America Latina. Come in ogni paese capitalista, a Cuba i lavoratori pagano la crisi

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L’acuirsi della crisi capitalista si vede senza dubbio nell’aggravamento delle condizioni di vita della classe operaia; ma se questi attacchi ci sono è perché la borghesia vede i suoi profitti messi in discussione. La crisi non è qualcosa che la classe dominante cerca con premeditazione, né tantomeno viene da fattori esterni al sistema capitalista, ma è l’espressione delle contraddizioni di questo. E questa crisi, che affligge il capitalismo dalla fine degli anni sessanta, ad ogni momento recessivo conosce una profondità maggiore che viene scaricata sui lavoratori in ogni parte del pianeta.

Intorno alla crisi la borghesia sviluppa tutto un velo ideologico che, se non le permette di evitarla, permette però di mistificare la realtà, giustificare i suoi attacchi e l’esistenza stessa del capitalismo. Un esempio maggiore di questa dinamica si nota a Cuba, dove le relazioni di produzione capitalista dominanti, che si basano sullo sfruttamento del lavoro salariato, si nascondono dietro lo statalismo e nell’uso ingannevole di un vocabolario radicale, qualificando i colpi dati agli operai come “sacrifici necessari per il socialismo”. L’aggravamento della crisi capitalista ha portato alla messa in atto di un’ondata di attacchi contro le condizioni di vita degli sfruttati cubani, che sono già così precarie. Il preteso isolamento che l’economia cubana avrebbe mantenuto di fronte alla crisi capitalista non si può più sostenere e i discorsi sul blocco economico come causa (esterna) della crisi sono ormai un argomento logorato con il quale non si può più nascondere che a Cuba, anche se non esistono individui che impersonano il capitale, questo esprime il suo dominio in quanto il capitale è innanzitutto una relazione sociale.

Licenziamenti di massa a Cuba

Lo stalinista partito cubano ha presentato un progetto chiamato “Lineamenti della politica economica e sociale” che descrive i meccanismi per ottenere – ci dicono – la “riorganizzazione dello Stato e del Governo”. La proposta è così riassunta dal giornale La Jornada: “Il documento prevede di ridurre i sussidi alla loro minima espressione; alzare le imposte; legare i salari al rendimento; esigere utili dalle imprese pubbliche, eliminando il controllo del governo; ampliare le cooperative, le microimprese, l’autoimpiego e il commercio immobiliare…” (2/12/2010). Tutti questi punti trovano le loro argomentazioni nel documento ufficiale[1] che, come ogni progetto capitalista, serve a giustificare lo sfruttamento e la necessità della sua intensificazione. Il programma annuncia che si vuole “incrementare la produttività del lavoro, alzare la disciplina e il livello di motivazione del salario e gli incentivi (…) (Sopprimendo) gratuità indebite e sussidi personali eccessivi”. Tutto questo si traduce in colpi ai salari diretti e indiretti (cure mediche, scuola…) e attraverso questo in licenziamenti di massa.

La struttura sindacale cubana, come in tutto il mondo, svolge il suo ruolo di strumento del capitale infiltrato nelle file operaie; così la Centrale dei Lavoratori di Cuba (CTC) giustifica l’annuncio del licenziamento di mezzo milione di lavoratori dicendo: “Lo Stato non può né deve continuare a mantenere imprese (…) con organici gonfiati e perdite che ostacolano l’economia, (…) generano cattive abitudini e deformano la condotta dei lavoratori”. In più, seguendo il cinismo di Fidel Castro che si divertiva col fatto che centinaia di giovani, a causa della miseria che vivono sono costrette a prostituirsi, dicendo che Cuba può vantare le prostitute più colte e sane, Salvador Valdès, leader della CTC assicura che: “Un lavoratore statale licenziato (…) ha la possibilità di realizzare attività private che gli fruttano molto di più”. E facendo un esempio, parla di come un lavoro precario genera una vita migliore: “Un ingegnere che smise di lavorare per lo Stato anni fa (…) riparando scarpe guadagna tra 70 e 100 dollari USA al mese…” (BBC Mundo, 3/02/2010).

Cuba è uno Stato operaio?

Tutte le misure descritte nei “Lineamenti della politica…” sono senza dubbio attacchi diretti contro i lavoratori che smascherano la natura borghese dello Stato cubano, nonostante che di fronte ad esso la grande maggioranza dei gruppuscoli stalinisti mantengono il silenzio; solo in qualche sito e forum di discussione (per esempio kaosenlared.com) si trovano argomenti di accaniti difensori di Stalin e Castro, che continuano ad affermare che le misure annunciate dal partito del governo cubano sono misure dolorose ma necessarie per “perfezionare la Rivoluzione e renderla strategicamente viva”. Ma se la difesa degli attacchi contro i lavoratori, per la loro rozzezza e spudoratezza non fanno che confermare che stalinismo e governo cubano sono nemici della classe operaia, in cambio gli argomenti dei trotskisti, usando un linguaggio farcito di citazioni di Marx e Trotsky per mascherare il carattere capitalista dello Stato cubano dietro un tono di apparente critica, aiutano bene la borghesia nel rafforzare la confusione nella classe operaia sull’esistenza del capitalismo in Cuba.

E’ certo che le posizioni intorno a Cuba sono tante quanti i gruppi trotskisti che ci sono, ma tutte concordano nel dichiarare che il colpo di Stato realizzato da Castro servì ad espropriare la borghesia e cambiare le relazioni economiche capitaliste, instaurando uno “Stato Operaio” che – per darci una botta di critica – chiamano “deformato”. Con questo argomento, gli uni dicono che quello che ci vuole è una “rivoluzione politica”, gli altri che dopo la caduta del blocco sovietico a Cuba si respira una svolta di apertura, che sta “restaurando” il capitalismo… e sebbene solo alcuni di loro hanno preso posizione di fronte alle minacce lanciate dal governo cubano con il suo “nuovo” piano economico, tutti si uniscono per chiamare alla difesa… non dei lavoratori, ma delle “conquiste della rivoluzione”, cioè dello statalismo. Questi argomenti, che si presentano come marxisti e critici, non sono altro che trappole ideologiche che (coscientemente o incoscientemente) servono solo alla borghesia che si impegna a macchiare la tradizione comunista presentando lo stalinismo come prodotto della lotta proletaria. Il trotskismo nasconde il carattere borghese dello stalinismo presentando certe misure come miglioramenti per gli operai (quelle chiamate “conquiste della rivoluzione”), incluso il socialismo in un solo paese, anche se lo criticano in quanto “deformato”. Così facendo si uniscono alla campagna borghese nel diffondere l’idea che il marxismo ha come obiettivo quello di costruire una società come quella cubana, in cui i lavoratori sono sottomesi a uno Stato militarizzato, repressivo e sfruttatore.

Gli attacchi contro i lavoratori cubani chiariscono che cosa esiste (ed è esistito) in questo paese, non uno “Stato operaio degenerato”, ma uno Stato capitalista che ha come unico obiettivo la difesa dell’economia nazionale per il perpetuarsi dello sfruttamento.

Tatlin / Dicembre-2010

(da Revolucion Mundial, n.120)

 

[1] Il documento completo si può trovare sul sito: rouslyn.files.wordpress.com/2010/11/proyecto-lineamientos-pcc.pdf

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