Ogni trasformazione sociale nella storia ha avuto per condizione fondamentale determinante lo sviluppo delle forze produttive diventate incompatibili con la struttura soffocante degli antichi rapporti di produzione. Così anche il capitalismo, nell’impossibilità di dominare più a lungo le forze produttive da esso stesso sviluppate, ha visto sorgere e rafforzarsi il fondamento storico del proprio superamento da parte del socialismo.
Ammessa questa condizione base, ci sono però delle differenze fondamentali tra la rivoluzione proletaria e le altre rivoluzioni anteriori, ivi compresa quella borghese. Tutte le classi che hanno svolto un ruolo rivoluzionario nella storia, infatti, hanno fondato il loro potere economico in seno all’antica società. Il proletariato invece, prima classe nella storia portatrice di una società che non sostituisce un tipo di sfruttamento con un altro, non dispone, né può costituirlo, in seno al capitalismo, di alcun potere economico che gli serva da base per una futura dominazione. L’unica forza materiale di cui esso dispone è la propria organizzazione; per questo motivo essa costituisce per il proletariato, ancor più che per le altre classi, un condizione decisiva e fondamentale per la propria lotta.
Il tipo di organizzazione che la classe operaia si dà è legato alle diverse tappe dello sviluppo capitalista e varia secondo gli obiettivi che queste tappe impongono alla lotta del proletariato. Così nel secolo scorso, quando il capitalismo aveva ancora un ruolo progressivo da svolgere, il proletariato non poteva fare altro che resistere nel migliore dei modi allo sfruttamento capitalista: il riformismo, come teoria della lotta di classe, era il prodotto di una situazione in cui la rivoluzione non era ancora all’ordine del giorno.
Con l’entrata del capitalismo nella sua fase di decadenza per il proletariato non è più possibile strappare una qualsiasi riforma ed affermarsi come classe all’interno del sistema capitalista ma si pone all’ordine del giorno la necessità di distruggere questa società e di instaurare una società senza classi. Per questo la forma di organizzazione sindacale diventa non solo caduca ma dannosa. Non è più sufficiente l’organizzazione di una parte della classe ma è l’insieme del proletariato che solo può intraprendere la trasformazione rivoluzionaria della società. Il tipo di organizzazione che esso si dà deve dunque raggruppare la totalità dei lavoratori allo stesso modo che esso deve unificare la lotta economica e la lotta politica, le lotte parziali e la lotta globale per il potere, il legislativo e l’esecutivo.
Questa organizzazione è quella dei Consigli operai, forma “finalmente trovata” - come dice Lenin - della dittatura del proletariato.
La formazione di questi organismi, così come il grado di coscienza della classe operaia, è funzione delle necessità della sua lotta. Questa è essa stessa determinata da circostanze economiche, sociali e storiche che non sono identiche nel tempo e nello spazio. Per questo motivo la formazione dei consigli non è mai un fenomeno simultaneo ed immediatamente generale, allo stesso modo che l’apparizione e lo sviluppo della coscienza non è un processo immediato ed uniforme.
I rivoluzionari sono gli elementi della classe che per primi si sollevano ad “una comprensione chiara delle condizioni dello sviluppo e dei fini generali del movimento proletario” (Manifesto).
Secrezione della classe, manifestazione del processo della sua presa di coscienza, i rivoluzionari non possono esistere conte tali che diventando fattore attivo di questo processo. Così come la classe di cui essa é una parte, la minoranza rivoluzionaria deve organizzarsi per svolgere la funzione per la quale storicamente si è formata.
I problemi che pone la questione dell’organizzazione dei rivoluzionari concentrano in realtà l’essenziale di tutto ciò che concerne l’attitudine e la funzione stessa dei rivoluzionari, La rivoluzione non é una questione di individui; è al contrario una azione collettiva, e dire azione collettiva significa parlare di organizzazione. Per questo motivo spesso le divergenze fra le correnti operaie si sono concretizzate in problemi di organizzazione.
Come organizzarsi per intervenire nella lotta che deve condurre la classe operaia per distruggere il sistema capitalista?
Qual è la funzione reale di questa organizzazione?
Cosa rappresenta questa organizzazione rispetto al resto della classe operaia?
Oggi come ieri tocca a noi rivoluzionari rispondere adeguatamente a tutte le questioni e concretizzarle nella nostra azione.
Dalla fine dell’ultima ondata rivoluzionaria che sconvolse il mondo (1917—27) e fino alla ripresa annunciata dalle grandi esplosioni operaie del Maggio ‘68 in Francia, dell’Autunno caldo del ‘69 in Italia, del dicembre ‘70 in Polonia, di Pamplona, del Ferrol, del Bajo Llobregat in Spagna, la classe operaia mondiale non aveva sollevata la testa se non in modo puramente sporadico. La controrivoluzione capitalista, incarnata principalmente dalla gigantesca e mostruosa mistificazione dello sta1inismo sovietico e di tutti i suoi derivati cinesi, terzo-mondisti e vari “socialismi” ufficiali, soffocò durante più di cinquant’anni in un bagno di sangue e di inganni tutta la vita del movimento operaio.
Così durante più di mezzo secolo le organizzazioni di rivoluzionari, quando esistettero, furono solo piccoli gruppi divisi e sottomessi al più grande isolamento dal trionfo della demoralizzazione e delle ideologie borghesi nel proletariato. Tutte le organizzazioni politiche che in un modo o in un altro acquistarono importanza numerica in seno alla classe operaia durante questo periodo furono strumenti che la controrivoluzione capitalista riuscì a sfruttare per il compito di disarmo fisico e politico della classe operaia.
I partiti “comunisti”, i partiti “socialisti”, le organizzazioni trotzkiste e, negli ultimi decenni, le organizzazioni “terzomondiste” sopravvissero nel mondo operaio unicamente perché in realtà non erano portavoce della soluzione proletaria rivoluzionaria, ma del compromesso con la controrivoluzione. In un modo o nell’altro, con ideologie e pretesti più o meno mistificatori, con una lucidità più o meno profonda rispetto da un lato alla situazione storica, dall’altro rispetto alla loro stessa natura, tutte queste organizzazioni assunsero la funzione di organi di inquadramento della classe operaia al servizio del capitale.
Dalla guerra di Spagna fino a quella del Vietnam, passando per la seconda guerra mondiale e per tutte quelle che le grandi potenze si sono fatte utilizzando i lavoratori come carne da cannone, con pretesti come quello delle “lotte di liberazione nazionale” o come il pseudo antagonismo tra fascismo e antifascismo, in tutti questi conflitti estranei agli interessi del proletariato, i lavoratori furono consegnati a1la carneficina interimperialista con l’aiuto di questi partiti “operai”.
In tempo di pace il loro compito fu di costruire apparati di gestione della merce forza lavoro, i sindacati. Nei paesi “democratici” le organizzazioni sindacali si trasformarono in immense macchine al servizio più o meno diretto dello Stato, utilizzate per il tramite dei “partiti di sinistra” per assicurare l’ordine sociale nelle fabbriche e per mantenere i lavoratori nel solco della legalità borghese e degli imperativi dell’“economia nazionale”. In paesi come la Spagna o il Portogallo, il compito che si assumono questi “partiti operai” è di “modernizzare” le forme politiche della nazione capitalista. Come dimostra la recente storia del Portogallo, il risultato reale del lavoro del Partito comunista portoghese durante la dittatura di Salazar—Caetano consiste nell’aver creato un apparato politico sufficientemente forte da poter servire oggi apertamente, partecipando al governo, come “polizia operaia”. Oggi sono le cellule del PCP che si incaricano di combattere con tutti i mezzi gli scioperi operai, con la collaborazione dei “compagni generali dalle forze armate” e dei “compagni ministri” … in nome dell’antifascismo.
La funzione crea l’organo. La funzione dell’organizzazione politica del proletariato è inevitabilmente e diametralmente opposta a quella di queste organizzazioni che in realtà non sono altro che la SINISTRA DELL’APPARATO POLITICO DEL CAPITALE. La funzione dei partiti borghesi infiltrati fra la classe operaia è prima di tutto di ingannarli e di dividerli. Il fine dell’organizzazione dei rivoluzionari è di contribuire a che la classe operaia prenda coscienza di se stessa, dei suoi reali interessi, della sua forza reale, di ciò che fu il suo passato e di ciò che deve essere il suo futuro. Nella nostra epoca, la meta dei rivoluzionari non può essere la “modernizzazione del capitalismo” o del suo Stato, ma la distruzione di entrambi. Per tutte queste ragioni fondamentali i rivoluzionari, per costruire la propria organizzazione, non possono ispirarsi ai modelli politici che hanno predominato nella classe operaia durante gli ultimi decenni.
A partire da questa constatazione alcuni hanno creduto che fosse sufficiente costruire l’organizzazione rivoluzionaria con criteri determinati da un’opposizione sistematica ad ogni principio organizzativo che somigliasse a quelli delle organizzazioni della “sinistra del capitale”. Così, per esempio, si è tentato di giustificare un certo “anticentralismo” puerile e anarchicheggiante, in nome dell’“antistalinismo”. Ma l’opposizione sistematica non è un criterio di classe. I tentativi di lasciarsi guidare da questo criterio per costruire l’organizzazione rivoluzionaria hanno portato solo a fallimenti totali o ad organizzazioni tanto simmetricamente opposte a quelle della sinistra del capitale che non sono state altro che l’altra faccia della stessa medaglia. E’ quello che è successo alla maggioranza delle organizzazioni anarchiche.
Si deve dunque inventare un nuovo tipo di organizzazione, senza schemi né modelli, lasciandosi guidare solo da un’analisi sommaria della realtà immediata?
Significherebbe cadere in un errore tanto grave quanto frequente.
Contrariamente a ciò che la maggioranza degli effimeri e numerosi gruppuscoli studenteschi sembrano credere, l’organizzazione politica dei rivoluzionari non è un giocattolo per gente che “abbia soltanto voglia di fare qualcosa”. Se di rivoluzione proletaria si parla – e solo in questo caso si può realmente parlare di rivoluzione - l’organizzazione rivoluzionaria può essere solo uno STRTUMENTO DEL PROLETARIATO.
L’incomprensione di questa realtà semplice ma fondamentale è alla base della maggioranza degli errori commessi in ciò che concerne l’analisi dell’organizzazione dei rivoluzionari. Non è a partire dalle necessità di un pugnetto di individui impregnati di idee rivoluzionarie e di una volontà di intervento attivo che può essere definita l’organizzazione rivoluzionaria della classe operaia. E’, al contrario, a partire dalle necessità della lotta rivoluzionaria della classe operaia che debbono essere inquadrate le modalità dell’azione e organizzazione dei suoi elementi più avanzati.
L’unico modo di comprendere come uno strumento debba essere costruito è di sapere prima di tutto a chi e a cosa deve servire. In questo articolo, necessariamente corto ed incompleto, possiamo solo tentare di delineare le caratteristiche più importanti che l’organizzazione politica del proletariato deve assumere. Però se c’è una cosa che deve restare fissa ed immutabile nell’analisi di questo arduo problema della lotta rivoluzionaria è la necessità di tenere sempre in mente che non si tratta di inventare un talismano capace di soddisfare le preoccupazioni immediate di alcuni individui, per quanto grande sia la volontà rivoluzionaria che essi abbiano, ma di creare uno strumento della classe operaia per la sua lotta rivoluzionaria.
Questo implica che ogni problema che riguardi la lotta del proletariato deve essere inquadrato avendo come punto di riferimento permanente:
1) Gli interessi globali della classe operaia considerata come classe mondiale;
2) Il carattere storico della lotta della classe operaia; in altre parole significa dire che le lotte attuali costituiscono in realtà la continuazione di più di un secolo e mezzo di lotte e una tappa del processo generale che condurrà la classe allo scontro definitivo con il capitale mondiale.
In poche parole, collocandosi da un punto di vista MARXISTA.
“Il proletariato é rivoluzionario o non è niente” diceva Marx. Parlare della classe operaia senza tener conto del contenuto rivoluzionario delle sue lotte significa pronunciare parole vuote. Pretendere di intervenire nella lotta rivoluzionaria senza basarsi su tutta l’esperienza acquisita con più di un secolo di battaglie della classe operaia mondiale, con il pretesto del “realismo” e del fatto che “queste sono cose che appartengono al passato”, non significa legarsi alle lotte presenti ma disprezzarle. “Ogni rivoluzionario ha il diritto di sbagliarsi - diceva Lenin - ma un rivoluzionario che ripete un errore che nel passato fu commesso dalla classe è un criminale.”
I principi generali che qui esponiamo non sono ricette inventate alla leggera, ma frutto dell’esperienza pratica del proletariato. Non pretendiamo di aver risolto tutti i problemi né di aver assimilato tutti gli insegnamenti che si sviluppano dalla storia delle lotte operaie tanto per ciò che riguarda il problema dell’organizzazione che per gli altri problemi. Però ciò che affermiamo è fondato sull’unico terreno solido di cui dispone la classe rivoluzionaria: la propria esperienza analizzata alla luce della propria teoria, il marxismo.
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1. Tutta l’esperienza storica della classe operaia in lotta dimostra che, nei momenti di sviluppo di questa lotta, due tipi di organizzazione tendono ad apparire:
· l’organizzazione unitaria della classe: questa raggruppa gli operai senza distinzioni politiche. Fanno parte di essa tutti gli operai per il semplice fatto di essere operai, quali che siano le loro posizioni politiche. Le assemblee di fabbrica, i consigli operai, o soviet, come venivano chiamati in Russia, assemblee di delegati delle assemblee di fabbrica e di quartiere, sono la forma principale di questo tipo di organizzazione. L’organizzazione unitaria è la classe operaia organizzata ed in azione. E’ la forma che si dà la classe per agire come un solo corpo unito ed autonomo.
· l’organizzazione politica è quella che raggruppa gli elementi più coscienti della classe. Ad essa si aderisce secondo dei criteri politici, per il fatto di essere d’accordo con un certo numero di posizioni politiche e con una volontà di azione. Di essa possono far parte individui provenienti da altre classi sociali poiché ciò che la definisce non è l’origine sociale dei suoi membri ma le sue posizioni politiche. Né Marx, né Engels, né Rosa Luxemburg, né Lenin furono operai e pur tuttavia furono militanti esemplari della classe operaia all’interno delle sue organizzazioni politiche.
Nella società capitalista in cui “le idee dominanti sono le idee della classe dominante” (Marx), l’organizzazione politica non può accogliere che una minoranza della classe. Quando per la maturità di evoluzione della situazione sociale si determina la possibilità di una coscienza e di una azione collettiva unitaria nel senso dell’interesse generale ed ultimo della classe operaia, l’influenza di questa minoranza sugli avvenimenti e nel proletariato tende a diventare significativa; si può allora parlare di partito per designare l’organizzazione di questa avanguardia.
Al contrario nei periodi di rinculo e di vuoto della lotta di classe, i rivoluzionari non hanno più un’influenza diretta sul corso immediato della storia. Allora possono sussistere soltanto delle organizzazioni la cui funzione non può più essere quella di influenzare il movimento immediato ma di resistergli, essendo tagliata fuori dalla vita di una classe paralizzata e coinvolta nella difesa degli interessi della borghesia (collaborazione di classe, union sacrée, resistenza, antifascismo, ecc.). Il compito essenziale dei rivoluzionari consiste allora, traendo le lezioni dall’esperienza precedente, nel preparare il quadro teorico e programmatico del futuro partito proletario che dovrà necessariamente riformarsi nella successiva fase ascendente della lotta della classe operaia. Questi gruppi e frazioni che, nel momento del rinculo e della sconfitta della lotta, si distaccano e sopravvivono al partito in degenerazione, costituiscono il ponte politico ed organizzativo fino alla prossima tappa dell’assalto del proletariato.
2. Questi due tipi di organizzazione tendono a formarsi in tutte le lotte perché corrispondono a due funzioni specifiche e imperative per lo sviluppo della lotta rivoluzionaria della classe. Lo sviluppo di ciascuna di esse può raggiungere un livello più o meno avanzato a seconda delle occasioni, la loro formazione può essere più o meno tardiva: così per esempio durante la Comune di Parigi del l871 è soltanto negli ultimi giorni della lotta che un vero partito politico del proletariato comincia a costituirsi, durante la rivoluzione tedesca del 1918-19 il partito fu fondato quindici giorni prima dell’insurrezione di Berlino, mentre nell’ottobre del ‘17, quando il proletariato russo distrugge lo Stato borghese, il suo partito rivoluzionario ha già quattordici anni di vita …
Ognuna di queste esperienze e tutto il corso della lotta del proletariato ci mostrano però che, quale che sia la radicalità espressa dalla classe operaia nella costituzione e nell’azione dei suoi organismi unitari (i soviet), il partito resta il fattore cosciente dell’azione della classe e che il ruolo che esso é chiamato a svolgere è decisivo.
Il partito è la forza motrice ideologica indispensabile all’azione rivoluzionaria del proletariato. La ricostruzione di questo organismo di classe è nello stesso tempo condizionata da una tendenza che prende corpo nella classe operaia di rottura con l’ideologia capitalista e di impegno pratico nella lotta contro il sistema esistente, così come la sua ricostruzione è una condizione di accelerazione e di approfondimento di questa lotta e una delle condizioni determinanti del suo trionfo.
Il giorno in cui la classe operaia nel suo insieme perviene ad un uguale grado di coscienza e di volontà rivo1uzionaria, l’organizzazione politica perde la sua ragione di essere. Questo però può essere soltanto il risultato finale di tutto un processo rivoluzionario. Prima di allora, non ci stancheremo mai di ripeterlo, perché questo processo possa essere portato a termine, l’esistenza dell’organizzazione politica è una necessità imperativa imposta dalle differenze di livello della coscienza rivoluzionaria che esistono nella classe.
3. Alcuni “spontaneisti” negano la necessità del partito con la scusa che “qui siamo tutti uguali” e che “formare un’organizzazione specifica che si consideri avanguardia della classe significa riprodurre e mantenere in essa le divisioni causate dalla società capitaìista.”. Dicendo ciò essi credono di convincersi che basta dirlo o desiderarlo perché tutti gli operai acquisiscano lo stesso livello di coscienza rivoluzionaria.
Le differenze esistono e sono immense. Chiudere gli occhi dinanzi a questa realtà e rifiutarsi di intraprendere in modo organizzato il compito di contribuire al processo di generalizzazione delle idee e della volontà rivoluzionarie in seno alla classe non significa “lottare contro le divisioni e le differenze che ci impone la società capitalista” bensì contribuire a perpetuarle. I rivoluzionari sono un prodotto della classe e della sua lotta. Come tali è loro dovere assumersi le loro responsabilità di fronte alla classe.
Dall’altro lato la concezione “leninista del partito secondo la quale solo il partito può acquistare la coscienza rivoluzionaria (la classe da sola può solo sviluppare una coscienza trade-unionista) si è rivelata totalmente errata ed estranea agli interessi del proletariato.
Secondo questa visione, invece di essere il partito strumento della classe, è la classe che viene considerata strumento del partito. Il soggetto reale della storia non è il proletariato ma il pugno di dirigenti del partito.
La storia della rivoluzione russa, soprattutto nel suo processo di degenerazione, mostrò in modo definitivo che questa concezione era contraria agli interessi storici del proletariato, non solo perché non corrisponde alla realtà, ma soprattutto perché:
a) conduce ai pericoli politici dell’opportunismo: la prima preoccupazione della politica del partito - secondo questa concezione - non consiste nell’elevare il livello di coscienza della classe ma nel farsi riconoscere dalle masse come “dirigenti”, cosa che può condurre a fare alla classe tutta una serie di concessioni con il pretesto di doversi porre “al livello della classe”.
b) conduce a preconizzare la dittatura del partito invece della dittatura della classe operaia, il che - per le ragioni addotte circa la necessità della acquisizione della coscienza del proprio compito rivoluzionario da parte della classe operaia - conduce, non alla distruzione del capitalismo ma alla costruzione di un capitalismo di Stato.
4. Ciò che queste due concezioni vogliono ignorare è il fatto che, lungi dall’essere in opposizione fra loro questi due elementi - la classe ed i rivoluzionari - sono complementari in un rapporto di tutto e di parte del tutto. Tra la prima ed i secondi non può instaurarsi un rapporto di forza poiché “i comunisti non hanno interessi diversi da quelli del proletariato in generale”(Manifesto).
Come parte della classe, il partito rivoluzionario (anche se sarà condotto, e dovrà farlo, a prendere delle decisioni vitali per il processo rivoluzionario indipendenti da ciò di cui ha coscienza il proletariato nel suo insieme, ma rispondenti alle esigenze oggettive e ai suoi bisogni istintivi - vedi ad esempio l’insurrezione decisa dalla sola frazione della classe organizzata nel partito bolscevico nell’ottobre del ‘17 e non decisa all’interno del congresso dei Soviet), non può nel processo di trasformazione rivoluzionaria sostituirsi al proletariato poiché il tipo di società che quest’ultimo è chiamato ad instaurare esige la partecipazione costante e l’attività creatrice di tutta la classe nel suo insieme. Per portare a termine la sua opera alla classe operaia non basta la coscienza di una minoranza, per quanto chiara essa possa essere, ma la sola garanzia di vittoria è la coscienza generalizzata e, poiché essa è essenzialmente frutto dell’esperienza, l’attività dell’insieme della classe è insostituibile; come pure è indispensabile l’esistenza e 1’azione del partito rivoluzionario.
5. La rivoluzione proletaria è l’unica rivoluzione della storia che è realmente un’azione cosciente degli uomini, nella quale, cioè, la coscienza precisa di ciò che si sta facendo, di ciò che si dovrà fare e dei mezzi per farlo, è una condizione indispensabile della vittoria. La borghesia poté distruggere il potere feudale senza avere una coscienza esatta di ciò che stava realizzando perché, in ogni caso, le basi economiche del suo potere esistevano già in seno alla vecchia società sotto la forma di fabbriche e di relazioni produttive capitaliste che si sviluppavano parallelamente alle relazioni feudali esistenti. La sua rivoluzione, la cui espressione più pura fu la rivoluzione francese del 1789, consisté soprattutto in un cambio della struttura politica. Inoltre, la trasformazione della società non consisté nella distruzione dello sfruttamento ma in una trasformazione del modo di sfruttare.
La rivoluzione proletaria è totalmente diversa. Classe sfruttata, il proletariato non può costruire le basi della nuova società all’interno della vecchia. Prima di tutto deve distruggere il potere politico del capitale, il suo Stato, a livello mondiale per poter cominciare a trasformare realmente il modo di produzione dell’umanità. Questo compito esige che la classe abbia affilato al massimo le sue due uniche armi reali:
· la sua capacità di organizzarsi,
· la sua coscienza.
Per questa ragione fondamentale, per poter portare a termine la sua missione storica la classe operaia deve profittare di tutti i mezzi a sua disposizione per acquistare una chiara coscienza della propria attività rivoluzionaria. E’ per questo che le organizzazioni politiche che sorgono nel suo seno e che si sforzano realmente e in modo permanente tanto di suscitare e di approfondire questa coscienza quanto di generalizzarla e di estenderla a tutta la classe, sono prima di tutto prodotti della classe e della sua azione rivoluzionaria. Costituire in modo permanente e continuo uno strumento per la presa di coscienza della classe operaia, elaborando ed approfondendo la teoria rivoluzionaria da un lato, intervenendo dall’altro in tutte le lotte affinché la classe faccia sua questa coscienza, questa è la funzione di un’autentica organizzazione politica del proletariato.
6. Sono molti, però, quelli che criticando la concezione leninista del partito e pur non opponendovi la classica concezione “spontaneista” de processo rivoluzionario, sono caduti in errori tanto pericolosi per la classe quanto quelli che avevano cercato di correggere.
Così debbono essere rigettate al pari della concezione leninista quelle teorie che hanno preconizzato:
· la costituzione di organizzazioni che abbiano solo una concezione teorica puramente interpretativa e che non pongono in primo piano il compito di intervento attivo nella lotta, poiché, col “dimenticare” che la teoria rivoluzionaria può essere solo un momento della pratica globale dei rivoluzionari, finiscono da un lato col non fare un reale lavoro teorico, dall’altro non riescono ad avere alcun ruolo all’interno della lotta di classe;
· quelle che preconizzano organizzazioni puramente attiviste, interventiste col pretesto che “nulla può sostituire la classe nel suo compito di elaborazione teorica”. Queste, “dimenticano” che contribuire allo sviluppo teorico della coscienza della classe non significa “sostituirsi ad essa” ma integrarsi realmente nella sua lotta e che, intervenire politicamente nelle lotte operaie senza possedere una teoria di classe coerente conduce soltanto, e a breve scadenza, a diffondere la propria confusione nella classe.
7. Il proletariato non è la sola classe ad esistere internazionalmente ma è la sola che possa organizzarsi ed agire collettivamente a livello internazionale, poiché è la sola che non possiede interessi nazionali. La sua emancipazione non è possibile che a condizione di essere mondiale. Per questo motivo la sua organizzazione unitaria, anche se non si estende di botto su questa scala, tende ad unificarsi e quindi a centralizzarsi a livello mondiale. I consigli operai perciò non sono, anzi non devono essere, degli organi federalisti di autogestione ma l’organizzazione centralizzata del potere politico proletario. E’ verso questa direzione che deve lavorare l’organizzazione politica che, raggruppando la frazione più cosciente della classe, tende inevitabilmente e per la sua stessa funzione ad essere centralizzata ed internazionale.
Il carattere internazionale dell’organizzazione politica proletaria si afferma lungo tutta la storia del movimento operaio. Fin dal 1847 la Lega dei Comunisti, con la sua parola d’ordine “Proletari di tutti i paesi, unitevi. I proletari non hanno patria”, proclama la propria natura di organizzazione internazionale. L’entrata effettiva del proletariato sulla scena delle lotte sociali nei principali paesi d’Europa porta alla formazione della prima Internazionale, che raggruppa così tutte le forze organizzate della classe operaia nelle sue tendenze ideologiche più diverse. Essa è al più alto livello l’organizzazione unitaria della classe. La Seconda Internazionale segna già una prima differenziazione ideologica in seno al proletariato mentre è un sensibile passo indietro sul terreno dell’internazionalismo. Il suo subitaneo fa1limento di fronte ad un grande compito internazionalista, quale l’opposizione alla guerra imperialista, segnano la necessità di un’energica riaffermazione dell’internazionalismo proletario; è ciò che fecero prima Zimmerwald e Kienthal; è ciò che impose in seguito la costituzione della Terza Internazionale. Quest’ultima segna il punto più alto raggiunto dal proletariato nella centralizzazione e nell’affermazione del carattere internazionale della propria lotta. La sconfitta della rivoluzione in Occidente causa la lenta morte per soffocamento della Rivoluzione russa e la decadenza dell’Internazionale comunista che diviene organo definitivamente irrecuperabi1e alla lotta del proletariato con l’affermazione della “teoria del socialismo in un solo paese”.
Oggi, ancor più di ieri, mentre cominciano a maturare le condizioni di uno scontro rivoluzionario, si impone la necessità, per i rivoluzionari, di agire in vista della costruzione del PARTITO MONDIALE DEL PROLETARIATO. Il carattere centralizzato e internazionale dell’organizzazione politica del proletariato non è il risu1tato di un’esigenza etica o un astratto ideale, ma una condiziono necessaria della sua efficacia e dunque della sua stessa esistenza.
8. Anche se basata su di un programma preciso e coerente, l’organizzazione dei rivoluzionari non è monolitica. Come riflesso dell’immaturità di una situazione o della coscienza della classe, possono apparire nel suo seno delle divergenze; sia che esse vengano riassorbite o che conducano ad una separazione organizzativa, queste divergenze debbono essere pienamente discusse sia all’interno dell’organizzazione che di fronte all’insieme della classe. Pur non essendo monolitica, l’organizzazione dei rivoluzionari non cessa di costituire un blocco basato su un quadro di posizioni politiche ben chiare e definite; una organizzazione che si trasforma in circolo di studio e di discussione, per quanto seri e “democratici” questi possano essere, è un organo morto per la classe poiché è incapace di svolgere una funzione attiva di intervento nella lotta.
Per questo motivo, le divergenze che possono sorgere non debbono causare un indebolimento dell’organizzazione e perciò, finché esse non sono risolte, la posizione maggioritaria guida l’azione dell’insieme dell’organizzazione nel portare a termine i compiti per i quali essa è storicamente sorta.
9. I rapporti che si stabiliscono fra le diverse parti ed i vari militanti dell’organizzazione portano necessariamente le stimmate della società capitalista e dunque, contrariamente a ciò che pretendono alcune correnti neoutopiste, non possono costituire un’isola di rapporti comunisti in seno al capitalismo. Purtuttavia essi non possono essere in flagrante contraddizione con il fine perseguito dai rivoluzionari. In questo senso, essi debbono rifiutare ogni rapporto di coercizione, di divisione gerarchica del lavoro, di difesa di interessi particolari. Essi si appoggiano su una solidarietà ed una fiducia reciproca che sono una delle caratteristiche dell’appartenenza all’organizzazione della classe portatrice del comunismo.
10. L’organizzazione politica del proletariato vive per, a causa e dentro la lotta rivoluzionaria del proletariato. Ciò che caratterizza principalmente il contenuto del suo intervento è il fatto che:
· In tutte le lotte locali - e quindi in tutte le assemblee, in tutte le organizzazioni unitarie della classe - difende il punto di vista della classe operaia come classe mondiale.
· In ogni tappa della lotta, in ogni fase del processo di sviluppo della lotta fra operai e capitalisti, fra operai e Stato capitalista, operano in funzione della prospettiva del movimento generale e della meta finale: la dittatura del proletariato e la distruzione del capitalismo mondiale.
INTRODUZIONE
Una tragedia proletaria
Le posizioni anarchiche e leniniste su Kronstadt, nella loro apparente contrapposizione, si basano su un comune errore di fondo, il considerare la rivolta come uno scontro all’ultimo sangue tra due classi avverse: 1a reazione operaia contro 1a tirannide comunista e borghese per gli uni, la reazione contadina e piccolo-borghese contro 1a dittatura operaia per gli altri. Di fronte a quest’unanimità di fondo colpisce ancora di più l’innaturale silenzio in genere osservato sulla rivolta di Kronstadt dai gruppi di rivoluzionari distaccatisi dall’Internazionale passata al campo della controrivoluzione, nonostante 1a straordinaria attualità dei problemi da essa posti.
Tutto ciò non è casuale. In realtà Kronstadt è uno scontro interno al proletariato, reso possibile dalla mancata risoluzione di una delle peggiori eredità della II Internazionale, la visione sostituzionista del partito che rappresenta e fa le veci della classe. E’ proprio questa sua natura di scontro interno alla classe che rende impossibile un bilancio rivoluzionario su Kronstadt senza che contemporaneamente si facciano una volta per tutte i conti con gli. errori del passato.
Da questo punto di vista il rifiuto anarchico del partito proletario non è meno impotente del sostituzionismo leninista a comprendere 1a rivolta di Kronstadt come un episodio della rivoluzione proletaria di ottobre e non come una reazione contro di essa o un suo superamento.
Noi rigettiamo con disprezzo le lamentose ricerche della “responsabilità”. Quando il movimento operaio si sforza di capire 1a propria storia non lo fa come se leggesse un libro giallo, per il piacere di individuare il “colpevole” e l’“innocente ingiustamente accusato”. Lo fa per trarne tutte le lezioni per 1’avvenire, lo fa perché considera le proprie lotte passate, le vittorie e le sconfitte, come parte integrante della lotta presente e futura, in una sola continuità storica verso 1’instaurazione di una società senza classi.
La concezione “sostituzionista” del partito - lungi dall’essere una prerogativa dei bolscevichi - era allora una convinzione condivisa da tutto il movimento operaio. Ma “L’umanità non si pone che i compiti che è in grado di risolvere” (Marx). Solo con l’esperienza storica del potere proletario è stato possibile verificare come questa concezione fosse estranea agli interessi storici del proletariato e il suo rifiuto è diventato una frontiera di classe.
Questa frattura storica è stata ben compresa, in piena controrivoluzione, dalla Frazione all’estero della Sinistra Comunista Italiana. Nei primo numero della sua rivista essa collegava esplicitamente la disfatta operaia con 1a mancata risoluzione dei “nuovi problemi sorti con l’esercizio del potere proletario in Russia” (Bilan n°1, novembre 1933), e se ne assumeva il compito, gravoso ed oscuro.
Coerenza programmatica o monolitismo dogmatico?
Partendo dall’opera di Bilan negli anni ’30 e proseguita da Internationalisme negli anni ’40, 1a CCI ha potuto fissare un quadro di orientamento generale sui problemi posti da Kronstadt e in generale dalla esperienza storica del potere operaio.
Si può schematicamente dire che:
E’ all’interno di questo quadro the 1a CCI è oggi impegnata nel dibattito sul periodo di transizione che va dalla presa del potere politico all’instaurazione della società comunista E’ inutile sottolineare ai rivoluzionari l’importanza di questo dibattito e le necessità – dimostrata dall’esperienza russa - di sviluppare quelle “indicazioni di massima ed ancora di carattere essenzialmente negativo” (Luxemburg) con cui il movimento operaio si è presentato ai suo primo grande appuntamento storico. Tanto più che possiamo ancora leggere in pubblicazioni “estremiste” simili superficialità: “… in nessuna rivoluzione della storia si sapeva a priori quello che si sarebbe sostituito a quello che si stava abbattendo perché le modificazioni nel carattere delle persone (!), nei rapporti delle classi, sono così radicali nei periodi rivoluzionari da rendere impossibile ogni ipotesi storica” (Rosso n°10, 1973, pag 14).
Cosa possiamo rispondere a questi riesumatori dell’“indifferenza in materia teorica”?
“La socialdemocrazia ufficiale dominante elude la questione dei compiti concreti del proletariato durante la rivoluzione (la natura cioè del periodo di transizione, NdR) o con 1a risata filistea o, nel migliore dei casi, con la scappatoia verbale del: vedremo allora”. (Lenin, Stato e Rivoluzi.one).
La CCI, consapevole della sua responsabilità militante di fronte a1la classe operaia mondiale, vede attualmente al suo interno un ampio dibattito sul periodo di transizione ed in particolare sul problema dello stato in questo periodo. La discussione è stata portata all’esterno con la pubblicazione di quattro articoli sull’argomento nella Revue Internationale n°1 (aprile 1975) ed ultimamente altri tre nella Revue n°6 (luglio ‘76).
Nella misura in cui l’esperienza pratica della classe non ha ancora sciolto tutti i nodi relativi a tale questione, non è ancora possibile su di essi tracciare delle frontiere di classe, ma spetta ai rivoluzionari impegnarsi con massima serietà nella riflessione e nella discussione senza temere di portare. dinanzi all’intera classe i punti controversi e le proprie divergenze.
Questo nostro rifiuto dell’organizzazione rivoluzionaria come monoblocco militarmente disciplinato in cui non c’è posto per discussioni ed altre futilità è stato aspramente condannato da numerose. sette che, non a caso, vietando il dibattito all’interno della propria organizzazione, tendono a sfuggire anche il dibattito fra le organizzazioni rivoluzionarie. In particolare il P.C. Internazionale (Programma Comunista) costretto, dopo anni di silenzio, a parlare della nostra esistenza, ha ritenuto di doverci presentare ai suoi lettori come “Révolution Internationale ed suoi cugini, in perpetua disputa fra di loro” (Le Prolétaire n°203-204) e non come Corrente Comunista Internazionale.
La funzione di questo trucchetto è di mostrare l’impossibilità di ammettere il dibattito interno senza trasformarsi automaticamente in una federazione di club di discussione o in un’altra accolita di perditempo. In realtà se oggi 1a CCI esiste come organizzazione internazionale centralizzata, con una piattaforma unica che è valida come base di adesione per tutti i paesi, ciò è dovuto appunto a sette anni di dibattiti e di confronti approfonditi, in vista del raggruppamento dei rivoluzionari. Difatti: “I quadri per i nuovi partiti non possono uscire che dalla conoscenza profonda delle cause delle sconfitte. E questa conoscenza nessun divieto e nessuna limitazione.” (Bilan - 1933).
Il monolitismo non è che una cortina fumogena, una scappatoia per sostituire al confronto aperto delle posizioni di fronte alla classe, le espulsioni a catena e le scissioni a base di anatemi e questioni personali. Per noi anche le scissioni rese indispensabili da divergenze programmatiche sono positive, quando le loro motivazioni siano chiare per militanti e per i militanti e per l’intera classe, e questo è possibile solo se le divergenze sono state dibattute in modo aperto ed esauriente. Proprio perché 1a rivoluzione proletaria, a differenza di quelle borghesi, non può andare avanti che criticando e deridendo senza pietà i propri tentativi falliti (Marx), noi invitiamo tutti i rivoluzionari a intervenire nel dibattito sul periodo di transizione e su tutti i problemi che il movimento operaio si trova oggi ad affrontare. Sarà 1’allargarsi del confronto a dare le più solide basi al raggruppamento dei rivoluzionari per cui noi operiamo e senza il quale ogni dibattito è gioco o follia.
RIVOLUZIONE INTERNAZIONALE
LE LEZIONI DI KRONSTADT
L’insurrezione di Kronstadt nel 1921 è un banco di prova che separa quelli che, grazie alle loro posizioni di classe, sono in grado di capire il processo e l’evoluzione della rivoluzione proletaria da quelli per cui la rivoluzione resta un libro chiuso. Gli avvenimenti di Kronstadt evidenziano in modo tragico alcuni elementi della rivoluzione russa che costituiscono importanti lezioni per il proletariato, lezioni che esso non può permettersi di ignorare, nel momento in cui si prepara alla prossima grande ondata rivoluzionaria.
Un approccio marxista al problema di Kronstadt: non può che partire dall’affermazione che la rivoluzione dell’Ottobre 1917 in Russia è stata una rivoluzione proletaria, un momento della rivoluzione proletaria mondiale scoppiata come risposta della classe operaia internazionale alla guerra imperialista del 1914-18.
Questa guerra aveva segnato l’entrata definitiva del capitalismo mondiale nella sua era di declino storico irreversibile, era in cui 1a rivoluzione proletaria diventa una necessità materiale in tutti i paesi. Si deve anche affermare che il Partito bolscevico, che era alla testa dell’insurrezione di Ottobre, era un partico comunista proletario, una forza vitale della sinistra internazionale, dopo il tradimento della II Internazionale nel ‘14, e che esso ha continuato a difendere le posizioni di classe del proletariato durante la prima guerra mondiale ed il periodo successivo.
Contro coloro che descrivono l’insurrezione d’Ottobre come un semplice “colpo di stato”, un putsch realizzato da un élite di cospiratori, noi ripetiamo che l’insurrezione era il punto culminante di un lungo processo di lotta classe e di maturazione della coscienza della classe operaia; che essa rappresentava la cosciente presa del potere politico da parte della classe operaia organizzata nei suoi soviet, nei suoi comitati di fabbrica e nella sua guardia rossa. L’insurrezione era parte di un processo di distruzione dello stato barghese e d’instaurazione della dittatura del proletariato; il suo significato profondo era, come hanno appassionatamente affermato i bolscevichi, quello di segnare il primo momento decisivo della rivoluzione proletaria internazionale, della guerra civile mondiale contro la borghesia. L’idea che il fine dell’insurrezione fosse la costruzione “del socialismo nella sola Russia” era in quel momento ben lontano dallo spirito dei bolscevichi, nonostante i loro numerosi errori e confusioni per quanto concerneva il programma economico immediato del1a rivoluzione, errori che del resto essi condividevano allora con l’intero movimento operaio.
E’ soltanto in questo quadro che si può sperare di capire 1a successiva degenerazione della rivoluzione russa. Poiché questo problema è trattato in un altro testo delia CCI (“La degenerazione della Rivoluzione Russa”, Revue Internationale n°3), noi qui ci limiteremo ad alcune considerazioni generali. La rivoluzione, iniziata nel ‘17, non è riuscita ad estendersi a livello internazionale, nonostante i numerosi tentativi rivoluzionari della classe in tutta l’Europa. La Russia stessa era dilaniata da una lunga e sanguinosa guerra civile, che aveva devastato l’economia e frammentato la classe operaia industriale, colonna vertebrale del potere dei soviet. In questo contesto d’isolamento e di caos interno, quasi subito dopo che i bolscevichi ebbero preso il potere, i loro errori ideologici. cominciarono ad esercitare un peso reale contro l’egemonia politica della classe operaia. Si trattava tuttavia di un processo non lineare. I bolscevichi, che negli anni 18-20 all’interno della Russia ricorrevano a misure sempre più burocratiche, nel ‘19 potevano ancora contribuire alla fondazione dell’I.C., avendo come unico e chiaro scopo quello di accelerare 1a rivoluzione proletaria mondiale.
La delega del potere ad un partito, l’eliminazione dei comitati di fabbrica, 1a subordinazione progressiva dei soviet all’apparato statale, lo scioglimento delie milizie operaie, il modo “militarista” sempre più accentuato di far fronte alle difficoltà, tutti risultati delie tensioni del periodo di guerra civile, 1a creazione di commissioni burocratiche, erano altrettante manifestazioni estremamente significative del processo di degenerazione della rivoluzione in Russia.
Questi fatti non sono gli unici segni dell’indebolirsi del potere politico della classe operaia in Russia prima del 1921, ma sono sicuramente i più importanti. Benché alcuni ritengano che questo processo fosse stato già portato a termine prima del periodo del comunismo di guerra, è nel periodo di guerra civile che esso raggiunge il suo culmine Poiché 1a ribellione di Kronstadt è stata per molti aspetti una reazione ai rigori del comunismo di guerra, è necessario chiarire bene cos’ha veramente significato per il proletariato russo questo periodo.
La natura del comunismo di guerra
Come è sottolineato nell’articolo sulla “degenerazione della rivoluzione russa” (Revue Internationale n°3 ottobre ’75), noi ormai non possiamo più conservare le illusioni dei comunisti di sinistra di quest’epoca, 1a maggior parte dei quali vedevano nel comunismo di guerra una “vera” politica socialista, contro la “restaurazione del capitalismo” stabilita dalla NEP. La scomparsa quasi totale del denaro e dei salari, 1a requisizione dei cereali ai contadini non rappresentavano l’abolizione dei rapporti sociali capitalisti, ma erano semplicemente misure urgenti imposte dal blocco economico capitalista contro la repubblica dei Soviet e dalle necessità della guerra civile. Per quanto concerne il potere politico reale della classe operaia, abbiamo visto che questo periodo era caratterizzato da un progressivo indebolimento degli organi della dittatura del proletariato e dallo sviluppo di tendenze e di istituzioni burocratiche. La direzione del Partito-Stato portava avanti sempre più delle tesi che dimostravano che 1’organizzazione della classe era una cosa eccellente in linea di principio, ma ora tutto doveva essere subordinato alla lotta militare. La teoria dell’“efficienza” cominciava a scalzare i fondamenti della democrazia proletaria. Sotto 1a copertura di questa teoria Io Stato cominciò a istituire una militarizzazione del lavoro che sottometteva i lavoratori a metodi severissimi di sorveglianza e sfruttamento. “Nel Gennaio 1920, il consiglio dei Commissari del popolo, in gran parte per suggerimento di Trotsky, decretò 1’obbligo generale del lavoro per tutti gli adulti sani e contemporaneamente autorizzò l’impiego di personale militare sovrabbondante nei lavori civili.[1]”
Contemporaneamente nelle fabbriche veniva rafforzata la disciplina del lavoro mediante la presenza delle truppe dell’armata rossa. Una volta privati di ogni potere i comitati di fabbrica, le Stato aveva via libera per introdurre 1a direzione personalizzata ed il Sistema di “Taylor” di sfruttamento sui luoghi di produzione, sistema che lo stesso Lenin denunciava come “l’asservimento dell’uomo alla macchina”. Per Trotsky, la militarizzazione del lavoro è il metodo di base indispensabile per l’organizzazione della nostra manodopera”[2]. Il fatto che lo Stato fosse uno “Stato-operaio”, significava per lui che i lavoratori non potevano in nessun modo opporsi alla loro completa sottomissione allo Stato.
Le dure condizioni di lavoro nelle fabbriche non erano compensate da salari elevati o dalla possibilità di entrare facilmente in possesso dei “valori d’uso”. Al contrario, a causa della devastazione dell’economia operata dalla guerra e dal blocco, l’intero paese era ridotto alla fame e gli operai dovevano contentarsi delle razioni più magre, spesso distribuite molto irregolarmente. Molti settori dell’industria cessarono di funzionare e migliaia di operai furono costretti ad arrangiarsi per sopravvivere. La reazione naturale di molti di loro fu di abbandonare completamente le città e di cercare qualche mezzo di sussistenza in campagna; migliaia di loro cercarono di sopravvivere commerciando direttamente con i contadini, spesso barattando strumenti rubati nelle fabbriche con alimenti. Quando, col regime del comunismo di guerra, lo scambio individuale fu interdetto e lo Stato incaricato della requisizione e della distribuzione dei beni essenziali, molte persone riuscirono a sopravvivere solo grazie al mercato nero che fioriva dappertutto. Per lottare contro questo il governo stabilì dei blocchi armati sulle strade per controllare tutti i viaggiatori che entravano o uscivano dalle città, mentre 1a Ceka, per rendere più efficaci i decreti del governo, agiva sempre più energicamente. Questa “Commissione Straordinaria”, formata nel ‘18 per combattere la controrivoluzione, si comportò in modo più o meno incontrollato, usando metodi spietati che le valsero l’odio generale di tutti i settori della popolazione.
Il trattamento sommario inflitto ai contadini non riscosse l’approvazione generale degli operai. Gli stretti rapporti familiari e personali tra molti settori della classe operaia russa e gli strati contadini rendevano gli operai sensibili alle lamentele dei contadini per i metodi spesso utilizzati dai distaccamenti armati mandati a requisire i cereali, soprattutto quando il distaccamento prendeva più dell’eccedente e lasciava i contadini privi di mezzi per soddisfare i loro bisogni. Come reazione a questi metodi, i contadini nascondevano o spesso distruggevano il loro raccolto, aggravando così 1a povertà e la penuria di tutto il paese. L’impopolarità generale di queste misure di coercizione economica sarà, come vedremo, chiaramente espressa nel programma degli insorti di Kronstadt.
Se alcuni rivoluzionari, come Trotsky, tendevano a fare delle necessità (imposte dal periodo) virtù, ed a glorificare 1a militarizzazione della vita economica e sociale, altri, e tra di loro lo stesso Lenin, erano più prudenti. Lenin non nascondeva il fatto che i soviet non funzionavano più come veri organi del potere proletario, e durante il dibattito con Trotsky nel 1921 sulla questione dei sindacati, difese 1’idea che i lavoratori devono difendersi contro il “loro” Stato, soprattutto da quando 1a repubblica dei soviet, secondo Lenin, non era più soltanto uno “Stato proletario”, ma uno “Stato di operai e contadini” con profonde “deformazioni burocratiche”. L’Opposizione Operaia e, sicuramente, altri gruppi di sinistra andarono più lontano nella denuncia delle deformazioni burocratiche che lo Stato aveva subito nel periodo ’18-21. Ma la maggior parte dei bolscevichi credeva fermamente e sinceramente che finché l’apparato statale fosse stato controllato da loro (il partito del proletariato), la dittatura del proletariato sarebbe ancora esistita, anche se le classi lavoratrici sembravano temporaneamente assenti dalla scena politica. Queste posizioni, fondamentalmente false, dovevano provocare inevitabilmente conseguenze disastrose.
La crisi del 1921
Finché durò la guerra civile, lo Stato dei soviet conservò l’appoggio della maggioranza della popolazione, poiché veniva identificato con la lotta contro le antiche classi possidenti e capitaliste. Le durissime privazioni della guerra civile erano state sopportate con relativa buona volontà dai lavoratori e dai piccoli contadini. Ma dopo 1a sconfitta degli eserciti imperialisti, molti cominciarono a sperare che le condizioni di vita sarebbero diventate meno dure e che il regime avrebbe un po’ allentato il suo dominio sulla vita economica e sociale.
La direzione bolscevica, tuttavia, di fronte ai danni subiti dalla produzione a causa della guerra, era molto restia a permettere un benché minimo rilassamento nel controllo statale centralizzato. Alcuni bolscevichi di sinistra, come Ossinsky, sostenevano il mantenimento ed anche il rafforzamento del comunismo di guerra, soprattutto nelle campagne. Egli propose un piano per “l’organizzazione obbligatoria delle masse per la produzione”[3], sotto la direzione del governo; per la formazione di “comitati di semina” locali, allo scopo di allargare la produzione collettivizzata; e per 1a costituzione di depositi comuni di sementi, in cui i contadini sarebbero stati obbligati a raccogliere il loro grano; il governo si sarebbe incaricato della distribuzione di questo grano. Secondo lui tutte queste misure avrebbero portato naturalmente all’economia socialista in Russia.
Gli altri bolscevichi, come Lenin, cominciavano a vedere la necessità di un addolcimento, specialmente per i contadini, ma, nell’insieme, il partito difendeva violentemente i metodi del comunismo di guerra. Il risultato fu che la pazienza dei contadini cominciò a esaurirsi. Durante l’inverno ‘20-21 nel paese si ebbe tutta una serie d’insurrezioni contadine. Nella provincia di Tambow, 1a regione del medio Volga, l’Ucraina, 1a Siberia occidentale e molte altre regioni, i contadini si organizzarono in bande sommariamente armate, per lottare contro i reparti di approvvigionamento e la Ceka. Molto spesso le loro fila erano ingrossate da soldati dell’armata rossa, congedati da poco, che portavano alcune nozioni militari. In certe regioni si formarono enormi eserciti ribelli, a mezza strada tra bande di guerriglieri e orde di banditi. A Tambow, per esempio, 1’esercito di guerriglia di A.S. Antonov contava fino a cinquantamila uomini. Queste forze avevano poche motivazioni ideologiche, erano spinte soprattutto dal loro tradizionale risentimento di contadini verso 1a città e verso il governo accentratore e dai tradizionali sogni d’indipendenza e di autosufficienza della piccola borghesia rurale. Avendo già dovuto affrontare gli eserciti contadini di Makhno in Ucraina, i bolscevichi erano spaventati dalla possibilità di una rivolta contadina generalizzata contro il potere dei soviet. E’ per questo che non c’è da sorprendersi se essi assimilarono la rivolta di Kronstadt a questa minaccia che veniva dai contadini. Ed è sicuramente questa una delle ragioni della ferocia con cui venne repressa l’insurrezione di Kronstadt.
Quasi subito dopo a Pietrogrado scoppiarono scioperi selvaggi d’importanza molto maggiore. Lo sciopero, iniziato nella fabbrica metallurgica Truboc’ni, si estese rapidamente a molte delle industrie più grandi della città. Nelle assemblee di fabbrica e nelle manifestazioni venivano adottate risoluzioni che reclamavano un aumento delle razioni di alimenti e di vestiario, perché 1a maggior parte degli operai aveva fame e freddo. Di pari passo con queste rivendicazioni economiche, ne apparivano anche altre più politiche; gli operai volevano 1a fine delle restrizioni sui trasferimenti al di fuori della città, liberazione dei prigionieri appartenenti alla classe operaia, la libertà di espressione, ecc. Le autorità sovietiche della città, con Zinoviev alla loro testa, risposero denunciando gli scioperi come provocazioni controrivoluzionarie e decretando lo stato d’assedio in città, vietando le assemblee nelle strade e imponendo il coprifuoco alle ‘23. Senza dubbio alcuni elementi controrivoluzionari, come i Menscevichi o i Socialrivoluzionari, ebbero un certo ruolo in questi avvenimenti con il loro opportunistico estremismo “d’occasione”, ma il movimento di sciopero di Pietrogrado fu essenzialmente una risposta proletaria spontanea alle intollerabili condizioni di vita. Le autorità bolsceviche, tuttavia, non potevano ammettere che gli operai potessero scioperare contro lo “Stato Operaio”, e accusarono gli scioperanti di essere provocatori, parassiti ed individualisti. Essi cercarono anche di porre fine allo sciopero serrando le fabbriche, privando gli operai delle loro razioni, facendo arrestare dalla Ceka i capi e i portavoce più conosciuti degli operai. Queste misure repressive venivano accompagnate da concessioni: Zinoviev annunciò 1a fine dei blocchi stradali attorno alla città, l’acquisto di carbone all’estero per far fronte alla mancanza di combustibile e propose di metter fine alla requisizione dei cereali. Questa mescolanza di misure repressive e conciliatrici indusse la maggior parte dei lavoratori già sfiniti ad abbandonare 1a loro lotta nella speranza di un futuro migliore.
Ma 1a conseguenza più importante dell’ondata di scioperi di Pietrogrado fu 1a risonanza che essa ebbe nella vicina fortezza di Kronstadt. Già prima degli scioperi di Pietrogrado, 1a guarnigione di Kronstadt aveva intrapreso una lotta contro 1a burocratizzazione. Durante gli anni ‘20 e ‘21 i marinai della flotta rossa nel Baltico avevano combattuto le tendenze al rafforzamento della disciplina degli ufficiali e le deviazioni burocratiche del PUBALT (sezione politica della flotta del Baltico – l’organo del partito che dominava 1a struttura sovietica nella marina). Nel febbraio del ’21, in alcune assemblee di marinai, erano state votate delle mozioni che dichiaravano che “il PUBALT si è staccato non solo dalle masse, ma anche dai funzionari attivi e si è trasformato in organo burocratico che non gode più di alcuna autorità tra i marinai”[4].
Così quando giunsero le notizie degli scioperi di Pietrogrado e della dichiarazione di legge marziale da parte delle autorità, è probabile che già vi fosse del fermento tra i marinai. Il 28 febbraio essi mandarono una delegazione alle fabbriche di Pietrogrado per sapere che stava succedendo. Lo stesso giorno l’equipaggio dell’incrociatore Petropavlovsk si riunì per discutere della situazione ed adottò la seguente risoluzione:
“Dopo aver ascoltato il rapporto dei rappresentanti degli equipaggi inviati a Pietrogrado dall’assemblea generale dei marinai della flotta per esaminare 1a situazione, è stato deciso quanto segue:
1. di procedere immediatamente alla rielezione a scrutinio segreto dei soviet, dato che i soviet attuali non esprimono la volontà degli operai e dei contadini. A questo scopo dovrà svolgersi prima una libera propaganda elettorale affinché le masse operaie e contadine possano essere onestamente informate;
2. di esigere 1a libertà di parola e di stampa per gli operai e i contadini, per gli anarchici e per i socialisti di sinistra;
3. di esigere libertà di riunione per i sindacati operai e per le organizzazioni contadine;
4. di convocate entro il 10 marzo 1921 una conferenza degli operai senza partito, dei soldati e marinai di Pietrogrado, di Kronstadt e del dipartimento di Pietrogrado;
5. di liberare tutti i prigionieri politici dei partiti socialisti, tutti gli operai e contadini, soldati rossi e marinai arrestati in diverse agitazioni popolari;
6. di eleggere una commissione incaricata di esaminare i casi di tutti i detenuti trattenuti nelle prigioni e nei campi di concentramento;
7. di abolire tutte le “sezioni politiche” perché d’ora in poi nessun partito deve avere dei privilegi per 1a propaganda delle sue idee, né ricevere 1a minima sovvenzione dallo Stato per tale scopo. Al loro posto, noi proponiamo che siano elette in ogni città delle commissioni di cultura e di educazione finanziate dallo Stato;
8. di abolire immediatamente tutti gli sbarramenti militari;
9. di uniformare le razioni alimentari per tutti i lavoratori, salvo per coloro che esercitano mestieri particolarmente insalubri e pericolosi;
10. di abolire tutti i reparti speciali comunisti nelle unità dell’esercito, e 1a guardia comunista nelle fabbriche e nelle miniere. In caso di necessità questi corpi di difesa potranno essere designati dalle compagnie dell’esercito e dagli operai stessi nelle fabbriche;
11. di dare ai contadini la piena libertà di azione per ciò che concerne le loro terre, e il diritto di allevare del bestiame, a condizione che compiano da soli il loro lavoro, senza l’impiego di lavoratori salariati;
12. di chiedere a tutte le unità dell’esercito e ai compagni delle scuole di cadetti di solidarizzare con noi;
13. di esigere che questa risoluzione sia largamente diffusa dalla stampa;
14. di designare una commissione mobile incaricata di controllare questa diffusione;
15. di autorizzare la produzione artigianale libera purché non impegni il lavoro salariato.
Risoluzione adottata all’unanimità (meno due astensioni) dall’assemblea generale della prima e seconda squadra marittima[5].
Questa risoluzione divenne rapidamente il programma della rivolta di Kronstadt. Il primo marzo si tenne nella guarnigione un’assemblea di massa di 16.000 persone, ufficialmente prevista come un’assemblea della prima e seconda sezione d’incrociatore, ed a cui assistevano Kalinin, presidente dell’esecutivo dei soviet di tutte le Russie e Kouzmin, commissario politico della flotta del Baltico. Benché Kalinin fosse stato accolto con musica e bandiere, ben presto lui e Kouzmin si ritrovarono completamente isolati nell’assemblea. L’intera assemblea adottò la risoluzione del Petropavlovsk, ad eccezione di Kalinin e Kouzmin che intervennero in tono violentemente provocatorio per denunciare le iniziative di quelli di Kronstadt e si fecero odiare.
Il giorno seguente, il 2 marzo, ere il giorno in cui il Soviet di Kronstadt doveva essere rieletto. Di conseguenza 1’assemblea del primo marzo convocò una riunione dei delegati delle navi, delle unità dell’armata rossa, delle fabbriche e altri, per discutere della ricostituzione del soviet. Trecento delegati si incontrarono dunque il 2 marzo alla Casa della Cultura. Fu nuovamente adottata la risoluzione del Petropavlovsk ed in una mozione incentrata su “una riorganizzazione pacifica del regime dei soviet”[6] furono presentate delle proposte per le elezioni del nuovo soviet. In questa stessa occasione i delegati formarono un comitato rivoluzionario provvisorio (CRP) incaricato dell’amministrazione delle città e della difesa contro ogni intervento del Governo. Quest’ultimo compito era ritenuto urgentissimo poiché correva voce che ci sarebbe stato un attacco immediato da parte di distaccamenti bolscevichi ed a causa delle violente minacce di Kalimine Kouzmin. Questi ultimi si mostrarono così intrattabili che furono arrestati insieme con altri due personaggi ufficiali. Questo atto segnava una tappa decisiva verso l’ammutinamento dichiarato e come tale fu interpretato dal governo.
Il CRP assunse rapidamente. i suoi compiti. Cominciò a pubblicare i suoi Izvestia, il cui primo numero dichiarava: “Il partito comunista, che governa questo Stato, si è separato dalle masse. Si è dimostrato incapace di tirare fuori il paese dal caos. A Mosca ed a Pietrogrado si sono avuti recentemente innumerevoli incidenti che mostrano chiaramente che il Partito ha perso la fiducia delle masse operaie. Il partito trascura i bisogni della classe operaia perché crede che queste rivendicazioni siano frutto di attività controrivoluzionaria. In questo il Partito commette un grosso errore”. Izvestia del CRP, 3 marzo 1921[7].
La natura di classe della rivolta di Kronstadt
La risposta immediata del governo bolscevico alla ribellione è stata di denunciarla come una parte della cospirazione controrivoluzionaria contro il potere dei Soviet. Radio Mosca 1a definiva “complotto della Guardia bianca” e proclamava di avere prove che tutto era stato organizzato dal circolo degli emigrati a Parigi e dalle spie dell’Intesa. Benché queste falsificazioni siano utilizzate ancora oggi, quest’interpretazione degli avvenimenti non gode più di alcun credito, nemmeno presso storici semi trotskisti, come Deutscher, che è costretto ad ammettere che queste accuse non hanno alcun fondamento reale. Certamente tutte le carogne controrivoluzionarie, dalle Guardie bianche fino ai Social-rivoluzionari, tentarono di recuperare 1a ribellione e le offrirono il loro appoggio. Ma, se si eccettua l’aiuto “umanitario” della Croce Rossa russa, controllata dagli emigrati, il CRP respinse tutti gli approcci tentati dalle forze della reazione, proclamando che esso non lottava per il ritorno dell’Autocrazia o dell’Assemblea Costituente, ma per la rigenerazione del potere dei soviet e 1a sua liberazione dal dominio burocratico: “Sono i soviet il baluardo dei lavoratori, non l’assemblea costituente”[8], dichiarava l’Izvestia di Kronstadt. “A Kronstadt il potere è interamente nelle mani dei marinai, dei soldati rossi e degli operai rivoluzionari. Non appartiene alle guardie bianche comandate dal generale Kozlovsky[9], come afferma menzogneramente radio Mosca”[10].
Quando l’idea di un semplice complotto si rivelò essere una finzione, coloro che si identificano in modo non critico con la degenerazione del Bolscevismo pensarono a scuse più elaborate per giustificare 1a repressione che seguì alla rivolta di Kronstadt. In “Hue and Cry over Kronstadt” (New International, aprile 1938) questa è l’argomentazione di Trotsky: “E’ vero, Kronstadt nel ’17 è stato uno dei bastioni della rivoluzione proletaria. Ma durante 1a guerra civile gli elementi proletari rivoluzionari della guarnigione sono stati dispersi e sostituiti da elementi contadini imbevuti d’ideologia piccolo-borghese reazionaria. Questi elementi non potevano assolutamente adeguarsi ai rigori della Dittatura del Proletariato e della guerra civile, per questo motivo si ribellarono per indebolire la dittatura ed accaparrarsi delle razioni privilegiate (…). L’insurrezione di Kronstadt non era niente di più che una reazione armata della piccola-borghesia contro i sacrifici imposti dalla rivoluzione sociale e 1’austerità della Dittatura del Proletariato”. Egli prosegue dicendo che i lavoratori di Pietrogrado, che contrariamente ai Dandy di Kronstadt sopportavano questi sacrifici senza lamentarsi, erano stati “disgustati” dalla ribellione, sentendo che gli “ammutinati di Kronstadt erano dall’altra parte della barricata” e per questo “essi hanno dato il loro appoggio al potere dei Soviet”.
Noi non vogliamo passare troppo tempo ad esaminare questi argomenti: sono sufficienti i fatti già citati per discreditarli. L’affermazione che gli insorti di Kronstadt reclamassero razioni privilegiate per se stessi può essere smentita semplicemente ricordando il punto 9 della risoluzione del Pétropavlovsk che chiedeva razioni uguali per tutti. Analogamente, questa visione degli operai di Pietrogrado che docilmente danno il loro appoggio alla repressione è completamente smentita nella realtà dalle ondate di scioperi che hanno preceduto la rivolta. Nel momento in cui è scoppiata 1a rivolta di Kronstadt, questo movimento era già in gran parte rifluito ma, nonostante ciò, importanti frazioni del proletariato di Pietrogrado continuarono a sostenere attivamente gli insorti. Il 7 marzo, giorno in cui iniziò il bombardamento, i lavoratori dell’Arsenale tennero una riunione in cui fu eletta una commissione incaricata di lanciare uno sciopero generale per sostenere 1a ribellione. Gli scioperi intanto continuavano a Pouhlov, Battisky, Obukov e nelle altre principali industrie.
D’altra parte, noi non negheremo 1a presenza di elementi piccolo-borghesi nel programma e nell’ideologia degli insorti così come nel personale della flotta e dell’esercito. Ma tutte le insurrezioni operaie trascinano con loro una quantità di elementi piccolo-borghesi e reazionari, il che non cambia in nulla il carattere fondamentalmente operaio del movimento. E’ stato sicuramente il caso della stessa insurrezione di Ottobre, che godette del sostegno e della partecipazione attiva di elementi contadini, e nelle forze armate e nelle campagne. Il fatto che gli insorti di Kronstadt avessero una larga base operaia può essere provato dalla composizione dell’assemblea di delegati del 2 marzo, i quali erano, in gran parte, proletari delle fabbriche e delle unità navali della guarnigione, e dalla composizione dell’insieme del CRP eletto da questa assemblea, che era costituito da lavoratori e marinai di lunga data, che avevano preso parte al movimento rivoluzionario almeno dal ‘17[11]. Ma questi fatti sono meno importanti del contesto generale della rivolta; questa è nata nel corso di un movimento di lotta della classe operaia contro 1a burocratizzazione del regime, essa s'identificava con questa lotta e si considerava un momento della sua generalizzazione.
“I lavoratori del mondo intero sappiano che noi, i difensori del potere dei soviet, difendiamo le conquiste della rivoluzione sociale. Noi vinceremo o periremo nelle rovine di Kronstadt, battendoci per 1a giusta causa delle masse proletarie”[12].
Benché gli ideologi della piccola-borghesia, gli anarchici parlino di Kronstadt come della loro rivolta, nonostante che il programma degli insorti e 1a loro fraseologia abbia indubbiamente risentito di influenze anarchiche, le rivendicazioni degli insorti non possono essere considerate semplicemente anarchiche. Essi non reclamavano un’abolizione astratta dello Stato, ma 1a rigenerazione del potere dei soviet. Essi non volevano affatto abolire i “partiti” in quanto tali. Benché molti insorti abbiano durante la rivolta abbandonato il partito bolscevico e benché essi abbiano pubblicato molte confuse risoluzioni sulla “tirannia comunista”, essi non hanno reclamato, come è stato molto spesso affermato, “i Soviet senza i Comunisti”. Il loro slogan era “libertà d’agitazione per i differenti gruppi della classe operaia” e “il potere ai soviet, non ai Partiti”. Malgrado tutte le ambiguità presenti in queste parole d’ordine, esse esprimevano un rigetto istintivo dell’idea del partito che si sostituisce alla classe, idea che è stata uno dei fattori principali che hanno contribuito alla degenerazione del bolscevismo.
E’ questo uno dei tratti caratteristici della ribellione. Essa non era sostenuta da un’analisi politica chiara e coerente della degenerazione della rivoluzione[13]. Tali analisi coerenti dovrebbero trovare la loro espressione in seno alle minoranze comuniste, anche se in certe specifiche occasioni, queste minoranze possono trovarsi indietro rispetto alla coscienza spontanea della classe nel suo insieme. Nel caso della Rivoluzione Russa, ci sono voluti decenni di ardua riflessione all’interno della Sinistra Comunista Internazionale, per arrivare ad una comprensione coerente di che cosa era 1a degenerazione. Il significato della rivolta di Kronstadt è quello di una reazione elementare del proletariato a questa degenerazione, una delle ultime manifestazioni di massa delia classe operaia russa di quell’epoca. A Mosca, Pietrogrado e Kronstadt, i lavoratori hanno mandato un disperato SOS per salvare 1a rivoluzione russa che si avviava verso il suo declino.
Kronstadt e la NEP
Si è discusso molto a proposito del rapporto tra le rivendicazioni degli insorti e 1a NEP (Nuova Politica Economica). Per gli stalinisti impenitenti dell’Organizzazione Comunista Inglese ed Irlandese, B&ICO[14], la ribellione ha dovuto essere schiacciata perché il suo programma economico di baratto e libero scambio era una reazione piccolo-borghese al processo di “costruzione del socialismo” in Russia – “Socialismo naturalmente significa 1a centralizzazione più completa possibile del Capitalismo di Stato. Ma nello stesso tempo B&ICO difende 1a NEP come una tappa verso il socialismo! All’altra estremità del ventaglio, l’anarchico Murray Bookchin, nella sua introduzione all’edizione canadese de “La Comune di Kronstadt”[15] descrive il paradiso libertario che sarebbe potuto esistere se soltanto il programma economico dei ribelli fosse stato applicato:
“Una vittoria dei marinai di Kronstadt avrebbe potuto aprire nuove prospettive alla Russia: una forma ibrida di sviluppo sociale in cui avrebbero potuto coesistere il controllo operaio sulle fabbriche ed il libero commercio dei prodotti agricoli, fondato su un'economia contadina su piccola scala e delle comunità agricole volontarie”.
Bookchin aggiunge in seguito, misteriosamente, una tale società sarebbe potuta sopravvivere soltanto se contemporaneamente in occidente ci fosse stato un movimento rivoluzionario vittorioso. Ma ci si può giustamente chiedere come questi sogni autogestionistici da piccoli bottegai avrebbero potuto rappresentare una minaccia per il Capitale mondiale!
In ogni modo, tutta questa controversia ha poco interesse per dei comunisti. Una volta sconfitta l’ondata rivoluzionaria mondiale, nessun tipo di politica economica, comunismo di guerra, tentativi d’autarchia, NEP o programma di Kronstadt avrebbe potuto salvare 1a Rivoluzione. D’altronde molte delle rivendicazioni puramente economiche presentate dai ribelli erano, più e meno, incluse nella NEP. Come programmi economici, sono entrambi inadeguati, e sarebbe assurdo per i rivoluzionari di oggi rivendicare il baratto o il libero scambio come misure economiche adeguate per una roccaforte proletaria, anche se, in situazioni critiche, può essere impossibile eliminarli. La differenza fondamentale tra il programma di Kronstadt e 1a NEP era la seguente: mentre quest’ultima doveva essere instaurata dall’alto, dalla burocrazia di Stato nascente in collaborazione con le direzioni private ed i capitalisti rimasti, senza alcuna restaurazione della democrazia proletaria, gli insorti di Kronstadt ponevano come condizione preliminare allo sviluppo ulteriore della rivoluzione, 1a restaurazione dell’autentico potere dei Soviet e 1a fine della Dittatura Statale del Partito bolscevico.
Questo è il nodo del problema. E’ inutile oggi discutere per capire quale politica economica era la più “socialista” in quel momento. Il socialismo non poteva essere costruito soltanto in Russia. I ribelli di Kronstadt lo capivano forse meno dei bolscevichi più illuminati. Gli insorti, per esempio, parlavano dell’instaurazione di un “socialismo libero” (indipendente) in Russia, senza mettere l’accento sulla necessità dell’estensione della rivoluzione su scala mondiale, prima che il socialismo possa essere costruito.
“Kronstadt rivoluzionaria combatte per un socialismo di tipo diverso, per una repubblica sovietica dei lavoratori, in cui il produttore sia padrone di se stesso e possa disporre del prodotto come gli sembra meglio”[16].
La valutazione prudente di Lenin sulle possibilità di progressi “socialisti” in Russia in quel momento, benché l’abbia portato a conclusioni reazionarie, era nei fatti più conforme alla realtà delle speranze degli insorti di Kronstadt con 1a loro comune autogestita all’interno della Russia.
Ma Lenin e 1a direzione bolscevica, prigionieri dell’apparato statale, non riuscirono a capire il vero messaggio che veniva da Kronstadt, nonostante 1a confusione e le idee mal formulate degli insorti: 1a rivoluzione non può avanzare se non sono i lavoratori a dirigerla. La condizione preliminare fondamentale per la difesa e l’estensione della rivoluzione in Russia era tutto il potere ai Soviet, in altri termini, la riconquista dell’egemonia politica da parte delle masse operaie. Come è sottolineato nel testo “Degenerazione della Rivoluzione Russa”, 1a questione del potere politico è di gran lunga la più importante. Il proletariato al potere può fare progressi economici notevoli, o essere obbligato a sopportare arretramenti economici, senza che 1a Rivoluzione sia persa. Ma una volta sgretolatosi il potere politico della classe, nessuna misura economica, qualunque essa sia, può salvare la Rivoluzione. E’ perché gli insorti di Kronstadt lottavano per la conquista di questo indispensabile potere politico del proletariato che i rivoluzionari di oggi devono riconoscere nella lotta di Kronstadt una difesa delle posizioni di classe fondamentali.
L’annientamento della rivolta
La direzione bolscevi.ca reagì con estrema ostilità alla ribellione di Kronstadt. Abbiamo già ricordato il comportamento provocatorio di Kuzmin e Kalinin all’interno della stessa guarnigione, le menzogne diffuse da radio Mosca che diceva trattarsi di un tentativo controrivoluzionario della Guardia bianca. L’atteggiamento intransigente del governo bolscevico eliminò radicalmente ogni possibilità di compromesso o di discussione. L’ultimatum perentorio indirizzato da Trotsky alla guarnigione chiedeva unicamente la resa incondizionata e non faceva nessuna offerta di concessioni alle rivendicazioni degli insorti. L’appello a Kronstadt emesso da Zinoviev e dal comitato di difesa di Pietrogrado (l’organo che aveva imposto la legge marziale nella città dopo l’ondata di scioperi) è ben noto per 1a sua crudeltà: “Se vi ostinate, sarete infilzati come pernici”. Zinoviev fece anche prendere in ostaggio le famiglie degli insorti, col pretesto che degli ufficiali bolscevichi erano stati arrestati dal CRP (nessuno di questi aveva subito torto). Queste azioni furono denunciate come vergognose dagli insorti, che rifiutarono di abbassarsi a questo livello. Durante l’assedio della fortezza, le unità dell’amata rossa mandate a domare 1a ribellione erano costantemente sull’orlo della demoralizzazione. Ci furono anche casi di fraternizzazione con gli insorti. Per “assicurarsi” 1a lealtà dell’esercito, eminenti dirigenti bolscevichi, e tra di loro alcuni membri dell’opposizione operaia, che tenevano a prendere le distanze dall’insurrezione, furono mandati dal X Congresso del partito, allora in corso, a condurre l’assedio. Contemporaneamente la CEKA teneva i fucili puntati sulla schiena dei soldati per essere maggiormente sicuri che nessun accenno di demoralizzazione potesse propagarsi.
Quando alla fine la fortezza cadde, centinaia di insorti furono massacrati, giustiziati in modo sommario o condannati rapidamente a morte dalla CEKA. Gli altri furono mandati in campo di concentramento. La repressione fu sistematicamente spietata. Per cancellare ogni traccia della rivolta, la guarnigione fu sottomessa al controllo militare. Il Soviet fu disciolto e fu fatta una purga di tutti gli elementi dissidenti. Anche i soldati che avevano partecipato alla repressione dell’insurrezione furono rapidamente dispersi in varie unità per impedire che i “microbi di Kronstadt” potessero propagarsi. Misure analoghe furono prese in marina per le unità “soggette a cauzione”.
Lo sviluppo degli avvenimenti in Russia negli anni successivi alla rivolta rende assurde le dichiarazioni secondo cui la repressione dell’insurrezione fosse una “necessità tragica” per la difesa della rivoluzione. I bolscevichi credevano, su questo strategico porto di frontiera, di difendere la rivoluzione contro 1a minaccia della reazione, rappresentata dalla Guardia bianca. Ma quali che fossero le intenzioni dei bolscevichi, nei fatti, attaccando i ribelli, essi attaccavano la sola reale difesa che la rivoluzione potesse avere: l’autonomia della classe operaia ed il potere diretto del proletariato. Facendo ciò, si sono comportati essi stessi come agenti della controrivoluzione ed hanno contribuito a sgombrare la strada per il trionfo finale della controrivoluzione borghese sotto la forma dello stalinismo.
La ferocia estrema con cui il governo ha represso l’insurrezione ha condotto alcuni rivoluzionari alla conclusione che nel 1921 il Partito Bolscevico fosse chiaramente ed apertamente capitalista, esattamente come lo sono oggi gli Stalinisti ed i Trotskysti. Noi non vogliamo iniziare una lunga discussione sul momento preciso in cui il partito è passato irrimediabilmente dalla parte della borghesia e, in ogni caso, respingiamo il metodo che tenta di chiudere in un rigido schema di date 1a comprensione del processo storico.
Ma dire che nel 1921 il Partito Bolscevico era “capitalista e basta”, significa che, nei fatti, dagli avvenimenti di Kronstadt non abbiamo nulla da imparare, tranne la data della morte della rivoluzione. Dopo tutto le insurrezioni operaie sono sempre represse dai capitalisti e non è che dobbiamo “impararlo” continuamente. Kronstadt può insegnarci qualcosa di nuovo soltanto se riconosciamo che si tratta di un capitolo della storia dei Proletariato, di una tragedia nel campo proletario. Il problema reale con cui si confrontano i rivoluzionari oggi è com’è potuto accadere che un partito proletario sia arrivato ad agire come hanno agito i Bolscevichi a Kronstadt nel 1921, ed in che modo ci si può assicurare che cose di questo tipo non avvengano mai più. Insomma quali sono le lezioni di Kronstadt?
Le lezioni di Kronstadt
La rivolta di Kronstadt chiarisce in modo drammatico quelle che sono le lezioni fondamentali di tutta 1a rivoluzione russa, le sole "conquiste" della rivoluzione d’ottobre che rimangono oggi in possesso della classe operaia.
I - La rivoluzione proletaria o è internazionale o non è
La rivoluzione proletaria può essere vittoriosa soltanto su scala mondiale. E’ impossibile abolire il capitalismo o costruire il socialismo “in un solo paese”. La rivoluzione non sarà salvata da programmi di riorganizzazione economica in un paese, ma soltanto dalla estensione del potere politico del proletariato su tutta la terra. Senza tal estensione la degenerazione della rivoluzione è inevitabile, quale che sia il numero di cambiamenti apportati all’economia. Se 1a rivoluzione rimane isolata, il potere politico del proletariato sarà abbattuto o da un’invasione dall’esterno o dalla violenza interna, come è accaduto a Kronstadt.
II – La dittatura del proletariato non è quella di un partito
Ciò che ha fatto della rivoluzione russa e, in particolare, del massacro di Kronstadt una tragedia, è stato che il partito del proletariato, il partito Bolscevico, ha ritenuto che fosse suo compito impossessarsi del potere Statale e difenderlo contro 1a stessa classe operaia nel suo insieme. Per questo motivo, quando lo Stato si è separato dalla classe e si è mosso contro di esso, come a Kronstadt, i Bolscevichi hanno considerato che il loro posto fosse nello Stato che si batteva contro la classe e non con 1a classe che si batteva contro 1a burocratizzazione delle Stato.
Oggi i rivoluzionari devono affermare come un principio fondamentale che il ruolo del partito non è quello di prendere il potere in nome della classe. Solo la classe operaia nel suo insieme, organizzata nei suoi comitati di fabbrica, le sue milizie ed i suoi consigli operai, può prendere il potere politico e dar luogo alla trasformazione comunista della società. Il partito deve essere un fattore attivo nello sviluppo della coscienza proletaria, ma non può creare il comunismo “in nome” della classe. Una tale pretesa può soltanto portare, com’è accaduto in Russia, alla dittatura del partito sulla classe, alla soppressione dell’attività autonoma del proletariato, sotto il pretesto che “il partito è meglio”.
Contemporaneamente, l’identificazione del partito con lo Stato, cosa naturale per un partito borghese, può solo trascinare i partiti proletari nella corruzione e nel tradimento. Un partito del proletariato deve costituire la frazione più radicale e più avanzata della classe, che è essa stessa 1a classe più dinamica della storia. Caricare il partito del fardello dell’amministrazione degli affari dello Stato, che, per sua definizione, può solo avere una funzione conservatrice, significa negare ogni ruolo del partito e strangolare 1a sua creatività rivoluzionaria. La burocratizzazione progressiva del partito bolscevico, 1a sua incapacità crescente di separare gli interessi della classe rivoluzionaria da quelli dello Stato dei soviet, la sua degenerazione in macchina amministrativa, tutto ciò è il prezzo pagato dagli stessi bolscevichi per le loro concezioni sul “partito che esercita il potere dello Stato”.
III – Nessun rapporto di forza all’interno della classe operaia
Il principio che nessuna minoranza, per quanto illuminata essa sia, possa prendere il potere al posto e sulla classe operaia, va di pari passo con quello che non può esserci nessun rapporto di forza o di violenza all’interno della stessa classe operaia. La democrazia proletaria non è un lusso di cui si possa fare a meno in nome dell’“efficacia”, ma è 1a sola garanzia della buona riuscita della rivoluzione e della possibilità per 1a classe di trarre insegnamenti dalle proprie esperienze. Anche se delle frazioni della classe hanno manifestamente torto, la linea “giusta” non può essere loro imposta da un’altra frazione, che questa sia maggioritaria o no. Solo una totale libertà di dibattito all’interno degli organi autonomi della classe (assemblee, consigli, partito, …) può risolvere i conflitti ed i problemi della classe. Ciò implica anche che tutta 1a classe abbia libero accesso ai mezzi di comunicazione (stampa, radio, TV, etc...) conservi il diritto di sciopero e possa rimettere in questione le direttive degli organi Statali.
Anche se i marinai di Kronstadt hanno avuto torto, 1a durezza delle misure prese dal governo bolscevico è stata totalmente ingiustificata. Tali azioni possono solo distruggere la solidarietà e la coesione all’interno della classe e generare demoralizzazione e dispersione. La violenza rivoluzionarla è un’arma che il proletariato è costretto a utilizzare nella sua lotta contro la classe capitalista. Il suo uso contro le altre classi non sfruttatrici deve essere, finché è possibile, ridotto al minimo, ma all’interno del proletariato, essa non deve ave alcun posto.
IV La dittatura del proletariato non è lo Stato
All’epoca della rivoluzione russa c’era una grossa confusione all’interno del movimento operaio, che identificava 1a dittatura del proletariato con lo Stato sorto dopo il rovesciamento del regime zarista, cioè il Congresso dei delegati operai, soldati e contadini dei Soviet di tutte le Russie.
Ma 1a dittatura del proletariato, che funziona attraverso gli organi specifici della classe operaia, cioè le assemblee di fabbrica ed i consigli operai, non è un’istituzione, ma uni stato di fatto, un movimento reale dell’intera classe. Il fine cui tende la dittatura del proletariato non è lo stesso cui tende uno Stato come esso è inteso dai marxisti. Lo Stato è l’organo sovrastrutturale prodotto dalla società di classe, la cui funzione è di mantenere i rapporti sociali dominanti, lo statu quo tra le classi. La dittatura del proletariato, al contrario, ha come unico fine la trasformazione dei rapporti sociali e l’abolizione delle classi. Sello stesso tempo, i marxisti hanno sempre affermato la necessità dello Stato in un periodo di transizione al comunismo, dopo l’abolizione del potere politico borghese. E’ per questo che lo Stato russo sovietico, come 1a Comune di Parigi, è stato un prodotto inevitabile della società di classe che esisteva in Russia dopo il ‘17.
Alcuni rivoluzionari difendono l’idea che il solo Stato che possa esistere, dopo la distruzione del potere politico borghese, sono gli stessi consigli operai. E’ vero che i consigli operai devono assicurare 1a funzione che ha sempre costituito una delle principali caratteristiche dello Stato: l’esercizio del monopolio della violenza. Ma chiamare, per questo motivo, Stato i consigli operai significa ridurre il ruolo dello Stato a quello di un semplice organo di violenza e nient’altro. Allora, secondo tali concezioni, lo Stato borghese oggi sarebbe soltanto composto dalla polizia e dall’esercito e non dal parlamento, dalle municipalità, dai sindacati e da innumerevoli altre istituzioni che mantengono l’ordine capitalista, senza l’uso immediato della repressione. Queste istituzioni sono organi dello Stato poiché servono a difendere l’ordine sociale esistente, a mantenere gli antagonismi di classe in un quadro accettabile. I consigli operai, al contrario, rappresentano 1a negazione attiva di questa funzione dello Stato, perché essi sono prima e soprattutto organi di trasformazione sociale radicale e non organi di statu quo.
Ma il fatto fondamentale è che aspettarsi che le sole istituzioni che esisteranno nel periodo di transizione siano i consigli operai è solo un pio desiderio. Una rivoluzione non segue le previsioni semplicistiche di certi rivoluzionari. L’immenso sconvolgimento sociale, rappresentato dalla rivoluzione, genera ogni specie d’istituzioni, non solo quelle della classe operaia sui luoghi di produzione, ma quelle di tutta 1a popolazione che era oppressa dalla classe capitalista. In Russia, i soviet e gli altri organi popolari apparvero non solo nelle fabbriche ma dappertutto, nell’esercito, nella marina, nei paesi, nei quartieri delle città. Non si tratta solo del fatto che “i bolscevichi cominciavano a costruire uno Stato, che aveva un’esistenza separata dall’organizzazione di massa della classe” (Workers Voice, n°14). E’ vero che i Bolscevichi banno contribuito attivamente alla burocratizzazione dello Stato, abbandonando il principio delle elezioni e istituendo innumerevoli commissioni al di fuori dei Soviet, ma non furono i Bolscevichi a creare lo “Stato sovietico”. Si tratta di qualcosa che è nato dal terreno stesso della società russa dopo Ottobre, ed è accaduto perché 1a società doveva dar vita ad un’ istituzione capace di contenere i suoi antagonismi di classe profondi. Dire che possono esistere solo i consigli operai significa predicare 1a guerra civile permanente, non solo tra classe operaia e borghesia (il che è ovviamente necessario) ma anche tra la classe operaia tutti gli altri strati sociali e categorie. In Russia ciò avrebbe significato una guerra tra i soviet operai e quelli di soldati e contadini. Ci sarebbe stata una terribile perdita di energia ed una deviazione in rapporto al compito primitivo della rivoluzione: l’estensione al mondo intero della rivoluzione contro 1a classe capitalista[17].
Ma se, da un certo punto di vista, questo Stato dei soviet era il prodotto inevitabile della società post-insurrezionale, c’è un gran numero di gravi pecche nelle sue strutture e nel suo funzionamento, dopo l’insurrezione d’Ottobre, che possono essere messe in evidenza, tenendo completamente al di fuori il fatto più grave che esso fosse controllato dal Partito.
a) Nel funzionamento reale dello Stato, erano continuamente abbandonati i principi fondamentali stabiliti dall’esperienza della Comune nel 1871 e riaffermati da Lenin in “Stato e Rivoluzione” nel 1917: tutti i funzionari eletti e revocabili in ogni momento, remunerazione dei funzionari dello Stato uguale a quella degli operai, armamento permanente del proletariato. Sempre più sorgevano commissioni ed uffici su cui 1a classe operaia non aveva alcun controllo (consigli economici, CEKA, etc.). Le elezioni erano costantemente rimandate, ritardate, o truccate. I privilegi goduti dai personaggi ufficiali dello Stato erano, con l’andare del tempo, diventati un luogo comune. Le milizie operaie furono dissolte nell’armata rossa, che non era sotto il controllo né dei consigli operai, né dei soldati di leva.
b) I consigli operai, i comitati di fabbrica e gli altri organi del proletariato, rappresentavano solo una parte tra le altre dell’apparato Statale (benché i lavoratori avessero diritto di voto preferenziale). Invece di avere la garanzia dell’autonomia e dell’egemonia su tutte le altre istituzioni sociali, questi organi tendevano sempre più non solo ad essere integrati nell’apparato generale dello Stato, ma anche ad essergli subordinati. Il potere proletario, invece di manifestarsi attraverso il canale degli organi specifici della classe, è stato identificato con l’apparato statale. Ancora di più, il postulato specioso che si trattava di uno Stato “proletario”, “socialista”, ha condotto i bolscevichi a sostenere che i lavoratori non potevano avere alcun diritto o interesse diverso da quelli dello Stato. In conseguenza di ciò, ogni resistenza allo Stato da parte dei lavoratori non poteva essere che controrivoluzionaria. Questa concezione profondamente errata è stata alla base della reazione dei Bolscevichi di fronte agli scioperi di Pietrogrado e all’insurrezione di Kronstadt.
In futuro, i principi della Comune, dell’autonomia della classe operaia non devono solo essere messi sulla carta, ma difesi come condizione fondamentale del potere proletario sullo Stato. La vigilanza del proletariato di fronte all’apparato Statale non deve mai allentarsi, perché l’esperienza russa e, soprattutto, si fatti di Kronstadt hanno dimostrato che la controrivoluzione può benissimo manifestarsi attraverso il canale dello Stato post-insurrezionale e non solo attraverso quello di un’aggressione borghese dall’“esterno”.
Di conseguenza, per avere la sicurezza che lo Stato-comune rimanga uno strumento del potere proletario, 1a classe operaia non può identificare la sua dittatura con questo apparato ambiguo e soggetto a cauzione, ma soltanto con i suoi organi di classe autonomi. Questi organi devono controllare, senza tregua, il lavoro dello Stato a tutti i livelli, esigendo la massima rappresentanza dei delegati dei consigli operai nel congresso generale dei soviet, l’unificazione autonoma permanente della classe operaia all’interno di questi consigli, il potere decisionale dei consigli operai su ogni proposta dello Stato. I lavoratori devono, soprattutto, impedire allo Stato di interferire politicamente o militarmente con i suoi propri organi di classe; d’altra parte la classe operaia deve mantenere la sua capacità di esercitare la propria dittatura su e contro lo Stato, se ce n’è bisogno, con 1a violenza. Questo significa che la classe operaia deve garantire 1a propria autonomia di classe grazie all’armamento generale del proletariato. Se durante la guerra civile diventa necessario creare un’“armata rossa” regolare, questa forza deve essere completamente subordinata politicamente ai Consigli operai e sciolta dopo che 1a borghesia è stata militarmente vinta. E, in nessun momento, possono essere sciolte le milizie proletarie nelle fabbriche.
L’identificazione del partito con lo Stato, dello Stato con la classe ha trovato la sua conclusione logica a Kronstadt, dove il partito si è messo dalla parte dello Stato contro 1a classe. Quando nel 1921 la rivoluzione russa è rimasta isolata, lo Stato, pe sua definizione guardiano dello statu quo, è diventato il guardiano della stabilizzazione del capitale e dell’asservimento dei lavoratori. Malgrado tutte le sue buone intenzioni, la direzione bolscevica, che per molti anni ancora ha continuato a sperare nell’alba salvatrice della rivoluzione mondiale, è stata costretta ad agire, per il suo coinvolgimento nella macchina statale, come un ostacolo alla Rivoluzione mondiale ed è stata trascinata verso il trionfo finale della controrivoluzione stalinista. Alcuni Bolscevichi cominciarono ad accorgersi che non era il partito che controllava lo Stato, ma lo Stato che controllava il partito. Come lo stesso Lenin diceva:
“La macchina sfugge dalle mani di chi 1a guida; si direbbe che qualcuno sia seduto al volante e guidi questa macchina, che però non va nella direzione voluta, quasi fosse guidata da una mano segreta, illegale, Dio solo sa da chi, forse da uno speculatore o da un capitalista privato o da tutti e due insieme. II fatto è che la macchina va non nella direzione che crede chi siede al volante, anzi talvolta va nella direzione opposta”[18].
Gli ultimi anni della vita di Lenin videro la sua lotta senza speranza contro 1a burocrazia nascente, a base di progetti futili come quello dell’“Ispezione dei lavoratori e contadini” secondo cui 1a burocrazia si sarebbe venuta a trovare sotto 1a sorveglianza di una nuova commissione burocratica! Ciò che egli non poteva ammettere, ciò che non poteva vedere, era che il sedicente Stato proletario era diventato una pura e semplice macchina borghese, un apparato di regolamentazione dei rapporti sociali capitalisti e, di conseguenza, non poteva che essere del tutto inaccessibile ai bisogni della classe operaia. Il trionfo dello stalinismo non è stato altro che il riconoscimento cinico di questo fatto, l’adattamento finale e definitivo del partito al suo ruolo di capomastro dello Stato capitalista. Questo è stato il significato reale della dichiarazione del “Socialismo in un solo paese” del 1924.
L’insurrezione di Kronstadt ha messo il partito davanti ad una scelta storica estremamente grave: o continuare a dirigere questa macchina borghese ed in tal modo finire come un partito del capitale, o separarsi dallo Stato ed essere a fianco dell’intera classe operaia nella sua lotta contro questa macchina, questa personificazione del capitale. Scegliendo 1a prima via, i Bolsceviche hanno firmato 1a loro condanna a morte come partito del proletariato ed hanno dato il via al processo controrivoluzionario che si è manifestato apertamente nel 1924. Dopo il ‘21, solo le frazioni bolsceviche, che avevano iniziato a capire 1a necessità di identificarsi direttamente con 1a lotta della classe operaia contro lo Stato, potevano restare rivoluzionarie e capaci di partecipare alla battaglia internazionale dei comunisti di sinistra contro la degenerazione della III Internazionale. Così, per esempio, il “Gruppo operaio” di Miasnikov ha avuto un ruolo attivo nello sciopero selvaggio che scoppiò in Russia nell’agosto e settembre 1923. Ciò al contrario dell’opposizione di sinistra diretta da Trotsky, la cui lotta contro la frazione stalinista si è situata sempre all’interno della burocrazia e non ha mai fatto alcun tentativo di collegarsi alla lotta operaia contro ciò che i trotskisti definiscono uno Stato “operaio” ed un’“economia operaia”. La loro incapacità iniziale di staccarsi dalla macchina Stato-Partito lasciava già prevedere l’evoluzione ulteriore del trotskismo in appendice “critica” della controrivoluzione stalinista.
Ma raramente le scelte “storiche” sono chiare nel momento in cui devono essere fatte. Gli uomini fanno 1a loro storia in condizioni oggettive definite, e le tradizioni delle generazioni passate pesano “come un incubo sul cervello dei viventi” (Marx). Questo peso d’incubo del passato schiacciava i Bolsceviche e solo il trionfo rivoluzionario del proletariato occidentale avrebbe potuto sopprimere questo peso e permettere ai bolscevichi o almeno ad una notevole frazione del partito di capire quali erano i loro errori e di essere rigenerati dalla creatività inesauribile del Movimento Proletario Internazionale.
Le tradizioni della socialdemocrazia, l’arretratezza della Russia, più tutti i fardelli del potere Statale nel contesto di un’ondata rivoluzionaria in riflusso, tutti questi fattori contribuirono a determinare 1a posizione che i bolscevichi presero a Kronstadt. Come abbiamo visto, l’Opposizione operaia nel partito si era affrettata a prendere le distanze dall’insurrezione ed a partecipare all’assalto della guarnigione. Anche quando l’Ultrasinistra russa andò al di là delle timide proteste dell’Opposizione operaia e rientrò nella clandestinità, non riuscì a tirare le dovute lezioni dall’insurrezione e fece pochi riferimenti ad essa nelle sue critiche al regime.
Il KAPD ha criticato 1a repressione dell’insurrezione in modo incompleto e non ha cercato di sostenere la ribellione stessa. In breve, furono pochi i comunisti che compresero allora il significato profondo dell’insurrezione e ne trassero le lezioni essenziali. Tutto ciò testimonia del fatto che il proletariato non impara le lezioni fondamentali della lotta di classe di colpo, ma soltanto attraverso l’accumulazione di esperienze dolorose, lotte sanguinose ed un’intensa riflessione teorica. Il compito dei rivoluzionari oggi non è quello di emettere giudizi morali astratti sul passato movimento operaio, ma di concepire se stessi come un prodotto di questo movimento capace di fare una critica spietata di tutti gli errori del movimento, ma pur sempre un suo prodotto. Altrimenti 1a critica del passato da parte dei rivoluzionari non avrebbe alcun posto nella lotta reale della classe operaia. E’ solo vedendo i protagonisti che si affrontavano a Kronstadt come gli attori tragici della nostra classe, della nostra propria storia, che noi comunisti possiamo oggi pretendere con diritto di denunciare l’azione dei Bolscevichi e dichiarare la nostra solidarietà con gli insorti. E’ soltanto vedendo gli avvenimenti di Kronstadt come un momento del movimento storico della classe che si può sperare di capire gli insegnamenti di questa esperienza affinché essi siano applicati nella pratica presente e futura. Solo così potremo essere sicuri che non vi sarà mai più un’altra Kronstadt.
C.D. Ward, agosto 1975
[1] Averich, Kronstadt 1921. Oscar Mondadori 1971, pag. 28.
[2] Rapporto del III Congresso dei Sindacati di tutte le Russie. Mosca 1920.
[3] N. Ossinsky Gosudarstvemica regulizovenie Krest’iankogo Khoziastva. Mosca 1920, pag. 8 e 9.
[4] Ida Mett, La Rivolta di Kronstadt, Partisan Edizioni, pag. 32.
[5] Le Izvestija di Kronstadt. Piccola serie Jaca Book, Milano 1972, pag. 24-25.
[6] Ibidem, pag. 23.
[7] Ibidem.
[8] Ibidem, pag. 88.
[9] Koslowsky era un ex-ufficiale zarista che aveva aderito come “tecnico” alla rivoluzione bolscevica ed era stato nominato dai comunisti comandante dell’artiglieria di Kronstadt. Continuò a prestare servizio durante la rivolta senza esercitare alcuna autorità sul movimento. Al contrario “ufficiali” ex-zaristi ebbero un ruolo assai maggiore tra gli attaccanti che non tra i difensori. I comandanti dei settori Nord e Sud, Kosansky e Sedianin, nonché i loro superiori Tukacevsky e S. Kamenev, (omonimo del noto bolscevico) erano stati tutti ufficiali dell’esercito imperiale. (Avrich, op. cit., pag. 191).
[10] Appello del C.R.P, ne Le Izvestija di Kronstadt, op. cit., pag. 39).
[11] Vedere l’elenco dei membri di questo comitato ne Le Izvestija …, op.cit., pag. 31,39 e 88.
[12] Ibidem, pag. 52.
[13] L’inconsistenza programmatica della rivolta - ciò che conferma il suo carattere spontaneo - è confermato dal fatto che alcuni degli scampati al massacro accettarono in seguito di collaborare con emigrati bianchi in Finlandia. (Avrich, op.cit., pag. 120). E’ però sintomatico che ciò avvenga solo dopo la caduta di Kronstadt e 1a sanguinosa repressione che ne seguì, nel clima di completa demoralizzazione dei superstiti, privi di ogni via di uscita.
[14] Problemi del comunismo n°3.
[15] Black Rose Book. Montreal 1971.
[16] Le Izvestija di Kronstadt, op.cit., page 116.
[17] Ciò non implica che noi condividiamo 1a visione del “potere degli operai e dei contadini” che è propria sia dei bolscevichi che degli insorti di Kronstadt. Alla prossima ondata rivoluzionaria la classe operaia dovrà affermare che essa è la sola classe rivoluzionaria. E’ per questo che essa deve garantirsi di essere l’unica ad organizzarsi come classe durante il periodo di transizione, sciogliendo tutte le istituzioni che pretendono di difendere gli interessi specifici di una qualsiasi altra classe. Il resto della popolazione non sfruttatrice avrà il diritto di organizzarsi nei limiti della dittatura del proletariato e sarà rappresentata nello Stato soltanto come “cittadini” attraverso il canale dei soviet territoriali. La concessione dei diritti civili e del voto a questi strati non attribuisce loro maggior potere politico come classi di quanto la borghesia ne attribuisca al proletariato permettendogli di votare alle elezioni amministrative e politiche.
[18] Rapporto Politico del Comitato Centrale al Partito 1922.