Italia: NUOVE TENDENZE DEL SINDACALISMO DI BASE

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Pochi sindacati sono stati capaci di presentarsi agli operai in lotta come sindacati di “base”, “combattivi”, quanto il sindacato dei Consigli italiano, voluto dai padroni per incanalare per la giusta via la rabbia operaia dell’Autunno caldo.

Grazie ai Consigli ed alla falsa opposizione vertici-consigli, il sindacato è riuscito per una decina di anni a tenere la situazione sotto controllo, recuperando quasi tutte le minoranze che in questa o quella occasione mettevano in discussione il suo ruolo.

Quando poi la crisi ha stretto i freni e lo spazio di contrattazione disponibile per i Consigli di Fabbrica, la parola d’ordine della Sinistra Sindacale è stata: “Solo difendendo la democrazia dei Consigli, gli operai saranno capaci di ritrovare la via della lotta di massa”.

Questa storia è riuscita ad imbrogliare gli operai finché non hanno lottato. Il Gennaio 1983, con la sua ondata di lotte a livello nazionale, rappresenta uno spartiacque netto rispetto a tutto questo, segnando l’inizio della fine dei mito dei Consigli. Nonostante tutte le declamazioni “rivoluzionarie” dei delegati dei CdF (“il sindacato siamo noi operai!”), gli operai hanno visto con i loro occhi che non sono stati i consigli di fabbrica a scatenare l’esplosione operaia, ma l’iniziativa operaia a costringere molti CdF alla corsa al recupero. I Consigli non sono stati la testa e il cuore della sfida operaia all’apparato sindacale, ma la lunga mano dell’apparato sindacale, pesantemente calato sulle lotte operaie.

Che cosa significa tutto questo, che il sindacalismo di base ha ormai fatto il suo tempo? Sarebbe una gran bella cosa, ma non è il caso di farsi illusioni: quanto più gli operai imparano dalle sconfitte e si fanno furbi, tanto più il capitalismo ha bisogno di servi capaci di farsi passare per difensori degli operai e di riportare la lotta operaia nelle secche del sindacalismo. Tutto quello che succederà - ed è importante averlo ben chiaro - è che per acquistare credibilità di fronte agli operai i sindacalisti di base saranno sempre più costretti a lavorare sia dentro che fuori i sindacati ufficiali e, se necessario, anche fuori e contro i sindacati ufficiali.

Basta guardare all’evoluzione di una forza come D.P., nata per portare a votare anche quei compagni che si schifavano di votare PCI. Oggi D.P. continua in questo suo nobile compito di raccattapalle del tennis parlamentare, ma la sua vera funzione non la svolge al Parlamento (dove non è stata neanche presente in questa legislatura) ma in organismi come il Comitato Cassa Integrati dell’Alfa[1].

In che modo con questo comitato si sono ingabbiati gli operai? Separandoli dagli altri, facendogli credere che ci possano essere interessi di settori di operai diversi da quelli di tutti gli altri. Ma se la trappola ha funzionato, è solo perché esso si è presentato come totalmente autonomo ed indipendente rispetto alla stessa ala sinistra dei sindacato, classica dimostrazione di come quando gli operai sono incazzati con il sindacato ufficiale, c’è quello di riserva pronto a presentargli una nuova trappola.

Oggi non è raro trovare militanti di DP che, senza battere ciglio, dichiarano che il sindacato attuale “si è fatto istituzione” (è un modo elegante di dire che si è integrato nello Stato) e che non ci si può fare nessuna illusione di recuperarlo.

Quello che ci preoccupa veramente è che nell’attuale situazione, che vede un grande risveglio di attività da parte della classe e un crescente distacco dai sindacati ufficiali, anche se portandosi tuttavia appresso ancora tante debolezze, anche i gruppi proletari si trovano in ritardo rispetto ai tempi, ed invece di rispondere alle reali esigenze della lotta di classe ne raccolgono ed esaltano le illusioni, finendo per fare un ottimo servizio alla borghesia.

Un giornale come Operai Contro[2] è un buon esempio della tendenza a sbandare per l’illusione di poter acchiappare più operai con un’organizzazione più formalizzata:

Perché non associare i primi operai che si sono resi conto che non possono fare più affidamento su nessuno in un’organizzazione con propri statuti, regole di partecipazione, un proprio sistema di finanziamento, un metodo di lavoro comune in cui le poche ore che ogni operaio può mettere a disposizione per l’attività rendono al massimo la possibilità di esprimere il modo di vedere degli operai su ogni questione sociale con precisione e continuità?” (Operai Contro n°11).

Dopo tante chiacchiere sulla “organizzazione politica degli operai”, quello che si finisce per proporre è un’organizzazione che faccia il lavoro che il sindacato non fa più, e cioè un nuovo sindacato di classe. A parte gli aspetti caricaturali di tessere e bollini, additando come prospettiva il fatto che “gli operai che eletti entreranno a far parte dei CdF non andranno più scoperti in modo individuale a sostenere lo scontro, ma si saranno prima accordati con gli altri ed avranno deciso la posizione da tenere” (O.C. n.9). Operai Contro non fa che dare nuova vita alle declinanti illusioni degli operai sulla possibilità di difendere i loro interessi all’interno dei CdF. Nel momento in cui tutta una serie di avanguardie di fabbrica inizia a porsi delle domande sui limiti di una lotta che non rompa con il sindacato, Operai Contro li richiama indietro, agli eterni progetti di una “forza organizzata” che a livello nazionale faccia “sentire il suo peso” nei CdF. In altre parole un’ennesima edizione dell’Opposizione Operaia, come se non ci bastassero tutte quelle già proposte da DP e soci.

La tendenza a “coprire gli spazi” lasciati liberi dal sindacato trova una delle sue espressioni più chiare e consapevoli nel giornale Agit-Prop[3].

Senza una rete nazionale di comitati, senza una educazione a condurre in termini di classe la lotta sindacale - si, compagni, anche quella manca o è limitata a causa del riformismo straccione e l’insipienza dei rivoluzionari - la spontaneità delle masse mostra la corda e non è in grado di opporre niente (...) Per noi rivoluzionari, per noi operai di avanguardia si apre uno spazio enorme: la difesa degli interessi elementari rimane sempre più affidata a noi, e noi dobbiamo assumerla come uno dei nostri compiti necessari oggi. Chi non capisce questo è inutile che si tinga le penne di rosso violetto. Non serve a nessuno e meno che mai al proletariato.” (Agit Prop III, n°0, Marzo-Aprile 83).

In questo caso l’illusione consiste nel fatto che ci si possa inserire in una logica di lotta sindacale, mantenendo però la capacità di delimitarsi rispetto alla sinistra del capitale, DP inclusa, cogliendo ogni “occasione per mostrare ai lavoratori quale razza nefasta di conciliatori piccolo-borghesi essi siano”. Ancora una volta si procede recitando versetti di Lenin tipo Vangelo, attribuendo ai sindacati una natura operaia immutabile, appena guastata da “l’esercito di 50.000 funzionari che hanno una precisa base sociale nell’aristocrazia operaia”. Gli operai non avrebbero che da strapparsi alla influenza di questo manipolo di “aristocratici!” e la via al sindacato di classe sarebbe aperta. Il fatto che negli ultimi 60 anni non si sia riusciti a costruire un solo sindacato che non si integrasse immediatamente nelle strutture dello Stato, non turba minimamente i redattori di Agit-Prop. Se Lenin ha detto che funziona, prima o poi deve funzionare.

Per quanto grandi siano i limiti e ritardi dei gruppi provenienti dalla tradizione della Sinistra Comunista, ed in particolare della Sinistra Italiana, bisogna riconoscere che l’accelerazione del movimento sociale non è stata senza effetto per loro. Se si fa una panoramica su questa corrente si vede che nel giro di due o tre anni non è rimasto più nessuno a sostenere la riconquista dei sindacati confederali sia pure come ipotesi improbabile. Se per alcuni di questi gruppi questo riconoscimento (con 60 anni di ritardo) sembra essere venuto un po’ come una subitanea folgorazione (Rivoluzione Comunista ha scoperto la definitiva integrazione dei sindacati nell’economia di guerra dello Stato borghese in data 22 gennaio 1983), per altri si è accompagnato con lo sforzo di elaborare un’analisi credibile del cambiamento di natura dei sindacati. In particolare i Nuclei Leninisti Internazionalisti hanno cercato di trovare un nuovo equilibrio integrando le posizioni classiche della Sinistra Comunista Italiana con le osservazioni di Trotskij sulla natura dei sindacati nell’epoca della decadenza del capitalismo[4].

Piccole revisioni di questo tipo potrebbero mantenere la barca a galla, se la controrivoluzione fosse così gentile da restare ferma dove era mezzo secolo fa. Ma anche i gruppi della sinistra del capitale sentono il vento e si adeguano. Chi - in particolare Programma Comunista -pensa di avere fatto chissà quale audace salto rivoluzionario dichiarando che “in prospettiva” il suo lavoro si svolgerà sempre fuori dai sindacati attuali, non ha che da andarsi a leggere le Tesi sindacali di un gruppo chiaramente controrivoluzionario come il trotzkista GOR[5]:

“Quando soltanto una minuscola parte degli operai di avanguardia vive nei sindacati, allora la lotta per una tendenza sindacale costituisce una parte quasi insignificante della nostra battaglia complessiva”. (Il Comunista n.10, marzo 83) con tutti gli scossoni ed i riarrangiamenti subiti in questi anni, le posizioni della maggioranza dei gruppi rivoluzionari in Italia (e nel mondo) non sono sufficienti a costituire una chiara barriera contro 1’infiltrazione nel movimento operaio di un nuovo sindacalismo di base, cento volte più pericoloso di quello precedente, perché capace di vestire panni anti-sindacali, quando occorra. Perché questa manovra della borghesia sia sventata è indispensabile che dovunque la voce dei comunisti possa raggiungere settori operai, si esprima già da oggi con una denuncia implacabile di quello che domani apparirà chiaro agli occhi di milioni di operai.

Beyle



[1] Vedi “II Comitato Cassintegrati Alfa... facente funzioni di sindacato” in Rivoluzione Internazionale n°29.

[2] Operai Contro, c.p. 17168, 20170, Milano Leoncavallo.

[3] “Agit-Prop, giornale per l’organizzazione comunista operaia rivoluzionaria”, c/o Centro di Documentazione via D’Aquino 158, 74100 Taranto.

[4] Vedi l’articolo su “I Nuclei e la questione sindacale” in Rivoluzione Internazionale n. 26 e 28.

[5] Gruppo Operaio Rivoluzionario c/o L. Fucchi, C.P. 1022, 10100 Torino. La sua natura controrivoluzionaria è definita dallo spartiacque decisivo del disfattismo rivoluzionario: il GOR è per la difesa incondizionata dell’URSS e per il sostegno critico dell’invasione dell’Afghanistan.

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