Tesi sul movimento degli studenti della primavera 2006 in Francia

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Queste tesi sono state adottate dalla CCI il 3 aprile 2006 mentre il movimento degli studenti stava ancora svolgendosi. In particolare, la grande manifestazione del 4 aprile, che il governo sperava meno potente della precedente del 28 marzo, ha superato quest’ultima ampiamente con una partecipazione ancora più importante di lavoratori del settore privato. Nel suo discorso del 31 marzo, il presidente Chirac aveva tentato una manovra ridicola: aveva annunciato la promulgazione della legge delle “Pari opportunità” ed aveva chiesto che il suo articolo 8 (il Contratto di Primo Impiego, principale motivo della collera degli studenti) non venisse applicato. Invece di indebolire la mobilitazione questa pietosa contorsione l’ha al contrario rafforzata. Inoltre, il pericolo di un’esplosione spontanea di scioperi nel settore direttamente produttivo, come si era verificato nel maggio1968, è diventato sempre più concreto. Il governo si è dovuto arrendere all’evidenza che le sue meschine manovre non sarebbero riuscite a rompere il movimento, per cui è stato costretto, non senza ulteriori contorsioni, a ritirare il CPE il 10 aprile. In effetti, le tesi prendevano ancora in considerazione la possibilità che il governo non cedesse. Ciò detto, l’epilogo della crisi che ha visto un tale indietreggiamento del governo, conferma e rafforza l’idea centrale delle tesi: l’importanza e la profondità della mobilitazione delle giovani generazioni della classe operaia in questi giorni della primavera 2006. Adesso che il governo ha ceduto sul CPE, il cui ritiro era la rivendicazione faro della mobilitazione, questa ha perso tutta la sua dinamicità. Ciò significa che le cose “ritornano come prima”, come evidentemente spera la borghesia? Certamente no. Come è detto nelle tesi: “questa classe [la borghesia] non potrà sopprimere tutta l’esperienza accumulata per settimane da decine di migliaia di futuri lavoratori, il loro risveglio alla politica e la loro presa di coscienza. È questo il vero tesoro per le lotte future del proletariato, un elemento di primo piano della capacità a proseguire per la propria strada verso la rivoluzione comunista”. E’ necessario che gli attori di questa magnifica lotta facciano fruttare questo tesoro, traendo tutti gli insegnamenti dalla loro esperienza, identificando con chiarezza quali sono state le vere forze ed anche le debolezze della loro lotta. E soprattutto che riescano a delineare la prospettiva che si presenta alla società, una prospettiva che era già inscritta nella loro lotta: di fronte agli attacchi sempre più violenti che un capitalismo in crisi mortale sferra inevitabilmente contro la classe sfruttata, la sola risposta possibile di questa è intensificare la propria lotta di resistenza e prepararsi a capovolgere questo sistema. Questa riflessione, come è stato per la lotta che si è conclusa, deve essere portata avanti in modo collettivo, attraverso dibattiti, nuove assemblee, circoli di discussione aperti, come lo sono state le assemblee generali, a tutti coloro che vogliono associarsi a questa riflessione, ed in particolare alle organizzazioni politiche che sostengono la lotta della classe operaia. Questa riflessione collettiva può essere condotta solo se viene mantenuto lo stesso stato d’animo fraterno, l’unità e la solidarietà che si sono manifestate nel corso della lotta. In questo senso, nel momento in cui la grande maggioranza di quelli che hanno partecipato alla lotta si è resa conto che questa era finita, sotto la sua forma precedente, non è più tempo di lotte di retroguardia, di blocchi ultraminoritari e “ad oltranza” che sono, in ogni caso, votati alla sconfitta e rischiano di provocare divisioni e tensioni tra quelli che, per settimane, hanno condotto una lotta di classe esemplare. (18 aprile 2003)

Il carattere proletario del movimento  

1) La mobilitazione attuale degli studenti in Francia si presenta, fin da ora, come uno dei maggiori episodi della lotta di classe in questo paese dagli ultimi 15 anni, un episodio di un’importanza almeno comparabile alle lotte dell’autunno 1995 sul problema della riforma dello Stato sociale e della primavera 2003 nel settore pubblico sul problema delle pensioni. Quest’affermazione può sembrare paradossale nella misura in cui non sono stati i salariati a mobilitarsi come capofila (tranne la loro partecipazione ad un certo numero di giornate d’azione e di manifestazioni: 7 febbraio, 7 marzo, 18 marzo e 28 marzo) ma un settore della società che non è entrato ancora nel mondo del lavoro, la gioventù scolarizzata. Tuttavia, questo fatto non può in alcun modo mettere in discussione il carattere profondamente proletario di questo movimento. E ciò per le seguenti ragioni: 

- nel corso degli ultimi decenni l’evoluzione dell’economia capitalista ha sempre più richiesto mano d’opera più formata e qualificata, per cui una forte proporzione di studenti delle Università (ed in queste sono inclusi gli Istituti Universitari di Tecnologia incaricati di dare una formazione relativamente breve a futuri “tecnici”, in realtà agli operai qualificati) alla fine dei suoi studi, andrà a raggiungere i ranghi della classe operaia (che lungi dal limitarsi ai soli operai dell’industria in “tuta blu”, include anche gli impiegati, i quadri medi delle imprese o della funzione pubblica, gli infermieri, la grande maggioranza degli insegnanti - maestri e professori delle secondarie, ecc.); 

- parallelamente a questo fenomeno, l’origine sociale degli studenti ha conosciuto un’evoluzione significativa con un incremento importante degli studenti di origine operaia (secondo i criteri sopra enunciati), il che ha determinato l’esistenza di una proporzione molto elevata (nell’ordine della metà) di studenti che sono obbligati a lavorare per proseguire i loro studi o acquisire un minimo di autonomia rispetto alle famiglie; 

- la rivendicazione principale intorno alla quale si è fatta la mobilitazione è il ritiro di un attacco economico (l’instaurazione di un Contratto di Primo impiego, CPE) che riguarda l’insieme della classe operaia e non solamente i futuri lavoratori oggi studenti, ma anche i giovani salariati, poiché l’esistenza nelle fabbriche di una mano d’opera sottomessa per due anni alla spada di Damocle di un licenziamento SENZA MOTIVO non può che pesare sugli altri lavoratori. La natura proletaria del movimento si è confermata fin dall’inizio attraverso il fatto che le assemblee generali hanno a maggioranza ritirato dalla lista quelle rivendicazioni che avevano un carattere esclusivamente “studentesco” (come la richiesta di ritirare il LMD - il sistema europeo di diplomi che è stato imposto recentemente in Francia e che penalizza una parte degli studenti di questo paese). Questa decisione corrispondeva alla volontà affermata fin dall’inizio dalla grande maggioranza degli studenti di, non solo ricercare la solidarietà dell’insieme della classe operaia (il termine abitualmente impiegato nelle AG è stato quello di “salariati”), ma anche di coinvolgerla nella lotta. 

Le Assemblee Generali, polmone del movimento  

2) Il carattere profondamente proletario del movimento si è manifestato anche nelle forme che questo si è dato, in particolare quelle delle assemblee generali sovrane in cui si manifesta una vita reale che non ha niente a che vedere con le caricature “di assemblee generali” convocate abitualmente dai sindacati nei posti di lavoro. E’ evidente che c’è una grande eterogeneità tra le differenti università in questo campo. Certe AG somigliano ancora molto alle assemblee sindacali, mentre altre sono sede di una vita e di una riflessione intensa, manifestando un alto grado di coinvolgimento e di maturità dei partecipanti. Tuttavia, al di là di questa eterogeneità, è notevole che molte assemblee sono riuscite a superare gli scogli dei primi giorni durante i quali si girava intorno a questioni tipo “bisogna votare sul fatto di votare o no su tale questione” (per esempio, la presenza o no nell’AG di persone esterne all’università, o sulla possibilità da parte di quest’ultime di prendere la parola), che aveva come conseguenza l’allontanamento di un gran numero di studenti e il fatto che le ultime decisioni venivano prese dai membri dei sindacati studenteschi o di organizzazioni politiche. Durante le prime due settimane del movimento la tendenza dominante nelle assemblee generali è stata quella di una presenza più numerosa di studenti, di una partecipazione sempre più ampia di questi nel prendere la parola, con una corrispondente riduzione degli interventi dei membri sindacali o delle organizzazioni politiche. La presa in carico crescente da parte dell’insieme delle assemblee della propria vita si è manifestata attraverso una riduzione tendenziale della presenza di quest’ultimi alla tribuna incaricata di organizzare i dibattiti a favore di quella di elementi che non avevano affiliazioni particolari o un’esperienza particolare prima del movimento. Nelle assemblee meglio organizzate si è potuto vedere un rinnovo quotidiano delle squadre (in genere 3 membri) incaricate di organizzare ed animare la vita dell’assemblea, mentre le assemblee meno vive e meno organizzate erano quelle “dirette” tutti i giorni dalla stessa squadra, spesso molto più pletorica delle prime. E’ necessario ancora segnalare come la tendenza delle assemblee sia stata verso la sostituzione di questo secondo modo di organizzazione con il primo. Uno degli elementi importanti di questa evoluzione è stata la partecipazione di delegazioni di studenti di una università alle AG di altre università, che oltre al rafforzamento del sentimento di forza e di solidarietà tra le differenti AG, ha permesso a quelle che si stavano indebolendo di ispirarsi ai punti forti di quelle che era più avanti1. Anche questa è una delle caratteristiche importanti della dinamica delle assemblee operaie in quei movimenti di classe che hanno raggiunto un livello importante di coscienza e di organizzazione.

3) Una delle manifestazioni maggiori del carattere proletario delle assemblee che si sono tenute nelle università durante questo periodo è il fatto che, da subito, la loro apertura verso l’esterno non si è limitata ai solo studenti di altre università ma si è estesa anche alla partecipazione di persone che non erano studenti. Innanzitutto, le AG hanno invitato il personale delle università (insegnante, tecnico e amministrativo – IATOS) non solo a partecipare ma anche a lottare insieme, e sono andate ben oltre. In particolare, lavoratori e pensionati, genitori e nonni di studenti e liceali in lotta, hanno ricevuto in genere un’accoglienza molto calorosa ed attenta da parte delle assemblee dal momento che i loro interventi miravano al rafforzamento ed all’estensione del movimento, in particolare vero i salariati. L’apertura delle assemblee a persone che non appartengono all’impresa o al settore direttamente coinvolto, non solo in quanto osservatori, ma come partecipanti attivi, è una componente estremamente importante del movimento della classe operaia. È chiaro che quando è necessario esprimere un voto per poter prendere una decisione, può essere necessario instaurare delle modalità che permettono alle sole persone che appartengono all’unità produttiva o geografica sulla quale si basa l’assemblea di partecipare a questa decisione, ciò per evitare l’“invasione” dell’assemblea da parte di professionisti della politica borghese o di elementi al suo servizio. A tal fine, uno dei mezzi utilizzati da molte assemblee studentesche è di non contabilizzare le mani levate ma le tessere studentesche presentate (che sono differenti da un’università all’altra). Quella dell’apertura delle assemblee è una questione cruciale per la lotta della classe operaia. Nella misura in cui in tempi “normali”, cioè al di fuori dei periodi di lotta intensa, gli elementi che hanno più audience nelle fila operaie sono quelli che appartengono alle organizzazioni della classe capitalista (sindacati o partiti politici di “sinistra”), la chiusura delle assemblee costituisce un eccellente mezzo per queste organizzazioni di conservare il loro controllo sui lavoratori a scapito della dinamica della lotta ed al servizio, evidentemente, degli interessi della borghesia. Nella storia delle lotte della classe operaia l’apertura delle assemblee, che permette agli elementi più avanzati della classe, ed in particolare alle organizzazioni rivoluzionarie, di contribuire alla presa di coscienza dei lavoratori in lotta, ha sempre costituito una linea di demarcazione tra le correnti che difendono un orientamento proletario e quelle che difendono l’ordine capitalista. Gli esempi sono numerosi. Tra i più significativi, possiamo segnalare quello del Congresso dei Consigli operai che si tenne a metà dicembre 1918 a Berlino dopo che il sollevamento dei soldati e degli operai contro la guerra, iniziato a novembre, costrinse la borghesia tedesca, non solo a mettere fine alla guerra, ma anche a sbarazzarsi del Kaiser ed a rimettere il potere politico nelle mani del partito socialdemocratico. Per l’immaturità della coscienza nella classe operaia e per le modalità di designazione dei delegati, questo Congresso fu dominato dai Socialdemocratici che vietarono sia la partecipazione di rappresentanti dei soviet rivoluzionari della Russia che quella di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, le due più eminenti figure del movimento rivoluzionario, con il pretesto che non erano operai. Questo Congresso decise alla fine di rimettere tutto il suo potere al governo diretto dalla Socialdemocrazia, un governo che un mese più tardi assassinava Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht. Un altro esempio significativo è quello del Congresso del 1866 dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori (AIT- I Internazionale) dove alcuni dirigenti francesi, come Tolain, un operaio cesellatore di bronzo, tentarono di imporre il fatto che “solo gli operai potevano votare al congresso”, una disposizione questa che mirava a colpire principalmente Karl Marx ed i compagni più vicini a lui. Durante La Comune di Parigi nel 1871 Marx fu uno dei più ardenti difensori di questa mentre Tolain era a Versailles tra i ranghi di coloro che organizzarono lo schiacciamento della Comune provocando 30.000 morti nelle fila operaie. Per quanto riguarda il movimento attuale degli studenti, è significativo che le maggiori resistenze all’apertura delle assemblee siano venute dai membri del sindacato studentesco UNEF, diretto dal Partito socialista, e che queste si siano tanto più aperte quanto più si riduceva l’influenza dell’UNEF al loro interno.

Contrariamente al 1995 e al 2003, la borghesia è stata sorpresa dal movimento  

4) Una delle caratteristiche più importanti dell’episodio attuale della lotta di classe in Francia, è che questa ha sorpreso quasi totalmente l’insieme dei settori della borghesia e del suo apparato politico (partiti di destra, di sinistra ed organizzazioni sindacali). Questo è uno degli elementi che permette di capire tanto la vitalità e la profondità del movimento, che la situazione estremamente delicata nella quale attualmente si trova la classe dominante in questo paese. In questo senso, bisogna fare una distinzione molto netta tra il presente movimento e le lotte di massa dell’autunno 1995 e della primavera 2003. La mobilitazione dei lavoratori del 1995 contro il “piano Juppé” di riforma dello Stato sociale fu in realtà orchestrata grazie ad una divisione di compiti molto abile tra il governo ed i sindacati. Il primo, con tutta l’arroganza di cui era capace il Primo Ministro dell’epoca Alain Juppé, aveva associò agli attacchi contro lo Stato sociale (riguardante tutti i salariati del settore pubblico e privato) quelli più specifici contro il regime pensionistico dei lavoratori della SNCF e di altre imprese pubbliche di trasporti,. I lavoratori di queste imprese costituirono così la punta di lancia della mobilitazione. Pochi giorni prima di Natale, mentre gli scioperi duravano da settimane, il governo fece qualche passo indietro sulla questione dei regimi speciali di pensionamento il che, in seguito all’appello dei sindacati, determinò la ripresa del lavoro nei settori coinvolti. Il ritorno al lavoro dei settori più all’avanguardia significò, evidentemente, la fine del movimento in tutti gli altri settori. Per quanto riguarda i sindacati, la maggior parte di essi (eccetto il CFDT) si mostrarono molto “combattivi” chiamando all’estensione del movimento ed alla tenuta di frequenti assemblee generali. Malgrado la sua ampiezza, la mobilitazione dei lavoratori non portò ad una vittoria ma, fondamentalmente, ad un insuccesso poiché la principale rivendicazione, il ritiro del “piano Juppé” di riforma dello Stato sociale, non venne soddisfatta. Tuttavia le concessioni del governo sulla questione dei regimi speciali di pensionamento, permisero ai sindacati  di presentare questa sconfitta come una “vittoria”, e ciò gli permise di riverniciare il loro blasone alquanto sbiadito dai sabotaggi delle lotte operaie durante gli anni 1980. La mobilitazione del 2003 nella funzione pubblica face seguito alla decisione di prolungare la durata minima di vita lavorativa prima di potere beneficiare di una pensione a tasso pieno. Tutti i lavoratori furono colpiti da questa misura, ma quelli che manifestarono una maggiore combattività furono gli insegnanti e il personale degli istituti scolastici che, oltre che sulle pensioni, subivano un attacco supplementare con la scusa del “decentramento”. Gli insegnanti in generale non venivano presi di mira direttamente da questa misura ma essi si sentivano particolarmente coinvolti dall’attacco che colpiva dei colleghi di lavoro e dalla mobilitazione di questi. Inoltre, la decisione di portare a 40 anni e più il numero minimo di anni di lavoro per i settori della classe operaia che, a causa della durata del periodo di formazione professionale, non potevano cominciare a lavorare prima dei 23 anni (addirittura 25 anni) significava che questi avrebbero dovuto continuare a lavorare in condizioni sempre più faticose ed usuranti al di là dell’età legale della pensione 60 anni. Con uno stile differente da quello di Juppé nel 1995, il Primo Ministro Jean-Pierre Raffarin fece passare un messaggio dello stesso tipo dichiarando che “a governare non era la strada”. Alla fine, malgrado la combattività dei lavoratori dell’educazione e la loro tenacia (alcuni fecero fino a 6 settimane di sciopero), malgrado le manifestazioni tra le più grosse dopo il maggio 68, il movimento non poté far retrocedere il governo. Questo, quando la mobilitazione cominciò a ripiegare, decise di ritornare su alcune misure particolari riguardanti il personale non insegnante degli istituti scolastici al fine di distruggere l’unità che si era sviluppata tra le differenti categorie professionali e dunque la dinamica di mobilitazione. L’inevitabile ripresa del lavoro tra il personale delle scuole significò la fine del movimento che, come nel 1995, non riuscì a respingere l’attacco centrale del governo, quello contro le pensioni. Tuttavia, mentre era stato possibile presentare l’episodio del 1995 come una “vittoria” da parte dei sindacati, ciò che permise di rafforzare il loro ascendente sull’insieme dei lavoratori, quello del 2003 fu avvertito principalmente come un insuccesso (in particolare tra buona parte degli insegnanti che avevano perso quasi 6 settimane di stipendio), cosa che intaccò sensibilmente la fiducia dei lavoratori nei loro riguardi.

La debolezza politica della destra francese  

5) Le caratteristiche maggiori degli attacchi della borghesia contro la classe operaia nel 1995 e nel 2003 si possono così riassumere:

- tutti e due corrispondevano alla necessità inevitabile per il capitalismo, di fronte alla crisi mondiale della sua economia ed all’erosione dei deficit pubblici, di perseguire lo smantellamento dei dispositivi dello Stato assistenziale messi in atto all’indomani della Seconda Guerra mondiale e, in particolare, lo Stato sociale e il sistema pensionistico;

- tutti e due sono stati preparati accuratamente dai differenti organi al servizio del capitalismo, in primo luogo il governo di destra e le organizzazioni sindacali, per infliggere una sconfitta alla classe operaia; una sconfitta sul piano economico, ma anche sul piano politico ed ideologico;

- tutti e due hanno utilizzato il metodo che consiste nel cumulare attacchi ad un settore particolare che viene quindi spinto all’avanguardia della mobilitazione, e ad “arretrare” poi su attacchi specifici che riguardano questo stesso settore per disarmare l’insieme del movimento;

- tuttavia pur utilizzando metodi simili, la dimensione politica dell’attacco della borghesia non è stato lo stesso nei due casi perché nel 1995 bisognava presentare il risultato della mobilitazione come una “vittoria” da mettere in conto ai sindacati, mentre nel 2003 l’evidenza della sconfitta rappresentava un elemento di demoralizzazione e di discredito dei sindacati. Per quanto riguarda la mobilitazione attuale è necessario mettere in evidenza che: 

- il CPE non era affatto una misura indispensabile per l’economia francese e ciò si è manifestato in particolare col fatto che buona parte del padronato e dei deputati di destra non era favorevole, come d’altronde il resto della maggioranza dei membri del governo, in particolare i due ministri direttamente coinvolti, quello dell’impiego (Gerardo Larcher), e quello della “coesione sociale”, (Jean-Louis Borloo);

- il carattere non indispensabile dal punto di vista capitalista di questa misura si accompagna ad un’assenza quasi completa di preparazione per farla passare; mentre gli attacchi del 1995 e del 2003 erano stati preparati in anticipo attraverso “discussioni” con i sindacati (a tal punto che, nei due casi, uno dei grandi sindacati, la CFDT di colore socialdemocratico, aveva sostenuto i piani del governo), il CPE faceva parte di un lotto di misure raggruppate in una legge chiamata delle “Pari opportunità” sottoposta al Parlamento in modo precipitoso e senza discussione preliminare con i sindacati. Tra gli aspetti più odiosi della legge c’è il fatto che essa è supposta lottare contro la precarietà mentre nei fatti la istituzionalizza per i giovani lavoratori al di sotto dei 26 anni. Inoltre questa viene presentata come un “beneficio” per i giovani dei quartieri “difficili” che si erano rivoltati nell’autunno 2005, mentre contiene una serie di attacchi contro questi stessi giovani come il collocamento al lavoro degli adolescenti a partire da 14 anni, camuffato da apprendistato, ed il lavoro notturno per quelli di età maggiore a 15 anni.

6) Il carattere provocatorio del metodo del governo si è rivelato anche nel tentativo di fare passare la legge “alla selvaggia”, facendo appello a disposizioni della Costituzione che permettessero la sua adozione senza voto del Parlamento e prevedendone il passaggio davanti a questo durante il periodo delle vacanze scolastiche degli studenti e dei liceali. Tuttavia, questa “colossale finezza” del governo e del suo capo Villepin, si è ritorta contro di essi. Lungi dal superare in velocità ogni possibilità di mobilitazione, questa manovra abbastanza grossolana è riuscita solo ad aumentare ancora più la collera degli studenti e dei liceali ed a radicalizzare la loro mobilitazione. Anche nel 1995 il carattere provocatorio delle dichiarazioni e l’atteggiamento arrogante del Primo Ministro Juppé fu un elemento di radicalizzazione del movimento di sciopero. Ma all’epoca questo atteggiamento corrispondeva in pieno agli obiettivi della borghesia che aveva previsto la reazione dei lavoratori e che, in un contesto in cui la classe operaia subiva ancora con forza il peso delle campagne ideologiche seguite al crollo dei regimi sedicenti “socialisti” (che necessariamente limitava le potenzialità della lotta), aveva orchestrato una manovra destinata a ridare credibilità ai sindacati. Oggi, al contrario, è in modo involontario che il Primo Ministro è riuscito a polarizzare la collera della gioventù studentesca e quella di grande parte della classe operaia contro la sua politica. Durante l’estate 2005 Villepin era riuscito a fare passare senza difficoltà il CNE (Contratto Nuovo Impiego) che permette alle imprese con meno di 20 salariati di licenziare entro due anni dall’assunzione il lavoratore, qualunque sia la sua età, senza fornire il minimo motivo. All’inizio dell’inverno, ha creduto che poteva fare lo stesso per il CPE, estendendo a tutte le imprese, pubbliche o private, le stesse disposizioni del CNE ma per i minori di 26 anni. Il seguito gli ha dimostrato di aver fatto un grossolano errore di valutazione poiché, come tutti i media e tutte le forze politiche della borghesia ne convengono, il governo si è messo in una situazione molto delicata. Ad essere estremamente imbarazzato non è solamente il governo ma l’insieme dei partiti politici borghesi, di destra come di sinistra, e dei sindacati che, ognuno a modo suo, rimprovera a Villepin il suo “metodo”. Del resto, quest’ultimo ha riconosciuto in parte i suoi errori affermando d “essersi pentito” del metodo adoperato. È indiscutibile che ci sia stata una carenza di abilità politica da parte del governo e particolarmente da parte del suo capo. Dalla maggior parte delle formazioni di sinistra o sindacali, quest’ultimo è presentato come “autistico”2, un personaggio “arrogante” incapace di comprendere le vere aspirazioni del “popolo”. I suoi “amici” di destra (in particolare i sostenitori del suo grande rivale per le prossime elezioni presidenziali, Nicolas Sarkozy) insistono in particolare sul fatto che, non essendo mai stato eletto (contrariamente a Sarkozy che è stato deputato e sindaco di una città importante3 per lunghi anni) evidentemente fa fatica a tessere dei legami sul territorio, con la base “popolare”. Tra le righe si lascia intendere che il suo gusto per la poesia e le belle lettere rivelano che è una specie di “dilettante”, di “amatore” in politica. Ma il rimprovero che gli si fa in modo unanime (compreso il padronato) è di non aver fatto precedere la sua proposta di legge da una consultazione degli “attori sociali” o “corpi intermediari” (secondo i termini dei sociologi mediatici), in realtà dei sindacati. Questo rimprovero gli viene mosso con molta virulenza anche dal sindacato più “moderato”, il CFDT che nel 1995 e nel 2003 aveva sostenuto gli attacchi del governo. Si può dunque dire che, nelle circostanze presenti, la destra francese ha avuto il merito di guadagnarsi la sua reputazione di “destra più stupida del mondo”. Più in generale, conviene segnalare che la borghesia francese, in un certo senso, dimostra ancora una volta (e paga anche) la sua mancanza di padronanza del gioco politico che l’ha condotta agli “incidenti” elettorali come quello del 1981 e del 2002. Nel primo caso, a causa delle divisioni della destra, la sinistra arrivò al governo in contro tendenza all’orientamento che la borghesia degli altri grandi paesi avanzati si era data di fronte alla situazione sociale (in particolare in Gran Bretagna, in Germania, in Italia o negli Stati Uniti). Nel secondo caso, la sinistra (anche lei per divisioni interne) risultò assente al secondo giro elettorale presidenziale che si giocò tra Le Pen, il capo fila dell’estrema destra, e Chirac la cui rielezione avvenne grazie ai voti di sinistra concentrati su di lui, come “male minore”. In effetti, eletto con questi voti della sinistra, Chirac aveva le mani molto meno libere di come le avrebbe avute se avesse riportato la vittoria sul leader della sinistra, Lionel Jospin. Questa mancanza di legittimità di Chirac fa parte degli elementi che spiegano la debolezza del governo di destra di fronte alla classe operaia e la sua difficoltà ad attaccarlo. Ciò detto, questa debolezza politica della destra (in generale dell’apparato politico della borghesia francese) non le ha impedito di portare a termine nel 2003 un attacco massiccio contro la classe operaia sulle pensioni. Ed in particolare, non permette di spiegare l’ampiezza della lotta attuale, soprattutto la grande mobilitazione di centinaia di migliaia di giovani futuri lavoratori, la dinamica del movimento, le forme di lotta realmente proletarie.

Un’espressione della ripresa delle lotte e dello sviluppo della coscienza della classe operaia  

7) Anche nel 1968 la mobilitazione degli studenti e poi il formidabile sciopero dei lavoratori (9 milioni di scioperanti per parecchie settimane - più di 150 milioni di giornate di sciopero) risultarono in parte dagli errori commessi dal regime gollista alla fine del suo regno. L’atteggiamento provocatore delle autorità nei confronti degli studenti (entrata della polizia alla Sorbona il 3 maggio per la prima volta da centinaia di anni, fermo ed arresto di parecchi studenti che avevano tentato di opporsi con la forza al suo sgombro) fu un fattore di mobilitazione di massa durante la settimana dal 3 al 10 maggio. In seguito alla repressione feroce della notte tra il 10 e l’11 maggio ed all’emozione che ne era seguita in tutta l’opinione pubblica, il governo decise di fare marcia indietro sulle due rivendicazioni studentesche, la riapertura della Sorbona e la liberazione degli studenti arrestati la settimana precedente. Questo indietreggiamento del governo e l’enorme successo della manifestazione indetta dai sindacati il 13 maggio4 determinarono una serie di scioperi spontanei nelle grandi fabbriche, come alla Renault a Cléon ed alla Sud-Aviation a Nantes. Una delle motivazioni di questi scioperi, sostenuta principalmente dai giovani operai, era che se la determinazione degli studenti che avevano alcun peso nell’economia era riuscita a fare arretrare il governo, questo sarebbe stato obbligato ad indietreggiare anche di fronte a quella degli operai che dispongono di un mezzo di pressione più potente, lo sciopero. L’esempio degli operai di Nantes e di Cléon si propagò come polvere da sparo accesa prendendo di sorpresa i sindacati. Temendo di essere completamente scavalcati, questi furono obbligati a “prendere il treno in corsa” nel giro di due giorni indicendo lo sciopero che riuscì a coinvolgere 9 milioni di operai paralizzando l’economia del paese per parecchie settimane. Tuttavia, da quel momento, bisognava essere ciechi per considerare che un movimento di tale ampiezza poteva aveva solo cause contingenti o “nazionali”. Esso corrispondeva necessariamente ad una sensibile variazione su scala internazionale del rapporto di forze tra borghesia e proletariato a favore di quest’ultimo5. Il che fu confermato un anno dopo dal “Cordobazo” del 29 maggio 1969 in Argentina6, dall’autunno caldo italiano del 1969 (battezzato anche “Maggio rampante”), poi dai grandi scioperi del Baltico de “l’inverno polacco” 1970-71 e da molti altri movimenti, meno spettacolari, ma che confermavano tutti che Maggio 1968 non era stato per niente un fulmine a cielo sereno ma traduceva la ripresa storica del proletariato mondiale dopo più di quattro decenni di controrivoluzione.

8) Anche l’attuale movimento in Francia non può spiegarsi con semplici considerazioni particolari (“gli errori” del governo Villepin) o nazionali. In realtà, esso costituisce una chiara conferma di ciò che la CCI ha messo in evidenza sin dal 2003: una tendenza alla ripresa delle lotte della classe operaia internazionale ed ad uno sviluppo della coscienza al suo interno: 

Le mobilitazioni a grande scala della primavera 2003 in Francia ed in Austria rappresentano una svolta nella lotta di classe dopo il 1989. Esse sono un primo passo significativo nel recupero della combattività operaia dopo il più lungo periodo di riflusso dal 1968”. (Revue internationale n°117,”Rapporto sulla lotta di classe”) 

A dispetto di tutte queste difficoltà, il periodo di riflusso non ha significato affatto “la fine della lotta di classe”. Gli anni 1990 sono stati intervallati da un certo numero di movimenti che mostravano che il proletariato aveva ancora riserve di combattività intatta (per esempio, nel 1992 e nel 1997). Tuttavia, nessuno di questi movimenti ha rappresentato un reale cambiamento a livello di coscienza. Da qui l’importanza dei movimenti più recenti che, sebbene non abbiano avuto l’impatto spettacolare come quello del 1968 in Francia, rappresentano tuttavia una svolta nel rapporto di forza tra le classi. Le lotte del 2003-2005 hanno presentato le seguenti caratteristiche: 

- hanno coinvolto settori significativi della classe operaia nei paesi del cuore del capitalismo mondiale (come in Francia nel 2003); 

- hanno manifestato una preoccupazione per questioni più esplicitamente politiche; in particolare la questione delle pensioni pone il problema del futuro che la società capitalista riserva a tutti noi (…); 

- la questione della solidarietà di classe è stata posta in modo più estesa e più esplicita rispetto a qualsiasi momento delle lotte degli anni 1980, in particolare nei recenti movimenti in Germania;

- esse sono state corredate dall’apparizione di una nuova generazione di elementi alla ricerca di chiarezza politica. Questa nuova generazione si è manifestata sia nel nuovo flusso di elementi apertamente politicizzati sia con nuovi strati di operai che entrano in lotta per la prima volta. Come si potuto vedere in certe manifestazioni importanti, si sta forgiando il solco per l’unità tra la nuova generazione e la “generazione del 68” -sia la minoranza politica che ha ricostruito il movimento comunista negli anni 1960 e 1970, sia gli strati più larghi di operai che hanno vissuto la ricca esperienza delle lotte di classe tra il 1968 e 1989”. (Rivista Internazionale n°27, “Risoluzione sulla situazione internazionale del 16 Congresso del CCI”)

Queste caratteristiche, evidenziate all’epoca del nostro 16°Congresso, si sono manifestate pienamente nel movimento attuale degli studenti in Francia: 

Il legame tra generazioni di combattenti si è stabilito spontaneamente nelle assemblee studentesche: non solo i lavoratori più vecchi, compreso i pensionati, erano autorizzati a prendere la parola nelle AG, ma erano incoraggiati a farlo, ed i loro interventi, che esprimevano la loro esperienza di lotta, erano accolti con molta attenzione e calore dalla giovane generazione7. Da parte sua, la preoccupazione per l’avvenire (e non solo per una situazione immediata) è al centro stesso della mobilitazione che ingloba dei giovani che dovranno confrontarsi con il CPE solo fra parecchi anni (anche più di 5 anni per molti liceali). Questa preoccupazione per l’avvenire si era manifestata già nel 2003 sulla questione delle pensioni dove si sono potuti vedere numerosi giovani nelle manifestazioni, cosa che era già un indice di questa solidarietà tra generazioni della classe operaia. Attualmente la mobilitazione contro la precarietà e dunque contro la disoccupazione pone in modo implicito, ed esplicito per un numero crescente di studenti e giovani lavoratori, la domanda sull’avvenire che il capitalismo riserva alla società; preoccupazione che è condivisa anche da numerosi vecchi lavoratori chi si chiedono: “Quale società lasciamo ai nostri ragazzi?” Quella della solidarietà, in particolarmente tra generazioni ma anche tra differenti settori della classe operaia, è stata una delle domande chiave del movimento:

- solidarietà degli studenti tra loro, volontà di quelli che erano alla punta del movimento, i meglio organizzati, ad andare ad appoggiare i loro compagni confrontati a situazioni difficili (sensibilizzazione e mobilitazione degli studenti più reticenti, organizzazione e tenuta delle AG, ecc.); 

- appello ai lavoratori salariati mettendo avanti il fatto che l’attacco governativo colpiva tutti i settori della classe operaia;

- sentimento di solidarietà tra i lavoratori, anche se questo sentimento non è sfociato in una estensione della lotta, a parte la partecipazione alle giornate d’azione ed alle manifestazioni; 

- coscienza tra molti studenti che non sono loro i più minacciati dalla precarietà (che colpisce più pesantemente i giovani non diplomati), ma che la loro lotta riguarda ancora di più i giovani più sfavoriti, particolarmente quelli che abitano le “periferie” che erano “bruciate” l’autunno scorso. Le giovani generazioni riprendono la fiaccola della lotta

9) Una delle caratteristiche maggiori del movimento attuale è che esso è costituito dalle giovani generazioni. E ciò non è affatto un caso. Da alcuni anni la CCI aveva rilevato l’esistenza in seno alle nuove generazioni di un processo di riflessione in profondità, anche se non spettacolare, che si manifestava principalmente attraverso il risveglio ad una politica comunista di un numero molto più importante rispetto a prima di giovani elementi, alcuni dei quali hanno già raggiunto le nostre fila. Essa vi vedeva la “punta dell’iceberg” di un processo di presa di coscienza che interessava larghi settori delle nuove generazioni proletarie che, presto o tardi, sarebbero state impegnate in vaste lotte: 

- “La nuova generazione di ‘elementi in ricerca’, la minoranza che si avvicina alle posizioni di classe, avrà un ruolo di un’importanza senza precedenti nelle future lotte della classe che dovranno confrontarsi alle loro implicazioni politiche molto più rapidamente e profondamente rispetto a quelle del 1968-1989. Questi elementi, che esprimono già uno sviluppo lento ma significativo della coscienza in profondità, contribuiranno ad aiutare l’estensione di massa della coscienza in tutta la classe”.(Revue internationale n°113, “Risoluzione sulla situazione internazionale del 15° Congresso della CCI”). Il movimento attuale degli studenti in Francia esprime l’emergere di questo processo sotterraneo iniziato da qualche anno. È il segno che il grosso dell’impatto delle campagne ideologiche orchestrate dal 1989 sulla “fine del comunismo”, “la scomparsa della lotta di classe” (cioè della classe operaia) è ora dietro di noi. All’indomani della ripresa storica del proletariato mondiale, a partire dal 1968, constatavamo che:

- “Il proletariato attuale è differente da quello tra le due guerre. Da una parte, come l’insieme dei pilastri dell’ideologia borghese, le mistificazioni che hanno nel passato schiacciato la coscienza proletaria si sono in parte esaurite progressivamente: il nazionalismo, le illusioni democratiche, l’anti-fascismo, utilizzate intensamente per mezzo secolo, non hanno più l’impatto di ieri. Dall’altra, le nuove generazioni operaie non hanno subito le sconfitte delle precedenti. I proletari che oggi si confrontano con la crisi, se non hanno l’esperienza dei loro genitori, non sono tuttavia prostrati nella stessa demoralizzazione. La formidabile reazione che, fin dal 1968-69, la classe operaia ha opposto alle prime manifestazioni della crisi significa che la borghesia oggi non è in grado di imporre la sola uscita che essa possa trovare per questa crisi: un nuovo olocausto mondiale. Prima deve poter vincere la classe operaia: la prospettiva attuale non è dunque la guerra imperialistica ma la guerra di classe generalizzata”(Manifesto della CCI, adottato al suo 1°Congresso nel gennaio 1976). All’epoca del nostro 8°Congresso, tredici anni più tardi, il rapporto sulla situazione internazionale completava questa analisi nei seguenti termini: 

“Era necessario che le generazioni colpite dalla controrivoluzione dagli anni 30 ai 60 cedessero il posto a quelle che non l’avevano conosciuta, affinché il proletariato mondiale trovasse la forza di superarla. In modo simile (sebbene bisogna relativizzare un tale paragone sottolineando che tra le generazioni del 68 e le precedenti c’era stata una rottura storica, mentre tra le generazioni successive vi è stata continuità) la generazione che farà la rivoluzione non potrà essere quella che ha compiuto l’essenziale compito storico di aver aperto al proletariato mondiale una nuova prospettiva dopo la controrivoluzione più profonda della sua storia”. Alcuni mesi più tardi, il crollo dei regimi sedicenti “socialisti” e l’importante riflusso che questo avvenimento provocò nella classe operaia doveva concretizzare questa previsione. In realtà, fatte salve le dovute proporzioni, la ripresa attuale della lotta di classe può avere lo stesso valore della ripresa storica del 1968 dopo 40 anni di contro-rivoluzione: le generazioni che hanno subito la sconfitta e soprattutto la terribile pressione delle mistificazioni borghesi non potevano più animare un nuovo episodio di scontro tra classi. Nei fatti, a riprende oggi per prima la fiaccola della lotta è una generazione che non è stata colpita direttamente da esse perché durante queste campagne stava ancora alla scuola elementare.

La coscienza, ben più profonda di quella del 68, d’appartenere alla classe operaia

10) Il paragone tra le mobilitazioni studentesche di oggi in Francia e gli avvenimenti del maggio ‘68 permette di distinguere un certo numero di caratteristiche importanti del movimento attuale. La maggioranza degli studenti in lotta l’afferma attualmente con molta chiarezza: “la nostra lotta è differente da quella del Maggio 68”. Questo è completamente giusto, ma bisogna capire perché. La prima differenza, che è fondamentale, consiste nel fatto che il movimento del Maggio 1968 si è prodotto agli inizi della crisi aperta dell’economia capitalista mondiale, mentre questa dura ormai da quasi quattro decenni, con un forte aggravamento a partire dal 1974. Dal 1967 si assisteva ad un aumento del numero di disoccupati in parecchi paesi, particolarmente in Germania ed in Francia, il che costituiva una delle basi dell’inquietudine che cominciava ad emergere tra gli studenti ed anche del malcontento che costrinse la classe operaia ad impegnarsi nella lotta. Il numero dei disoccupati in Francia oggi è 10 volte più elevato di quello del maggio 68 e questa disoccupazione di massa (ufficialmente dell’ordine del 10% della popolazione attiva), dura già da parecchi decenni. Ne risulta tutta una serie di differenze. Anche se i primi danni della crisi hanno costituito uno degli elementi all’origine della collera studentesca nel 68, questi oggi non si presentano affatto negli stessi termini. All’epoca non c’era un pericolo maggiore di disoccupazione o di precarietà alla fine degli studi. L’inquietudine principale della gioventù studentesca di allora era di non poter oramai accedere allo stesso status sociale della generazione precedente di laureati. In effetti, la generazione del 68 fu la prima a doversi confrontare, con una certa brutalità, al fenomeno di “proletarizzazione dei quadri” studiato abbondantemente dai sociologi dell’epoca. Questo fenomeno era iniziato qualche anno prima, prima ancora che si manifestasse apertamente la crisi, in seguito al sensibile aumento del numero di studenti nelle università. Questo aumento derivava dai bisogni dell’economia, ma anche dalla volontà e dalla possibilità della generazione dei loro genitori (che aveva subito con la Seconda Guerra mondiale un periodo di privazioni considerevoli) di permettere ai propri figli di raggiungere una situazione economica e sociale superiora alla propria. Questa “massificazione” della popolazione studentesca aveva provocato da alcuni anni un malessere crescente risultante dalla permanenza in seno all’università di strutture e pratiche, in particolare un forte autoritarismo, ereditate da un tempo in cui solo un’elite poteva frequentarla,. Un’altra componente del malessere del mondo studentesco, che si fece sentire a partire dal 1964 negli Stati Uniti, fu la guerra del Vietnam che offuscava il mito del ruolo “civilizzatore” delle grandi democrazie occidentali e favoriva  nei settori significativi della gioventù universitaria un’infatuazione per i temi terzomondisti - guevaristi o maoisti. Questi temi erano alimentati dalle teorie di “pensatori” “pseudo-rivoluzionari”, come Herbert Marcuse il quale  annunciava “l’integrazione della classe operaia” e la nascita di nuove forze “rivoluzionarie” quali le “minoranze oppresse” (i neri, le donne, ecc.), i contadini del Terzo Mondo, e … gli studenti. Numerosi studenti di questo periodo si consideravano “rivoluzionari” proprio come consideravano “rivoluzionari” personaggi come Che Guevara, Ho Chi Min o Mao. Infine, una delle componenti della situazione dell’epoca era il divario molto importante tra le nuove generazioni e quella dei propri genitori verso cui erano rivolte molteplici critiche. In particolare, poiché questa generazione aveva lavorato duro per uscire dalla miseria e dalla fame, causate dalla Seconda Guerra mondiale, le era rimproverato di preoccuparsi solo del benessere materiale. Da qui il successo delle fantasie sulla “società di consumo” e di slogan come il “rifiuto del lavoro”. Figlia di una generazione che aveva subito con forza la controrivoluzione, la gioventù degli anni 60 le rimproverava il suo conformismo e la sua sottomissione all’esigenze del capitalismo. Reciprocamente, molti genitori non comprendevano e facevano fatica ad accettare il fatto che i loro figli trattavano con disprezzo i sacrifici che facevano per dare loro una situazione economica migliore della propria.

11) Il mondo di oggi è ben differente da quello del 68 e la situazione della gioventù studentesca attuale ha poco a che vedere con quella degli anni “sessanta”:

- Non è semplicemente l’inquietudine verso un deterioramento del loro futuro stato che assilla la maggior parte degli studenti di oggi. Proletari essi lo sono già per una buona metà che è costretta a lavorare per potersi pagare degli studi e non si fanno troppe illusioni su stupefacenti condizioni sociali che li aspetterebbero alla fine di questi. Soprattutto sanno che alla fine il diploma gli darà il “diritto” di raggiungere la condizione proletaria sotto una delle forme più drammatiche, la disoccupazione e la precarietà, l’invio di centinaia di CV senza risposta e le file di attesa alle agenzie di lavoro, e che il loro accesso ad un impiego un poco più stabile, dopo tutto un periodo di “galera” intervallato da stage non pagati e da contratti a durata determinata, si effettuerà in molti casi con posti che hanno poco a che vedere con la loro formazione e le loro aspirazioni.

- In questo senso la solidarietà che provano attualmente gli studenti verso i lavoratori rivela innanzitutto che la maggior parte di essi è cosciente di appartenere allo stesso mondo, quello degli sfruttati, in lotta contro uno stesso nemico, gli sfruttatori. Questo è molto lontano dall’atteggiamento di natura piccolo-borghese degli studenti del 68 verso la classe operaia. Atteggiamento che manifestava una certa condiscendenza nei riguardi di quest’ultima mescolata ad un fascino verso questo essere mitico, l’operaio in tuta blu, eroe delle letture male assimilate dei classici marxisti, quando non erano di autori che hanno poco a che vedere col marxismo, stalinisti o cripto-stalinisti. La moda fiorita dopo il 68 secondo tra quegli intellettuali che scelsero di andare a lavorare in fabbrica per “toccare con mano la classe operaia”, è lontana da noi.

- È anche per questo che temi come la “società dei consumi”, anche se vengono ancora agitati da qualche nostalgico anarchicheggiante, non hanno nessuna eco nella lotta degli studenti. Quanto alla formula del rifiuto del lavoro” del “non lavorare mai”, questa non è più un progetto “radicale” ma una terribile ed angosciosa minaccia. 

12) Paradossalmente, è sempre per questi motivi che i temi “radicali” o “rivoluzionari” sono molto poco presenti nelle discussioni e nelle preoccupazioni degli studenti di oggi. Mentre quelli del 68 trasformarono molte facoltà in fori permanenti di dibattito sulla questione della rivoluzione, dei consigli operai, ecc., la maggioranza delle discussioni che si tengono oggi nelle università vertono intorno a questioni più “terra-terra”, come il CPE e le sue implicazioni, la precarietà, le modalità di lotta (blocchi, assemblee generali, coordinamenti, manifestazioni, ecc.). Tuttavia, la polarizzazione intorno al ritiro del CPE che manifesta apparentemente un’ambizione meno “radicale” di quella degli studenti del 68, non significa affatto una minore profondità del movimento attuale rispetto a quello di 38 anni fa. Proprio il contrario. Le preoccupazioni “rivoluzionarie” degli studenti del 68 (in realtà della minoranza che costituiva “l’avanguardia del movimento”) erano indiscutibilmente sincere ma molto segnate dal terzo-mondismo, dal guevarismo, dal maoismo, se non dall’anti-fascismo. Nella migliore delle ipotesi, se così si può dire, erano di natura anarchicheggiante (sulla scia di Cohn-Bendit) o situazioniste. Quando non si trattava di semplici appendici “radicali” dello stalinismo, quello che predominava era una visione romantica piccolo-borghese della rivoluzione. Ma qualunque fossero state le correnti che ostentavano idee “rivoluzionarie”, di natura borghese o piccola-borghese, nessuno di esse aveva la minima idea del processo reale di sviluppo del movimento della classe operaia verso la rivoluzione, ed ancor meno del significato degli scioperi operai di massa come prima manifestazione dell’uscita dal periodo di contro-rivoluzione8. Oggi, le preoccupazioni “rivoluzionarie” non sono ancora presenti in modo significativo nel movimento ma la sua natura di classe incontestabile ed il terreno su cui si fa la mobilitazione (il rifiuto di un futuro di sottomissione alle esigenze ed alle condizioni dello sfruttamento capitalista: la disoccupazione, la precarietà, l’arbitrarietà dei padroni, ecc.), sono portatori di una dinamica che, necessariamente, indurrà in tutta una frangia dei partecipanti alle lotte attuali una presa di coscienza della necessità del capovolgimento del capitalismo. E questa presa di coscienza non sarà basata su delle chimere come quelle che prevalsero nel 68 e che permisero un “riciclaggio” dei leader del movimento nell’apparato politico ufficiale della borghesia (i ministri Bernard Kouchner e Joshka Fischer, il senatore Henri Weber, il porta parola dei verdi al Parlamento europeo Daniele Cohn-Bendit, l’editore Serge July, ecc.) quando non portarono al tragico vicolo cieco del terrorismo (“Brigate rosse” in Italia, “Frazione armata rossa” in Germania, “Azione diretta” in Francia). Al contrario, questa presa di coscienza si svilupperà a partire dalla comprensione delle condizioni fondamentali che rendono la rivoluzione proletaria necessaria e possibile: la crisi economica insormontabile del capitalismo mondiale, il vicolo cieco storico di questo sistema, la necessità di concepire le lotte proletarie di resistenza contro gli attacchi crescenti della borghesia come altrettanti preparativi in vista del capovolgimento finale del capitalismo. Nel 1968 il rapido rifiorire delle preoccupazioni “rivoluzionarie” era in grande parte il segno della superficialità e della mancanza di consistenza teorico-politica corrispondente alla natura fondamentalmente piccolo-borghese del movimento studentesco. Il processo di radicalizzazione delle lotte della classe operaia, anche se può conoscere in certi momenti delle accelerazioni sorprendenti, è un fenomeno molto più lungo, proprio perché è incomparabilmente più profondo. Come diceva Marx, “essere radicale, significa andare alla radice delle cose”, e questo è un percorso che richiede necessariamente del tempo e si basa sulla capitalizzazione di tutta un’esperienza di lotte. La capacità di evitare la trappola della violenza cieca montante provocata dalla borghesia 

13) In effetti, non è nella “radicalità” degli obiettivi, né nelle discussioni prodotte che si manifesta la profondità del movimento degli studenti. Tale profondità è data dalle questioni di fondo che la rivendicazione del ritiro del CPE pone implicitamente: l’avvenire di precarietà e di disoccupazione che il capitalismo in crisi riserva alle giovani generazioni e che segna il fallimento storico di questo sistema. Ma ancor più questa profondità si esprime attraverso i metodi e l’organizzazione della lotta di cui abbiamo parlato ai punti 2 e 3: le assemblee generali viventi, aperte, disciplinate, che manifestano una preoccupazione di riflessione e di presa in carico collettiva del movimento, la nomina di commissioni, comitati di sciopero, delegazioni responsabili di fronte alle AG, la volontà di estensione della lotta verso l’insieme dei settori della classe operaia. Ne La guerra civile in Francia” Marx segnala che il carattere veramente proletario della Comune di Parigi non si esprime tanto attraverso le misure economiche che ha adottato (la soppressione del lavoro di notte dei bambini e la moratoria sulle pigioni) ma attraverso i mezzi ed il modo di organizzazione che essa si è data. Quest’analisi di Marx risponde per intero alla situazione attuale. L’aspetto più importante nelle lotte che pone la classe sul suo terreno non risiede tanto negli obiettivi contingenti che essa può darsi in questo o quel momento, e che saranno superati nelle tappe ulteriori del movimento, ma nella sua capacità a prendere pienamente in mano queste lotte e dunque nei metodi che essa si dà per appropriarsi di queste. Sono questi mezzi e metodi della sua lotta ad essere i migliori garanti della dinamica e della capacità della classe ad avanzare nel futuro. E’ questa una delle insistenze maggiori del libro di Rosa Luxemburg Scioperi di massa, partito e sindacati, che trae le lezioni dalla rivoluzione del 1905 in Russia. In realtà, precisando che il movimento attuale è ben al di qua di quello del 1905 dal punto di vista della sua posta in gioco politica, bisogna sottolineare che i mezzi che si è dato sono, in modo embrionale, quelli dello sciopero di massa, quale si è espresso in  particolare nell’agosto 1980 in Polonia. 

14) La profondità del movimento degli studenti si esprime anche nella sua capacità a non cadere nella trappola della violenza che la borghesia gli ha teso a più riprese utilizzando e manipolando anche i “casseurs”9: occupazione poliziesca della Sorbona, trappola alla fine della manifestazione del 16 marzo, cariche poliziesche alla fine di quella del 18 marzo, violenze dei “casseurs” contro i manifestanti del 23 marzo. Anche se una piccola minoranza di studenti, principalmente quelli influenzati da ideologie anarchicheggianti, si sono lasciati tentare a scontrarsi con le forze di polizia, la grande maggioranza di essi si è preoccupata di non lasciare frammentare e distruggere il movimento in scontri a ripetizione con le forze di repressione. In questo senso il movimento attuale degli studenti ha dato prova di una maturità ben più grande rispetto a quello del 1968. La violenza - scontri con i corpi di polizia (CRS) e barricate- aveva costituito, tra il 3 maggio ed il 10 maggio 68, una delle componenti del movimento che, in seguito alla repressione della notte tra il 10 e l’11 e alle tergiversazioni del governo, aveva aperto le porte all’immenso sciopero della classe operaia. Ciò detto, nel prosieguo del movimento, le barricate e le violenze divennero uno degli elementi che permise alle differenti forze della borghesia (governo ed sindacati) di riprendere in mano le redini della situazione, in particolare minando la grande simpatia acquisita in un primo tempo dagli studenti nell’insieme della popolazione e soprattutto nella classe operaia. Per i partiti di sinistra e per i sindacati divenne facile mettere su uno stesso piano quelli che parlavano della necessità della rivoluzione e quelli che bruciavano automobili e si scontravano continuamente con i CRS. Tanto più che spesso, in realtà, erano gli stessi. Per gli studenti, che si credevano “rivoluzionari”, il movimento del Maggio 68 era già la Rivoluzione e le barricate che si erigevano giorno dopo giorno erano presentate come le eredi di quelle del 1848 e della Comune. Oggi, anche quando ci si pone la domanda delle prospettive generali del movimento, e dunque della necessità della rivoluzione, gli studenti sono molto coscienti del fatto che non sono gli scontri con le forze di polizia che fanno la forza del movimento. In effetti, anche se è ancora molto lontano dal porsi la questione della rivoluzione e dunque dal riflettere sul problema della violenza di classe del proletariato nella sua lotta per il capovolgimento del capitalismo, il movimento è stato confrontato implicitamente a questo problema ed ha saputo dargli una risposta nel senso della lotta e della natura del proletariato. Quest’ultimo è stato confrontato fin dall’inizio con la violenza estrema della classe sfruttatrice, con la repressione quando ha provato a difendere i suoi interessi, con la guerra imperialista ed anche con la violenza quotidiana dello sfruttamento. Contrariamente alle classi sfruttatrici, la classe portatrice del comunismo non porta in sé violenza, ed anche se non può fare a meno di usarla non deve mai identificarsi con essa. In particolare, la violenza di cui dovrà dare prova per rovesciare il capitalismo e di cui dovrà servirsi con determinazione, è necessariamente una violenza cosciente ed organizzata e dunque deve essere preceduta da tutto un processo di sviluppo della sua coscienza e della sua organizzazione attraverso le differenti lotte contro lo sfruttamento. La mobilitazione attuale degli studenti, proprio per la sua capacità ad organizzarsi ed ad affrontare in modo riflessivo i problemi che le sono posti, compreso quello della violenza, è molto più vicina alla rivoluzione, al capovolgimento violento dell’ordine borghese rispetto a quello delle barricate del Maggio 1968. 

15) E’ proprio la questione della violenza che costituisce uno degli elementi essenziali che permette di sottolineare la differenza fondamentale tra le sommosse delle periferie dell’autunno 2005 ed il movimento degli studenti della primavera 2006. All’origine dei due movimenti c’è evidentemente un causa comune: la crisi insormontabile del modo di produzione capitalista, l’avvenire di disoccupazione e di precarietà che questa riserva ai figli della classe operaia. Tuttavia, le sommosse delle periferie, che hanno espresso fondamentalmente una disperazione completa di fronte a questa situazione, non possono in nessuno modo essere considerate come una forma, anche approssimativa, di lotta di classe. In particolare, le componenti essenziali dei movimenti del proletariato, la solidarietà, l’organizzazione, la presa in mano collettiva e cosciente della lotta, sono state totalmente assenti in queste sommosse. Nessuna solidarietà dei giovani esasperati verso i proprietari delle automobili che bruciavano e che erano quelle dei loro vicini, loro stessi proletari, vittime della disoccupazione e della precarietà. Ben poca coscienza da parte di questi ribelli, spesso molto giovani, la cui violenza e le cui distruzioni si esercitavano in modo cieco, e spesso sotto forma di gioco. In quanto all’organizzazione ed all’azione collettiva, queste prendevano la forma di bande di quartiere dirette da un piccolo “capobanda” (che spesso traeva la sua autorità dal fatto di essere il più violento della banda) che facevano a gara a chi bruciava più automobili. In realtà, l’approccio dei giovani insorti nell’ottobre-novembre 2005 non solo si presta ad essere facile preda per ogni tipo di manipolazione poliziesca, ma ci da una prova di come gli effetti della decomposizione della società capitalista possono costituire un ostacolo allo sviluppo della lotta e della coscienza del proletariato.

La persuasione di fronte ai giovani delle periferie 

16) Nel corso del movimento attuale le bande dei “duri” hanno ripetutamente approfittato delle manifestazioni per recarsi al centro dalle città dedicandosi al loro sport favorito: “dagli addosso agli sbirri” e “rompere le vetrine”, e ciò con grande soddisfazione dei media stranieri che si erano già distinti alla fine 2005 per le loro immagini shock in prima pagina dei giornali ed in televisione. È chiaro che le immagini delle violenze che, durante tutto un periodo, sono state le uniche presentate ai proletari al di fuori della Francia, hanno costituito un eccellente mezzo per rafforzare il blackout su ciò che accadeva realmente in questo paese, privando la classe operaia mondiale di elementi che potevano contribuire alla sua presa di coscienza. Ma non è solamente nei confronti del proletariato degli altri paesi che sono state sfruttate le violenze delle bande dei “duri”. Nella  stessa Francia, in un primo tempo, sono state utilizzate per tentare di presentare la lotta degli studenti come una specie di “prosieguo” delle violenze dell’autunno scorso. Fatica sprecata: nessuno ha creduto ad una tale favola ed è per questo motivo che il Ministro degli Interni, Sarkozy, ha cambiato velocemente atteggiamento dichiarando di essere consapevole della chiara differenza tra gli studenti ed i “teppisti”. Le violenze sono state allora esaltate per tentare di dissuadere la maggior parete dei lavoratori, e naturalmente studenti universitari e liceali, a partecipare alle manifestazioni, specialmente a quella del 18 marzo. La partecipazione eccezionale a questa manifestazione ha dimostrato che queste manovre non funzionavano. Alla fine, il 23 marzo, è con la benedizione delle forze di polizia che i “casseur” hanno aggredito i manifestanti per rapinarli, o semplicemente per pestarli senza ragione. Molti studenti sono stati demoralizzati da questi violenze: “Quando sono i CRS che ci manganellano, ciò ci dà la grinta, ma quando sono i ragazzi delle periferie per i quali anche ci si batte, ciò costituisce un colpo al morale”. Tuttavia, anche su questo gli studenti hanno dimostrato la loro maturità e la loro coscienza. Piuttosto che provare ad organizzare delle azioni violente contro i giovani “casseurs”, come è stato fatto dai servizi d’ordine sindacale che durante la manifestazione del 28 marzo li hanno spinti verso le forze di polizia a forza di manganello, hanno deciso in parecchi luoghi di eleggere delle delegazioni con il mandato di andare a discutere con i giovani dei quartieri periferici, in particolare per spiegare loro che la lotta degli studenti era anche a favore di questi giovani immersi nella disperazione della disoccupazione di massa e dell’esclusione. È in modo intuitivo, senza conoscenza delle esperienze della storia del movimento operaio, che la maggioranza degli studenti ha messo in pratica uno degli insegnamenti essenziali che emerge da queste esperienze: nessuna violenza all’interno della classe operaia. Di fronte ai settori del proletariato che possono lasciarsi trascinare in azioni contrarie ai suoi interessi generali, la persuasione e l’appello alla coscienza costituisce il mezzo essenziale d’azione nei loro confronti, dal momento che questi settori non sono appendici dello Stato borghese (come i commando che vanno a sabotare gli scioperi). 

Un’esperienza insostituibile per la politicizzazione delle giovani generazioni  

17) Une delle ragioni della grande maturità del movimento attuale, particolarmente nei confronti della questione della violenza, sta nella forte partecipazione delle studentesse universitarie e delle liceali in questo movimento. È noto che a quest’età le ragazze hanno generalmente una maggiore maturità rispetto ai loro compagni di sesso maschile. Inoltre, per quanto riguarda la questione della violenza, le donne si lasciano in genere meno facilmente trascinare su questo terreno rispetto agli uomini. Anche nel 1968 le studentesse hanno partecipato al movimento, ma quando la barricata è diventata il simbolo di questo, il ruolo che è stato loro affidato è stato spesso quello di sostegno agli “eroi” che stavano sulle barricate, di infermiere per quelli che erano feriti e di portatrici di panini per farli ristorare tra uno scontro con i CRS e l’altro. Niente di tutto questo nel movimento di oggi. Nei “blocchi” alle porte delle università, le studentesse sono numerose ed il loro atteggiamento è significativo del senso che il movimento ha dato finora a questi picchetti: non il “bastone” nei confronti di coloro che vogliono seguire i corsi, ma la spiegazione, l’argomentazione e la persuasione. Nelle assemblee generali e nelle differenti commissioni, anche se spesso non sono “grandi oratrici” e sono meno impegnate nelle organizzazioni politiche rispetto ai ragazzi, le studentesse costituiscono un elemento di prim’ordine nell’organizzazione, la disciplina e l’efficacia di queste così come nella capacità di riflessione collettiva. La storia delle lotte del proletariato ha messo in evidenza che la profondità di un movimento poteva essere valutata in parte dalla proporzione delle operaie che vi venivano coinvolte. In “tempi normali” le donne proletarie, poiché subiscono un’oppressione ancora più soffocante dei proletari maschi, sono in linea di massima meno coinvolte rispetto a quest’ultimi nei conflitti sociali. È solamente al momento in cui questi conflitti raggiungono una grande profondità, che gli strati più oppressi del proletariato, particolarmente le operaie, si lanciano nella lotta e la riflessione di classe. La grande partecipazione delle studentesse universitarie e liceali nel movimento attuale, il ruolo di primo piano che giocano, costituiscono non solo un indizio supplementare della sua natura autenticamente proletaria, ma anche della sua profondità. 

18) Come abbiamo visto, il movimento attuale degli studenti in Francia costituisce un’espressione di primo piano della nuova vitalità del proletariato mondiale da tre anni a questa parte, una nuova vitalità ed una maggiore capacità di presa di coscienza. La borghesia farà evidentemente tutto il possibile per limitare al massimo l’impatto di questo movimento per l’avvenire. Se ne ha i mezzi, cercherà di non cedere sulle sue rivendicazioni principali per mantenere nella classe operaia in Francia il sentimento di impotenza che è riuscita ad imporle nel 2003. Ad ogni modo, si adopererà affinché la classe operaia non tragga le ricche lezioni da questo movimento, in particolare provocando un deterioramento del lotta (che è un fattore di demoralizzazione) o un recupero attraverso i sindacati ed i partiti di sinistra. Tuttavia, qualunque siano le manovre della borghesia, questa classe non potrà sopprimere tutta l’esperienza accumulata durante le settimane dalle decine di migliaia dei futuri lavoratori, il loro risveglio alla politica e la loro presa di coscienza. È questo il vero tesoro per le lotte future del proletariato, un elemento di primo piano della loro capacità a proseguire il cammino verso la rivoluzione comunista. E’ compito dei rivoluzionari partecipare pienamente, tanto nel far fruttare l’esperienza presente che al suo utilizzo nelle lotte future.

CCI (3 aprile 2004)

1. Al fine di permettere alla lotta di avere il maggiore potere ed unità possibili, gli studenti hanno avuto la necessità di costituire un “coordinamento nazionale” di delegati delle differenti assemblee. In sé il fatto è assolutamente corretto. Tuttavia, nella misura in cui una buona parte dei delegati è costituita da elementi di organizzazioni politiche borghesi (come la “Lega comunista rivoluzionaria”, trotskista) che sono presenti nel mondo studentesco, le riunioni settimanali del coordinamento sono state spesso il teatro di manovre politiche di queste organizzazioni che hanno tentato in particolare, finora senza successo, di costituire un “Bureau del Coordinamento” che sarebbe diventato uno strumento della loro politica. Come spesso abbiamo riportato negli articoli della nostra stampa (in particolare durante gli scioperi in Italia del 1987 e durante lo sciopero degli ospedalieri in Francia del 1988) la centralizzazione, che è una necessità in una lotta di grande ampiezza, non può contribuire realmente allo sviluppo del movimento se non si basa su un alto grado di gestione di quest’ultimo e di vigilanza alla base, nelle assemblee generali. Bisogna anche notare che un’organizzazione come la LCR ha tentato di dare al movimento degli studenti dei “porta voce” presso i media. Il fatto che non sia apparso alcuno “leader” mediatico del movimento non è un segno di debolezza ma al contrario della sua grande profondità.

2. Abbiamo anche potuto ascoltare alla televisione uno “specialista” della psicologia dei politici dichiarare che questi faceva parte della categoria degli “ostinati narcisistici”.

3. Bisogna precisare che il comune in questione è Neuilly-su-Seine, il simbolo delle città a popolazione borghese. Non è certamente con i suoi elettori che Sarkozy ha imparato a “parlare al popolo”. 

4. Questa era una data simbolica poiché segnava il decimo anniversario del colpo di Stato del 13 maggio 1958 che aveva visto il ritorno di De Gaulle al potere. Uno dei principali slogan della manifestazione era “Dieci anni, basta così!”

5. Così, nel gennaio 1968, la nostra pubblicazione Internacionalismo del Venezuela, la sola pubblicazione della nostra corrente esistente all’epoca, annunciava l’inizio di un nuovo periodo di scontri di classe a scala internazionale: “non siamo dei profeti, e non pretendiamo di indovinare quando ed in che modo si svolgeranno gli avvenimenti futuri. Ma quello di cui siamo effettivamente sicuri e coscienti per quanto riguarda il processo in cui è immerso il capitalismo attualmente, è che non è possibile fermarlo con le riforme, le svalutazioni, né con altri tipi di misure economiche capitaliste e che esso conduce direttamente alla crisi. E  siamo anche sicuri che il processo inverso di sviluppo della combattività della classe, che attualmente viviamo in modo generale, condurrà la classe operaia ad una lotta sanguinosa e diretta per la distruzione dello Stato borghese”. 

6. In quel giorno, dopo tutta una serie di mobilitazioni nelle città operaie contro i violenti attacchi economici e la repressione della giunta militare, gli operai di Cordoba riuscirono a scavalcare completamente le forze di polizia e l’esercito (pertanto equipaggiati di carri armati) e si impadronirono della città, la seconda del paese. Il governo poté “ristabilire l’ordine” solo l’indomani grazie all’invio massiccio dell’esercito.

7. Siamo ben lontano dall’atteggiamento di molti studenti del 1968 che consideravano i loro genitori come “vecchi coglioni”, mentre quest’ultimi li trattavano spesso da “piccoli coglioni”).

8. Vale la pena segnalare che questa cecità sul significato vero del Maggio 1968 non colpiva solo le correnti di estrazione stalinista o trotskista per le quali, evidentemente, non c’era stata controrivoluzione ma una progressione della “rivoluzione” con la comparsa, in seguito alla Seconda Guerra mondiale, di tutta una serie di Stati “socialisti” o “operai degenerati” e con le “lotte di liberazione nazionale” che erano iniziate nello stesso periodo e che si sono prolungate per parecchi decenni. In effetti, la maggior parte delle correnti ed elementi che si ricongiungevano alla Sinistra comunista, ed in particolare alla Sinistra italiana, non hanno compreso gran che di ciò che accadeva nel 68 poiché, ancora oggi, tanto per i bordighisti che per Battaglia comunista non siamo ancora usciti della controrivoluzione.

9. Letteralmente coloro che rompono, distruggono.

 

 

 

 

 

 

 

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