Elezioni e Referendum: passata l’orgia elettorale i lavoratori dovranno fare i conti con i problemi di sempre

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Con i referendum del 12 e 13 giugno si conclude quest’altra orgia della “democrazia” su cui è stata accentrata l’attenzione degli italiani negli ultimi mesi. Ora tutti a discutere su chi ha vinto e chi ha perso. Ma cambia davvero qualcosa per le condizioni di vita dei lavoratori se a vincere è stata una parte invece dell’altra? Noi pensiamo di no, e cercheremo ancora una volta di argomentarlo, anche se analizzare il risultato delle elezioni è comunque utile per capire cosa sta accadendo all’interno della borghesia italiana.

Il primo dato importante è quello sull’affluenza: alle provinciali ha votato il 59,62% degli aventi di­ritto, contro un 60,88% delle precedenti elezioni, e un 71,04% alle comunali, contro il 72,85% delle precedenti elezioni; si registra quindi un calo dell’affluenza alle amministrative 2011, sia per le co­munali sia per le provinciali. In altri termini il primo partito in Italia è quello degli astenuti, segno che la farsa elettorale convince via via sempre di meno. La vittoria tra i contendenti è andata al cen­trosinistra che ha conquistato 29 tra comuni e province contro i 12 andati al centrodestra, con alcuni comuni strappati dal primo al secondo (tra cui importantissimo quello di Milano). Anche in termini di voti raggiunti il partito di Berlusconi e la Lega perdono consensi, mentre a sinistra il PD perde, rispetto alle precedenti amministrative, mentre ottengono buoni risultati gli altri partiti della coali­zione[1]. Il risultato del PD ci porta a dire che il vero significato del risultato è che non è stato il centrosinistra a vincere, quanto il centrodestra a perdere. Per dirlo in altri termini, in una situazione in cui la gente perde fiducia verso questo strumento, prevale chi perde meno consensi, o chi ha dalla sua parte candidati che hanno le sembianze di qualcosa di nuovo rispetto alla solita solfa, ai soliti visi. E’ indubbio infatti che laddove la vittoria del centrosinistra è stata più significativa, Milano e Napoli[2], questa vittoria non ci sarebbe stata se i candidati non fossero stati un Pisapia e un De Magistris, entrambi non espressione del PD, e candidati capaci di conquistare un consenso persona­le che va ben al di là dei partiti di cui sono espressione.

Nei fatti a perdere veramente è stato Berlusconi, che aveva lui stesso politicizzato queste elezioni locali e ne aveva quasi fatto un referendum sulla sua persona (a Milano era capolista alle comunali e ha visto dimezzare i suoi voti di preferenza)[3]. E quindi il vero dato politico da analizzare è proprio questo.

Berlusconi non è mai stato molto simpatico alla borghesia italiana, per certi lati del suo carattere (lui veramente si crede Napoleone) e perché espressione di una frazione della borghesia che non ama giocare con le carte pulite (massoneria e centri del malaffare), ed infatti ci sono imprenditori che non hanno nascosto le loro antipatie (Diego Della Valle, padrone della Tod’s, da sempre, e Luca di Montezemolo, presidente della Ferrari, in maniera chiara di recente). Tuttavia Berlusconi ha costituito una vera ancora di salvezza per la borghesia in un momento di massima difficoltà per que­sta a far funzionare la mistificazione democratica, quando sono spariti, sotto i colpi del pool Mani Pulite i principali partiti del centrodestra o comunque al governo da decenni, Democrazia Cristiana, Partito Liberale e Partito Socialista.

La sparizione di DC e PSI dalla scena politica ha reso vacante il lato destro dell’apparato politico borghese, con la conseguente difficoltà a mantenere il fulcro centrale della mistificazione elettorale, che è la possibilità dell’alternanza destra-sinistra. E’ questo vuoto che Berlusconi ha colmato, met­tendo a disposizione della borghesia il suo apparato aziendale e le sue indubbie capacità di vendito­re abile a piazzare le sue merci.

Per diversi anni Berlusconi ha dimostrato di poter rappresentare gli interessi della borghesia, alter­nandosi, laddove era necessario, con la sinistra al governo. Ma negli ultimi anni, ed in particolare da quando la crisi ha subito la brusca accelerazione del 2007-2008, l’azione del governo è stata molto al disotto di quanto la borghesia italiana necessitava per difendere i propri interessi sull’arena inter­nazionale. E questo da diversi punti di vista: economico, politico (imperialista), ed anche di imma­gine.

Dal punto di vista economico, il capitale italiano ha perso molte posizioni in termini di competitivi­tà con gli altri paesi occidentali (ed oggi anche nei confronti della Cina); la “crescita” del Prodotto Interno Lordo è da un decennio almeno più lenta di quella dei suoi concorrenti, e questo a dispetto di un debito pubblico che è il più alto d’Europa e di un deficit che è inferiore solo a quello dei paesi che stanno sull’orlo del fallimento (come Grecia e Spagna, per esempio). In altri termini, se la crisi economica ha toccato tutta l’economia capitalista, nel tentativo di restare a galla l’Italia è uno dei paesi che ci riesce con maggiori difficoltà.

Dal punto di vista della difesa dei propri interessi imperialisti Berlusconi pure dimostra delle debo­lezze, non certo perché non persegue una politica imperialista (vedi avventure guerriere in Iraq o in Afganistan), ma perché lo fa con una grande incoerenza e, a volte, mettendo davanti agli interessi generali i suoi personali: vedi la politica verso la Russia di Putin, troppo di apertura rispetto agli in­teressi delle altre potenze occidentali, o la sua amicizia verso Gheddafi che lo hanno portato ad esi­tare molto prima di intervenire in Libia a difesa degli interessi imperialisti italiani, e solo quando la Francia e la Gran Bretagna avevano già preso l’iniziativa.

Dal punto di vista dell’immagine, Berlusconi come premier non fa che rendere ridicola l’Italia agli occhi sia della popolazione interna che, soprattutto, internazionale: un premier che dice di aver cre­duto che Ruby fosse la nipote di Mubarak, che fa le corna nelle foto ufficiali dei grandi vertici inter­nazionali, che gioca a nascondino con la cancelliera tedesca Merkel, non è certo qualcuno a cui gli altri leader possono rivolgersi per un confronto sui grandi temi, per concertare accordi seri, per ve­dere quali alleanze creare nei conflitti internazionali, e così via… Ma soprattutto con le sue vicende personali di malcostume, corruzione e malaffare, Berlusconi discredita lo Stato ed il suo apparato agli occhi dei lavoratori.

Perciò Berlusconi è diventato un peso di cui liberarsi, e questo già da un po’ di tempo. Come abbiamo più volte analizzato, quello che ha fatto esitare la borghesia finora è stata la mancanza di un’alternativa credibile: il principale partito di opposizione, il PD è bravissimo a dividersi, spesso proprio in vista di scadenze importanti[4]4; il progetto di grande centro di Casini si è dimostrato ben poca cosa, anche a queste elezioni. Insomma ce n’è di che dubitare di riuscire a sostituire Berlusconi con un governo credibile e capace di durare (non dimentichiamoci che il precedente governo di centrosinistra, quello di Prodi del 2006, è caduto dopo due anni per la fragilità della coalizione che lo costituiva). Intanto la situazione, soprattutto quella economica, richiede un cambiamento di rotta, per cui il risultato delle elezioni amministrative va letto come un vero e proprio ultimatum a Berlusconi: o cambi rotta o te ne vai, con le buone o con le cattive. Il fatto che in questi giorni Berlusconi insista tanto con Tremonti per fare la riforma fiscale, sta a significare che ha capito il messaggio, anche se è difficile dire come andrà a finire nell’immediato futuro.

Come andrà a finire nelle vicende dell’apparato politico borghese non si può ancora dire, mentre possiamo stare sicuri che per i lavoratori che resti Berlusconi o che venga sostituito da un altro, non ci possono essere che ulteriori sacrifici. Quegli stessi sacrifici che i governi di destra, come in Gran Bretagna e Francia, o di sinistra, come in Spagna e Grecia stanno imponendo da più di un paio di anni, senza che i relativi paesi escano fuori dalla crisi o addirittura dalla minaccia di bancarotta.

Ma, potrebbe dire qualcuno, almeno i referendum ci hanno portato qualcosa di buono, “hanno vinto gli interessi della gente”. Davvero? Anche ammettendo che ci fossero settori seri ed importanti della borghesia italiana a volerlo e che fosse possibile farlo, cosa impedirà di fare una nuova legge che lo consenta? Nel 1984 non c’era stato un altro referendum contro il nucleare e a suo dispetto Berlusconi non aveva fatto un’altra legge per renderlo possibile? Lo stesso potremmo tranquillamente dire per gli altri referendum: questo strumento è solo abrogativo di leggi esistenti, ma non impedisce che vengano varate altre leggi in sostituzione di quelle abrogate.

In realtà i referendum un risultato lo hanno ottenuto, ed è quello di controbilanciare la sfiducia cre­scente dei lavoratori verso lo strumento elettorale, riuscendo addirittura a creare entusiasmo per il suo risultato, che è stato letto non solo come la vittoria sulle questioni sottoposte a referendum, ma anche come un avviso di sfratto per Berlusconi. In questo senso, se una vittoria politica c’è stata, è stata quella della mistificazione democratica, che costituisce l’antitesi della necessaria mobilitazione di piazza dei lavoratori per difendere i propri interessi materiali, come hanno fatto i lavoratori della Fincantieri negli stessi giorni della campagna elettorale. Una vittoria politica certo momentanea, perché passata l’ubriacatura elettorale i lavoratori torneranno a dover fare i conti con i licenziamenti, la cassa integrazione, i contratti schiavistici e la precarietà crescente e questo non po­tranno contrastarlo se non con la loro lotta di massa, come stanno facendo i loro fratelli di classe in Spagna o in Grecia in questi stessi giorni.

Elios, 13/06/2011



[1] O autonomi rispetto a questa, come i seguaci di Grillo. Questo risultato conferma il discredito dell’apparato politico ufficiale che si sviluppa fra la popolazione, e il cui primo risultato è l’aumento dell’astensione.

[2] Più significativa perché a Milano erano decenni che il centrosinistra non vinceva, e a Napoli, perché i disastri combinati dalla coppia Bassolino-Iervolino davano per scontata la sconfitta del centrosinistra.

[3] Anche la sconfitta della Lega è da attribuire alla sua troppo poco critica alleanza con Berlusconi, che comincia a stancare gli elettori della Lega, come testimoniato dai tanti interventi fatti in questo senso dai seguaci della Lega a Radio Padania.

[4] . Alle ultime elezioni politiche, Berlusconi ha vinto con molto meno del 50% di voti, ma il PD aveva scelto di andare al voto da solo per cui era chiaro che non avrebbe vinto. Alle comunali di Napoli (dove già sarebbe stato difficilissimo vincere) ha dato lo squallido spettacolo di primarie truccate!

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