Manovra finanziaria: un salasso da capogiro che servirà solo a peggiorare la situazione

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Da anni ormai c’eravamo abituati a temere il momento del varo della legge di bilancio dello Stato (“La finanziaria”), perché da anni ormai queste finanziarie significano sacrifici per i lavoratori, ma quello che sta succedendo da luglio è una novità assoluta: sotto i colpi della tempesta finanziaria internazionale le manovre economiche ormai vengono varate a ripetizione, e tutte hanno sempre lo stesso carattere di dissanguamento dei lavoratori. Tra luglio e settembre sono state varate due manovre finanziarie che si proiettano al 2014, anno in cui viene promesso il pareggio di bilancio, e che superano i 60 miliardi di euro[1].

Questa violenta accelerazione degli attacchi è l’immediata conseguenza di un nuovo aggravamento della crisi economico-finanziaria scoppiata nel 2008 e che non era mai stata superata, al di là di una relativa ed effimera ripresa della produzione.

Ed infatti i motivi che l’hanno provocata nel 2008 non solo sono tutti lì, ma si sono anche aggravati: i debiti sovrani, cioè i debiti degli Stati, sono ulteriormente aumentati, sia per l’aiuto dato alle banche per salvarle dal fallimento (almeno per alcuni Stati come gli USA), sia per la mancanza di nuove entrate dovuta alla stagnazione dell’economia, un’economia che non è ripartita perché alla base della crisi c’è una carenza di mercati solvibili, cioè di mercati capaci di assorbire, pagandole, tutte le merci che si producono.

Se la “speculazione” si è scatenata contro gli stessi Stati è perché, dopo il venir meno della credibilità (cioè della solvibilità) degli istituti finanziari, è la solvibilità degli Stati a diventare critica: le minori entrate degli Stati, in diminuzione per la recessione, mettono in pericolo la capacità di questi di pagare gli interessi del debito accumulato, il che significa che, per poter convincere il mercato a comprare i propri titoli, gli Stati devono aumentare i loro rendimenti, con il conseguente aggravamento del debito, e così via.

Perciò gli Stati non hanno altra strada che quella di ridurre le proprie spese e cercare di rastrellare risorse dall’insieme della popolazione, ed, evidentemente, in primo luogo dalla classe operaia[2].

E’ quello che da più di due anni sta facendo il governo greco, che ha varato misure di austerità mai viste prima, da nuove tasse su tutto al licenziamento del 20% degli impiegati statali (in Italia una misura di questo tipo significherebbe più di 600.000 licenziamenti).

E’ quello che sta facendo il governo Berlusconi e non solo da questa estate: al blocco dei salari dei lavoratori del P.I. ormai da due anni (e il blocco degli scatti di anzianità significa, per quelli che l’avrebbero maturato in questi anni, la perdita di più di mille euro all’anno, ben più di quello che veniva richiesto con il cosiddetto contributo di solidarietà ai redditi, per es., di 100.000 euro), al licenziamento di più di 100.000 precari della scuola, il più grosso piano di licenziamenti che ci sia mai stato in Italia e passato quasi sotto silenzio (se non fosse per le lotte dei precari), ai ticket sulle ricette per i medicinali si aggiungono ora le misure prese in queste due ultime manovre estive:

  • innanzitutto l’aumento dell’IVA dal 20 al 21% che, come è stato già calcolato, implicherà una maggiore spesa, per una famiglia media, superiore ai 150 euro annui, sempreché i commercianti si limitino ad applicare l’aumento dell’1% e non aggiungano nulla di loro per “arrotondare” (in questa previsione, piuttosto realistica, c’è chi arriva a calcolare un aggravio di spesa di 400 euro all’anno);
  • i tagli agli enti locali, che implicano il necessario aumento delle tasse locali e la conseguente riduzione dei servizi sociali: già sono stati annunciati tagli ai servizi scolastici e sono già operativi quelli al trasporto locale, con la soppressione di corse su tutto l’arco della giornata il che equivale ad un allungamento significativo del tempo che i lavoratori che ne fanno uso devono impiegare per recarsi al lavoro;
  • tagli alle spese dei ministeri (6 miliardi nel 2012, 2 e mezzo nel 2013), che ancora non si sa bene che conseguenze avranno, certo comunque non di miglioramento del funzionamento della pubblica amministrazione, come si può vedere dai tagli già annunciati, per esempio, ai finanziamenti delle scuole, che sempre di più sono costrette a chiedere contributi ai genitori anche per comprare la carta igienica;
  • riduzione delle agevolazioni fiscali: anche queste non sono state ancora ben definite, ma sicuramente si ridurranno o si aboliranno le detrazioni (quelle per spese mediche, mutui, spese scolastiche, ecc.);
  • anticipo dello spostamento della pensione di vecchiaia a 65 anni per le donne che lavorano nel settore privato (per quelle che lavorano nel pubblico questo è già stato stabilito tutto in una volta l’anno scorso): oltre a imporre un allungamento dell’età lavorativa a chi ha già ceduto decine dei propri anni per arricchire il proprio padrone, questa misura è un ulteriore schiaffo in faccia ai giovani che sempre meno trovano lavoro (la disoccupazione giovanile supera ormai il 30% su base nazionale);
  • articolo 8: “Saranno possibili deroghe alle leggi nazionali sul contratto di lavoro per gli accordi aziendali e territoriali, comprese quelle sui licenziamenti fatti salvi quelli discriminatori quindi i diritti legati alla maternità e ai congedi parentali”; questo articolo non c’entra niente con la riduzione del debito statale, né serve a “rilanciare l’economia”, il suo significato è strettamente politico ed esprime un certo odio di classe nei confronti dei lavoratori (in particolar modo da parte del ministro Sacconi): infatti già oggi un’azienda che non riesce a stare sul mercato può licenziare senza problemi[3], per cui questo articolo serve solo ad autorizzare proprio gli abusi e il ricatto che, soprattutto nelle piccole fabbriche, i padroni potranno esercitare nei confronti dei lavoratori con la minaccia dei licenziamenti.

Per tornare alla questione economica, ci siamo limitati a ricordare le misure più importanti che il governo ha preso sotto la spinta degli attacchi della speculazione, che rischiavano di far salire gli interessi sui BOT a valori insostenibili per lo Stato. Una speculazione che, da un lato, deriva dalla situazione di perdita di fiducia anche verso gli Stati sovrani e la loro capacità di far fronte ai propri debiti, ma che per l’Italia si acuisce per la presenza di un governo che sempre più si mostra non all’altezza della drammatica situazione economica. Se ne è avuto conferma nella confusione che ha accompagnato il varo di queste due manovre: la prima è stata giudicata, dai mercati e dalla BCE, non abbastanza efficace, almeno per i tempi di attuazione; la seconda ha avuto 4 riscritture prima di arrivare a quella che abbiamo descritto sopra. In più molte delle misure prese, se certamente significano sacrifici ulteriori per i lavoratori e la popolazione, non garantiscono affatto una uscita dalla crisi, anzi alcune hanno effetti controproducenti tali da annullare i benefici che portano al bilancio dello Stato:

  • l’aumento dell’IVA produrrà certamente una diminuzione dei consumi, il che significa che il gettito complessivo di questa imposta rischia addirittura di diminuire, con i consumi che già rischiano di diminuire per la riduzione del reddito complessivo dei lavoratori, cosa che da un lato si ritorce contro lo Stato, dall’altro ha un effetto recessivo sull’insieme dell’economia, rendendo ancora più difficile quella ripresa che sola potrebbe assicurare un aumento reale e duraturo delle entrate dello Stato;
  • l’allungamento della giornata di lavoro (per l’aumento dei tempi di trasporto) senza un aumento delle ore lavorate, se da un lato peggiora le condizioni di vita dei lavoratori, dall’altro non ne ricava un aumento della produttività, anzi, visto che i lavoratori arriveranno già stanchi al lavoro, rischia di diminuirla.

La conseguenza di tutto questo è che presto ci vorranno altre manovre, altri sacrifici; e non siamo solo noi a dirlo, ma molti commentatori borghesi stessi: già si vocifera di un intervento più massiccio sulle pensioni, con il probabile allungamento dell’età lavorativa se non la riduzione pura e semplice delle pensioni di anzianità. E’ per questo che si parla ancora di un nuovo governo, un governo più ampio, che abbia la forza e il coraggio di prendere ulteriori misure antipopolari, e magari più efficaci (che è la vera critica che tutta l’opposizione fa a Berlusconi, un leader sempre più preso dai suoi affari personali e che non difende abbastanza gli interessi del capitale nazionale).

Insomma la borghesia si prepara a sferrare nuovi e più pesanti attacchi ai lavoratori, a questi tocca tirare le somme di quanto sta accadendo e prepararsi a loro volta a rispondere agli attacchi con le loro lotte.

Helios, 20/09/2011



[1] Poiché le due manovre si sommano e la seconda riprende anticipando alcune misure prese nella prima, è anche difficile sapere esattamente il valore della cifra che le due manovre si propongono di recuperare.

[2] Per una analisi più approfondita della situazione economica mondiale, vedere l’articolo Crisi economica mondiale: un’estate micidiale e la parte sulla crisi della Risoluzione sulla situazione internazionale del XIX congresso della CCI, entrambi pubblicati su CCI online.

[3] Dobbiamo ricordare Termini Imerese, Eutelia, Irisbus, …?

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