Problemi della lotta di classe (I). PARTECIPARE O NO AGLI SCIOPERI SINDACALI?

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Da quando la crisi economica e la conseguente perdita di illusioni da parte operaia hanno reso impossibile ai sindacati organizzare a scadenze fisse manifestazioni nazionali di massa “per le riforme di struttura” o “per il Mezzogiorno”, nell’ambiente politicizzato sono andate sviluppandosi due tipi di reazioni. Da una parte il rimpianto per quelle belle manifestazioni di massa, che dagli “orfani” della sinistra sindacale sembra estendersi fino a qualche gruppo rivoluzionario. Dall’altra, nelle ali estreme del sindacalismo di base, si ha una specie di crisi di rigetto, per cui si rifiuta qualsiasi intervento nelle manifestazioni convocate dal sindacato[1] e si addita al pubblico disprezzo chi “ancora” vi interviene.

La polemica che ha recentemente opposto Operai Contro (n°29 e 30) e l’OCI (Che Fare n°5), polemica nata dalla critica su Operai Contro di un volantino dell’OCI che chiamava a partecipare ad una manifestazione sindacale, ci offre un buon punto di partenza per cercare di mettere un po’ d’ordine nella intricata materia. In questa prima parte dimostreremo essenzialmente il carattere demagogico dell’antisindacalismo di facciata con cui tanti sindacalisti di base cercano di rifarsi una verginità. Nei fatti la loro rottura col sindacato non è altro che la rottura con la necessità di fare i conti col sindacalismo, l’illusione che sia possibile evitare lo scontro frontale col sindacato. Nella seconda parte mostreremo come l’OCI sia ottimamente capace di criticare il falso antisindacalismo di quest’area, ma sia totalmente incapace di criticare il suo vero opportunismo verso i sindacati. Vedremo inoltre come la radice di entrambe le deviazioni si trovi nell’incapacità di comprendere che nella fase di decadenza del capitalismo il sindacato non è un alleato dello Stato borghese, ma una sua parte integrante. Ogni altra visione non può portare che a concezioni opportuniste e devianti (come organismi “operai-borghesi” o difensori di “aristocrazia operaia” o “ceti emergenti”) che - come vedremo - sono del tutto incapaci di recidere il cordone ombelicale con la piovra sindacale.

La dinamica attuale della lotta di classe: dalla dispersione alla unificazione

Tutta questa gente che fa l’estremista a chiacchiere, proclamando che non si deve andare a manifestazioni convocate dal sindacato, si guarda poi bene dal mettere in discussione il sindacalismo in quanto tale. Tutto quello che fa è allinearsi pecorescamente alla realtà immediata (i sindacati non organizzano più grandi manifestazioni sindacali e quindi noi ci disinteressiamo delle manifestazioni sindacali), senza fare il minimo sforzo per capire che cosa significa questa realtà, al di là dell’apparenza immediata.

Nei fatti ci si allinea alla propaganda padronale che da tre anni fa ogni sforzo per convincerci:

1) che l’economia sta uscendo dal tunnel e che la prosperità è alle porte;

2) che questo dipende dal fatto che gli operai hanno voltato le spalle alla “mania scioperaiola” dei sindacati.

Questo è quello che dicono i padroni. La verità è esattamente l’opposto: la più grave recessione economica degli ultimi venti anni è alle porte[2] ed i padroni lo sanno e sanno anche che il pericolo numero uno per loro resta un proletariato meno che mai in ginocchio e pronto a reagire violentemente contro i piani accelerati di tagli della spesa pubblica.

Scottati dalle prima risposte operaie dell’’83-84 i capitalisti hanno cambiato tattica cercando di evitare gli attacchi generali frontali, scaglionandoli il più possibile, disperdendoli nel tempo e nello spazio. Dal canto suo il sindacato ha fatto perno su questa manovra per organizzare la dispersione della risposta operaia, per frammentarla fabbrica per fabbrica, settore per settore, “evitando come la peste” ogni occasione che potesse mettere insieme proletari di differenti settori. L’esempio migliore di questa doppia tattica di dispersione padroni-sindacati ci è dato dall’Inghilterra, in cui i sindacati per un anno hanno impedito che lo sciopero dei minatori si estendesse ad altri settori, mentre lo Stato ha bloccato per tutta la durata dello sciopero ogni progetto di licenziamenti in altri settori, giungendo fino a concedere consistenti aumenti salariali ai ferrovieri per essere sicuro che non unificassero la loro lotta con quella dai minatori.

Queste tattiche, unite alla effettiva - e comprensibile - riluttanza operaia a “scioperare per niente”, hanno permesso ai borghesi di subissarci con fiumi di statistiche sui record negativi della lotta di classe, sul “numero più basso di ore di sciopero da 20 anni a questa parte”. Ma queste fanfaronate non debbono ingannarci. In primo luogo queste tattiche non sono riuscite ad impedire l’ondata mondiale di lotte, dall’Inghilterra alla Danimarca, dalla Spagna al Brasile. In secondo luogo il delicato gioco di equilibrismi per diluire la risposta operaia agli attacchi era possibile fin tanto che gli attacchi stessi erano diluiti. Questo è stato possibile finora, ma non lo è più: la degradazione sempre più evidente dell’economia guida USA mostra che il mito della ripresa non è più sostenibile e che il capitale non può più perdere tempo attaccando un pezzetto alla volta. Ancora tocca al Belgio servire da banco di prova per un attacco frontale (“Una operazione senza precedenti in un paese industrializzato” secondo il rapporto dalla Banca Mondiale), costi quel che costi. Tre mesi di lotte “senza precedenti” degli operai belgi hanno dimostrato che costa caro, molto caro. Ma il costo economico di un’ulteriore dilazione degli attacchi sarebbe tale che il capitale è ormai costretto ad accettare lo scontro aperto con gli operai.

Gli antisindacali di facciata, con le loro frasi tronfie di vuoto estremismo, proprio perché non hanno capito niente di quello che è successo negli ultimi tre anni, sono del tutto incapaci di vedere il cambiamento che sta per verificarsi sotto i loro occhi. L’esplodere di movimenti di massa come quello belga obbligherà i sindacati a organizzare manifestazioni imponenti per recuperare la combattività operaia, come quella di 200.000 operai il 31 Maggio a Bruxelles. Con quest’ira di dio che si prepara, i nostri ultraestremisti continuano a pontificare: “tanto alle manifestazioni sindacali non ci va nessuno”. Contenti loro …

L’intervento dei rivoluzionari non ha niente in comune con quello delle mosche cocchiere del sindacato

Per quello che ci riguarda, la nostra opposizione al sindacato poggia sulla base granitica della sua denuncia in quanto ingranaggio essenziale dello Stato borghese e non ha quindi bisogno di estremismi di facciata per risultare credibile. Forte di questa chiarezza, la CCI non solo interviene regolarmente nelle diverse manifestazioni sindacali, ma non esita a prendersi la responsabilità di invitare gli operai a parteciparvi in massa, quando ritiene che esista una dinamica operaia reale, che i sindacati vorrebbero cercare di controllare, e che può viceversa cogliere l’occasione della manifestazione per esprimersi e rafforzarsi. Ma già a questo punto si sentono le grida di sdegno dei nostri critici, più o meno in buona fede: “Trasformare le manifestazioni sindacali in reali momenti di lotta? Ma questa è la solita lagna di DP e degli altri reggicoda del sindacato!”. No, cari signori, si può fare confusione fra noi e DP solo se si vuole creare confusione fra gli operai e screditare le organizzazioni rivoluzionarie.

Per prima cosa il motivo per cui noi e DP interveniamo a queste manifestazioni è del tutto opposto. DP e soci della sinistra sindacale intervengono per cercare di modificare la “linea suicida” dei vertici sindacali, in modo da rafforzare il sindacato facendone “un sindacato combattivo. Questo è il miglior modo di combattere l’antisindacalismo” (volantino dei delegati di base delle miniere del Limburgo del 31/5/86). Noi comunisti interveniamo per far sì che le tendenze omicide degli operai verso il sindacato non siano un fuoco di paglia, ma si rafforzino e si consolidino attraverso il collegamento e l’unione dei vari settori proletari.

Noi non interveniamo nelle lotte accusando gli operai di non essere abbastanza radicali ed esigendo come primo passo la rottura definitiva col sindacato. Noi interveniamo prima di tutto per appoggiare la lotta, e per sostenere i mezzi e le scelte che permetterebbero di allargarla e rafforzarla, ma a questo punto non ci nascondiamo dietro un dito, facendo la proposta giusta ed aspettando poi che siano gli operai a rendersi conto da soli che il sindacato non la metterà mai in pratica. Fin dal primo momento diciamo apertamente ai lavoratori che la lotta si può estendere solo se si organizzano loro stessi per farlo, senza aspettare i sindacati, anzi accettando la realtà inevitabile di uno scontro tanto più duro coi sindacati, quanto più la lotta arriva ad allargarsi e a rafforzarsi.

A parte la denuncia aperta del ruolo controrivoluzionario dai sindacati, quello che permette di distinguere immediatamente le mosche cocchiere del sindacato dai rivoluzionari è che i primi vogliono applicare fino in fondo le consegne sindacali, vogliono percorrere fino in fondo la via indicata dai vertici, mentre i secondi indicano ai proletari una via diversa che scavalchi e demolisca le indicazioni smobilitanti dei vertici.

I comunisti non cercano di sfinire i settori più combattivi esaurendoli in scioperi isolati “ad oltranza”, ma dal primo momento danno ai settori più combattivi l’indicazione di andare a chiamare gli altri, di rafforzare la propria lotta estendendola ad altri settori, sottoposti al medesino attacco capitalista. E’ quello che hanno fatto i minatori dal Limburgo che, appena scesi in sciopero, sono andati in 300 ad un’assemblea di massa di ferrovieri di Bruxelles per difendere la necessità di scioperare insieme. Invece di esaurire le energie degli scioperanti in picchetti, fosse anche di massa, bloccati davanti alle fabbriche a guardarsi in faccia con la polizia, quello che ci serve sono dei picchetti di massa volanti, che si spostano da una parte all’altra, facendo partire in sciopero sempre nuovi settori (così all’inizio dello sciopero i minatori inglesi del Nord estesero il movimento ai pozzi del Galles, nel sud del paese; così i lavoratori del pubblico impiego di Bruxelles in sciopero si sono recati in massa a sostenere le fabbriche private che stavano entrando in lotta, come la FN-Liegi). Il rifiuto di estendere una lotta o l’estensione fatta solo a chiacchiere sono 1’indizio più sicuro per smascherare delle pretese avanguardie operaie cene veri sindacalisti di base.

I pochi esempi fatti finora bastano a chiarire che il nostro intervento alle manifestazioni sindacali non ha niente a che vedere con atteggiamenti opportunisti. E se qualche critico in mala fede fa finta di non saper distinguere tra comunisti rivoluzionari e mosche cocchiere del sindacato, i sindacati sanno invece distinguere benissimo e infatti non esitano a scatenare i loro servizi d’ordine non appena ci vedono.

Partecipare sì, partecipare no: un esempio concreto a Bruxelles

Di fronte all’enorme spinta all’unificazione delle lotte che si manifestava in tutto il paese i sindacati hanno deciso di utilizzarla, incanalando la combattività operaia in una mega-manifestazione il 31 Maggio a Bruxelles, in modo da sotterrare la lotta subito dopo. La CCI ha preso posizione denunciando il piano del sindacato e contemporaneamente chiamando gli operai a parteciparvi in massa per combattere in nodo organizzato le manovre di smobilitazione del sindacato. Questo appello ha ovviamente suscitato lo sdegno dell’intero ambiente rivoluzionario belga, che ci ha accusato di collaborare col sindacato per mettere fine agli scioperi. Allora vediamo un po’ che si doveva fare: boicottare la manifestazione, come qualcuno ha proposto apertamente e tutti hanno fatto nella pratica?

Ma questa manifestazione si teneva per volontà non del sindacato, ma dalle centinaia di migliaia di lavoratori che l’avevano votata all’unanimità in innumerevoli manifestazioni ed assemblee. Il fatto che il sindacato cercasse - ovviamente - di trasformarla in un funerale, non toglie niente al fatto che la manifestazione nasceva dalla volontà operaia di lottare insieme. Di fronte a questa volontà, espressione di una dinamica profonda all’unificazione, lanciare la parola d’ordine del “statevene a casa vostra” significava appoggiare, non combattere, la manovra di smobilitazione dei sindacati.

Non a caso, i sindacalisti di base di Cherleroi hanno raccomandato al settore di punta del movimento locale, i ferrovieri, di non andare a Bruxelles per protestare contro la moderazione dei vertici. Dietro il radicalismo di facciata si intravede chiaramente l’accordo di fatto con la preoccupazione dei vertici di impedire che i settori più combattivi si incontrassero alla manifestazione.

Contro queste manovre concentriche noi abbiano chiamato i lavoratori a scontrarsi apertamente con il piano di ripresa in mano sindacale e ad approfittare dell’occasione per stabilire contatti diretti fra operai di diversi settori e regioni. Alla prova dei fatti gli operai non sono arrivati ad organizzare autonomamente il collegamento fra i settori in lotta, ma la combattività da loro mostrata è stata più che sufficiente a sbriciolare i sogni di recuperare tutto da parte dei sindacati, come può ben testimoniare l’oratore ufficiale della manifestazione, che ha concluso il suo discorso gocciolante di coca cola tiratagli in faccia da un operaio.

Se gli operai più combattivi avessero lasciato campo libero ai sindacati, se i comunisti non fossero intervenuti con tutte le loro forze a sostenere le tendenze più avanzate fra i lavoratori, i sindacati avrebbero potuto contare su tutt’altro risultato.

Ma tutto questo è incomprensibile agli anti-sindacali di facciata, a coloro che odiano il none del sindacato, non la sua funzione antioperaia. Questa gente è dispostissima a battersi in prima fila per sostenere la tendenza operaia all’unificazione delle lotte, ma a condizione che i sindacati non si facciano vedere, che non contaminino con la loro presenza la purezza delle lotte operaie.

Aspettano la ripresa delle lotte, fiduciosi che questa si svilupperà liberamente ed autonomamente, senza mai dover fare i conti con le gabbie sindacali. Tutto il loro estremismo si riduce a questo, all’illusione di poter evitare uno scontro col sindacato che invece è inevitabile. Il Belgio ha appena dimostrato che il sindacato, invece di essere così gentile da scomparire alla ripresa delle lotte, si scatena letteralmente, moltiplicandosi per quattro e per trentadue, pur di mantenere un controllo ossessivo su ogni movimento della classe. Sarà capace di denunciarlo e combatterlo chi lo fa già da adesso, chi già da adesso non perde occasione per smascherare non solo i vertici sindacali, ma anche e soprattutto quelle tendenze sindacaliste che già oggi anticipano il comportamento del sindacato “radicalizzato” in periodo di lotte.

L’antisindacalismo di facciata come espediente per evitare lo scontro col sindacalismo di base

Difendere fino in fondo gli interessi della classe operaia significa scontrarsi, prima di tutto, con l’apparato di controllo statale sulla classe, il sindacato. Scontrarsi con i vertici sindacali è ancora rimanere a mazza strada: è anche e soprattutto con i loro “agenti nelle fila del movimento operaio” che bisogna scontrarsi, è con DP e soci, con la fitta rete di delegati “combattivi” che mantengono il contatto ed il controllo del vertice sulla base operaia. E qui cominciano i guai perché fare i conti con quest’area, per molte avanguardie, significherebbe fare i conti con se stessi. Il radicalismo di facciata con cui ad esempio le Rappresentanze sindacali di Base si dichiarano estranee al “falso dilemma se stare dentro o fuori del sindacato senza considerare che i lavoratori oggi, nel nostro paese, non hanno più il sindacato” (NOI, n°11, marzo ‘85) può, a prima vista, impressionare, ma solo “se non si considera” che sindacato non è solo CISL-UIL-CGIL, ma anche comitati cassintegrati, comitati per il SI al Referendum e tutta la multiforme realtà del sindacalismo di base. Da questa realtà sindacale le RdB, e tanti altri gruppi falsamente proletari, non stanno “fuori” per il semplice motivo che ne sono parte integrante. Sono gli stessi “estremisti” (Operai Contro, RdB, ecc.), che boicottano con disprezzo gli scioperi indetti dal sindacato, che poi corrono a quattro zampe a partecipare ai referendum-truffa indetti dal PCI per sviare gli operai dalla lotta. Si vede che l’unità fra gli operai è impossibile a realizzarsi in piazza, durante manifestazioni indette dal sindacato, ma è invece possibile, anzi scontata, quando gli operai sono isolati uno per uno nel chiuso di un seggio, ciascuno con il suo bravo pezzo di carta in mano. Gli stessi Gruppi Operai, che fanno riferimento ad Operai Contro, che sparano a zero sull’opportunismo dell’OCI, messa sullo stesso piano di DP, non trovano poi di meglio che organizzare manifestazioni congiunte con DP, quando si tratta di trascinare a forza gli operai a votare, votare, votare[3]. Non parliamo poi dei mangia sindacalisti che continuano regolarmente a scavarsi la loro nicchia di delegati nei CdF … per mettere in crisi il sindacato, ovviamente.

In conclusione, buona parte delle rotture col sindacato oggi in circolazione sono in realtà rotture con la necessità di fare chiaramente i conti con ogni forma di sindacalismo, sono alibi per riciclare lo stesso veleno sindacale sotto una facciata diversa.

A questo proposito è importante sottolineare che il logico complemento della falsa idea che ogni movimento in cui si immischi il sindacato sia anti-proletario, è l’altrettanto falsa idea che ogni organismo fermamente autonomo dal sindacato sia automaticamente proletario. Il risultato di queste illusioni è che molti compagni che arrivano finalmente a rendersi conto che “oggi è profondamente arretrato ed inutile militare nel sindacato”, pensano poi di aver fatto chissà quale passo avanti annunciando che d’ora in poi: “è necessario essere politicamente presenti in ogni tentativo di percorso organizzativo esterno al sindacato, anche se egemonizzato dalla sinistra sindacale e dai revisionisti[4]. Ma questo modo di porre la questione rischia di falsarla fin dall‘inizio: gli operai intruppati in questi organismi sindacali alternativi, laddove esistono, non sono più proletari di quelli intruppati nei sindacati ufficiali. Il nostro lavoro militante deve tendere a strappare questi e quelli all’influenza borghese veicolata dalle varie forme di sindacalismo. L’alternativa per i comunisti non è dunque lavorare nei sindacati ufficiali o in quelli alternativi, l’alternativa rivoluzionaria al sindacato è stare fuori da entrambi, e lavorare verso i proletari che vi sono imprigionati. Come non c’è bisogno di essere delegati per intervenire alle assemblee e manifestazioni convocate dal sindacato, così non c’è bisogno di aderire alle RdB o ad altre formazioni parasindacali per difendere le posizioni di classe fra i proletari che le seguono.

Nei fatti l’incapacità di vedere che il sindacalismo di base è una semplice appendice al sindacato è strettamente legata all’incapacità di comprendere che il sindacato stesso non è che un’appendice dello Stato borghese. E’ quanto cercheremo di dimostrare in modo più approfondito nel seguito di questo articolo.

Beyle


[1] Vedi affermazioni tipo “uno dei pochi mezzi per far sentire la voce di chi dissente ... è di non partecipare agli scioperi per il contratto” o “molti operai hanno espresso la loro volontà di rompere col sindacato non collaborando in eventuali scioperi” (Operai Contro n°83, pp. 2 e 3).

[2] Vedi articolo sulla crisi economica mondiale in questo numero.

[3] Dibattito per il SI al Referendum organizzato da DP e Gruppo Operaio FIAT Trattori a Modena. Il manifesto di convocazione è orgogliosamente riprodotte su Operai Contro n°26.

[4] Intervento di “alcuni compagni di Firenze sul n°20 del Bollettino del Coordinamento Comitati contro la repressione”, citato nel che Fare n°5.

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