La crisi economica si abbatte sul sistema Italia

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Sono ormai due anni che quest’ultima crisi economica si è messa in moto e non si vede ancora la fine, si ipotizza solo che durerà almeno fino al 2010. Sono stati bruciati miliardi e miliardi di euro e dollari, sono crollati interi settori economici e soprattutto finanziari. Grandi e storiche banche, famosi istituti finanziari - la crema della crema a livello mondiale - sono scomparsi nel nulla. Milioni di lavoratori, soprattutto degli istituti di credito, sono stati mandati a casa; i più fortunati hanno cambiato lavoro, altri sopravvivono in mille modi. In America non si contano le famiglie che hanno perso la casa, non si contano i settori in fallimento; in altri paesi si è arrivati quasi alla bancarotta dello Stato, come in Islanda, salvata in extremis da altri paesi che le hanno stretto il cappio intorno al collo. Il valore di molte valute è crollato nei confronti dell’euro, che ha tenuto perché ha una base abbastanza larga: d’altra parte il motivo per cui è stato creato è proprio quello di tenere nei momenti critici. L’Italia ha vissuto questa crisi come di riflesso, nessuna banca è crollata, nessun istituto di credito o assicurazione è stato salvato dallo Stato. Come mai? Qualcuno ha detto che è dovuto al fatto che le banche italiane “non parlano inglese”, cioè non sono molto integrate nel sistema finanziario mondiale, non hanno acquistato crediti ad alto rischio, come quelli che hanno fatto crollare le gigantesche banche americane specializzate nei mutui ipotecari. È vero, avendo l’Italia un vecchio sistema creditizio, è riuscita a non precipitare come gli altri perché non era entrata con grande impeto nel giro vorticoso dell’acquisto dei pezzettini di torta avvelenata della finanza creditizia.

Ma come mai anche l’Italia sta subendo la stessa crisi mondiale, è in piena recessione e sta perdendo molto sul piano della competizione capitalista?

La questione è che la crisi dei mutui è stata solo l’elemento scatenante dell’attuale crisi. Il mercato americano - e di conseguenza quello mondiale - è andato avanti per decenni perché è stato sostenuto dal credito. I finanziamenti a credito funzionano solo se c’è la possibilità di onorare il credito, altrimenti si rischia la diminuzione del profitto o la bancarotta della banca creditrice. Quindi, la vera causa della crisi non è il mancato pagamento dei mutui, ma la crisi dell’economia reale, cioè quella relativa alla produzione e alla vendita delle merci. Meno merci vendute corrispondono ad un aumento della disoccupazione, ad un taglio dei costi e dei salari, ad un aumento dei fallimenti, ecc. Questo ha portato all’impossibilità di pagare i mutui da parte di molti di lavoratori e altre categorie.

Anche in Italia la crisi produttiva era già presente prima dell’inizio di questa crisi dei “mutui subprime”. Il sistema italiano già non riusciva a competere con gli altri grandi paesi capitalisti da molto tempo, ogni anno perdeva punti, il Pil aumentava sempre di meno, si perdevano segmenti di mercato e il debito pubblico aumentava. Adesso che l’Italia è in piena recessione, la situazione sta diventando sempre più drammatica, la mancanza o la riduzione del credito, già evidente da anni, porta alla chiusura di fabbriche, alla cassa integrazione e al licenziamento. Il settore industriale non dedica risorse alla ricerca, non innova, cerca solo di svuotare il magazzino per fare cassa. Tutti gli stati in situazioni come questa fanno protezionismo in mille forme diverse, finanziano ristrutturazioni, sostengono i settori innovativi, potenziano le infrastrutture. Obama investe circa 780 miliardi di dollari (all’interno di un quadro di 10.300 miliardi di dollari) per restituire fiducia ai consumatori e far ripartire il sistema e Berlusconi dice che metterà “a disposizione del sistema 40 miliardi di euro per i prossimi 3 anni e che potrà arrivare anche fino a 80 miliardi con i fondi europei”. Il tutto, forse, se l’è inventato sul momento, com’è solito fare, di sicuro è che il debito pubblico ha stabilito un nuovo record a novembre. Siamo a 1.686,558 miliardi di euro.

Questi fumosi soldi serviranno forse a non fare crollare del tutto il settore auto della Fiat e a salvare qualche grande fabbrica dal fallimento, ma non saranno in grado di dare slancio ad una economia che ha bisogno di ben altro. L’operazione “social card”, del valore di 450 milioni (40 euro al mese per 800 mila persone) non ha alcun impatto sull’economia reale, serve solo come campagna pubblicitaria sulla questione della povertà, ma non risolve granché: regalare una cena sposta il problema solo di un giorno. La situazione che si prospetta davanti a noi è estremamente drammatica, anche se le campagne televisive ci dicono che gli italiani continuano a comprare telefonini e cose simili, come a dire che i soldi ci sono e la crisi in effetti non esiste.

Già prima dell’inizio di questa fase della crisi, in molti servizi televisivi si annunciava un aumento sostanziale della povertà in Italia e una diminuzione del reddito familiare: adesso questi valori negativi aumenteranno e sarà sempre peggio perché non si vede e non c’è alcuna via d’uscita1.

I sindacati, in questo contesto, hanno attuato le consuete strategie per dividere i lavoratori: scioperi e manifestazioni settore per settore (il 23 gennaio nelle ferrovie, il 13 febbraio quello dei metalmeccanici, ecc.), piattaforme di lotta fumose, azioni contro altri lavoratori, disinformazione sulle lotte (quanti hanno saputo che il 5 febbraio gli operai della Fiat di Pomigliano sono stati caricati dalla polizia perché protestavano contro la cassa integrazione per 5.000 della Fiat più 8.000 nell’indotto?). Ed ancora una volta la CGIL fa la “tosta” non firmando gli accordi per poter dimostrare ai lavoratori che, a differenza degli altri sindacati, non cede ma anche per prepararsi a contenere, e cavalcare una possibile contestazione autonoma dei lavoratori. Pericolo, per la borghesia, non remoto in quanto già con la vertenza Alitalia ci sono stati momenti di contestazione dei sindacati e iniziative di assemblee autonome.

Di fronte ad una crisi senza soluzione che logora, ogni giorno che passa, le condizioni di vita di una massa crescente di lavoratori, di disoccupati, di precari, di giovani senza futuro matura la consapevolezza che è l’insieme della classe lavoratrice a pagarne le spese. Il ruolo essenziale del sindacato sarà dunque ancora di più quello di separare gli uni dagli altri ed evitare che la rabbia si trasformi nella presa di coscienza che l’unica via d’uscita per i lavoratori è prendere la lotta nelle proprie mani, puntando ad una vera unità tra le differenti categorie di lavoratori, tra le diverse generazioni di proletari.

E, per l’insieme della borghesia, l’obiettivo sarà sempre più evitare che i proletari si rendano conto che, dopo questa crisi, ce ne saranno altre e peggiori, che l’unica alternativa è il superamento del capitalismo.

Oblomov, 19/02/09

1. Sulle cause di fondo della crisi vedi l’articolo “La più grave crisi economica della storia del capitalismo”, Rivista Internazionale n.30, sul nostro sito.

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