Terremoto in Emilia: la vera catastrofe non è la “natura” ma il capitalismo

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Di nuovo morti sotto le macerie, di nuovo migliaia di famiglie ridotte allo stremo delle forze fisiche e psicologiche, impaurite dalle continue scosse ma anche, e soprattutto, dalla prospettiva di non poter avere più una casa, un lavoro, una vita “normale”.

Certo un terremoto è un evento naturale che l’uomo non può impedire né modularne l’intensità, ma l’effetto devastante e distruttivo di un tale evento non è necessariamente altrettanto “naturale” e “incontrollabile”. Così come poteva non esserlo quello del terremoto in Abruzzo del 2009 o quello ad Haiti del 2009; né dell’alluvione di Sarno e Quindici del 1998, dove fu il dissesto idrogeologico della zona a generare un mare di fango che distrusse vite umane ed interi paesi; così come la catastrofe nucleare di Fukushima del 2011 non è stata una “inevitabile conseguenza” del “naturale” maremoto nel mare del Giappone.

Oggi la scienza e la tecnologia potrebbero permettere non solo di prevedere molti degli eventi naturali e quindi di prendere le misure necessarie (come ad esempio allertare ed evacuare le zone a rischio com’era possibile fare ad Haiti) ma anche costruire edifici antisismici, monitorare lo stato delle vecchie costruzioni, mettere in sicurezza le zone disboscate, e così via.

Ma la realtà è che per il capitalismo la vita umana conta ben poco. Tanto più che a morire sono soprattutto operai schiacciati sotto il peso dei capannoni crollati, strutture molto più semplici da costruire e probabilmente costruite male non tanto per risparmiare ma per l'assoluto disinteresse del capitale per la vita umana. Quello che veramente conta è il profitto e se non si ha un utile immediato nel fabbricare case, fabbriche ed edifici pubblici antisismici, nel fare opere di contenimento dei fiumi e delle montagne disboscate, se è meno oneroso costruire delle centrali nucleari lungo la costa o se è troppo oneroso evacuare migliaia e migliaia di persone, anche se si conosce il pericolo che incombe, non lo si fa preferendo poi appellarsi alla natura crudele. A Napoli, durante il terremoto che colpì la Campania nel 1980, a cadere non furono le case vecchie di centinaia e centinaia di anni, addirittura del periodo feudale, ma un palazzo in cemento armato di recente costruzione.

Immaginarsi poi in un capitalismo decadente affetto da una crisi economica senza soluzione. Come si può sperare che si punti alla sicurezza delle persone quando, anche senza alcun terremoto, crollano i soffitti delle scuole di mezza Italia e 4 scuole su 10 sono complessivamente a rischio, quando tanti ospedali cadono a pezzi e le case se hanno un minimo di manutenzione è solo grazie allo sforzo personale di chi se lo può ancora permettere?

E che dire della distruzione del patrimonio artistico? Palazzi, chiese, edifici rimasti in piedi per secoli a testimonianza della storia della comunità umana oggi crollano in Emilia come nel 2009 sono crollati in Abruzzo e prima ancora in Campania. E’ tutta colpa del terremoto? E’ ben difficile pensarlo quando pezzi del Colosseo si sbriciolano, quando ogni tanto crolla una casa del sito archeologico di Pompei. Sono pezzi della cultura storica dell’umanità che rischiano di scomparire per sempre perché … non ci sono i soldi!

Tutto questo manifesta la follia di questo sistema.

Ancora una volta ecco i grandi discorsi sulla ricostruzione. Il governo Monti si è impegnato a ridare le case, far ripartire l’economia delle zone colpite dal sisma, ecc., ecc. Ma di “ricostruzione” c’è una lunga e triste esperienza in Italia.

Nel centro storico di Napoli, dal terremoto dell’80 (cioè da 32 anni fa!), ci sono ancora palazzi fatiscenti che si reggono in piedi perché ingabbiati dai tubolari costruiti all’epoca per non farli crollare. E molti di questi sono ancora abitati. Due quartieri di Torre Annunziata (vicino Napoli) distrutti dal terremoto sono stati ricostruiti in parte e poi abbandonati lasciandoli in balia del degrado totale. Molti paesi dell’Irpinia sono città fantasma.

E la ricostruzione dell’Abruzzo? Idem. Paesi dimenticati e la stessa città dell’Aquila resta ancora con le macerie a terra e palazzi pericolanti. Allora c’era il governo Berlusconi e tutta la responsabilità fu scaricata sulla sua inefficienza ed il suo malaffare, tanto che il film della Guzzanti, “Draquila” fece grande audience. Ma prima, in Campania, Berlusconi non c’era così come non c’era all’epoca dell’alluvione di Sarno, ad Haiti o a Fukushima.

Adesso il governo Monti mette le mani avanti dicendo che c’è la crisi e …. Intanto a farne ancora una volta le spese sarà la gente che ha perso i suoi cari sotto le macerie, che ha perso la casa, il lavoro perché l’impresa dove lavorava è in difficoltà. E tutto questo gran parlare che si sta facendo sulla necessità di ricostruire il tessuto economico fatto di piccole e medie imprese di queste zone quali basi solide può avere quando l’intera Italia, l’intera Europa e l’intero mondo vede il sistema economico complessivo sgretolarsi?

Eva, 15-6-2012

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