Per sviluppare le nostre lotte rompiamo la morsa sindacale!

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Pubblichiamo questo articolo scritto dalla nostra sezione in Francia perché le questioni che si pongono i lavoratori in Francia, alle quali l’articolo cerca di rispondere, sono le stesse che si pongono i lavoratori in Italia, così come in qualsiasi altra parte del mondo.

Lottare, sì, ma come? Ognuno di noi si pone questa domanda di fronte alla moltiplicazione degli attacchi contro le nostre condizioni di vita. Cosa fare per battersi senza scontrarsi continuamente agli stessi vicoli ciechi e senza avere alla fine l’amaro della sconfitta e lo scoraggiamento in bocca?

Qual è il motore per lo sviluppo delle lotte?

È chiaro che per essere capace di fare arretrare la borghesia e frenare i suoi attacchi, ogni lotta operaia deve costruire ed imporre un reale rapporto di forza. Ma quando la classe operaia è forte?

- Quando è capace di esistere come classe unita in una stessa lotta, intorno alle stesse rivendicazioni unificanti.

- Quando l’appartenenza ad un settore particolare del proletariato è superata dalla coscienza di appartenere alla stessa classe di sfruttati imbarcati nella stessa galera capitalista, che subisce gli stessi attacchi e deve difendere gli stessi interessi generali.

Se si lotta solo come insegnante, postino, ferroviere, infermiere, operaio di questa o quell’impresa, come salariato di questa o quell’impresa, di questo o quel settore, che difende questo o quell’interesse specifico del proprio ufficio o della propria fabbrica, ci si espone a lasciarsi chiudere e ad isolarsi da tutti gli altri sfruttati in lotte che restano inevitabilmente molto limitate, e che per questo la borghesia può portarle alla sconfitta ed allo scoraggiamento una ad una.

Se invece andiamo a cercare gli operai della fabbrica affianco, gli infermieri dell’ospedale affianco ecc., allora si crea una reale dinamica di sviluppo della lotta. Quando una lotta scoppia in una fabbrica o in un settore anziché lasciarla isolata in questa fabbrica, in questo settore, la prima preoccupazione deve essere estendere la lotta, inviare delegazioni di massa verso i posti di lavoro vicini per trascinare altri lavoratori nella lotta. Si devono organizzare assemblee generali aperte a tutti, senza esclusioni, per farvi partecipare i lavoratori di altri settori. La vera solidarietà operaia in occasione di uno sciopero si forgia sulla base di un’estensione geografica della lotta.

Propagare ed estendere la lotta da un settore all’altro, da una fabbrica all’altra, è la manifestazione di una necessità vitale per la lotta stessa: quella di sviluppare la solidarietà attiva chiamando ad assemblee generali comuni, designando delegati eletti e revocabili in ogni momento, partecipando a manifestazioni quanto più unitarie possibile. Le manifestazione devono servire come momento di raccolta dei lavoratori di una stessa città in uno stesso posto, con il maggior sostegno possibile e la solidarietà di tutta la popolazione.

Ma come costruire un tale rapporto di forza? È possibile? Le esperienze non mancano. Nello sciopero di massa dell’agosto 1980 in Polonia, in modo spontaneo, prima che il sindacato Solidarnosc facesse man bassa sul movimento, sono stati gli operai di varie città a mandare delegazioni e rappresentanti al Comitato centrale di sciopero inter-fabbrica (MKS) per condurre i negoziati con lo Stato. Ciò che fa più paura alla borghesia è vedere emergere delle mobilizzazioni di massa ed unitarie attraverso le quali tutti gli sfruttati possono riconoscersi. È come futuri proletari che gli studenti in Francia si sono sollevati nella primavera del 2006 contro il progetto di CPE (contratto primo impiego), ed hanno organizzato, in alcuni posti ed in alcune facoltà parigine, assemblee generali aperte non solo a tutto il personale dell’università (insegnanti, tecnici e amministrativi) ma a tutti, genitori e nonni di studenti, lavoratori e pensionati. E questo non solo ha costretto il governo francese ad abrogare il CPE, ma ha determinato anche il ritiro precipitoso di un progetto simile in Germania, il che dimostra quanto la classe dominante abbia temuto il contagio. Sempre in Francia, nel dicembre 2008, il ministro dell’istruzione Darcos ha sospeso la sua riforma degli istituti universitari perché tremava all’idea che la sommossa degli studenti-precari in Grecia potesse estendersi al suo paese. Nel febbraio scorso gli operai britannici iniziano a rimettere in discussione con rabbia il nazionalismo di cui erano stati accusati in occasione dello sciopero nelle raffinerie e le centrali elettriche di Lindsey. Il governo britannico cede frettolosamente, in sole 48 ore, alle loro rivendicazioni ed accetta di creare nuovi posti di lavoro, mentre le negoziazioni salariali rischiavano di trascinarsi per settimane (vedi Rivoluzione Internazionale n. 159).

È la vastità della lotta in Guadalupa intorno alla rivendicazione unitaria di 200 euro d’aumento sui salari (ed il timore che questo slancio rivendicativo fosse preso a modello non solo nei Domini d’oltre mare, DOM, ma anche nella metropoli) che ha costretto il governo francese a fare marcia indietro (vedi articolo in questo numero).

I sindacati sabotano lo sviluppo della lotta

È precisamente questa dinamica verso l’unità nella lotta che i sindacati cercano continuamente di sabotare e far marcire. È quello che fanno ogni giorno isolando ed inquadrando ogni sciopero, imprigionandolo in rivendicazioni particolari, mettendo avanti la difesa di questo o quell’interesse specifico proprio di questa o quell’impresa, di questo o quel posto, diretta contro questo o quello padrone. I sindacati basano la loro influenza ed il loro controllo sul fatto che le lotte dei salariati restano chiuse nel quadro della difesa di una categoria, di una corporazione, di un’impresa o di un settore particolare, e sabotano così lo sviluppo delle lotte opponendo e dividendo gli operai tra loro. In questo modo hanno potuto far passare l’attacco contro i regimi speciali nella SNCF (ferrovie francesi) nel 2007, anche se in questa occasione si sono creati legami di solidarietà tra ferrovieri e studenti in lotta contro la riforma universitaria.

Allo stesso scopo organizzano le loro grandi “giornate d’azione intercategoriali” come quelle del 29 gennaio e del 19 marzo a Parigi, destinate a dar sfogo, incanalare, sterilizzare la rabbia e la combattività, a privarle o amputarle di ogni prospettiva e alla fine ad alimentare la divisione nelle file dei salariati. Deviano e snaturano la vera aspirazione all’unità operaia sostituendola con la loro artificiosa unità sindacale. Questa facciata di grande mobilità maschera in realtà l’intento di mantenere la divisione nella classe operaia. La manifestazione del 19 marzo a Parigi, ad esempio, con il pretesto che ci sarebbe stato un corteo troppo grande, ha permesso ai sindacati, d’accordo con la prefettura di polizia, di dividere la manifestazione in due cortei distinti e nettamente separati in modo da impedire al settore privato ed a quello pubblico di sfilare insieme. In questo modo hanno potuto rafforzare lo spezzettamento sistematico dei cortei dove ognuno sfila in compartimenti stagni dietro le bandiere del “suo” sindacato, della “sua” azienda, della “sua” città, del “suo” settore, ognuno con le proprie parole d’ordine o le proprie rivendicazioni. Le manifestazioni del 19 marzo non hanno quindi affatto rappresentato un passo avanti per la lotta operaia ma, al contrario, sono state un successo dell’inquadramento sindacale e delle sue manovre di divisione.

La necessità di scontrarsi con i sindacati

Oggi tutte le lotte cozzano contro questo ostacolo sindacale. L’esempio della lotta dei 1120 salariati della fabbrica di pneumatici Continental a Clairoix nell’Oise, minacciati di licenziamento come decine di migliaia di operai oggi, illustra questo sabotaggio permanente. Contando l’indotto ed il licenziamento già operante di 200 interinali, sono complessivamente 3.000 i salariati che si troveranno presto senza lavoro. Due anni dopo aver avallato l’accordo firmato dai sindacati con la direzione per il ritorno alle 40 ore lavorative invece di 35 con relativa perdita di salario, il tutto “per evitare i licenziamenti”, i lavoratori hanno la netta sensazione di essersi fatti “fregare”.

La fabbrica si trova in una zona industriale che si estende fino a Compiègne e raccoglie molte fabbriche importanti della regione i cui operai sono destinati alla stessa sorte; il loro sciopero con l’occupazione della fabbrica l’11 marzo ha ricevuto una forte solidarietà (visita di salariati di altre imprese, approvvigionamento di canestri-pasto) ed ha spinto i sindacati ad organizzare una manifestazione a Compiègne in occasione della “giornata di azione” del 19 marzo. Manifestazione che, in 5 chilometri di percorso, è passata da 3.000 a 15.000 persone nel centro città (cioè il quarto della popolazione dell’agglomerato!). Inoltre, gli scioperanti hanno ricevuto il sostegno degli operai di Inergy (impresa in sub-appalto del settore auto dove era stato attuato un piano per una cinquantina di licenziamenti) che hanno spontaneamente messo a loro disposizione degli autobus perché gli operai potessero recarsi alla sede della Continental a Reims e poi all’Eliseo il 25 marzo (dove sono stati ricevuti senza alcuno risultato).

Tuttavia, se queste manifestazioni di solidarietà venute dall’esterno sono state accolte con simpatia, queste sono rimaste a senso unico perché gli operai della Continental, strettamente controllati dai sindacati, non hanno messo in discussione il loro inquadramento. Lasciando la lotta nelle mani dei sindacati, non si sono posti la questione di andare in prima persona ed in massa alle fabbriche vicine per chiamarle a scendere in lotta, eppure sono circondati da fabbriche come Saint-Gobain, Colgate, Cadum, Aventis, Allard, CIE Automotive (in quest’ultima gli operai sono in cassa integrazione una settimana al mese).

I sindacati hanno accuratamente limitato le loro assemblee nell’ambito dell’impresa, minando così ogni iniziativa verso altri settori in lotta. Hanno, invece fortemente incoraggiato “azioni” tipo bombardare di uova i dirigenti, così come in altri posti hanno spinto i lavoratori in esubero a sequestrarli (come il Presidente della Sony France nel Landes o quello della 3M nel Loiret) o ad occupare l’impresa come a GSK - GlaxoSmithKline - a Evreux in Normandia.

Non è così che i salariati potranno difendersi e ottenere risposta alle loro rivendicazioni ma, al contrario, seguendo l’esempio, rimasto embrionale, della lotta dei metallurgici di Vigo (Spagna) nella primavera del 2006: questi hanno organizzato le assemblee generali non nella fabbrica ma nelle strade, permettono così agli altri operai di parteciparvi ed andare a manifestare insieme in massa (vedi Rivoluzione Internazionale n.145). È lo stesso metodo di lotta che è stato utilizzato nello sciopero di solidarietà all’aeroporto londinese di Heathrow nel 2005, in risposta ai licenziamenti di immigrati asiatici di un’impresa per i-pasti negli aerei (Rivoluzione Internazionale n.142). Non è la violenza, le azioni radicali o l’oltranzismo di qualche minoranza, che possono fare arretrare il nemico di classe; ma l’assunzione in prima persona da parte dei lavoratori dell’estensione della lotta, perché quest’estensione porta in sé una dinamica di unificazione di tutta la classe operaia.

Di conseguenza, per costruire un rapporto di forza a loro favore di fronte alla borghesia prendendo in mano la propria lotta, i lavoratori, in tutti i settori, non possono evitare lo scontro con i sindacati, le loro trappole, le loro manovre di sabotaggio e di divisione.

Eva, 28/3/2009

(da Révolution Internationale n.400, organo della CCI in Francia)

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