In Libia, un sollevamento popolare affossato da lotte tra fazioni borghesi

Printer-friendly version

Gli avvenimenti che si svolgono in Libia sono estremamente difficili da seguire. Ma una cosa è chiara: la popolazione da settimane soffre per la repressione. Sta conoscendo paura e incertezza. Forse migliaia di persone sono morte, all’inizio per mano dell’apparato repressivo del regime ma adesso perché accerchiate tra due fuochi, poiché il governo e l’opposizione si battono per il controllo del paese.

Ma per quale motivo stanno morendo? Da un lato, per mantenere il controllo di Gheddafi sullo Stato e dall’altro perché il Consiglio Nazionale Libico (quello che si è autoproclamato “la voce della rivoluzione”) possa controllare l’insieme del paese. La classe operaia in Libia, e al di là della Libia, si vede chiamata a scegliere tra due gruppi di gangster. In Libia le si dice che deve schierarsi in maniera attiva in questa crescente guerra civile tra due parti rivali della borghesia libica per il controllo dello Stato e dell’economia. Nel resto del mondo, noi veniamo incoraggiati a sostenere la coraggiosa lotta dell’opposizione. I lavoratori non hanno nessun interesse a sostenere né l’una né l’altra di queste due fazioni.

Gli avvenimenti in Libia sono cominciati come una manifestazione di massa contro Gheddafi, ispirata dai movimenti in Egitto ed in Tunisia. Ciò che ha causato l’esplosione di rabbia in numerose città è stata la brutale repressione delle prime manifestazioni. Secondo il giornale The Economist del 26 febbraio, la scintilla iniziale è stata la manifestazione di una sessantina di giovani a Bengasi, il 15 febbraio. Manifestazioni simili hanno avuto luogo in altre città e tutte sono state accolte da pallottole. Di fronte all’assassinio di molte decine di giovani, migliaia di gente è scesa nelle strade per dare battaglia alle forze dell’ordine dello Stato. Nel corso di queste lotte ci sono state azioni di grande coraggio. Saputo che i mercenari erano sbarcati all’aeroporto, la popolazione di Bengasi è andata in massa fino all’aeroporto e ne ha preso il controllo, nonostante le perdite pesanti. In un’altra azione, dei civili hanno requisito bulldozer ed altri veicoli ed hanno preso d’assalto una caserma molto ben armata.

La popolazione in altre città ha respinto le forze di repressione dello Stato. Il regime ha risposto aumentando la repressione, ma ciò ha portato alla divisione in larghi settori delle forze armate dove soldati e ufficiali si sono rifiutati di eseguire l’ordine di uccidere i manifestanti. Un soldato semplice ha ucciso il comandante che gli ordinava di sparare per uccidere. Dunque, inizialmente, questo movimento sembra essere stata una vera esplosione di rabbia popolare, in particolare da parte della gioventù urbana, di fronte alla repressione brutale e all’aggravarsi della miseria economica.

Perché le cose hanno preso una piega così diverso in Libia?

L’aggravamento della crisi economica ed un rifiuto crescente di accettare la repressione è stato il contesto più ampio per i movimenti in Tunisia, in Egitto ed altrove, in Medio Oriente ed in Africa del Nord. La classe operaia e la popolazione in generale hanno subito anni di povertà e di sfruttamento brutale, mentre, nello stesso tempo, la classe dirigente accumulava ricchezze immense.

Ma perché la situazione in Libia è così diversa da quella della Tunisia e dell’Egitto? In questi due paesi, anche se c’era la repressione, lo strumento principale utilizzato per controllare il malcontento sociale è stato la democrazia. In Tunisia, le manifestazioni crescenti della classe operaia e della popolazione contro la disoccupazione sono state deviate in una notte verso il vicolo cieco di sapere chi avrebbe sostituito Ben Ali. Sotto la direzione dell’esercito americano, l’esercito tunisino ha chiesto al presidente di levare le tende. C’è voluto un po’ più tempo in Egitto per ottenere che Mubarak facesse la stessa cosa, ma la stessa sua resistenza ha permesso di assicurarsi che questo malcontento si focalizzasse sulla volontà di sbarazzarsi di lui. Fatto importante, una delle cose che lo ha finalmente spinto ad andarsene è stato lo scoppio dello sciopero che reclamava migliori condizioni di vita e migliori salari. Questo ha mostrato che i lavoratori, pur avendo partecipato alle massicce manifestazioni contro il governo, non avevano dimenticato i loro propri interessi e non erano pronti a metterli da parte per dare, per così dire, una chance alla democrazia.

In Egitto ed in Tunisia, l’esercito è la spina dorsale dello Stato e questo è stato capace di mettere gli interessi del capitale nazionale al di sopra degli interessi particolari delle diverse cricche. In Libia l’esercito non ha lo stesso ruolo. Il regime di Gheddafi ha, per decenni, deliberatamente mantenuto debole l’esercito, come pure tutte le altre parti dello Stato che potevano costituire una base di potere per i suoi rivali. “Gheddafi ha tentato di mantenere i soldati in stato di debolezza, per evitare che essi potessero rovesciarlo, come ha rovesciato il re Idris” ha dichiarato Paul Sullivan, un esperto di politica nordafricana, della National Defense University di Washington. Il risultato è “un esercito taccagno gestito da ufficiali mal formati che stanno sul filo del rasoio, non completamente stabili sul piano personale, e con numerose armi che aleggiano tutt’intorno” (www.bloomberg.com, 2 marzo). Ciò significa che la sola risposta del regime ad ogni malcontento sociale è la repressione allo stato puro.

La brutalità della risposta dello Stato ha prodotto nella classe operaia una fiammata di rabbia disperata alla vista del massacro dei suoi figli. Ma i lavoratori che si sono uniti alle manifestazioni l’hanno fatto in gran parte come individui: nonostante il grande coraggio che è stato necessario per resistere alle armi pesanti di Gheddafi, i lavoratori non sono stati in grado di far valere i loro interessi di classe.

In Tunisia, come abbiamo detto, il movimento è cominciato all’interno della classe operaia e tra i poveri contro la disoccupazione e la repressione. In Egitto, il proletariato è entrato nel movimento dopo avere partecipato, in questi ultimi anni, a diverse ondate di lotte e questa esperienza gli ha dato fiducia nella capacità di difendere i propri interessi. L’importanza di questo è stata dimostrata quando, alla fine delle manifestazioni, è scoppiata un’ondata di scioperi.

Il proletariato libico è entrato nel conflitto attuale in una posizione di debolezza. Ci sono stati dei comunicati su di uno sciopero in un campo petrolifero. Ma è impossibile dire se ci sono state altre espressioni dell’attività della classe operaia. Forse si, ma resta il fatto che il proletariato, come classe, è più o meno assente. Ciò significa che la classe operaia è stata, sin dall’inizio, più vulnerabile a tutti i veleni ideologici secreti da una situazione di caos e di confusione.

La comparsa della vecchia bandiera monarchica e la sua accettazione in pochi giorni come simbolo della sommossa, è il segno della profondità di questa debolezza. Questa bandiera ha sventolato mentre si sentiva lo slogan nazionalistico “Una Libia libera”. Ci sono state anche espressioni di tribalismo, con l’appoggio o l’opposizione al regime di Gheddafi, determinate in alcuni casi da interessi regionali o tribali. Capi tribali hanno utilizzato ed utilizzano ancora la loro autorità per mettersi alla testa della ribellione. Sembra esserci anche una forte presenza dell’islamismo con il canto “Allah Akbar”[1] che si sente in numerose manifestazioni.

Questo pantano ideologico ha esasperato una situazione in cui decine, se non centinaia di migliaia di lavoratori stranieri hanno sentito la necessità di fuggire dal paese. Perché dei lavoratori stranieri avrebbero dovuto sfilare dietro una bandiera nazionale, poco importa il suo colore? Un vero movimento proletario avrebbe integrato sin dall’inizio i lavoratori stranieri perché le rivendicazioni sarebbero state comuni: migliori salari, migliori condizioni di lavoro e la fine della repressione per tutti i lavoratori. I proletari si sarebbero uniti perché la loro forza è la loro unità, indipendentemente dalla nazione, la tribù o la religione.

Gheddafi ha fatto pieno uso di tutto questo veleno per provare ad ottenere il sostegno dei lavoratori e della popolazione contro la presunta minaccia che peserebbe sulla sua “rivoluzione”: gli stranieri, il tribalismo, l’islamismo, l’Occidente…

In attesa di un nuovo regime

La maggioranza della classe operaia detesta il regime. Ma il vero pericolo per la classe operaia, estremamente grave, è essere trascinata dietro “l’opposizione”. Questa opposizione, con il nuovo “Consiglio Nazionale” che assume sempre più una posizione di leadership, è un conglomerato di diverse frazioni della borghesia: gli ex membri del regime, i monarchici, ecc., come pure capi tribali e religiosi. Tutti hanno tratto vantaggio dal fatto che questo movimento non ha una direzione proletaria indipendente per imporre la loro volontà di sostituire la direzione di Gheddafi dello Stato libico.

Il Consiglio Nazionale è chiaro sul suo ruolo: “L’obiettivo principale del Consiglio Nazionale è avere un volto politico … per la rivoluzione”, “Aiuteremo a liberare altre città libiche, in particolare Tripoli, grazie al nostro esercito nazionale, alle nostre forze armate, di cui una parte ha annunciato il suo sostegno al popolo”, “Una Libia divisa è impensabile” (Reuters Africa del 27 febbraio, https://www.reuters.com?edition-redirect=af). In altri termini, il suo scopo è mantenere la dittatura capitalista attuale, ma con un volto diverso.

Tuttavia, l’opposizione non è unita. L’ex ministro della giustizia di Gheddafi, Mohamed Mustafa Abud Ajleil, ha annunciato la formazione di un governo provvisorio, con sede a Al-Baida, alla fine di febbraio, con il sostegno di alcuni ex diplomatici. Questa iniziativa è stata respinta dal Consiglio Nazionale la cui sede è a Bengasi.

Ciò mostra che nell’opposizione ci sono divisioni profonde che esploderanno inevitabilmente, sia che riescano a sbarazzarsi di Gheddafi, sia che questi “leader” finiscano per litigare tra loro per salvare la pelle nel caso in cui Gheddafi riuscisse a restare al potere.

Il Consiglio Nazionale mostra il suo volto migliore al pubblico. È diretto da Ghoga, un famoso avvocato dei Diritti dell’Uomo e non è quindi troppo compromesso da legami con il “vecchio regime”, contrariamente a Ajleil. Il che è decisamente meglio per riuscire a vendere questa banda alla popolazione. I mass media hanno parlato molto dei comitati che sono nati nelle città e nelle regioni in cui Gheddafi ha perso il controllo. Un buon numero di questi comitati sembra sia stato auto-proclamato dai dignitari locali, ed anche se alcuni di questi comitati erano espressione diretta della rivolta popolare sembra che essi siano stati trascinati nel quadro statale borghese del Consiglio Nazionale. Lo sforzo del Consiglio per metter su un esercito nazionale significa la stessa morte e distruzione per la classe operaia e l’insieme della popolazione che se questo esercito fosse al fianco delle forze di Gheddafi. La fraternizzazione sociale che ha inizialmente contribuito a scalzare gli sforzi repressivi del regime è stata rapidamente sostituita da battaglie inquadrate su di un fronte puramente militare, mentre la popolazione è chiamata a fare sacrifici per assicurasi che l’Esercito Nazionale possa battersi.

La trasformazione dell’opposizione borghese in un nuovo regime è accelerata dal sostegno sempre più aperto delle grandi potenze: gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Francia, l’Italia, ecc. I gangster imperialisti prendono ora le distanze dal loro vecchio amico Gheddafi in modo tale da poter avere una certa influenza su una eventuale nuova equipe che arriva al potere. Il sostegno andrà a quelli che si inscrivono nella difesa degli interessi imperialisti delle grandi potenze.

Quella che è iniziata come risposta disperata alla repressione da parte della maggioranza della popolazione è stata presto utilizzata dalla classe dirigente in Libia ed all’estero per i propri fini. Un movimento che è cominciato come uno sforzo pieno di furia e di rabbia per fermare il massacro dei giovani è finito con un altro massacro e bagno di sangue, ma ora, in nome di una “Libia libera”. Il proletariato della Libia e di qualsiasi altro paese non può rispondere che aumentando la sua determinazione a non lasciarsi trascinare in lotte sanguinarie tra le frazioni della classe dirigente in nome della democrazia o di una nazione libera. Nei prossimi giorni e nelle prossime settimane, se Gheddafi si aggrappa al potere, il sostegno internazionale all’opposizione sarà sempre più forte. E se lui se ne va ci sarà una campagna altrettanto assordante sul trionfo della democrazia, il potere del popolo e la libertà.

In tutti e due i casi i lavoratori saranno chiamati a identificarsi con il volto democratico della dittatura del capitalismo.

Phil (5 marzo 2011)

 

[1] “… Allāh Akbar, ovvero: “Dio è il più grande”. È un’espressione che, nella religione musulmana, è spesso usata nel richiamo da parte del muezzin per ricordare ai fedeli l'inizio del periodo d'elezione utile ad assolvere l'obbligo della preghiera canonica (salat). L'espressione è impiegata anche prima dell'effettiva esecuzione della salat, oltre che in altre occasioni non religiose in cui si voglia ostentare la propria fede islamica in Dio (da wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Takb%C4%ABr)

Geografiche: