Occupazione di una fabbrica a Chicago. Nessuna tregua per Obama

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Nel dicembre scorso i dipendenti dell’impresa “Republic Window and Door” di Chicago, nell’Illinois, hanno occupato la fabbrica per sei giorni. Questo episodio ha costituito uno dei momenti più significativi della lotta della classe operaia americana degli ultimi anni. Neanche l’euforia dell’elezione di Obama con le sue promesse di “cambiamento” ha potuto evitare che la collera operaia si trasformasse in una lotta di resistenza contro l’aggravamento della crisi economica e contro gli attacchi alle loro condizioni di vita.

Alla luce delle campagne mediatiche che hanno celebrato e glorificato l’occupazione di questa fabbrica è importante essere chiari sul significato reale di questi avvenimenti. Il New York Times ha dichiarato in un editoriale “la vittoria del lavoro arriva tra segni d’insoddisfazione crescente per l’estensione dei licenziamenti” aggiungendo che questi lavoratori “erano diventati il simbolo nazionale del malcontento operaio rispetto ai piani di licenziamenti che colpiscono il paese”1. Ma il Times ha ragione solo in parte. Si, la lotta ha dimostrato che la combattività operaia aumenta per resistere all’ondata di licenziamenti culminata con 1,7 milioni di operai in più gettati nelle liste dei disoccupati o dei lavoratori al nero nel corso di questi ultimi undici mesi. Ma non ci sono stati “successi”, niente a che vedere con quello che i politici, i gauchisti ed i media presentano come una “vittoria degli operai”. La combattività degli operai è evidente. Secondo i giornali l’idea dell’occupazione della fabbrica è venuta dal sospetto che l’azienda volesse rimuovere le macchine e gli impianti dalla fabbrica (quando ancora non si sapeva che la compagnia aveva deciso di chiudere la fabbrica e di sacrificarla a profitto della Echo Windows LLC a Red Oak, nello Iowa, dove i salari ed i costi di produzione sono molto più bassi).

Il 2 dicembre la direzione ha annunciato che tutti gli operai sarebbero stati messi alla porta nei tre giorni successivi senza alcuna indennità di licenziamento e senza alcun pagamento dei giorni di congedo accumulati. In seguito ha dichiarato che l’assistenza sanitaria non sarebbe più stata presa in carico dall’impresa. Gli operai hanno risposto con la decisione unanime di occupare la fabbrica, rischiando l’arresto per atti di trasgressione e per aver preso il controllo dell’inventario dell’impresa per gli ordinativi di infissi.

Gli operai hanno organizzato l’occupazione con una turnazione di equipe, assicurando l’ordine e le condizioni sanitarie adeguate, bandendo alcool e droghe e hanno iniziato immediatamente ad attirare l’interesse dei media. Nelle dichiarazioni rilasciate ai media è subito risulto evidente che la lotta era contro i licenziamenti, per salvaguardare il lavoro e la sussistenza per le loro famiglie. Un operaio ha detto “Lavoro qui da trent’anni e devo battermi per sfamare la mia famiglia”. Un altro che la sua donna stava per mettere alla luce il loro terzo figlio, ma lui non aveva più alcuna copertura sanitaria.

Come nel 2005, quando una gran parte della classe operaia sostenne la lotta dei lavoratori dei trasporti di New York, gli operai di Chicago e dell’intero paese hanno risposto manifestando una forte solidarietà di fronte alle difficoltà incontrate dagli scioperanti. Delle persone sono andate alla fabbrica per portare da mangiare e soldi: tutti hanno capito che si trattava di una lotta esemplare per lottare contro l’insieme dei licenziamenti. Quelli dell’United Electrical, del sindacato degli operai delle macchine e delle radio (Radio and Machine Workers Union), un piccolo sindacato indipendente (35.000 membri a livello nazionale) e non affiliato all’AFL-CIO (dalla quale è stato escluso all’epoca della guerra fredda a causa dei suoi legami con il partito comunista stalinista) è subito intervenuto per cercare di deviare la lotta contro i licenziamenti sul terreno della legalità borghese.

Invece di opporsi alla chiusura della fabbrica ed ai licenziamenti, questo sindacato ha chiesto che l’impresa rispettasse una legge nazionale secondo la quale, in caso di chiusura dell’impresa gli operai devono ricevere un’indennità di licenziamento ed il pagamento dei giorni di congedo accumulati fino a quel momento – in questo caso circa 3.500 dollari a persona. La sinistra e varie celebrità politiche, come il reverendo Jesse Jackson e dei rappresentati della città al congresso, hanno a loro volta cavalcato l’onda andando a visitare gli operai della fabbrica e reclamando il pagamento di queste indennità. I leader politici si sono premurati di intervenire localmente per paura che il movimento potesse estendersi. Anche il futuro nuovo presidente Obama ha “sostenuto la lotta degli operai della fabbrica” insistendo perché il danaro “dovuto” fosse dato loro.

Alla fine dei sei giorni è proprio questa la “vittoria” celebrata dalla sinistra e dai media: le banche all’origine della riorganizzazione dell’impresa sono state d’accordo a dare agli operai i 3.500 dollari che gli spettavano. Chiaramente meglio questo che niente! Ma questo denaro sparirà presto dalle tasche degli operai che invece resteranno senza lavoro e senza copertura sanitaria. Gli operai che hanno occupato la fabbrica erano stati molto chiari sul fatto che quello che volevano era conservare il posto di lavoro. Invece far deragliare la lotta è stato il ruolo principale giocato dai sindacati per conto del capitalismo di Stato. Il lavoro essenziale dei sindacati è cortocircuitare ogni possibilità di polarizzazione e di generalizzazione della lotta operaia, di bloccare la dinamica degli operai verso al comprensione cosciente che il capitalismo non ha alcun futuro da offrire.

Quello che è successo a Chicago va messo in parallelo con quanto avvenne all’epoca degli scioperi nelle industrie automobilistiche negli anni ’30. In quei giorni gli operai si battevano per aumenti salariali e per migliorare le loro condizioni di lavoro, ma il sindacato United Auto Workers indirizzò lo scontro sul piano della lotta per il riconoscimento del sindacato. Negli anni ’70 giovani operai della Western Electric division della Bell System cercarono di resistere ai massicci licenziamenti per sentirsi poi dire che il sindacato si era preparato a battersi soltanto per ottenere le loro indennità con pagamenti dilazionati in modo da pagare meno tasse.

E’ facile per i sindacati ottenere tali “vittorie” che alla fin fine lasciano sempre gli operai senza lavoro e di fronte ad un avvenire distrutto. E questo non è un fenomeno specifico agli Stati Uniti. Recentemente in Cina, col peggioramento dell’economia, sono scoppiate lotte simili con occupazioni di fabbriche.

L’esaltazione delle occupazioni di fabbriche da parte dei media e dei gauchisti è un altro aspetto della sconfitta. E’ vero che l’occupazione di una fabbrica esprime una combattività, una volontà degli operai di resistere e di ricorrere anche ad azioni “illegali”. Tuttavia l’esperienza storica della classe operaia, dopo il movimento di occupazione delle fabbriche degli anni ’20 in Italia e del ’68 in Francia, dimostra che queste occupazioni possono diventare delle trappole quando portano alla chiusura ed all’isolamento.

Per la classe operaia è vitale estendere la lotta ad altri luoghi di lavoro ed altre fabbriche, generalizzare la lotta il più possibile inviando delegazioni, organizzando incontri di massa e manifestazioni per attirare altri lavoratori nella lotta. Da “sostegno” passivo con espressioni di simpatia e di contributi economici, la solidarietà si trasforma allora in solidarietà attiva di lotte che si congiungono e si uniscono. Al contrario l’occupazione della fabbrica può permette più facilmente ai sindacati, questi agenti della classe dominante, di imprigionare gli operai combattivi nella fabbrica, di isolarli dagli altri lavoratori e di impedirgli anche di essere dei catalizzatori attivi dell’estensione della lotta fuori dal controllo sindacale.

E’ chiaro che c’è stata una solidarietà immensa verso gli operai di Chicago. Ma per la classe operaia la solidarietà più profonda è legata alla presa di coscienza che tutti gli operai, quali che siano le specificità del proprio lavoro, condividono la stessa condizione, lo stesso destino e devono portare avanti la stessa lotta. Ce ne freghiamo di quello che è “legale” o di quello che è conveniente per i padroni. Noi dobbiamo batterci per quello che fa gli interessi di tutti i lavoratori, perché non ci siano licenziamenti, perché nessuno sia buttato in mezzo alla strada. Piuttosto che restare chiusi nella fabbrica gli operai della Republic avrebbero dovuto andare di fabbrica in fabbrica nella regione di Chicago, inviare delegazioni in altri posti di lavoro dicendo ai lavoratori di unirsi alla lotta ed esigere di porre immediatamente fine ai licenziamenti ed alla chiusura di luoghi di lavoro. Una tale lotta non sarebbe mai stata salutata e celebrata dai media, dai sindacati, dai politici di sinistra o dal presidente Obama.

Una tale lotta verrebbe denunciata perché rappresenterebbe una minaccia per l’ordine capitalista.

Il terribile stato in cui si trova oggi la classe operaia deve far rigettare ogni idea di tregua per il futuro regime di Obama, così come ogni illusione che “qualche cosa di buono” potrà arrivare con la nuova amministrazione. Al contrario questo stato richiede lo sviluppo della lotta di classe.

J. Grevin, 15 dicembre 2008

Tradotto da Internationalism, organo della CCI negli Stati Uniti

1. https://www.nytimes.com/2008/12/13/us/13factory.html

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