli sfruttati di promesse illusorie:  "accettate l'austerità adesso ed andrà meglio domani (...)" Oggi questi discorsi non attaccano più (...) e visto che promettere "domani che cantano" non inganna più nessuno, la borghesia ha cambiato registro. E' tutto il contrario quello che oggi promette, gridando ben chiaro che il peggio é di fronte a noi  e che lei non c'entra per niente, che "la colpa é degli altri" e che non ci sono alternative ai sacrifici. Così la borghesia, nel momento in cui perde le sue illusioni, é obbligata a parlare chiaro alla classe operaia sul futuro che le riserva.

(...) Se la borghesia non ha altro da proporre che un avvenire di guerra generalizzata, le lotte che oggi si sviluppano dimostrano che il proletariato non ha nessuna intenzione di lasciarle le mani libere e che LUI ha un altro avvenire da proporre, un avvenire senza guerra e senza sfruttamento: il comunismo. Nel decennio che sta per aprirsi é dunque questa l'alternativa che sarà decisa: o la classe operaia continua nella sua offensiva, continua a paralizzare il braccio assassino del capitalismo agonizzante e raccoglie le sue  forze  per  la  sua  distruzione,  o si lascia  ingannare, indebolire, demoralizzare dalla sua demagogia e dalla sua repressione ed in questo caso la via sarebbe aperta per un nuovo olocausto che rischia di annientare l'umanità stessa. Se gli anni 70 furono, sia per la borghesia che per il proletariato, gli anni delle illusioni, gli anni 80 saranno gli anni della verità, perchè la realtà della società attuale apparirà in tutta la sua crudezza e perchè vi si deciderà in buona parte il destino dell'umanità." (4).

Come dice la CWO, noi abbiamo mantenuto quest'analisi per tutti gli anni 80, e ciascuno dei Congressi Internazionali tenuti in quegli anni é stato un'occasione per riaffermarne la validità

"All'inizio degli anni 80 abbiamo analizzato il decennio che cominciava come "gli anni della verità" (...) Dopo tre anni questa analisi si trova ad essere pienamente confermata: mai, dagli anni 30, il vicolo cieco in cui si trova l'economia capitalista si era mostrato con tanta evidenza; mai, dall'ultima guerra mondiale, la borghesia aveva schierato simili arsenali militari, aveva mobilitato simili risorse per la produzione di strumenti di morte; mai, dagli anni 20, il proletariato aveva condotto lotte paragonabili per ampiezza a quelle che hanno scosso la Polonia e l'insieme della classe dominante nel 1980-81 (...)." ( 5).

Cionostante in quello stesso Congresso sottolineavamo il fatto che il proletariato mondiale aveva subito una disfatta molto grave, concretizzatasi con l'instaurazione dello stato di assedio in Polonia:

"Mentre gli anni 1978-80 erano stati marcati da una ripresa mondiale delle lotte operaie (sciopero dei minatori americani, dei portuali di Rotterdam, degli operai della siderurgia in Gran Bretagna, degli operai della metallurgia in Germania ed in Brasile, scontri di Longwy-Denain in Francia, sciopero di massa in Polonia), gli anni 1981 ed 82 hanno visto un riflusso marcato delle lotte. Questo fenomeno é apparso in modo particolarmente chiaro nel paese culla del capitalismo, la Gran Bretagna, dove le ore sciopero sono scese nel 1981 al livello più basso dalla seconda guerra mondiale, mentre nel 1979 erano arrivate al  livello più alto mai raggiunto nella storia, con 29 milioni di giornate lavorative perse. Dunque, l'instaurazione dello stato di assedio in Polonia e la violenta repressione abbattutasi sugli operai di quel paese non arrivavano come un fulmine a ciel sereno. Il colpo di stato del dicembre 1983, punto focale della disfatta operaia dopo le grandi lotte del dicembre 1980, era parte di una generale sconfitta dell'insieme del proletariato (...). Quale che sia la gravità della sconfitta subita dalla classe in questi anni, essa non rimette in discussione il corso storico, nella misura in cui:

-non sono i battaglioni decisivi del proletariato che si sono trovati nella prima linea dello scontro;

-la crisi che sta cominciando a colpire frontalmente le metropoli del capitalismo obbligherà il proletariato di queste metropoli ad esprimere le sue riserve di combattività che non sono state finora messe decisamente in campo."

Sono bastati tre mesi perchè questa previsione si avverasse. A partire da settembre 1983 in Belgio e subito dopo in Olanda i lavoratori del settore pubblico entravano massicciamente in lotta (6). Questi movimenti non erano esplosioni isolate. In qualche mese gli scioperi si erano estesi alla maggior parte dei paesi avanzati: Germania, Gran Bretagna, Francia, Stati-Uniti, Svezia, Spagna, Italia, Giappone (7). Raramente si era vista una tale simultaneità internazionale negli scontri di classe, mentre la borghesia dei vari paesi organizzava un black-out pressocché totale su questi movimenti. Ovviamente la borghesia non si é limitata al silenzio, ma ha organizzato tutta una serie di campagne e manovre, principalmente da parte dei sindacati, destinate a scoraggiare i lavoratori, a sparpagliare le loro lotte, a bloccarle nei vicoli ciechi settoriali e corporativi. Questo ha portato nel corso del 1985 ad un certo riflusso nei principali paesi europei, in particolare in quelli che avevano visto le lotte più importanti. Allo stesso tempo queste manovre hanno ulteriormente esposto al discredito i sindacati, costituendo un fattore importante nella presa di coscienza del proletariato, dato che i sindacati sono i suoi nemici più pericolosi, quelli che hanno il compito di sabotare dall'interno le sue lotte.

"E' per queso insieme di ragioni che l'attuale sviluppo della sfiducia nei confronti dei sindacati costituisce un dato essenziale del rapporto di forze tra le classi e dunque di tutta la situazione storica. Ciononostante, questa sfiducia é essa stessa responsabile, nell'immediato, della riduzione del numero delle lotte nei vari paesi ed in particolare in quelli in cui il discredito dei sindacati é particolarmente forte (come in Francia, in seguito all'arrivo non previsto della sinistra al potere nel 1981). Quando per decenni gli operai hanno avuto l'illusione che le lotte si potessero fare solo all'interno dei sindacati e con il loro appoggio, la sfiducia in questi organi si associa nell'immediato ad una perdita di fiducia nella propria forza e li spinge ad opporre la passività a tutti i cosidetti "appelli alla lotta" dei sindacati" (8). Le lotte estremamente importanti che si sarebbero presto sviluppate in due paesi dove la combattività era stata molto bassa nel 1985, la Francia (in particolare lo sciopero dei ferrovieri nel dicembre1986) e l'Italia nel 1987 (in particolare nel settore della scuola, ma anche nei trasporti) dimostravano che l'ondata di lotte nata in Belgio nel 1983 non si era ancora esaurita. Ad ulteriore conferma di questa realtà giungeva, proprio in questo paese, un movimento di scioperi durato sei settimane (aprile-maggio 1986), il più importante dal dopoguerra ad oggi, che, coinvolgendo il settore pubblico, quello privato, ed i disoccupati, arrivava a paralizzare la vita economica del paese, costringendo il governo a rimangiarsi una serie di attacchi già preparati. Nel corso dello stesso periodo (1986-87) si sono sviluppati movimenti importanti nei paesi scandinavi (Finlandia e Norvegia agli inizi dell'86, Svezia in autunno), negli Stati Uniti (estate 86), in Brasile (un milione e mezzo di scioperanti nell'ottobre 86, lotte massiccie nell'aprile-maggio 87), in Grecia (due milioni di scioperanti nel gennaio 87), in Jugoslavia (primavera 87), in Spagna (primavera 87), In Messico, in Africa del Sud, etc. Va ancora ricordato lo sciopero spontaneo, al di fuori dei sindacati, dei 140.000 lavoratori della British Telecom alla fine del gennaio 87.

Ovviamente la borghesia non è stata con le mani in mano, ma cercava di stornare l'attenzione dei lavoratori con gigantesche campagne ideologiche sul "terrorismo islamico", sulla "pace" tra le grandi potenze (firma degli accordi di riduzione degli armamenti nucleari), sull'aspirazione dei popoli alla "libertà" ed alla "democrazia" (riflettori puntati sulla perestroika di Gorbaciov), sull’ecologia, sugli interventi “umanitari” nel terzo mondo, etc. (9). In particolare si cercava di controbilanciare il discredito crescente dei sindacati "classici", mettendo avanti nuove forme di sindacalismo (di "lotta", di "base", etc.). Uno degli aspetti più significativi di queste manovre (spesso animate dai gruppi extraparlamentari, ma a volte anche dai sindacalisti, e dai partiti tradizionali della sinistra, stalinisti e socialdemocratici) è stata la costituzione dei "Coordinamenti" nei due paesi in cui il discredito sindacale era più marcato, l'Italia  (in particolare fra i macchinisti delle


ferrovie) e la Francia (in primo luogo nell'importante sciopero degli ospedali nell'autunno 1988) (10). Una delle funzioni di queste organizzazioni, che si presentavano come "emanazione della base" e "contro i sindacati" era di introdurre il veleno corporativo nelle file proletarie, sostenendo che i sindacati non difendevano gli interessi operai perché erano organizzati per aree geografiche, anziché "alla base" per mestieri.

Queste manovre hanno avuto un certo impatto che all'epoca non abbiamo mancato di riconoscere: "Questa capacità di manovra della borghesia è per il momento riuscita a bloccare il processo di estensione ed unificazione di cui l'attuale ondata di lotte è portatrice." (11) Fra le altre difficoltà della classe sottolineavamo: "il peso della decomposizione ideologica circostante, su cui si appoggiano e si appoggeranno sempre di più le manovre borghesi miranti a rafforzare l'atomizzazione, il "ciascuno per se" ed a erodere alla base la crescente fiducia della classe operaia nella propria forza e nell'avvenire insito nelle sue lotte."  (ibidem). Mettevamo tuttavia in guardia che se "il fenomeno della decomposizione ha oggi e per tutto un periodo a venire un peso considerevole" e se "costituisce un pericolo reale con cui la classe deve fare i conti (...) questa constatazione non deve costituire in nessun modo un elemento di demoralizzazione o di scetticismo" poiché "per tutti gli anni 80 é stato malgrado il peso della decomposizione, sfruttato sistematicamente dalla borghesia, che il proletariato è stato capace di sviluppare le sue lotte di fronte alle conseguenze dell'aggravarsi della crisi..." (12).

Questa è l'analisi che noi facevamo qualche mese prima di uno degli avvenimenti più importanti del dopoguerra, il crollo dell'URSS e degli altri regimi stalinisti europei.

La CCI non aveva previsto quest'avvenimento (così come non l'avevano previsto le altre organizzazioni proletarie, per non parlare degli "esperti" borghesi), ma è stata fra i primi, nel settembre 89, due mesi prima del crollo del muro di Berlino, a comprendere di cosa si trattava (13). Da quel momento in poi abbiamo definito il crollo del blocco dell'Est come l'episodio finora più significativo della decomposizione del capitalismo. E ne abbiamo tratto la immediata conclusione che quest'avvenimento avrebbe provocato "un aumento delle difficoltà per il proletariato" (14). Così, coerentemente con le nostre precedenti analisi, scrivevamo:

"L'identificazione sistematicamente ribadita tra comunismo e stalinismo, le menzogne ripetute mille volte, ed oggi ancora più martellanti, sul fatto che la rivoluzione proletaria non può che portare alla catastrofe, avranno per tutto un periodo maggiori possibilità di penetrare fra le file operaie, grazie al crollo dello stalinismo. Dobbiamo dunque aspettarci (...) un passo indietro temporaneo della coscienza proletaria. In particolare, l'ideologia riformista peserà con forza sulle prossime lotte, favorendo notevolmente l'azione dei sindacati. Tenuto conto dell'importanza dei fenomeni storici che l'hanno determinato, l'attuale passo indietro del proletariato, pur non rimettendo in causa il corso storico, la prospettiva generale allo scontro di classe, si annuncia ben più grave di quello seguito alla sconfitta operaia nel 1981 in Polonia." (15).

E' dunque con non poca leggerezza che la CWO afferma che il crollo dello stalinismo "ha permesso alla CCI di sfuggire con delle contorsioni alle conseguenze della sua prospettiva sugli 'anni della verità' ". Non è stato per “parare il colpo” e mascherare il fallimento delle nostre prospettive sullo sviluppo delle lotte durante gli anni 80 che abbiamo annunciato che gli avvenimenti dell'89 avrebbero causato un arretramento della classe proletaria. Come abbiamo dimostrato nei paragrafi precedenti questa tesi non è apparsa improvvisamente, come  un coniglio estratto a sorpresa da un cappello, ma è in completa coerenza con il nostro quadro di analisi. Se gli anni 80 si sono chiusi con un avvenimento che ha prodotto un arretramento molto pesante per la classe operaia, questo non significava affatto che l'analisi storica della CCI era fallimentare, come sostiene la CWO.

In primo luogo, per fare una simile affermazione non ci si può basare sul presentarsi di avvenimenti storicamente originali, che nessuno era stato in grado di prevedere (anche se il marxismo, una volta verificatisi, è perfettamente in grado di spiegarli). D'altra parte, i rivoluzionari dell'800 avevano forse previsto uno degli avvenimenti chiave del secolo, la Comune di Parigi? Lenin, quando diceva ai giovani operai svizzeri: "Noi, i vecchi, forse non vedremo le lotte decisive della rivoluzione imminente" ("Rapporto sulla rivoluzione del 1905", gennaio 1917), aveva forse previsto quello che sarebbe accaduto qualche settimana più tardi, la rivoluzione di Febbraio 1917 in Russia, preludio all'Ottobre rosso? In ogni caso, quello che i marxisti debbono saper fare è di reagire rapidamente di fronte agli avvenimenti imprevisti e di saperne tirare le conseguenze e le lezioni. E' quello che Marx aveva fatto con la Comune prima ancora che fosse schiacciata dalla repressione ("La guerra civile in Francia"). E' quello che Lenin è stato capace di fare all'annuncio della rivoluzione di Febbraio ("Lettere da lontano" e "Tesi di Aprile"). Per quanto ci riguarda, abbiamo messo in evidenza fin dall'estate dell'89 il terremoto che gli eventi dell'Est avrebbero provocato, tanto dal punto di vista dei rapporti interimperialisti che dello sviluppo della lotta di classe.

Precisato questo, dobbiamo ancora chiarire che questo terremoto non ha rimesso in causa la nostra analisi di fine 1979: "Gli anni 80 ,(...) poiché vi si deciderà per buona parte il futuro dell'umanità, saranno gli anni della verità." In effetti, è stato proprio in questo periodo che si è decisa una parte della prospettiva storica. All'inizio degli anni 80, la borghesia, in particolare quella occidentale, mentre sviluppava in modo massiccio i suoi armamenti, aveva lanciato tutta una serie di campagne miranti a sottomettere la classe operaia allo staffile del capitale, per poterla inquadrare in vista di una nuova guerra mondiale. Per fare ciò, ha tentato di utilizzare la disfatta degli operai polacchi nel 1981, che aveva il doppio pregio di disorientare gli operai e permettere un'accresciuta campagna propagandistica contro "l'impero del male" (Reagan dixit). L'ondata di lotte cominciata nel 1983 ha fatto fallire questo obiettivo, dimostrando che la classe operaia dei paesi centrali non era pronta a lasciarsi inquadrare per il massacro, non più di quanto lo fosse negli anni 70.

Inoltre, il fatto che la borghesia non sia riuscita ad imporre la sua soluzione alla crisi, la guerra imperialista, mentre il proletariato non era ancora pronto a proporre la sua prospettiva rivoluzionaria, ha fatto sprofondare la società capitalista nella sua fase di decomposizione (16), una delle cui principali manifestazioni è stato per l'appunto il crollo dei regimi stalinisti che ha reso momentaneamente impossibile una nuova guerra mondiale. Infine, gli anni 80, con il crollo del blocco dell'Est e tutte le sue conseguenze, si sono conclusi -in modo imprevisto- con la messa a nudo della verità del capitalismo decadente: un caos indescrivibile, una barbarie senza nome che non fa che aggravarsi ogni giorno che passa.

La cecità della C.W.O. e del B.I.P.R.

Come abbiamo potuto vedere, la tesi della CWO sul "fallimento delle prospettive della CCI" non resiste alla prova dei fatti e delle nostre stesse analisi. In effetti, se c'è stata un'organizzazione completamente cieca rispetto a quello che succedeva negli anni 80, non è stata la CCI, ma la CWO (ed il BIPR). Un'organizzazione capace di de-scrivere le lotte di classe di quel periodo in questi termini:

"... a partire dal 1976, la classe dominante, utilizzando principalmente sindacati e socialdemocrazia, è stata nuova-mente capace di restaurare  di nuovo la pace sociale. Si è trattato di una pace sociale punteggiata di grandi lotte ope--raie (Polonia 1980-81, portuali belgi nel 1983 e lo sciopero dei minatori britannici nell'84-85). Cionostante, non ci sono state ondate internazionali di scioperi, come nel 1968-74, e questi movimenti si sono chiusi con un arretramento ancora più accentuato di fronte agli attacchi del capitale." (17).

Si rimane stupefatti davanti a simili affermazioni. Tanto per fare un esempio, di tutte le lotte dell'83 in Belgio, la CWO non menziona che quella dei portuali, passando sotto silenzio l'intero settore pubblico. Le lotte della primavera 1986 in questo stesso paese, ancora più importanti (un milione di operai mobilitati per più di un mese in un paese che conta meno di dieci milioni di abitanti) per la CWO non sono proprio esistite. Si potrebbe pensare che questa apparente cecità della CWO derivi dal fatto che, al pari della sua organizzazione sorella, Battaglia Comunista, non è presente in Belgio ed è stata dunque, assieme alla maggioranza del proletariato mondiale, vittima del black-out internazionale organizzato dalla borghesia per nascondere le lotte che vi si sono svolte. Ma, se la scusa è questa, è una scusa fino ad un certo punto: una organizzazione rivoluzionaria non può accontentarsi, per analizzare la situazione della lotta di classe, delle informazioni lasciate filtrare sui giornali borghesi dei paesi dove è presente. Laddove possibile, può utilizzare quello che viene riportato dalla stampa di altre organizzazioni rivoluzionarie, nel caso particolare, la nostra stampa, che ha ampiamente riferito questi avvenimenti. Ma è proprio qui che risiede il problema: non è la CCI che deve fare i conti con "le contraddizioni evidenti fra le sue prospettive e la realtà capitalista", non è la CCI che "ha tentato per anni di ignorare la realtà" per non riconoscere i propri sbagli, ma piuttosto la stessa CWO. La migliore prova di quanto affermiamo sta nel fatto che anche quando parla delle "grandi lotte operaie" che "hanno punteggiato la pace sociale" nel paese dove essa stessa è presente, la Gran Bretagna, la CWO non parla che della lotta dei minatori del 1984-85, passando completamente sotto silenzio le formidabili mobilitazioni del 1979, le più importanti in quel paese da mezzo secolo a questa parte. Analogamente, non parla proprio della lotta estremamente significativa sviluppatasi per tutto l'87 nel settore della scuola in Italia, nonostante la sua organizzazione sorella, Battaglia Comunista, vi avesse partecipato attivamente.

Come si spiega la cecità della CWO, la sua incapacità a vedere, o piuttosto la sua capacità di cercare di non vedere la realtà? E' la stessa CWO a rispondere (attribuendo questo atteggiamento alla CCI): perché questa realtà ha smentito le sue prospettive. In particolare la CWO, e tutto il BIPR, non ha mai compreso la questione del corso storico.

Il BIPR ed il corso storico

La CCI, e la Revue Internationale hanno già dedicato una serie di articoli di dibattito con il BIPR sulla questione del corso storico (18). Non è qui possibile riprendere tutti gli argomenti che abbiamo utilizzato per criticare l'assenza di metodo con cui il BIPR affronta la caratterizzazione della fase storica in cui situare le lotte operaie del nostro tempo. In poche parole possiamo dire che il BIPR rigetta la nozione stessa di corso storico così come è stata elaborata in particolare negli anni '30 dalla Frazione di Sinistra del Partito Comunista d'Italia. E' perché aveva compreso che il corso alla guerra ed il corso allo scontro di classe non sono paralleli, ma si escludono a vicenda, che la Frazione è stata capace di prevedere, in periodo di profonda controrivoluzione, l'ineluttabilità della 2° guerra mondiale, nel momento in cui il capitalismo conosceva un'altra crisi aperta, dopo quella del '29.

Per il BIPR: "il ciclo di accumulazione cominciato dopo la seconda guerra mondiale si avvicina alla sua conclusione. Il boom del dopoguerra ha da molto tempo lasciato il posto ad una generale crisi economica. La questione della guerra imperialista o della rivoluzione proletaria è nuovamente posta all'ordine del giorno della storia." (Piattaforma del BIPR del 1994) Allo stesso tempo, si riconosce oggi (ma non in quegli anni) che c'è stata una "risposta operaia, massiccia ed a scala internazionale, agli attacchi della crisi capitalista, alla fine degli anni '60 ed all'inizio degli anni '70" ("Prospettive della CWO", Revolutionary Perspectives n.5). Cionostante, il BIPR si è sempre rifiutato di ammettere che se il capitalismo non si è buttato in una nuova guerra mondiale a partire dalla fine degli anni '60, questo è stato essenzialmente perché la risposta della classe operaia ha dimostrato che non era pronta, contrariamente agli anni '30, a lasciarsi intruppare per un nuovo massacro. Così, per rispondere alla domanda: "perché la guerra non è ancora scoppiata", mentre "a livello obbiettivo sono presenti tutte le condizioni necessarie per l'esplosione di una nuova guerra generalizzata", la rivista teorica di Battaglia Comunista, Prometeo n.11 (dicembre 1987), comincia con l'affermare che "è chiaro che nessuna guerra potrà mai essere combattuta senza la disponibilità (al combattimento ed alla produzione di guerra) del proletariato e di tutte le classi lavoratrici. E' evidente che, senza un proletariato irregimentato, nessuna guerra sarebbe possibile. E' altrettanto evidente che un proletariato in piena fase di ripresa della lotta di classe sarebbe la dimostrazione del nascere di una controtendenza precisa, quella della marcia verso la rivoluzione socialista." E' esattamente in questo modo che anche la CCI pone il problema, ma è proprio questo metodo che è criticato in un altro articolo pubblicato in Battaglia Comunista n.83 (marzo 1987), ripreso poi in inglese nel n.5 dell'organo del BIPR, Communist Review, ed intitolato "La CCI ed il corso storico: un metodo erroneo". In questo articolo si può leggere, tra le altre cose, "la forma della guerra, i suoi mezzi tecnici, il suo ritmo, le sue caratteristiche rispetto all'insieme della popolazione, sono molto cambiate rispetto al 1939. In particolare, la guerra di oggi richiede meno il consenso o la passività della classe operaia di quanto non lo richiedessero le guerre di ieri (......) ci si può impegnare in azioni di guerra senza l'accordo del proletariato". A questo punto, comprenda chi può. O piuttosto si capisce che il BIPR non capisce bene di cosa sta parlando. Quello che è sicuro è che la coerenza non è la sua principale preoccupazione.

Una conferma ulteriore di questi zig-zag sta nell'atteggiamento tenuto dal BIPR di fronte alla crisi che avrebbe portato alla guerra del Golfo, agli inizi del 1991. Nella versione inglese di un appello adottato dal BIPR in quell'occasione (la versione inglese, perché quella italiana è differente!) si poteva leggere: "Dobbiamo combattere tutti i piani ed i preparativi di guerra (del nostro Stato)... Tutti i tentativi di inviare nuove forze devono essere ostacolati, per esempio con scioperi nei porti e negli aereoporti... chiamiamo gli operai inglesi dell'industria petrolifera del mare del Nord a sviluppare la loro lotta ed a impedire ai padroni di incrementare la produzione. Questo sciopero deve essere esteso per includere tutti gli operai del petrolio e tutti gli altri lavoratori." (Workers Voice n.53) Se è vero che "ci si può impegnare in azioni di guerra senza l'accordo del proletariato", questi appelli che senso hanno? La CWO vuol essere tanto cortese da spiegarcelo?

Per ritornare all'articolo di Prometeo n.11, quello che comincia con il  porre la questione negli stessi termini della CCI, possiamo leggervi: "La tendenza alla guerra avanza a passo rapido ma il livello della lotta di classe, invece, è assolutamente al disotto di quello che sarebbe necessario per respingere i pesanti attacchi lanciati contro il proletariato internazionale ". Dunque per il BIPR non è il livello attuale della lotta di classe quello che permette di rispondere alla sua stessa domanda: "perché la guerra non è ancora scoppiata?".

Le risposte che esso avanza sono sostanzialmente due:

-le alleanze militari non si sono ancora sufficientemente costituite e stabilizzate;

-gli armamenti atomici costituiscono un fattore di dissuasione per la borghesia a causa della minaccia che essi rappresentano per la sopravvivenza stessa dell'umanità." (19).

Nella Revue Internationale n. 54 abbiamo lungamente risposto a questi "argomenti". Ci contenteremo qui di ricordare che il secondo argomento costituisce una concessione, inaudita per dei marxisti, alle campagne della borghesia sul tema dell'armamento atomico come garante della pace mondiale. Quanto al primo argomento, è stato refutato dal BIPR stesso, quando scriveva, al momento dell'esplosione della guerra del Golfo: "la terza guerra mondiale è cominciata il 17 gennaio " (Battaglia Comunista del gennaio '91), e questo nel momento stesso in cui si sfasciavano le alleanze che avevano dominato il pianeta per mezzo secolo. Bisogna peraltro segnalare che il BIPR ha successivamente lasciato cadere questa analisi dell'imminenza della guerra. Per esempio, le prospettive della CWO ci dicono oggi che "una guerra su grande scala tra le potenze imperialiste dominanti è stata rinviata nel tempo". Il problema è che il BIPR ha la pessima abitudine di allineare una a fianco all'altra analisi contraddittorie. E' vero che così facendo si mette al sicuro da critiche come quella che fa alla CCI, di aver mantenuto la stessa analisi per tutti gli anni '80. Ma che questo sia un segno di superiorità del metodo o delle prospettive del BIPR è ancora tutto da dimostrare.

La CWO ci accuserà probabilmente di nuovo di ricorrere alle menzogne, come ha già fatto abbondantemente nell'articolo a cui rispondiamo. E forse si rifugerà sotto il grande ombrello della "dialettica" per affermare che tutto quello che essa (o il BIPR) dice, non è assolutamente contraddittorio. Con il BIPR, la "dialettica" ha un significato molto largo: nel metodo marxista, per contro, "dialettica" non ha mai significato che si può affermare una cosa ed il suo esatto contrario.

"Falsificazioni!", già ci pare di sentire le grida dei compagni della CWO. Diamo allora un'altro esempio, non su una questione secondaria ed occasionale (su cui le contraddizioni sono più facilmente scusabili) ma su una questione essenziale: la controrivoluzione abbattutasi sulla classe operaia in seguito alla sconfitta dell'ondata rivoluzionaria del primo dopoguerra, è finita si o no?

Si potrebbe supporre che il BIPR, se non è capace di dare una risposta chiara e coerente sulla questione del corso storico -visto che la comprensione di questo argomento sembra essere al di là delle sue forze (20)- sia almeno in grado di rispondere a questa semplice domanda. Ma la risposta non la troviamo né nella Piattaforma del BIPR del 1994, né nelle "Prospettive" della CWO del dicembre 1996, dove pure sarebbe essenziale trovarla. Ciò detto, delle risposte possono essere trovate in altri testi:

-nell'articolo di Revolutionary Perspectives n.5 citato prima, la CWO sembra affermare che la controrivoluzione non è ancora terminata, dato che rigetta l'idea della CCI per cui "Maggio '68 ha messo fine alla controrivoluzione";

-questa affermazione sembra essere in continuità con le tesi adottate dal 5° Congresso di Battaglia Comunista del 1982 (vedi Prometeo n.7), anche se le cose non sono dette con la stessa chiarezza: "se oggi il proletariato, confrontato alla gravità della crisi e sotto la pressione dei ripetuti attacchi borghesi, non ha ancora mostrato la capacità di reagire, questo significa semplicemente che il lungo lavoro della controrivoluzione mondiale è ancora attiva nelle coscienze operaie”

Se ci limita a questi due testi potrebbe sembrare che esista una certa costanza nella posizione del BIPR: il proletariato non è ancora uscito dalla controrivoluzione. Il problema è che nel 1987 si poteva leggere in "La CCI ed i corso storico: un metodo sbagliato" (Communist Review n.5): "il periodo controrivoluzionario seguito alla sconfitta della rivoluzione di Ottobre è finito" e "non mancano i segni di una ripresa della lotta di classe e noi non manchiamo di segnalarli."

Così, anche su una questione così semplice, non esiste una posizione del BIPR, ma diverse posizioni. Cercando di riassumere quello che esce dai differenti testi pubblicati dalle organizzazioni che costituiscono il BIPR, potremmo esprimere in questi termini la sua analisi:

-"I movimenti che si sono sviluppati nel 68 in Francia, nel 69 in Italia e poi in molti altri paesi, sono essenzialmente delle rivolte piccolo-borghesi" (posizione di Battaglia a quell'epoca), pur costituendo "una risposta operaia massiccia a scala internazionale agli attacchi della crisi capitalista" (CWO nel dicembre 1996);

-"Il lungo lavoro della controrivoluzione è ancora all'opera nelle coscienze operaie" (BC nel 1982), tuttavia "il periodo controrivoluzionario seguito alla sconfitta della rivoluzione di Ottobre è finito" (BC nel 1987), il che non impedisce che il periodo attuale sia senza dubbio "una continuazione del dominio capitalista che ha regnato, solo con sporadiche contestazioni, dalla fine dell’ondata rivoluzionaria seguita alla prima guerra mondiale" (la CWO, in una lettera inviata nel 1988 al CBG e pubblicata nel n.13 del suo Bulletin);

-"a partire dal 1976 (e fino ad oggi, ndr) la classe dominante ... è stata capace di restaurare un'altra volta la pace sociale" (la CWO, dicembre 1996), anche se "queste lotte (il movimento dei Cobas nel 1987 nel settore scuola in Italia e gli scioperi in Gran Bretagna dello stesso anno, ndr) confermano l’inizio di un periodo caratterizzato dall'accentuazione dei conflitti di classe." (BC n.3, marzo 1988).

Uno sarebbe portato a pensare che queste diverse prese di  posizione contraddittorie corrispondano a delle divergenze esistenti tra la CWO e BC. Ma, se c'è una cosa che assolutamente non bisogna dire, è proprio questa, perché si tratta di una “calunnia” della CCI, che è invitata a "farla finita" con questa storia ("Sette, menzogne e la prospettiva perduta della CCI", nota 1). Dato che non esistono disaccordi tra le due organizzazioni, bisogna allora concludere che è nella testa di ogni singolo militante del BIPR che coabitano queste posizioni contraddittorie. A noi sembra un pochino strano, ma la CWO è così gentile da confermarcelo.

Cercando di essere seri, questo intrico di contraddizioni non spinge a riflettere i militanti del BIPR? Si tratta di compagni che hanno dimostrato di essere capaci di analisi coerenti. Come è possibile che quando tentano di sviluppare la loro analisi sul periodo attuale si ritrovano con un tale minestrone? Non è forse l'inadeguatezza del quadro di analisi prescelto a costringerli a prendersi delle libertà con il rigore marxista, in nome della "dialettica", fino a scivolare nell'empirismo e nell'immediatismo, come abbiamo messo in evidenza in altri articoli?

Esiste in effetti una causa supplementare alle difficoltà che il BIPR incontra nel situare in modo chiaro e coerente lo stato attuale della lotta di classe: un'analisi confusa della questione sindacale, che non gli ha permesso di comprendere, tanto per fare un esempio, tutta l'importanza del processo di crescente discredito sindacale nel corso degli anni '80. Su questo aspetto torneremo in un prossimo articolo.

Per il momento, ci limitiamo a rispondere alla CWO: non è a causa delle sue analisi sul periodo storico attuale e sul livello della lotta di classe che la CCI ha conosciuto la crisi di cui abbiamo parlato nella nostra stampa. Per una organizzazione rivoluzionaria possono esistere, contraria-mente a quanto pensa la CWO, che fa sempre la stessa diagnosi dal 1981, altri fattori di crisi, in particolare quelli legati alle questioni organizzative. E' ciò che ci insegna, fra tanti altri esempi, la crisi del Partito Operaio Social-democratico Russo in seguito al 2° Congresso del 1903. Ciononostante, ci permettiamo di mettere fraternamente in guardia la CWO (ed il BIPR): se un'analisi erronea della situazione storica costituisce per essa la sola, o anche la principale causa di crisi organizzativa (può darsi che questo sia il caso nella sua esperienza), allora è il caso che stia molto attenta, perché con la montagna di incoerenze che infesta la sua analisi corre di sicuro un pericolo non lieve.

Non è certamente questo quello che ci auguriamo. Il nostro augurio più sincero è che la CWO ed il BIPR rompano una volta e per sempre con il loro empirismo ed il loro immediatismo e facciano proprie le migliori tradizioni della Sinistra Comunista e del marxismo.

                                                Fabienne

 

1. Vedi in particolare il nostro articolo sull'11 Congresso della CCI su Rivista Internazionale n. 19

2. Ibidem

3. Va comunque ricordato alla CWO che, volendo affrontare la questione delle nostre difficoltà, sarebbe preferibile cominciare da un'analisi seria della spiegazione avanzata dalla nostra organizzazione piuttosto che dai propri postulati. L'analisi della CCI sulla propria crisi organizzativa è stata pubblicata sulla sua stampa e se la CWO pensa di saperne più di noi su questa crisi deve almeno dimostrare (sempre che le sia possibile) in cosa quest'analisi sia falsa o inadeguata.

4. Révue Internationale n.20, "Anni 80, anni della verità", dicembre 1979.

5. 5° Congresso della CCI, 1983, Révue Internationale n.35

6. Vedi a questo proposito il nostro articolo "Belgio-Olanda, crisi e lotta di classe", Révue Internationale n.38.

7. Per un ricapitolo delle caratteristiche e dell'ampiezza di queste lotte, vedi "Simultaneità degli scioperi operai: quali prospettive?", Révue Internationale n.38.

8. "Risoluzione sulla situazione internazionale" adottata dal 6° Congreso della CCI, Révue Internationale n.44.

9. Vedi a questo proposito il nostro articolo "Le manovre borghesi contro l'unificazione della lotta di classe", Révue Internationale n.58.

10. Vedi in merito il nostro articolo "Francia, i "coordinamenti" all'avanguardia del sabotaggio delle lotte", Révue Internationale n.56.

11. "Risoluzione sulla situazione internazionale" dell'8° Congresso della CCI, Révue Internationale n.59.

12. "Presentazione della risoluzione sulla situazione internazionale", Révue Internationale n.59.

13. Vedi le "tesi sulla crisi economica e politica in URSS e nei paesi dell'Est", nella Rivista Internazionale n.13.

14. Titolo di un articolo del novembre 1989 nella Révue Internationale n.60.

15. "Tesi", punto 22. Nonostante noi avessimo annunciato già nel novembre 1989 il riflusso che si sarebbe manife-stato nella coscienza di classe, riflusso che è stato am-piamente confermato dagli eventi e che noi abbiamo rego-larmente sottolineato nella nostra stampa, la CWO si per-mette di scrivere, nella risposta ad un lettore, "La CCI conti-nua a credere, contro ogni evidenza, che questo sia un periodo di alta coscienza di classe. Tutto quello che i rivolu-zionari debbono fare è smascherare i sindacati agli occhi degli operai e la via alla rivoluzione sarà aperta." Quando si falsifica la posizione dell'avversario o se ne fa una carica-tura, è ovviamente più facile confutarla, ma tutto questo non fa avanzare di un millimetro il dibattito.

16. Per una presentazione organica della nostra analisi della decomposizione, vedi "La decomposizione, fase ultima della decadenza  del capitalismo", Rivista Internazionale n. 14.

17. "Prospettive Generali della CWO" adottate dalla riunione generale di questa organizzazione nel dicembre 1996, Revolutionary Perspectives n.5.

18. Revue Internationale nn.36, 41, 50, 54, 55, 59, 72.

19. Per chiarire il concetto Battaglia arriva a scrivere: "La battuta 'la guerra sarà dichiarata il giorno dopo la firma dell'accordo sul non impiego delle armi nucleari' è ormai un classico fra di noi, ed ha tutto il sapore della verità" (BC n.4, aprile 1986). Come se la borghesia fosse una classe dedita al "fair play" e soprattutto rispettosa dei pezzi di carta che firma!

20. Sembra proprio questa la constatazione fatta nell'articolo "La CCI ed il corso storico: un metodo sbaglia-to", dove si rigetta ogni possibilità di definire il corso storico: "Per quello che riguarda il problema postoci dalla CCI, di improvvisarci profeti infallibili del futuro, la difficoltà è che la soggetività non segue meccanicamente i movimenti ogget-tivi.... Nessuno può pensare che la maturazione della coscienza.... possa essere determinata in modo rigido a partire da dati osservabili e messi in una relazione razio-nale." Ovviamente, noi non pretendiamo che i rivoluzionari siano "profeti infallibili del futuro " o che "determinino la co-scienza in maniera rigida". Ci basta, molto banalmente, che rispondano alla seguente domanda: "le lotte che si sono sviluppate dopo il 1968 erano o no un segno del fatto che il proletariato non era pronto a farsi arruolare in un nuovo massacro mondiale?"  Alterando la formulazione della nostra domanda, il BIPR dimostra o di non averla com-presa o di essere incapace di rispondervi.

Correnti politiche e riferimenti: 

Questioni teoriche: